Pace fuori campo? È tempo di riportarla nel discorso pubblico
Nel clima segnato da guerra, polarizzazione e sospetto, parlare di pace diventa controverso. Ma senza parole, argomenti e responsabilità pubbliche, la pace scompare, lasciando spazio a paura, propaganda e rassegnazione.
Giuseppe Davicino
Gli eventi e le crisi ai quali stiamo assistendo in Europa implicano una domanda politica di fondo: dove stiamo andando? Dove ci porteranno le strategie adottate?
Diventa ancora più arduo tentare di rispondere a questa domanda in un tempo in cui, come ha ricordato ieri Papa Prevòst, nel suo primo Angelus di Santo Stefano, cresce il rischio di essere spinti fuori dal discorso pubblico e non di rado accusati di favorire avversari e nemici, per chi cerca di argomentare le ragioni della pace. Probabilmente Leone XIV ha colto un punto decisivo per il futuro dell’Italia, dell’Ue, dell’Europa e dell’Occidente.
Il fatto di essere stati espunti dal dibattito pubblico, talvolta anche per rispettabili ragioni di realpolitik, non rende alcuni argomenti meno decisivi per il nostro futuro. Credo se ne possano indicare alcuni fra i più importanti.
Le narrative della guerra
Il primo è il carattere decisivo, per il futuro, delle diverse narrative sulla guerra in corso in Europa. La narrativa del Regno Unito e dei suoi alleati più stretti, primo fra tutti la Francia, è quella di una Russia “invade-tutto”, alla quale occorre infliggere una sconfitta strategica in Ucraina per fermarne l’avanzata fino alla costa atlantica dell’Europa. Poiché sul campo, dopo l’invasione russa del 2022, i risultati non sono quelli sperati, occorre una tregua per consentire il riarmo dell’Europa, in vista dello showdown finale nel giro di cinque-dieci anni.
Un conflitto non nato dal nulla
L’altra narrativa è quella di quanti, trasversalmente allo schieramento atlantista, sono consapevoli del fatto che l’invasione russa dell’Ucraina non sia stata un fulmine a ciel sereno, ma una scelta – per quanto esecrabile – maturata all’interno di uno scontro per procura almeno decennale, che ha visto anche errori e provocazioni commessi dagli occidentali, o almeno da alcune loro frange, come il tentacolare mondo dei neocon americani a fianco dei poteri britannici.
È un’ovvietà constatare che una soluzione diplomatica di questo conflitto non sarà possibile senza adottare un coraggioso e lungimirante cambio di narrativa.
Stati Uniti e Russia: una relazione storica
Ed ecco un altro elemento di primissimo piano che non può essere ignorato: quello dei rapporti fra Stati Uniti e Russia, storicamente più complementari che competitivi. Dalla guerra civile americana alla Seconda guerra mondiale, fino alla comune diffidenza verso l’impero coloniale britannico, Washington e Mosca hanno sempre trovato punti di contatto.
Trump, più che una svolta, ha operato una ripresa di rapporti bilaterali solidi e con profonde radici storiche, che rischiano di lasciare l’Europa con il cerino in mano delle ostilità, se essa non saprà pensarsi più autonoma e indipendente sullo scacchiere internazionale.
Un’Europa politicamente più forte
Serve una Ue più forte politicamente. Per iniziare, in attesa dei tempi lunghi delle riforme istituzionali, appare più che sufficiente la sintesi proposta da Mario Draghi: il federalismo pragmatico, ovvero la capacità dei Ventisette di assumere decisioni adeguate e tempestive.
Esiste un esempio brillante di organizzazione internazionale fra Paesi ritenuti schiacciati fra due giganti come Cina e India: l’ASEAN, l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, che sta dimostrando di agire con invidiabile autonomia. Anche l’Ue può prendere le giuste contromisure per evitare che Stati Uniti e Russia decidano del suo futuro.
Il peso britannico sull’Europa
Ma perché ciò risulti possibile vi è un terzo elemento, oggettivamente di enorme importanza ma di cui quasi non si parla: il preoccupante sbilanciamento nei rapporti fra Bruxelles e Londra a favore della sponda britannica della Manica.
La gestione della crisi ucraina fornisce una nuova e triste conferma. Stiamo infatti assistendo al paradosso per cui il Regno Unito, uscito dall’Ue, detta nei fatti la linea dell’Europa sull’Ucraina. La Francia risulta perfettamente allineata; la Germania continua a non toccare palla in politica estera oltre i propri interessi di bottega; l’Italia, come spesso accade, si barcamena pur in modo dignitoso; resta alla fine solo la Spagna in una situazione di pieno esercizio di capacità che invece dovrebbe riguardare l’intera Unione.
I costi di una guerra senza vincitori
Occorre esplicitare con chiarezza cosa comporti per l’Ue seguire la linea britannica sull’Ucraina, in una guerra che nessuno potrà vincere sul campo se non tentando nuovamente l’avventura di una guerra mondiale. Tra le conseguenze:
– un ulteriore indebolimento dell’economia europea;
– un’accelerazione della caduta delle classi medie, a fronte dell’allargamento della classe media nei Paesi Brics;
– una dissonanza sempre più stridente fra gli obiettivi del Green Deal e l’enfasi sul riarmo nazionale, compreso quello tedesco, con toni più da Europa pre-comunitaria che dall’Europa edificata sull’anelito all’integrazione per rendere impossibile la guerra.
Una linea di centro, dialogo e pace
Se questi elementi sono, come credo, decisivi, essi forniscono indicazioni anche per definire una linea politica autenticamente di centro, ispirata ai valori del dialogo e della pace, che pur nelle necessarie mediazioni non smarrisca il senso di dove possano condurre strategie miopi e subalterne.
Strategie alle quali sembra difficile sottrarsi anche per la presenza, nell’area di centro, di gruppi piccoli ma influenti, spesso più inclini all’estremismo che alla moderazione.