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venerdì, 9 Maggio, 2025
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L’Italia si prepara per una Brexit senza accordo

Il Mef ha approntato le misure necessarie a garantire piena continuità dei mercati e degli intermediari in caso di Brexit senza accordo.

Le misure mirano ad assicurare la stabilità finanziaria, l’integrità e la continuità operativa di mercati e intermediari nonché la tutela degli investitori e della clientela, tramite l’introduzione di un congruo periodo transitorio nel quale tali soggetti potranno continuare ad operare; analogamente al periodo transitorio che sarebbe previsto in caso di accordo tra il Regno Unito e la UE. Durante il periodo transitorio sarà possibile per gli intermediari – siano essi bancari, finanziari, assicurativi o operanti nel campo della previdenza complementare – continuare ad operare secondo la normativa attuale: la possibilità varrà sia per gli operatori britannici operanti in Italia, sia per gli operatori italiani operanti nel Regno Unito.

La normativa disciplinerà nel dettaglio tutti gli adempimenti che i vari tipi di intermediari saranno chiamati ad assolvere – sulla base della normativa settoriale applicabile – per poter continuare ad operare anche oltre al periodo transitorio definito, in modo da definire un quadro certo per tutti gli operatori che permetterà a ciascuno di prepararsi per tempo alla fine del periodo transitorio, consentendo una piena operatività nel nuovo contesto istituzionale ed operativo che si verrà a creare.

Previsioni analoghe – spiega il Mef – saranno presenti nella parte del provvedimento inerente i mercati, con particolare riferimento alle sedi di negoziazione e all’accesso degli operatori alle stesse. Anche in questo caso, le previsioni relative al periodo transitorio, in cui potrà essere proseguita l’attuale operatività secondo la normativa attualmente vigente, varranno sia per i gestori di sedi di negoziazione britannici che operano in Italia sia per quelli italiani che operano nel Regno Unito.

Saranno infine previsti – prosegue la nota – anche gli adempimenti che i gestori delle sedi di negoziazione dovranno porre in essere per poter continuare ad operare dopo la fine del periodo transitorio. La disciplina eccezionale che il provvedimento pone in essere – puntualizza Via Venti Settembre – ha come unico obiettivo quello di evitare soluzioni di continuità rispetto all’esercizio di attività soggette a riserva di legge in ambito nazionale, nel rispetto delle pertinenti discipline UE di armonizzazione. Pertanto, in linea con i limiti richiamati dalla stessa Commissione europea con la Comunicazione del 13 novembre scorso, il provvedimento non include disposizioni che attengono aspetti riguardanti i rapporti bilaterali fra intermediari e clienti, che esulano dal perimetro delle richiamate discipline di armonizzazione di settore, e sono invece retti dalla disciplina generale dei rapporti contrattuali.

La data di emanazione del provvedimento dipenderà dai prossimi sviluppi e dalle conseguenti determinazioni che verranno adottate nel Regno Unito in ordine al recesso. Esso verrà comunque adottato – assicura il Ministero – in tempo utile per permettere un ordinato svolgimento delle attività e fornire un quadro normativo certo entro cui operare anche in caso di recesso senza accordo.

Giorno della Memoria: Assisi, fino 18 marzo iniziative per non dimenticare

Ci sarà anche Gioia Bartali, oggi alle ore 11,30 alla cerimonia della Prefettura di Perugia in occasione della Giornata della Memoria che quest’anno si svolge al Museo della Memoria di Assisi dove si ricorda l’opera di salvezza degli ebrei alla quale partecipò anche il grande campione di ciclismo Gino Bartali.

La nipote porterà il suo saluto e le impressioni a caldo del viaggio fatto ad Aschiwtz con gli studenti e alcuni sopravvissuti alla Shoah, organizzato dal Miur e dall’Ucei.

La cerimonia, si concluderà con la consegna da parte del prefetto Claudio Sgaraglia delle “medaglie d’onore ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra”.

Altri appuntamenti sono in programma lunedì 28 gennaio alla scuola “Galeazzo Alessi” di Santa Maria degli Angeli dove ci sarà la testimonianza di Viviana Salomon, figlia di genitori sopravvissuti alla Shoah, e giovedì 31 gennaio alle ore 15,30 nella Sala della Conciliazione del Comune di Assisi dove ci sarà il racconto di Roberto Cerniani di Trieste su “Come le famiglie Mayer e Cerniani furono nascoste e salvate in Assisi”.

Domenica 3 febbraio alle ore 15,30 ci sarà il tradizionale percorso alla scoperta dei luoghi assisani della Memoria con la visita al convento delle Suore dell’Atonement dove furono nascoste diverse famiglie ebree.

Lunedì 18 marzo alle ore 10,30 al teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli in scena il racconto teatrale di Paolo Mirti “Nuvole – Da Firenze ad Assisi con la libertà nascosta della bicicletta di Gino Bartali”. In questi giorni tante scuole sono in visita al Museo della Memoria dove vengono organizzati laboratori e percorsi ad hoc per gli studenti di ogni ordine e grado

Ciclovie turistiche: pubblicato il decreto in Gazzetta Ufficiale

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 18 del 22 gennaio 2019 il Decreto 29 novembre 2018 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, recante: “Progettazione e realizzazione di un sistema nazionale di ciclovie turistiche.”.

“I progetti e gli interventi relativi alle ciclovie turistiche sono individuati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.”. E’ quanto prevedeva l’articolo 1, comma 640, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016). L’utilizzo del fondo per la realizzazione delle ciclovie, disposto con D.P.C.M., era previsto dall’articolo 1, comma 140 della Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di bilancio 2017) ed è stato oggetto di ricorso da parte della Regione Veneto.

La Corte Costituzionale con la Sentenza n. 74 del 7 marzo 2018 (pubblicata in G.U. 18/04/2018, n. 16) si è pronunciata dichiarando l’illegittimità di questo comma nella parte in cui non viene prevista “un’intesa con gli enti territoriali in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri riguardanti settori di spesa rientranti nelle materie di competenza regionale”.

L’8 novembre 2018 il provvedimento è stato esaminato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che ha espresso l’Intesa con raccomandazioni, sancita nella Conferenza Unificata dello stesso giorno.

Spinaceto 2 è salva

Le 60 famiglie del Piano di Zona Spinaceto 2 non saranno sfrattate dalle loro case. Lo ha detto  la sindaca Virginia Raggi con un post su Facebook, spiegando che “dopo le revoche sui comparti di Tor Vergata e Castelverde, compiamo un ulteriore passo: l’approvazione in Giunta di una delibera che prevede la decadenza della convenzione stipulata nel 2006 con la Cooperativa Vesta”.

“Chiaramente il percorso da fare è ancora lungo e complesso perché ogni Piano di Zona ha delle caratteristiche particolari che non consentono di applicare un procedimento standardizzato per tutti, ma il nostro impegno non viene e non verrà meno – conclude la sindaca -. Continueremo sulla strada di legalità, trasparenza e giustizia poiché quella dei Piani di Zona costituisce una problematica prima di tutto sociale e di tutela dell’interesse pubblico”.

Venezuela: Guaidó l’uomo che si fece presidente

Il giovane Juan Guaidó, leader dell’Assemblea nazionale, si è autoproclamato presidente “pro tempore” del Paese.

Riconosciuto come leader già da Trump, e dall’Organizzazione degli Stati Americani (Oas), Guaidó ha sempre considerato “l’usurpazione del potere” da parte di Maduro, il cui secondo mandato è considerato illegittimo dall’opposizione e da buona parte della comunità internazionale, un problema non trascurabile.

Ma chi è il nuovo Presidente “pro tempore” del Venezuela?

Guaidó si è diplomato nel 2000 dopo aver vissuto la tragedia di Vargas, ossia le violente alluvioni e inondazioni che nel dicembre 1999 hanno devastato lo Stato federato venezuelano, cosa che ha probabilmente influenzato la sua politica, rendendolo un oppositore del presidente Hugo Chávez. Ha ottenuto la sua licenza di ingegnere nel 2007 presso l’Università cattolica Andrés Bello.

Ha preso parte alle proteste in Venezuela del 2007 contro il rinnovamento della licenza alla rete televisiva RCTV e contro il referendum costituzionale promosso dall’allora presidente Chávez.

Nel 2009 è tra i membri fondatori del partito Volontà Popolare (Voluntad Popular), forte oppositore di Chávez prima e di Maduro poi.

L’anno successivo viene eletto deputato dell’Assemblea Nazionale per il suo Stato e, con questo incarico, si occuperà di indagare sulla corruzione presente nell’amministrazione del presidente venezuelano Nicolàs Maduro.

Nel dicembre 2018 viene eletto presidente dell’Assemblea Nazionale, organo esautorato da Maduro e sostituito dall’Assemblea nazionale costituente.

