È davvero un onore e un vero piacere per me introdurre questo incontro di presentazione del volume “Alcide De Gasperi. Rivoluzione, riforme, libertà”, biografia scritta da Igino Giordani, che fu suo amico, compagno di lotta e testimone diretto, e riproposto oggi, con cura e con sensibilità contemporanea, dai due curatori Lucio D’Ubaldo e Alberto Lo Presti.
Non si tratta soltanto della riedizione di un classico, ma di un atto di riconoscenza e, insieme, di un gesto politico e civile: riportare nel dibattito pubblico la figura di un uomo che seppe tenere insieme libertà e responsabilità, fede e ragione, radici e futuro.
Giordani e la sua biografia fondativa
La biografia scritta da Giordani non è un’agiografia, ma è un ritratto vissuto.
È, come scrivono i curatori, una “biografia fondativa”, perché racconta l’origine di un nuovo modo di intendere la politica: come costruzione, non come ricostruzione. Adone Zoli (Presidente del Consiglio nel 1957 e 58) lo disse con chiarezza: De Gasperi non fu il “ricostruttore”, ma il costruttore dell’Italia democratica. E Amintore Fanfani, che pure veniva da una generazione successiva, lo definì un “rivoluzionario sui generis”: un uomo capace di innovare senza rinnegare, di rompere gli schemi restando fedele all’essenziale.
Se si dovesse riassumere questa lezione in un’espressione, si potrebbe dire senza alcun dubbio che De Gasperi incarna quella che potremmo chiamare una radicalità dinamica.
Radicale, perché non si accontentò mai delle mezze misure morali o intellettuali. Dinamico, perché non fece mai dell’identità una gabbia. La sua vita infatti è un continuo attraversamento di confini: dall’Impero asburgico all’Italia unita, dalla monarchia alla Repubblica, dal cattolicesimo sociale del primo Novecento alla costruzione dell’Europa democratica.

Il realismo degasperiano
Questa capacità di leggere il tempo, di interpretarlo senza esserne travolto, fu la cifra del suo realismo cristiano. De Gasperi non aderì mai a un’ideologia chiusa, ma cercò ogni volta il punto d’equilibrio tra la fedeltà ai principi e la verità dei fatti. Lo fece quando, negli anni Trenta, dal silenzio della Biblioteca Vaticana, preparò la nascita della democrazia cristiana; lo fece nel dopoguerra, scegliendo l’Occidente e l’Alleanza Atlantica non per opportunismo, ma per convinzione: perché lì vedeva la possibilità concreta di difendere la libertà, e con essa la dignità dell’uomo.
Questa è la prima grande attualità del pensiero degasperiano. D’altra parte viviamo anche noi un tempo di ridefinizioni profonde: gli equilibri internazionali, le alleanze, le appartenenze culturali e politiche sono in movimento. In questo scenario, l’eredità di De Gasperi non consiste nel ripetere le sue scelte, ma nel ripetere ilsuo metodo: guardare la realtà per quella che è, non per quella che vorremmo che fosse.
Nel secondo dopoguerra De Gasperi seppe leggere il mondo nuovo che stava nascendo. Oggi tocca a noi avere il coraggio di fare lo stesso.
La “radicalità dinamica” dello statista trentino
Avere il coraggio anche di guardare ai vecchi alleati (come ai vecchi avversari) per ciò che sono diventati oggi.
Avere il coraggio, quindi, di prendere atto che alcune alleanze si stanno esaurendo e che occorre urgentemente costruirne di nuove guardando con realismo al mondo multipolare che sta nascendo.
Significa oggi uscire dal riflesso condizionato dalle appartenenze acritiche, e riscoprire la responsabilità di giudicare con spirito critico questo presente che ci è dato da vivere.
In fondo, la “radicalità dinamica” di De Gasperi è proprio questo: la libertà di non essere prigionieri del passato.
