Roma, 27 nov. (askanews) – Tra il 2021 e il 2024 il Mezzogiorno ha mostrato un’inedita capacità di trainare la crescita occupazionale nazionale: gli occupati al Sud sono aumentati dell’8%, un ritmo superiore di 2,6 punti percentuali rispetto al resto del Paese. Nel complesso, l’occupazione è cresciuta di quasi 1,4 milioni di unità a livello nazionale, di cui circa 900mila al Centro-Nord e quasi 500mila nel Mezzogiorno, con il Sud che ha contribuito per oltre un terzo all’incremento complessivo degli occupati. Lo riporta “Il Rapporto sull’Economia e la Società del Mezzogiorno”, studio annuale di riferimento su analisi territoriale delle tendenze economiche e sociali e delle politiche di sviluppo in Italia che la Svimez pubblica dal 1974.
Il ruolo delle politiche è stato significativo nel sostenere l’occupazione e nel determinare la composizione settoriale degli incrementi occupazionali. Hanno inciso, sia pure con ritardo, i programmi di aumento degli organici della pubblica amministrazione; gli incentivi agli investimenti privati in costruzioni in una prima fase e, successivamente, prosegue lo studio, l’avvio delle opere pubbliche finanziate dal PNRR hanno sostenuto la domanda di lavoro nell’edilizia, nei servizi professionali e di consulenza e nelle connesse attività manifatturiere.
Cresce l’occupazione, si legge, ma non si ferma l’esodo dei giovani. Dietro il dato positivo della crescita occupazionale italiana si nasconde però una contraddizione profonda: tra i due trienni 2017-2019 e 2022-2024 il numero di giovani 25-34enni che hanno lasciato il Paese è aumentato di oltre il 10%, passando da circa 121mila a circa 135mila unità. In particolare, al Sud il boom dell’occupazione non ha arrestato la crescita delle migrazioni giovanili interne e estere. Nel 2022-2024, 175mila giovani meridionali hanno lasciato l’area di residenza per il Centro-Nord o l’estero, 7mila in più rispetto al 2017-2019. Un vero paradosso occupazionale: il lavoro al Sud è cresciuto come in nessuna recente fase di ripresa ciclica, ma il boom dell’occupazione non è riuscito ad arrestare le migrazioni giovanili, interne e estere.
Nel corso degli ultimi anni, secondo lo studio Svimez, si è soprattutto consolidata la natura selettiva delle migrazioni giovanili da Sud a Nord: la quota dei laureati, nella fascia di età 25-34 anni, è del 50% per gli uomini e raggiunge il 70% per la componente femminile. I trasferimenti annuali dei laureati meridionali raggiungono stabilmente le 40mila unità. La stessa struttura selettiva si presenta per la migrazione dei laureati italiani verso l’estero, che ha toccato nel 2023 il suo massimo storico (circa 37mila), con un’impennata dopo il 2012 sia dal Centro-Nord (28mila) sia dal Mezzogiorno (9mila).
Quando un laureato decide di migrare, una parte del rendimento potenziale dell’investimento pubblico sostenuto per la sua formazione viene dispersa. In altri termini, con l’emigrazione qualificata il territorio di origine subisce una perdita secca: ha già sostenuto un costo per formare quell’individuo, ma non potrà beneficiare, nel medio-lungo periodo, delle esternalità positive che il capitale umano istruito genera sul territorio. Seguendo questa logica, è possibile stimare il costo del deflusso di capitale umano dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord, e dal CentroNord all’estero, a partire dal saldo migratorio netto dei laureati.
La perdita secca cumulata per il Mezzogiorno, stimata in termini di costo di formazione dei laureati che hanno maturato il proprio capitale umano nel Sud e poi si sono trasferiti altrove, è, tra il 2020 e il 2024, di circa 6,7 miliardi di euro l’anno per coloro che si trasferiscono al Centro-Nord cui si aggiungono ulteriori 1,2 miliardi per gli expat. Il Centro-Nord, se da un lato beneficia dell’afflusso di capitale umano formato dal Sud, subisce dall’altro una perdita netta legata al costo formativo dell’emigrazione dei suoi laureati verso l’estero stimata in circa 3 miliardi l’anno.
La traiettoria di medio-lungo periodo resta quella di un lento e costante processo di polarizzazione: poli esteri che attraggono giovani italiani altamente formati, avverte lo studio, il Centro-Nord che perde verso l’estero ma recupera grazie alle migrazioni interne di laureati da Sud, il Mezzogiorno che li forma e continua a perderli. La sfida del rilancio del Paese e del Mezzogiorno va quindi affrontata a partire dal rafforzamento della dotazione finanziaria per il sistema universitario e della ricerca e da una sua maggiore integrazione con le politiche industriali, soprattutto in termini di formazione terziaria professionalizzante (Its e Lp).



















