E’ a favore di un’economia di mercato e del federalismo fiscale in Venezuela. E’ consapevole dei rischi che corre perché Maduro, che ha già esautorato i poteri del Parlamento, potrebbe dichiararne le scioglimento, arrestare Guaidò e scatenare una violenta repressione contro gli oppositori. “So che ci saranno conseguenze – ha detto alla folla ‘assumendo’ i poteri – per riuscire a compiere questa missione e ristabilire la Costituzione occorre il consenso di tutti i venezuelani”.

A Grottole (Matera) per cambiare vita e salvare il borgo

La no profit Wonder Grottole, offre a 4 persone la possibilità unica di staccare la spina e trasferirsi per 3 mesi nel borgo di Grottole, diventando volontari nella splendida campagna lucana.

Arroccato su una collina a pochi chilometri da Matera, il centro storico di Grottole con i suoi soli 300 abitanti e le sue oltre 600 case vuote rischia, in pochi anni, di diventare un borgo fantasma.  Per restituire nuova vita al borgo, Airbnb sta supportando Wonder Grottole, una no profit locale impegnata in progetti di rigenerazione urbana, nella sfida di trovare 4 volontari da tutto il mondo pronti a trasferirsi a Grottole e sostenerne la rinascita.

Da semplici turisti, i 4 selezionati si trasformeranno in cittadini temporanei, immergendosi nella cultura locale, lavorando nell’orto della comunità e imparando deliziose ricette della tradizione da trasmettere poi a loro volta ai turisti che visiteranno il borgo.

Melanoma: scoperta una proteina che potrebbe vincere la resistenza primaria all’immunoterapia

Anche se l’immunoterapia è sempre più precisa, circa il 40% dei soggetti con melanoma non risponde ai farmaci anti-PD1 e anti-CTLA4.
Proprio per questo lo studio pubblicato da Nature Immunology, firmato da Ping-Chih Ho del Ludwig Institute for Cancer Research (Losanna) è innovativo.

Nello studio si suggerisce una possibile spiegazione a questo fenomeno e forse anche una soluzione.

Grazie alla ricerca si è potuto scoprire  il ruolo della proteina UCP2 nella risposta all’immunoterapia.
Gli autori dello studio sono dunque andati a studiare in cosa differiscono, rispetto all’espressione genica, i tumori cosiddetti ‘freddi’ (non infiltrati da cellule T) da quelli ‘infiammati’.

L’analisi computazionale dei geni espressi dal melanoma riportata ne The Cancer Genome Atlas (TCGA) ha rivelato che i tumori che manifestano una robusta risposta immunitaria anti-tumorale sono quelli che esprimono elevati livelli di UCP2 (uncoupling protein 2), una proteina mitocondriale metabolica.

I melanomi che esprimono molta UCP2, esprimono anche un sottogruppo di citochine che attirano le cellule del sistema immunitario nel loro microambiente, in particolare le cellule T killer e le cellule dendritiche convenzionali di tipo 1 (cDC1). Queste ultime sono in grado di ‘istruire’ e di scatenare le cellule T killer contro le cellule tumorali. Ulteriori analisi condotte sui dati del TCGA suggeriscono che i tumori con elevata espressione di UCP2, presentano un infiltrato infiammatorio di cellule T killer e cDC1.

Partendo da queste constatazioni, i ricercatori del Ludwig Institute for Cancer Research sono andati a trapiantare su topi dei melanomi indotti ad esprimere alti livelli di UCP2; l’induzione di UCP2, come previsto, è andata a potenziare la produzione di fattori in grado di provocare una risposta anti-tumorale, attirando al contempo un flusso di cellule T killer e di cDC1 all’interno del tumore.
I tumori trapianti nei topi ‘ingegnerizzati’ per essere carenti di cellule cDC1 al contrario non presentavano questo infiltrato di cellule T killer, neppure in presenza di iperespressione di UCP2.

“Questi esperimenti – commenta Ho – confermano che l’espressione di questa proteina da parte delle cellule tumorali può modificare lo stato immunitario del microambiente tumorale e che questo induce un ciclo immunitario anti-tumorale ben noto, controllato dalle cellule cDC1 e T killer”.

Lo stesso gruppo di ricerca sta ora cercando di confermare questi risultati in una serie di studi preclinici che potrebbero fornire il razionale per un trial clinico sull’uomo sull’impiego del rosiglitazone per vincere la resistenza agli anti-PD1 nel melanoma.

Popolari, ora il soggetto politico

Continuano in tutta Italia le riflessioni, le iniziative e gli approfondimenti attorno al centenario della nascita del Partito Popolare Italiano. E, soprattutto, dell’attualità del popolarismo di ispirazione cristiana. Il tutto, com’è altrettanto ovvio, si inserisce in un contesto culturale nazionale dove emerge la necessità, sempre più forte, di rinnovare e rilanciare un protagonismo politico dei cattolici italiani. Sia chiaro, nessuna deriva clericale, nessun partito confessionale o “dei vescovi” e, nello specifico, nessun “partito dei cattolici”. Che, in Italia, non è mai esistito. Non lo era il Ppi di Sturzo, non lo è stata la Democrazia Cristiana e tantomeno il Ppi di Mino Martinazzoli. Una tradizione ed una prassi estranei alla storia politica italiana e alla stessa esperienza concreta dell’area cattolica italiana. Seppure non siano mai mancate tentazioni integralistiche e confessionali dal secondo dopoguerra in poi. Ma che sono sempre stati minoritarie e marginali.

Ora, e’ indubbio, e al di là dei retroscena giornalistici quotidiani, che questo fermento non può non generare una iniziativa politica. Quando da più versanti emerge la necessità di ridar voce e rappresentanza ad una cultura e ad un pensiero oggi irresponsabilmente marginali e ininfluenti, lo sbocco politico diventa quasi inevitabile. Certo, il panorama cattolico democratico, popolare e sociale oggi pullula di movimenti, gruppi, associazioni, singole personalità e via discorrendo che pensano, ognuno, ancora di essere il depositario esclusivo per l’avvio di un nuovo soggetto politico. Eppure la vera sfida resta quella di far canalizzare in un soggetto politico unitario e il più rappresentativo possibile le varie sensibilità che arricchiscono, oggi, l’area cattolica italiana. Sotto questo versante, e’ del tutto evidente che non è sufficiente cercare di strumemtalizzare il magistero sturziano o l’eredità del popolarismo di ispirazione cristiana per i propri disegni politici. È stata una operazione simpatica, ma francamente grottesca, quella messa in atto in questi giorni da Berlusconi da un lato che si rivolge agli uomini “liberi e forti”era una nuova Forza Italia e da Zingaretti dall’altro per accalappiarsi l’eredità sturziana nella formazione del nuovo partito della sinistra italiana. Tentativi legittimi ma del tutto grotteschi se non ridicoli quello di dare cittadinanza politica, culturale e programmatica ad una tradizione che se coniugata con ciò che resta del berlusconismo o con un rinnovato Pds sarebbe destinata a restare semplicemente a bordo campo. Un motivo in più, quindi, per ridare voce politica a questa tradizione ideale che, altrimenti, sarebbe consegnata agli archivi storici. Un tema, questo, che si pone anche e soprattutto dopo il tramonto dei “partiti plurali” – nel caso specifico del Pd che ormai si avvia a diventare, giustamente, un rinnovato partito della sinistra italiana , una sorta quindi di neo Pds – e del sostanziale esaurimento della esperienza di Forza Italia e dell’Udc sul versante del centro destra.

Ma questo nuovo soggetto politico adesso si impone. E questo non solo per l’insistenza di molti settori della gerarchia ecclesiastica o dell’associazionismo cattolico di base, ma per la richiesta di fette crescenti dell’elettorato che si sente sempre più orfano nell’attuale cittadella politica italiana. Un elettorato che per molti anni si è riconosciuto, seppur stancamente, in altri partiti ma che adesso, dopo lo tsunami del voto del 4 marzo scorso, e’ alla ricerca di nuovi rappresentanti, di nuovi progetti e soprattutto di un nuovo soggetto politico.

E il ricordo e la riflessione sul centenario del Ppi sturziano e dell’ormai celebre appello ai “liberi e forti” può essere la leva decisiva per aprire una nuova fase politica per i cattolici democratici e popolari italiani. Senza limitarsi a celebrare in modo un po’ protocollare e burocratico una cultura politica, come ormai ci ha abituati l’Associazione Popolari guidata da Pier Luigi Castagnetti. È giunto il momento, invece e al contrario, di tradurre concretamente questo fermento politico, culturale, programmatico ed organizzativo. È giunto cioè il momento, seppur in un contesto storico profondamente diverso e mutato rispetto all’inizio del novecento, di imitare il coraggio e l’intuizione di quel prete di Caltagirone che con un piccolo gruppo di volenterosi raccolse la spinta per un rinnovato impegno politico dei cattolici italiani e mise in campo un progetto e una cultura che dopo 100 anni continuano a conservare una bruciante attualità. Perché Sturzo e il popolarismo non si celebrano ma si vivono. Concretamente e quotidianamente. Come recita la miglior tradizione del cattolicesimo politico italiano.