De Gasperi non fu infatti un “moderato” nel senso pigrodel termine: fu un uomo che al contrario seppe scegliere – e spesso scelse da solo – quando e quanto il bene comune richiedesse. E se oggi l’Europa appare incerta sul suo ruolo nel mondo, fino al punto di rischiare di tradire se stessa e i suoi fondamenti di pace, la lezione di De Gasperi ci dice che servono meno adesioni formali e più visioni coraggiose, meno retorica e più costruzione.
L’uomo del dialogo
Il libro di Giordani, grazie anche alla preziosa introduzione dei curatori, mostra anche un altro tratto decisivo:
De Gasperi come uomo del dialogo, ma non del compromesso.
Sapeva, De Gasperi, che l’unità dei cattolici, e più in generale delle forze democratiche, non si costruisce annullando le differenze, ma armonizzandole. “Solo i cattolici uniti – scriveva nel 1952 in una lettera allo stesso Giordani – possono impedire lo slittamento verso la tirannia.”
Ma l’unità, per lui, non era “uniformità”: bensì la capacità di convergere su un progetto comune, rispettando il pluralismo delle idee. Anche questo è un messaggio di incredibile modernità, in un tempo come il nostro dove si fatica a conciliare il pluralismo con la coesione.
De Gasperi in questo senso fu esempio di prudenza intesa, latinamente, come virtù attiva, non come rinuncia al rinnovamento. La sua prudenza fu intelligenza delle circostanze e nelle circostanze, fu rispetto per la complessità e rifiuto per l’improvvisazione.
Una prudenza, la sua, corroborata da una forza morale che gli derivava da una fede vissuta come servizio, e NON come una bandiera né tantomeno come una clava, come invece è abitudine di alcuni oggi. Come scrive infatti anche Fioroni nella presentazione del volume, egli fu “un uomo di lotta e di fede, un combattente per un superiore senso del dovere”.
È questo un ulteriore tratto che lo rende, ancora oggi, uno statista contemporaneo: intransigente nei valori, ma mai ideologico nelle soluzioni.
Rileggere, quindi, oggi questa biografia, a settant’anni dalla sua prima edizione, significa anche riflettere su un tipo di politica che non si limita a gestire l’esistente, ma che costruisce; che non si chiude nel risentimento o nella nostalgia del passato, ma che sa aprirsi al futuro, riconoscendone la complessità ma senza smarrire il senso del bene comune.

Cosa significa essere degasperiani oggi?
Significa, inoltre, recuperare il valore della parola “riforma” nella sua vera accezione: quella che per De Gasperi era sinonimo di responsabilità. La riforma non è un gesto di rottura, ma un atto di costruzione consapevole: è costruire un ponte tra il passato e il futuro.
Concludo tornando a una frase che De Gasperi pronunciò nel 1954, poco prima di lasciare questo mondo:
“In quei tempi durissimi non abbiamo mancato di coraggio, e non ci venne mai meno la speranza nel nuovo Risorgimento.”
Quelle parole, scritte per un’Italia da poco uscita dalle macerie, valgono anche per noi.
Essere degasperiani oggi non vuol dire rifugiarsi nella memoria, ma avere la responsabilità di coltivare attivamente la speranza ovvero coltivare la fiducia che libertà, giustizia e solidarietà non siano retaggi del passato, ma strumenti per interpretare il presente e costruire il futuro.
Significa costruire un nuovo “campo degasperiano” E se avremo la forza di farlo, allora la sua eredità non sarà solo ricordata, ma vissuta.
Nota
Il dibattito si è tenuto nella Sala degli Anziani di Palazzo D’Accursio. Chiara Pazzaglia, presidente provinciale delle Acli, ha svolto il ruolo di coordinatrice. In apertura FilippoDiaco (Consigliere del Comune di Bologna) ha portato il suo saluto. Marco Follini, Giuseppe Fioroni e Gianfranco Astori hanno animato il confronto. All’ultimo momento il presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia, ha dato forfait. Annotazione finale: Andrea Babbi ha assicurato la sua apprezzata supervisione organizzativa per la buona riuscita dell’evento.
Immagine di copertina – Credits: “Foto Schicchi”