Mattarella ricorda Guido Rossa: «La democrazia si difende se resta se stessa e non rinuncia ai propri valori scolpiti nella Costituzione»

Onoriamo qui, oggi, un uomo, un lavoratore, un delegato sindacale, un militante politico che, nel momento in cui forze eversive e oscure portavano il loro assalto sanguinario alla nostra convivenza civile, ebbe il coraggio di non guardare dall’altra parte.

Di non cedere alla meschinità della paura e della fuga dal senso di responsabilità di fronte alla minaccia e alla violenza.

Ha pagato, con la sua famiglia, il prezzo supremo di chi ha voluto tener fede ai valori della Repubblica, che in Genova e nelle sue fabbriche hanno trovato radice profonda nell’impegno nato nella Resistenza.

Il terrorismo si definisce da solo per ciò che è: attacco vile alle persone, alla loro dignità, alla vita. Aggressione alle idee, intimidazione contro la libertà di ciascuno. Tentativo di abbattere le istituzioni poste a salvaguardia di tutti.

Guido Rossa non indugiò a chiedersi se toccasse proprio a lui contrastare il terrorismo. Seppe battersi per tutti.

Anche per chi preferiva fingere di non vedere.

Anche per chi stentava a capire cosa fosse in gioco nella drammatica stagione del terrorismo, più o meno mascherato dietro deliri ideologici e sigle di maniera.

Una esperienza che, ancora una volta, conobbero e dovettero combattere le principali democrazie europee.

E la democrazia prevalse, sorretta da un vasto sentimento popolare, dopo gli assassinii e i ferimenti di tanti concittadini, colpevoli solo di essere interpreti delle diverse forme in cui la nostra società si è liberamente organizzata.

Prevalse nel rispetto pieno delle regole dello Stato di diritto.

Prevalse senza cedimenti ai propositi di chi intendeva spingere l’azione dei pubblici poteri sul terreno della riduzione dei diritti e della repressione delle libertà.

La democrazia divenne più forte con il rispetto dei nostri principi e precetti costituzionali.

Si impose con il contributo fondamentale del movimento dei lavoratori – sicura riserva dei valori della Repubblica – che seppe, sull’esempio di Guido Rossa, rinsaldare le proprie fila e sfidare l’eversione là dove, come nelle fabbriche, pretendeva di costruire un consenso di massa puntando sul disagio sociale, ignorando il carattere profondamente democratico del movimento dei lavoratori.

Emerse oltre ogni dubbio, con il suo assassinio, il carattere ferocemente antipopolare, oltre che antidemocratico, del cosiddetto “partito armato”.

È con emozione – quindi – e con sentimenti di profonda riconoscenza, che partecipo, insieme a voi, a questo ricordo nella fabbrica in cui Guido Rossa ha lavorato e ha combattuto le sue battaglie civili.

La memoria è parte vitale della costruzione del nostro futuro. Non saremo mai veri protagonisti se non avremo la forza di riconoscere la continuità dei valori, degli ideali, delle conquiste sociali raggiunte nel cammino di cambiamento della nostra comunità.

Il progresso avanza sulle azioni degli uomini. Sul coraggio e sull’integrità di persone normali, come Guido Rossa, che al suo mestiere, alla sua competenza professionale, univa l’impegno nel sindacato e nel Partito comunista italiano al quale aveva aderito. Non si proponeva di diventare un eroe ma voleva essere fedele a se stesso, a ciò che intendeva costruire per il domani della sua famiglia, del quartiere in cui abitava, della fabbrica in cui lavorava, dell’intera società.

Assumersi delle responsabilità è difficile, e può diventare pesante: ma l’Italia, a partire dalla Resistenza, si è basata su questa capacità, nel suo progredire.

Donne e uomini che hanno saputo in famiglia, sul lavoro, nella vita di tutti i giorni, assumere le proprie responsabilità, costruire il futuro.

Ecco perché oggi la Repubblica dice grazie a Guido Rossa e a tutti quanti hanno saputo rendere grande il nostro Paese.

Continueremo a custodire la memoria dei tanti che negli anni di piombo sono divenuti bersagli inermi e innocenti del terrorismo brigatista, delle sue spietate filiazioni, dello stragismo della galassia dell’eversione neofascista.

È lunga la sequela di nomi e di vite spezzate. Ancora ci chiediamo come sia potuto accadere. Ed è un interrogativo attuale per una democrazia che voglia saper vivere e affrontare le proprie contraddizioni, per impedire che forze oscure avvertano nuovamente la tentazione di tornare all’attacco.

La nostra comunità ha superato la prova grazie alla propria coesione, rafforzata da quelle personalità e da quelle forze politiche e sociali che sono state capaci di ricostruire unità nei momenti cruciali. Grazie alla lungimiranza di uomini di governo e delle istituzioni rappresentative, alla dedizione di uomini delle forze dell’ordine, di magistrati, di sindacalisti, di insegnanti, di tanti cittadini che hanno saputo respingere la barbarie, la violenza, l’odio, la sopraffazione.

A decenni di distanza, quell’impegno non può dirsi del tutto concluso. L’azione delle istituzioni per ristabilire piena luce, dove questa è ancora lacunosa, non può fermarsi. Così come una definitiva chiusura di quella pagina richiede che sia resa compiuta giustizia, con ogni atto utile affinché rendano testimonianza e scontino la pena loro comminata quanti si sono macchiati di gravi reati e si sono sottratti con la fuga alla sua esecuzione.

La democrazia è una condizione delicata, la cui cura viene affidata alle istituzioni ma, in misura non minore, è affidata alla responsabilità e ai comportamenti dei cittadini, in tutti i luoghi in cui si sviluppa la loro presenza.

La fabbrica – il luogo di lavoro – ha avuto, ha un ruolo centrale.

Il lavoro ha un ruolo centrale nella organizzazione della vita di ciascuno e della collettività. Lo ha, simbolicamente, il luogo della fabbrica, sinonimo di produzione, crescita, trasformazione, innovazione nei prodotti e nelle relazioni sociali, economiche.

Un termometro del cambiamento potremmo definire Ilva, oggi Arcelor Mittal.

Sfide continue impongono di stare al passo con i tempi.

Ma apertura ai mercati non significa allentamento di norme di tutela della dignità e della integrità delle persone.

Due giorni fa, qui a Genova – in altro luogo – ancora una volta un operaio, Eros Ciniti, è morto sul lavoro. Sono morti inaccettabili. Mentre ci uniamo all’immenso dolore dei suoi bambini e dei suoi familiari, dobbiamo ribadire che la sicurezza sul lavoro è un diritto fondamentale di cittadinanza.

Genova è una capitale industriale del Paese. La manifattura cambia e muta anche la distribuzione degli impieghi tra i vari settori. Non viene meno però il valore strategico di un’industria moderna, competitiva, capace di integrarsi nel territorio rispettando gli standard ambientali. L’Italia è consapevole dell’importanza di industrie capaci di stare sui mercati.

C’è bisogno di visione e di programmi adeguati.

Per Genova c’è bisogno di colmare al più presto il gap infrastrutturale, evidenziato dal tragico, inaccettabile crollo del ponte Morandi.

Anche in questa occasione desidero ricordare le vittime e rivolgere un pensiero di vicinanza ai loro familiari; così come a coloro che hanno perduto la propria abitazione. Alla città di Genova, che ha dimostrato ancora una volta i suoi valori di solidarietà, va garantito che la ricostruzione del ponte, in tempi certi, sia una priorità nazionale.

Al mondo del lavoro e alle sue espressioni organizzate spettano compiti importanti per fare del nostro un Paese migliore, più forte e più inclusivo.

Era ciò per cui Guido Rossa, delegato di fabbrica della FIOM, si è sempre battuto, consapevole che la promozione dei diritti dei singoli trova, nella tutela collettiva dei lavoratori, lo strumento di più efficace espressione.

È il tema della consapevole e impegnata partecipazione dei cittadini, che fu essenziale nella lotta vincente contro il terrorismo.

I lavoratori italiani sono stati costruttori della Repubblica.

La fabbrica è stata motore di sviluppo, e scuola di democrazia.

Il terrorismo disumano e totalitario la voleva piegare alla sua propaganda di violenza e di morte. Quel tentativo è stato respinto, battuto dal popolo.

La battaglia per la libertà non concede tuttavia tregua.

I fantasmi del passato sono sempre in agguato.

Contro di essi la coscienza internazionale dei Paesi democratici, della Unione Europea, ha il dovere di essere vigile e di essere forte.

Dalla nostra storia, dai testimoni di cui facciamo memoria, abbiamo imparato che la democrazia si difende se resta se stessa e non rinuncia ai propri valori, scolpiti nella Costituzione.

Sappiamo che, a questa impresa, da Genova saprà venire sempre un apporto vigoroso, come avvenne con Guido Rossa.

Brexit: molte aziende lasciano sola la May

Il rischio di una Brexit senza accordo si manifesta con gli annunci di trasferimenti all’estero di numerose imprese britanniche. Per la stampa britannica questo è un segno ulteriore di come gli imprenditori stiano “perdendo la pazienza per l’incapacità della politica” di far uscire il Regno Unito dall’impasse della Brexit.

Tra le aziende che lasceranno il Regno Unito, scrive  il “Guardian”, vi è Dyson, specializzata in elettrodomestici d’avanguardia e prodotti per la domotica, che trasferirà il proprio quartier generale da Londra a Singapore. A Dyson si aggiunge la società di navigazione P&O, la cui intera flotta di sei traghetti in servizio nella Manica d’ora in poi batterà bandiera di Cipro. Si tratta di una mossa decisa per non avere problemi con l’Ue dopo la Brexit.

A sua volta, l’industria elettronica giapponese Sony ha confermato la decisione di trasferire i suo quartier generale in Europa da Londra ad Amsterdam. Inoltre, la catena di negozi di elettronica Dixons Carphone e quella di prodotti per gli animali domestici Pets at Home hanno reso pubblicato piani straordinari di accumulo di scorte per far fronte alla probabilità che subito dopo la Brexit i porti britannici precipitino nel caos.

Il produttore di auto di lusso Bentley ha assunto la medesima iniziativa. Inoltre, l’amministratore delegato di Bentley, Franz-Josef Paefgen, ha duramente criticato la Brexit, definendola un “killer” che minaccia la stessa sopravvivenza della sua azienda.

Yemen: Basta armi italiane per la guerra

Movimento dei Focolari Italia, Un Ponte per…, Arci, Pro Civitate Christiana Assisi, Libera (Associazioni, nomi e numeri contro le mafie), Gruppo Abele, Fondazione Finanza Etica, Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, Movimento Nonviolento Roma, Rete della Pace, Pax Christi, Amnesty International Italia, Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione chiese evangeliche in Italia firmano una petizione per fermare la vendita di armi italiane per la guerra in Yemen.

In Italia si producono bombe utilizzate nel conflitto in corso dal 2015 in Yemen. Gli ordigni colpiscono scuole e ospedali. Cambiano i governi e la composizione di Camera e Senato, ma le armi continuano a partire nonostante le numerose risoluzioni del Parlamento europeo che invitano gli Stati a sospendere ogni rapporto di fornitura con i protagonisti, nel nostro caso con l’Arabia Saudita, di una guerra che gli esperti Onu definiscono un disastro umanitario”, ribadiscono i firmatari della mozione.

“Il tentativo di trattare la questione come un caso marginale, delocalizzando il problema nel territorio sardo del Sulcis Iglesiente, dove quella produzione avviene, è solo uno degli argomenti più banali usati per coprire le gravi responsabilità politiche di ciò sta accadendo nel nostro Paese”, precisano.

“La nostra società non può rassegnarsi a tale declino morale ed economico – sottolineano -. Il ripudio della guerra si mette in pratica attuando la legge 185/90 che vieta la vendita di armi ai Paesi in guerra e prevede il finanziamento di seri piani di riconversione industriale. Un reale cambiamento parte da un dibattito pubblico promosso nei comuni italiani su una mozione che chiede di fermare gli ordigni che provocano stragi e promuovere un’economia di giustizia. Assisi è stato il primo comune a rompere il muro della complicità e indifferenza. Cagliari ha approvato una mozione che va nella stessa direzione”.

La mozione sarà presentata il 28 gennaio (ore 17.30 Sala del Carroccio) in Campidoglio

Istat: nel 2016 retribuzione oraria lorda degli italiani sotto la media dell’eurozona

Si stima che nel 2016 il costo del lavoro in senso ampio delle unità economiche con almeno 10 dipendenti dell’industria e dei servizi sia pari a 41.785 euro per dipendente.

Le retribuzioni lorde per dipendente ammontano a 30.237 euro e sono il 72,4% del costo del lavoro.

A livello di macrosettore, l’Industria mostra i più elevati valori medi delle retribuzioni lorde annue per dipendente (32.805 euro); Servizi e Costruzioni registrano i livelli inferiori, pari rispettivamente a 29.476 e 27.969 euro.

Ad un maggiore dettaglio settoriale, le retribuzioni lorde annue per dipendente più elevate si registrano nell’Estrazione di minerali da cave e miniere (53.370 euro) e nelle Attività finanziarie e assicurative (52.666 euro), quelle minime nelle Attività di servizi di alloggio e ristorazione (17.806 euro).

I contributi sociali incidono per il 27,3% sul costo del lavoro in senso ampio, in particolare, il peso percentuale delle singole componenti è del 20,9% per i contributi sociali obbligatori per legge, dello 0,4% per quelli volontari e contrattuali e del 3,6% per il Trattamento di Fine Rapporto.

Le spese per la formazione rappresentano soltanto lo 0,2% del costo del lavoro in senso ampio.

La retribuzione lorda per ora lavorata è pari a 20,19 euro, con una differenza di oltre sette euro tra le unità economiche con 1.000 e più dipendenti e quelle di piccole dimensioni (10-49 dipendenti).

La retribuzione per ora lavorata è superiore alla media nazionale nel Nord-ovest e nel Centro (rispettivamente +4,5% e +2,1%) mentre nel Nord-est, nel Sud e nelle Isole i valori sono inferiori (-3,3%, -6,1% e -2,8%).

Torino: Sandy Skoglund. Visioni Ibride

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Apre al pubblico oggi negli spazi di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, a Torino,
l’importante mostra “Sandy Skoglund. Visioni Ibride”, prima antologica dell’artista statunitense Sandy Skoglund (1946), curata da Germano Celant.
La mostra riunisce lavori che vanno dagli esordi nei primi anni Settanta all’ancora inedita opera“Winter”, alla quale l’artista ha lavorato per oltre dieci anni. Sarà proprio questa immagine -accompagnata da alcune delle sculture create per l’installazione da cui è stata tratta la fotografia – ilfulcro dell’esposizione: una spettacolare anteprima mondiale che conferma una volta di più l’unicitàdella sua ricerca e del suo linguaggio, formatisi in pieno clima concettuale per evolversi in un immaginario sospeso tra sogno e realtà, di straordinaria potenza evocativa.

La mostra permette dunque di seguire questo percorso attraverso oltre cento lavori tra fotografie, quasitutte di grande formato, e sculture. Si va dalle prime serie fotografiche prodotte a metà anni Settanta, dove già emergono i temi caratteristici dell’interno domestico e della sua trasformazione in luogo di apparizioni tra comico e inquietante, fino alle grandi composizioni dei primi anni Ottanta, che hanno dato all’artista fama internazionale.

In particolare, si ricordano le visionarie “Radioactive cats” del 1980
e “Revenge of the goldfish” del 1981, autentiche icone del periodo, rivisitazioni surreali e stranianti di ambienti famigliari dai colori improbabili, invasi da gatti verdi e pesci volanti. Come ha dichiarato l’artista, credo che esista un contrasto tra l’aspetto della fantasia – gli animali sono come cartoon o fantasie – e la realtà. Poiché noi, in quanto esseri umani, ci consideriamo la principale forma di coscienza esistente in natura, ho scelto di popolare le mie immagini con animali per introdurre nella nostra esperienza questa coscienza alternativa.

Le immagini di Skoglund nascono – sempre – dalla costruzione di un set, estremamente complesso, che l’artista poi fotografa: un procedimento che ben spiega la rarefatta produzione dell’artista e la peculiarità della suo percorso visuale, che è al tempo stesso installativo, scultoreo e fotografico. Elementi, tutti, che si ritrovano nella mostra torinese, dove alcune sculture rimandano alle fotografie e  viceversa.

Le candidature per gli oscar 2019

L’Academy ha ufficializzato i film candidati agli Oscar 2019: Roma e La Favorita, con dieci ciascuna sono le pellicole favorite, seguono  A Star is Born, con otto e Vice – L’Uomo nell’Ombra anche lui con otto nomination, seguito da Black Panther con sette. Green Book, vincitore del PGA pochi giorni fa, ha ottenuto otto nomination (ma non quella, molto importante, alla miglior regia), mentre il campione d’incassi Bohemian Rhapsody ne ha ricevute cinque (tra cui miglior film e miglior attore protagonista).

Il film di Alfonso Cuaron è nominato come miglior film, miglior film straniero, miglior regia, fotografia, sceneggiatura, sonoro e montaggio del suono, attrici. Tre le nomination per un altro film straniero, Cold War di Pawel Pawlikowski, che oltre appunto a miglior film straniero ottiene anche fotografia e montaggio.

Da notare la doppia nomination per la migliore attrice protagonista a La Favorita (Rachel Weisz ed Emma Stone), e la doppia nomination a Sandy Powell per i costumi di La Favorita e Il Ritorno di Mary Poppins. Inoltre, Lady Gaga è la prima donna nominata come migliore attrice e per la miglior canzone nello stesso anno.

Ma quello che stupisce di più è Netflix al centro delle nomination non solo con Roma, ma anche con La Ballata di Buster Scruggs, che ottiene tre nomination.

Dall’Aci i dati degli incidenti sulle strade extraurbane secondarie

L’Aci ha presentato uno studio dal titolo “Localizzazione degli incidenti stradali 2017 sulle strade provinciali”, una ricerca che analizza il numero di sinistri, sia in valore assoluto che in relazione ai chilometri di strada, evidenziando la loro gravità ad esito infausto sulla viabilità secondaria provinciale. Nel documento sono contenute due diverse tipologie di tabelle: una con incidenti, morti, feriti e indicatori per ciascuna strada provinciale, l’altra con i dati aggregati in base al comune in cui è avvenuto l’incidente, un focus utile per individuare la tratta più pericolosa di una determinata strada. Le cause sono prevalentemente di natura umana: disattenzione, alta velocità, sosta negli spazi non consentiti e uso del telefono cellulare.

Le province con l’incidentalità più elevata, sia per numero che per densità di incidenti, sulle strade extraurbane secondarie sono: Milano (693 chilometri di strade, 741 incidenti, 13 morti e 1.194 feriti), Venezia (860 chilometri, 490 incidenti, 12 morti e 709 feriti), Padova (1.039 chilometri, 542 incidenti, 14 morti e 745 feriti) e Treviso (1.136 chilometri, 586 incidenti, 15 morti e 863 feriti). Le province con gravità elevata (per tasso di mortalità e indice di gravità) risultano invece essere: Latina (938 chilometri di percorso, 249 incidenti, 21 morti e 443 feriti) e Napoli (520 chilometri, 267 incidenti, 22 morti e 435 feriti).

Il consumo di alcol influenza sia il rischio di incidenti da traffico, sia la gravità delle conseguenze che questi provocano. Dalle ultime statistiche vediamo che più di 8 persone su 100 fra i conducenti di autovetture nell’ultimo periodo hanno guidato sotto l’effetto dell’alcol, avendo assunto due o più unità alcoliche un’ora prima di essersi messi alla guida; altre 6 persone su 100 dichiarano di essere state trasportate da un conducente che guidava sotto l’effetto dell’alcol. La quota di giovanissimi alla guida sotto l’effetto dell’alcol è leggermente più bassa rispetto al resto della popolazione ma comunque preoccupante poiché il rischio di incidenti stradali legato a questo comportamento è decisamente più alto quando associato alla giovane età. Tra i 18 e 21 anni il 6% dichiara di aver guidato dopo aver bevuto, rischiando d’incorrere in una sanzione certa, indipendentemente dal livello di alcolemia effettivamente accertata, poiché in questa fascia d’età la soglia legale di alcolemia consentita è pari a zero.

Secondo un rapporto Aci-Censis per i ragazzi di età compresa tra i 18 e i 29 anni, la guida sotto l’influsso di alcol e droghe rappresenta il più grande problema (61,6%), seguito dall’eccesso di velocità (57%). I dati mostrano che il 37,9% di soggetti di età inferiore a 30 anni, rispetto ad una media totale del 36,9%, sceglie responsabilmente di limitare il consumo di alcolici (il valore più basso si registra nella classe di età 45-69 anni). Il 47,1% degli intervistati ha affermato di non preoccuparsi del problema della guida dopo il consumo di alcol “perché non è un bevitore abituale”, e la percentuale si abbassa notevolmente nella fascia d’età 18-29 (36,6%). Preoccupante risulta la percentuale di giovani (3,4% rispetto allo 0,7% di chi ha più di 30 anni) che pur sapendo di doversi mettere alla guida sceglie di non limitare il consumo di alcol.

Dna modificato, la Cina conferma: “Cʼè una seconda gravidanza”

C’è una seconda gravidanza in Cina nell’ambito degli esperimenti di bimbi geneticamente modificati.

Il ricercatore He Jiankui era finito nella bufera dopo l’annuncio della nascita a novembre di due gemelline con il Dna “corretto” per evitare di contrarre l’Aids.

Lo scienziato, dopo il caso delle due bambine, era stato subito licenziato dalla Southern University of Science di Shenzhen.

 

I governi affianchino la Chiesa in Africa. Parla Gerardo Bianco

Articolo già apparso sulle pagine di Formiche.net a firma di Stefano Vespa

In questi giorni si celebra il centenario dell’Appello ai Liberi e Forti di don Luigi Sturzo che segnò la nascita del Partito popolare italiano, e sono molti gli intellettuali e gli esponenti della società civile che, nel confrontarsi con l’attuale politica italiana e internazionale, hanno così fatto riferimento a quel passaggio storico della democrazia italiana, un’impronta indelebile che ne segnò la forma e la sostanza. Si parla perciò con insistenza, necessariamente, dell’impegno politico dei cattolici, il punto però della discussione è fissato su quale contenitore dare a questa possibile proposta, nonché sulla sua realizzabilità. Un desiderio velleitario o una realtà attuabile, financo necessaria? Formiche.net ne ha parlato con un democristiano di lungo corso, l’ex parlamentare Gerardo Bianco, già segretario nazionale del Partito popolare o esponente della Margherita, vicepresidente della Camera nel lontano ’87 e ministro della Pubblica istruzione nel 1990, subentrando alla carica allora rivestita da Sergio Mattarella.

Onorevole, cosa rimane oggi di quell’esperienza?

A mio avviso rimane quello che è stato costruito nella storia d’Italia, la grande democrazia sviluppata nel nostro Paese, e un appello vissuto nel nostro Paese dando vita a un movimento politico che ha segnato la storia del ventesimo secolo, costruendo la democrazia italiana. La cui fine segnativa ha lasciato un vuoto che tutti avvertono, una mancanza che viene sentita da quanti conoscono il valore di quel documento. Penso allo splendido articolo di Galli della Loggia sul Corriere della Sera, che spiega che non si trattava di un appello generico ma di un programma di partito, con una cultura alle spalle, che raccoglieva tutta l’esperienza e l’elaborazione concettuale dei movimenti democratici.

Cattolici e politica, oggi. È possibile ripartire da quell’esperienza?

Non è possibile, è necessario. Non ci sono i termini storici, ma c’è un vuoto che va riempito. Oggi ciò che manca non è solo un pensiero politico che guidi le forze politiche ma c’è l’improvvisazione dell’oggi, cioè la politica giocata quotidianamente sui problemi quotidiani ma che non vanno oltre una certa contingenza, non c’è più una visione generale, della società, dello Stato, dell’Europa, del mondo. Le altre culture sono in crisi, mentre quella che avrebbe da suggerire e ispirare in modo concreto una visione del mondo e una politica che si ispiri a questa visione mi pare che sia il pensiero proprio originato dal popolarismo sturziano. Che offre una visione e una tensione ideale, oltre che culturale. Il problema è che ci sono delle oggettive difficoltà storiche che vanno recuperate, con un’iniziativa che a mio avviso dovrebbe cominciare, come fece don Sturzo, dalle autonomie locali, soprattutto dai comuni, dalle città, da chi cioè ha esperienza diretta della realtà può ripartire un movimento che abbia una sua incidenza. Non maggioritario, ma che abbia una sua forza ideale con la quale orientare la politica italiana.

Tra le voci più critiche, come quella di Panebianco, si parla del rischio che un’operazione del genere sia controproducente per la Chiesa stessa.

Secondo me Panebianco commette un errore, che è quello di ritenere che il movimento politico sia una proiezione della Chiesa, ma non è questo il problema, anche perché don Sturzo realizzò la diversità di un movimento politico da quella che era la funzione della Chiesa. Un punto fermo in quell’impostazione politica. Quello che non mi convince poi del suo discorso è che un movimento al massimo dell’otto per cento non avrebbe nessuna consistenza. Io invece credo che anche un movimento con una sua consistenza che si aggiri su percentuali non elevate, nel momento in cui abbia una forza di pensiero e di orientamento, soprattutto in un sistema come quello attuale, che è diventato un sistema proporzionale, può avere un grande ruolo di orientamento. E conquistare via via consistenza e forza. Io credo che ancora il tessuto sociale e italiano sia intessuto di formazione e di cultura cristiana che bisognerebbe saper interpretare politicamente in modo moderno.

Invece, cosa ci si presenta?

Allo stato attuale ci troviamo di fronte a un vuoto totale: non c’è un pensiero né economico né sociale che regga l’azione politica. Ci troviamo di fronte o al ritorno di pericolosi miti come quelli nazionalisti, pure persino in senso regionalistico che è contro l’unità d’Italia, oppure ci troviamo di fronte al pauperismo assistenziale e straccione, che è quello che viene portato avanti attraverso i sussidi piuttosto che attraverso lo sviluppo. Don Sturzo, la Democrazia cristiana e il popolarismo hanno insegnato ben altro: la visione basata sulla dignità della persona che si realizza col lavoro. E soprattutto, uno dei grandi problemi che oggi si pone è che queste forze politiche lavorano contro la Costituzione. La cultura della democrazia diretta e il regionalismo spinto sono sostanzialmente la dissoluzione della Costituzione e il ritorno a posizioni pre-risorgimentali, dove non c’è uno Stato ma una specie di confederazione di staterelli, con la perdita di duecento anni di storia.

Popolarismo e populismo. Quali analogie e quali differenze.

Uno degli elementi essenziali e fondamentali di un partito di ispirazione cristiana e popolare è soprattutto, al primo punto, la difesa non formale ma sostanziale, concreta e storica della Costituzione. Che è praticamente anche la difesa di una storia, che è quella della costruzione democratica e anti-fascista della nostra democrazia. È un elemento fondamentale del pensiero sociale cristiano, il recupero del ruolo dei cosiddetti corpi intermedi nel quadro di un’unità nazionale che insieme costruisce l’Europa. Questa cultura unitaria e coerente oggi non è presentata minimamente dalle forze politiche che hanno in questo momento in governo del Paese.

Oggi una caratteristica che segna sempre più la politica è la disintermediazione.

Non solo, ma anche l’illusione nefasta di poter realizzare una decisione presa direttamente dal popolo. Praticamente basta conoscere un po’ di storia della democrazia greca per capire che questo è il grande inganno dei vari populisti e demagoghi, la demagogia che illude il popolo di poter decidere da solo. E peraltro, la cosa oggi è ancor più pericolosa, con l’utilizzo di strumenti cosiddetti democratici diretti, ed è da tener presente che alla base dei grillini c’è un nome che ha sempre dato vita alla demagogia giacobina. Parlo di Rousseau.

Per un attimo ho pensato parlasse di Casaleggio, più che di Rousseau.

È più che assurdo che si parli di democrazia diretta, dove il popolo deve decidere, poi si è governati da una piattaforma che è governata da alcune persone. Il classico caso che si ripete dei Cleone di turno, famoso demagogo che contribuì alla distruzione di Atene antica.

In questo caso il Cleone di oggi sarebbe Beppe Grillo?

È chiaro, solo che Cleone fu sbeffeggiato da Aristofane, e adesso non troviamo nessun Aristofane che sia in grado di sbeffeggiare Cleone. Ma credo che si stia sbeffeggiando lui stesso.

Un punto fondamentale di oggi, che segna le principali tematiche dei giornali ma anche il rapporto tra il Vaticano, i vertici della Chiesa italiana e l’attuale governo è quello delle migrazioni. Come si comporterebbero i popolari?

Innanzitutto, non deve mai venire meno la pietas, fondamentale nell’azione politica. Ma questo non significa buonismo, come dice lo stesso Papa Francesco, ma compito fondamentale della politica è mantenere la sicurezza e la serenità di una società. Quindi bisogna trovare politiche adeguate. Solo che i problemi attuali, di fronte a un fenomeno che si è sviluppato in maniera impetuosa soprattutto negli ultimi vent’anni della globalizzazione, non si può che rispondere con politiche globali, e quindi in primo luogo con politiche che certamente hanno senso di fronte al problema nella sua ampiezza. Che significa interventi seri e massicci nei Paesi di origine, attraverso politiche coordinate nei Paesi che sono in grado di farlo. Bisogna tenere presente, peraltro, che uno di problemi è quello di far crescere una classe dirigente in questi Paesi, soprattutto del continente africano, e quindi è importante creare le condizioni per farlo.

Un consiglio?

Se dovessi dare un consiglio agli attuali governanti è di ascoltare soprattutto le opere dei missionari e delle congregazioni religiose che operano in questi Paesi. Sentire i salesiani o i comboniani forse potrebbe essere per loro una grande lezione per capire come agire in queste realtà. Proponendo politiche di carattere internazionali. Non c’è altra strada.

Il Papa ha appoggiato apertamente il Global Compact dispiacendosi per chi non ha firmato questo trattato, che la Santa sede invece ha firmato.

È evidente e ha ragione. Anche qui la grande lezione oggi è che paradossalmente gli unici che hanno una visione corretta insieme nazionale e mondiale, obiettivamente, sono nel mondo cattolico. Ed è anche ovvio: il ruolo che può avere la Chiesa cattolica nel mondo, soprattutto nel mondo africano, è straordinario. I governi dovrebbero affiancarla in questa operazione. Manca però la fantasia, perché non si rendono conto che avere qui immigrati che poi tornano nei loro Paesi, con esperienze di sviluppo acquisite, è uno dei grandi contributi che si può dare allo sviluppo dei Paesi africani.

Per restare nella stretta attualità, nel salotto Rai di Fazio, il leader-ombra dei Cinque stelle Di Battista ha parlato di voler avere un incidente diplomatico con la Francia, sul tema dei migranti, toccando anche la questione del franco francese nei Paesi africani.

Non commento.

 

Le pericolose fandonie di Di Maio e Di Battista contro la Francia. Gli risponde J.L. Touadi

Articolo già apparso su Faro di Roma

La Francia non batte moneta per nessuno. Questi paesi che sono 15 e non 10 (alcuni dei quali non ex colonie francesi come la Guinea Bissau e la Guinea Equatoriale, quindi con adesione spontanea) hanno due banche centrali (UEMOA per l’Africa Occidentale e CEMAC per l’Arica centrale) che battono moneta. Il legame con la Francia è la parità fissa negoziata prima con il Franco francese poi con l’Euro nel 2000. Parità fissa che conferisce stabilità a questa moneta e convertibilità universale che fa comodo per le loro transazioni. La parità fissa le mette al riparo, inoltre, dall’inflazione intorno al 3% contro i 100% e 1000% di altri paesi africani. Chi dice inflazione dice potere d’acquisto non di Di Maio ma della povera gente costretta ad una ginnastica che non potete nemmeno immaginare. Questi paesi, inoltre, per garantire questa stabilità presso la banca di Francia devono mettere in comune con la Francia 50% delle loro riserve, ossia 14 miliardi di euro per i quali la Banca di Francia versa loro degli interessi con un tasso fisso d’interesse di 0’75 contro il tasso attuale dello 0,25% qualunque siano le fluttuazioni sul mercato monetario. Non sfugge l’aspetto di mancanza di sovranità monetaria 60 anni dopo le indipendenze.

Si tratta di una scelta fatta da paesi sovrani che considerano un bene la stabilità dell’euro piuttosto che avere una moneta locale assumendosi rischi di governance, di farla fluttuare per facilitare le importazioni, di mantenere una disciplina monetaria che altrove in Africa non si è vista. Dal Franco CFA (non franco coloniale Côme ripetono i 5S e tutta la Stampa dietro a loro ) che significa Franc de la Communauté Financière Africaine si può uscire quando si vuole. Madagascar, ex colonia francese, ne è uscito nel 1973. Qui sta la vera questione: perché gli africani non creano una moneta unica continentale prendendo tutto rischi e assumendosi l’onere della gouvernance?

Ben 39 paesi africani hanno la loro moneta che non è il franco CFA. Non per questo non hanno flussi di immigrati. Anzi, sui primi dieci paesi africani di provenienza dei immigrati solo due (Costa d’avorio e Mali sono nella zona CFA e figurano 7 e 8 ) sono ex colonie francesi. Molti immigrati provengono da Somalia, Eritrea, Etiopia. Che dire? Ex colonie italiane?

Ma davvero si può semplificare così la realtà per nascondere la colpa mortale di aver lasciato morire persone tra la Libia e l’Italia ? La Francia ha le sue colpe nelle strategie post coloniali in quello che viene chiamata la « Francafrique ». Ma tocca agli africani ieri come oggi fare le loro scelte. Almeno che si pensi come sembra pensare Di Maio che siamo privo di soggettività storica e manipolati come bambini irresponsabili. Pensarlo significa portare un maschera di in razzismo sottile ma reale. Per adesso gli africani hanno fatto una scelta di sovranità condivisa sulla moneta con la Francia. Domani potrebbe rinunciare al comfort della stabilità monetaria garantita dalla Francia. Ma tocca a loro farlo non al governo italiano.

Jean Leonard Touadi nel suo profilo Facebook

Nella foto: Jean Leonard Touadi, professore universitario, con laurea in Filosofia e in Scienze politiche, è stato docente a contratto di “Geografia dello Sviluppo in Africa” all’Università di Roma / Tor Vergata e in altri atenei. Nato in Congo e cittadino italiano, è giornalista e scrittore, ed è stato il primo deputato originario dell’Africa subsahariana, dopo essere stato Assessore alla Sicurezza, alle Politiche giovanili e all’Università del Comune di Roma; durante la precedente legislatura è stato Consigliere politico al Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale.

Nella sua attività pubblicistica e professionale presta particolare attenzione alle tematiche africane e delle migrazioni. Tra le sue collaborazioni giornalistiche, da segnalare quelle con la Rai, come autore e conduttore di programmi radiofonici e televisivi; e con Nigrizia, Limes e Aspenia. Ultimi libri pubblicati: Il Continente Verde. L’Africa: Cooperazione, Ambiente, Sviluppo (con Ilaria Cresti), Bruno Mondadori, 2011; L’Africa in pista, SEI, 2006. Cura per Radio Radicale la Rassegna stampa africana.

Libertà, giustizia, scuola. L’attualità del Partito Popolare Italiano

La fondazione nel 1919 del Partito Popolare Italiano è il punto di arrivo – ma anche di ripartenza – dell’impegno sociale e politico dei cattolici cresciuti con le riflessioni suggerite da Leone XIII nella Rerum novarum del 1891. La prima enciclica sociale del magistero della Chiesa, ha spinto forze culturali, sociali, politiche ed economiche verso un impegno nella storia e fra gli uomini a partire da un’ispirazione cristiana non più oppositiva alla modernità. Difatti, le tesi contenute nella Rerum novarum, permisero ai cattolici italiani di sviluppare quel processo che li porterà – con il Partito Popolare prima e con la Democrazia Cristiana poi – ad occuparsi della politica nazionale non tramite una prospettiva clericale bensì attraverso un impegno civile fondato su principi cristiani. Ciò significava divenire una forza e una rappresentanza politica non più legata a filo doppio al romano pontefice e ai suoi interessi politici ma aperta alle dinamiche e ai bisogni dell’intero popolo italiano.

Nodo fondamentale dell’operazione politica popolare è il concetto di libertà. Tale questione – per gli uomini capeggiati a lungo da Luigi Sturzo – non era di natura formale ed esteriore. A parere dei popolari, infatti, il concetto e l’esercizio della libertà riguardavano l’intera realtà sociale destinata ad esercitare un senso profondo, sostanziale e intimo di quel valore capace di avviare un progresso continuo tanto nei vari corpi sociali quanto nei singoli. Nella logica del Partito Popolare Italiano, anzitutto, si trattava di declinare la libertà sul versante della scelta religiosa e dell’insegnamento considerate come le uniche vie di fuga da ogni tentativo statalista, monopolista e dittatoriale. Inoltre, il valore della libertà – nella visione dei popolari – andava connesso all’ideale della giustizia. Proprio nella perenne congiunzione fra libertà e giustizia, si fonda la proposta della libertà d’insegnamento, della riforma della cultura e della diffusione dell’istruzione professionale presente al secondo punto del programma del partito d’ispirazione cristiana lanciato insieme all’Appello a tutti gli uomini liberi e forti il 18 gennaio del 1919.

La sintetica espressione sull’insegnamento presente nell’idea programmatica dei popolari indica una precisa visione dell’uomo, della società e dello Stato. Prospettiva che, in primo luogo, rifiuta la concezione dell’ente statale come educatore ed insegnante unico; l’imposizione di un insegnamento meccanico e uniforme per tutti; la centralizzazione e la burocratizzazione dell’educazione e della formazione; la soppressione dell’iniziativa privata nel campo educativo; il mero raggiungimento formale di un titolo di studio. In seconda battuta, l’opinione sull’insegnamento avanzata dei popolari intende il processo educativo come il risultato di un vasto insieme di relazioni che vedono come protagonisti la famiglia, i corpi sociali, la religione. Si tratta di un processo poliforme e realmente democratico finalizzato alla continua maturazione di una cittadinanza consapevole e interessata alle sorti della comunità nazionale e umana in genere. In questa elaborazione, è senza dubbio la famiglia a possedere il diritto primario all’istruzione e all’educazione dei figli che può integralmente esercitare con l’attività sussidiaria dello Stato. Oltre alla famiglia, ruolo fondamentale nell’insegnamento è quello svolto dal maestro. Difatti per i popolari, l’insegnante rappresenta il cuore della scuola poiché dove esiste un maestro consapevole del proprio ufficio esiste una scuola, anche se difettano i locali, gli arredi e tutte le comodità suggerite e volute dal progresso sociale. In questa riflessione, non possiamo dimenticare che le tesi sulla libertà d’insegnamento sostenute dal Partito Popolare Italiano si collegavano strettamente al problema dell’economia nazionale. Simile questione era sollevata soprattutto in riferimento all’istruzione professionale la quale poteva permettere, secondo gli uomini guidati da Luigi Sturzo, un adeguato sviluppo economico.

La proposta politica dei popolari, avversa ad ogni forma di monopolio di Stato o di ideologia, trova nella libertà d’insegnamento un punto di riferimento fondamentale. Alla radice dell’idea di scuola e di educazione del partito d’ispirazione cristiana, vi è la concezione di una libertà intesa in termini relazionali e sociali la quale permette di avviare un processo, mai definitivo, di sviluppo e di maturazione tanto per i singoli quanto per l’intera società. Da ciò deduciamo che il programma del partito fondato da Luigi Sturzo, nasceva da una certa visione della storia e della comunità umana la quale discende dal cristianesimo ma che – nella sua proposizione politica, sociale ed economica – conserva pienamente i caratteri dell’aconfessionalità. In merito alla libertà d’insegnamento, l’ispirazione cristiana faceva emergere – nella visione programmatica dei popolari – tre capisaldi irrinunciabili come l’aspetto relazionale, la centralità della famiglia, il legame con la prospettiva sociale ed economica. Tali temi risultano prioritari per rintracciare, a cento anni di distanza l’attualità dell’esperienza e del messaggio politico del Partito Popolare.

Don Sturzo e il Partito Popolare Italiano

Il Partito Popolare Italiano (PPI) è stato un partito politico, nato il 18 gennaio 1919, di cui ricorre il centenario. Il PPI rappresentò per i cattolici italiani il ritorno organizzato alla vita politica attiva dopo lunghi decenni di assenza a causa del “ Non Expedit”.
Dal 1919 al 1923 don Luigi Sturzo fu segretario nazionale, a cui segui Alcide De Gasperi dal 1924 al 1925. La sua dissoluzione si ebbe nel novembre 1926. Tutti i maggiori esponenti furono costretti all’esilio (don Sturzo, Donati, Ferrari) o a ritirarsi dalla vita politica e sociale (De Gasperi).

Si può dire che don Sturzo abbia fondato il Partito Popolare per generare sostanzialmente un’esperienza di popolo nel quale l’uomo potesse essere accolto ed educato, nel quale potesse fare esperienza del dono di un benessere e di una pace. E non si tratta di una questione meramente politica.
Don Sturzo ci teneva a precisare: “Io sono un sacerdote, non un politico”.
Inoltre ha avuto come punto di partenza una questione che è il problema educativo. Sturzo si coinvolse in quella esperienza politica perché aveva a cuore la difesa della libertà, dall’inizio, quando era ancora a Caltagirone, fino alla morte.
E non si può non rimanere impressionati da quello che affermava, quando si esprimeva così: “Prego Dio che il mio grido sopravviva alla tomba”.

Un altro elemento da tenere presente in Sturzo è certamente l’impegno, l’operatività attorno alla natura del Cristianesimo, che non esclude nulla e che affronta tutta la realtà umana. Cristianesimo che vale per tutto o per niente, non vale per alcune cose e per altre no.
Il suo apporto non è stato propriamente teologico, ha operato come l’ “operaio nella vigna del Signore”, in maniera infaticabile e responsabile.

Il Partito Popolare Italiano nasceva aconfessionale ma durò poco. Nel 1925 ci fu lo Stato autoritario voluto dal fascismo, il quale prevedeva l’uscita di scena di tutti i partiti che non fossero quello fascista. Don Sturzo venne così sacrificato e costretto all’esilio. Quando ritornò dopo la fine del fascismo e della Seconda guerra mondiale (1939-1945), scelse di non entrare nella Democrazia Cristiana, fondata nel 1943, e combatté una battaglia solitaria come senatore a vita contro la degenerazione statalista del partito di ispirazione cristiana.
Sbagliano quindi oggi tutti quelli che per guadagnare terreno politico a dispetto degli altri, pensano di fregiarsi del termine sturziano poco più che citandolo. Molti poi sono quelli che pensano di conoscerlo ma conoscono ben poco della sua esperienza, delle sue idee e dei suoi scritti.
Nell’Appello troviamo innanzitutto il sentimento di appartenenza nazionale con cui si rivolge “a tutti gli uomini liberi e forti che in questa grave ora sentono il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi né preconcetti”.

“A uno stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private” diceva il sacerdote calatino.
Vito Piepoli

Swg: il governo rallenta nei consensi

Dall’ultima rilevazione eseguita da Swg su un campione di 1.500 maggiorenni italiani, i cui esiti sono pubblicati nello speciale “Ambiente” di “PoliticApp” diffuso ieri emerge che: se si dovesse votare oggi il 31,5% sceglierebbe la Lega (-0,7% rispetto alla rilevazione di una settimana fa) mentre il 25,7% il Movimento 5 Stelle (+0,5%).

In crescita di consensi anche il Partito democratico (17,9%, +0,6%), Forza Italia (8,6%, +0,4%) e Fratelli d’Italia (4,4%, +0,2%). Flessioni di gradimento, invece, per +Europa (3%, -0,2%), per il raggruppamento Mdp-Si-altri sinistra (2,8% -0,3%) e Potere al popolo (2,3%, -0,2%).

In diminuzione anche i consensi a favore di altri partiti (3,8%, -0,3%). Continua a calare la percentuale di quelli che non si esprimono, scesi in una settimana dal 35,6% al 34,3%. Erano il 38,7% quindici giorni fa.

Carlo Cottarelli: la manovra ci porterà in recessione

“La manovra del cambiamento? Il cambiamento c’è stato, infatti, dopo anni, invece di ridurre la spesa si è deciso di aumentarla. La vera priorità per l’Italia è la riduzione della burocrazia e una riforma della giustizia civile”. Così Carlo Cottarelli in un’intervista al quotidiano online LabParlamento che ha condotto un’inchiesta sul reddito di cittadinanza e la flat tax. Un giudizio negativo, quello dato dall’ex commissario alla spending review del governo Letta, che sul reddito di cittadinanza non usa mezzi termini: “finanziare misure del genere in deficit per un Paese come il nostro che ha già un debito pubblico elevato aumenta il rischio di una crisi”.

Pollice verso anche sull’altro provvedimento “bandiera” del governo legastellato, la Flat Tax. “Questa misura, molto piccola, va a beneficiare le microimprese. E una previsione del genere tende a far rimanere piccolo ciò che è già piccolo. Avrei preferito una riduzione generale della tassazione finanziata però con un contenimento della spesa”, spiega Cottarelli a LabParlamento.

Una manovra quindi che potrebbe sancire il rischio di recessione, spiega l’economista secondo cui “i dati della produzione allarmano, non c’è crescita. E questo è un problema anche per i conti pubblici. Il prossimo anno il governo prevede una crescita del Pil dell’1% in termini reali. Mi sembra molto difficile. Partendo dalla crescita zero degli ultimi mesi anche arrivare allo 0,5-0,6% ci dovrà essere nella seconda parte del 2019 un’accelerazione”.

Al via gli interventi di riqualificazione del Corviale

Al via gli interventi di riqualificazione del Corviale. L’obiettivo è migliorare la qualità della vita dei residenti.

In particolare gli interventi riguardano:

1)      La rinascita del 4° Piano. Con 10,5 milioni (1,5 del Mit), sarà ristrutturato completamente il quarto piano, con l’abbattimento delle case abusive e la ricostruzione di 103 nuovi appartamenti. È stato concordato un piano di turnazione dei residenti che verranno gradualmente trasferiti in altri alloggi ATER, fino al completamento dei lavori, tra 5 anni.

2)      Il progetto Rigenerare Corviale. Con oltre 11 mln di euro regionali si entra nella fase realizzativa del progetto di rigenerazione che ha vinto il concorso internazionale lanciato dalla Regione Lazio. L’obiettivo è quello di migliorare l’accessibilità all’edificio e la vivibilità e la sicurezza dei percorsi interni e degli spazi comuni.

Gli altri progetti:      

  • Progetto Passi con Calciosociale La Regione Lazio ha finanziato un progetto di inclusione sociale che sta permettendo a 10 ragazzi NEET di Corviale di uscire dalla condizione di emarginazione per iniziare un percorso di crescita personale volto all’inserimento nel mondo del lavoro. Iniziato lo scorso anno è giunto quasi al termine.
  • “Laboratorio di città Corviale” Avviato nel 2017 dalla Regione Lazio con il supporto dell’università Roma Tre, il laboratorio ha la missione di accompagnare la trasformazione e il recupero di Corviale attraverso un confronto con gli abitanti.
  • Gli interventi del Comune con il Bando periferie: a dicembre il Comune di Roma ha presentato i primi interventi del Bando periferie. Al Corviale 2,5 milioni per la riqualificazione del parco di via dei Sampieri e il completamento della scuola di via Marino Mazzacurati.

Hayez: Un capolavoro ritrovato

La ricomparsa di un capolavoro della matura pittura di storia del capofila del Romanticismo italiano Francesco Hayez, la quarta versione di Valenzia Gradenigo davanti agli inquisitori (1845 circa), è l’occasione per presentare al pubblico il dipinto, ricostruendone le vicende e mettendolo a confronto con le altre tre versioni del tema realizzate dal pittore. Si restituisce così un tassello importante alla produzione storica di Hayez, testimonianza non solo dell’interesse per la storia veneziana, ma anche di snodi stilistici e di poetica nella sua pittura.

Colpevole di aver tentato di salvare l’amato Antonio Foscarini, ambasciatore della Repubblica di Venezia condannato per tradimento nel 1622, Valenzia Gradenigo, viene condotta davanti ai giudici dell’Inquisizione, tra cui il padre, davanti al quale, sentendosi scoperta e quindi perduta, sviene. L’episodio è ispirato al romanzo francese Foscarini ou le patricien de Venise e si intreccia con la vicenda storica di Foscarini, resa celebre all’epoca dalla tragedia omonima di Giovanni Niccolini (1827).

È un tema emblematico dello spostamento della pittura di Hayez su un binario romanzesco e sentimentale, che in questi anni costruisce il mito di una Venezia torbida e misteriosa, salutato da grande successo. Come in una sequenza cinematografica, Hayez gli dedicò infatti ben quattro dipinti nell’arco di quindici anni, qui riuniti per la prima volta e messi a confronto sia con gli studi e i disegni preparatori sia con le derivazioni – incisioni, illustrazioni, opuscoli – che ne attestano il successo di pubblico e la fortuna iconografica.

La prima versione risale al 1832, ma già nel 1835 Hayez torna sul tema con una composizione più strutturata e teatrale. Dieci anni dopo Hayez ripresenterà lo stesso soggetto in altre due versioni di grandi dimensioni, recentemente recuperate, testimoni della fama di Hayez all’estero: furono infatti realizzate una per un mercante viennese, poi passata ai conti Beroldingen di Vienna, e una per il conte Lützow, nobile di origine austriaca. Assai simili nell’ambientazione, in cui Hayez allarga ulteriormente la scena conferendole maggior solennità, si differenziano per dettagli nelle pose e negli abiti dei personaggi, per la resa della luce e per la cromia. Nelle diverse versioni Hayez interpreta la scena con cadenze diverse, ora più drammatiche ora più concentrate, variando con i modi espressivi anche i modelli, che vanno rintracciati nella grande tradizione della pittura veneta, da Carpaccio a Tiziano a Tinto

Talassemia: la cura genica funziona

Uno studio, pubblicato su Nature Medicine, ha coinvolto nove soggetti di diversa età – tre adulti sopra i trent’anni, tre adolescenti e tre bambini sotto i sei anni – tutti con forme di beta talassemia gravi e dipendenti dalle trasfusioni. In tre dei quattro pazienti più giovani si è raggiunta la totale indipendenza dalle trasfusioni di sangue, mentre nei tre pazienti adulti si è ottenuta una significativa riduzione della loro frequenza.

Solo uno dei bambini trattati non ha riportato effetti positivi sul decorso della malattia e i ricercatori stanno ora cercando di capirne il motivo.

La sperimentazione è il frutto di oltre dieci anni di lavoro del gruppo di ricerca di Giuliana Ferrari, docente dell’Università Vita-Salute San Raffaele, all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano e possibile grazie all’alleanza strategica tra IRCCS Ospedale San Raffaele, Fondazione Telethon e Orchard Therapeutics. I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di terapia genica simile a quella già impiegata all’SR-Tiget per altre malattie rare del sangue, come ADA-SCID (il cui trattamento è diventato il primo farmaco salva-vita di terapia genica approvato al mondo), la leucodistrofia metacromatica (MLD) e la sindrome di Wiskott-Aldrich (WAS).

Lettera a chi la vuole leggere

Sono un ex deputato della prima Repubblica. Sono uno di quei ragazzi che dove è cresciuto ha  conosciuto da vicino la Resistenza e che appena ha raggiunto l’età della ragione nella quale occorreva cominciare a darsi da fare si è reso conto di vivere in un Paese distrutto dalla guerra, con le fabbriche devastate dall’invasore in ritirata, i campi arati con i buoi e le sigarette vendute a numero, anche una sola, perché il pacchetto intero costava troppo per la maggior parte dei fumatori.

Sono uno di quei tanti giovani della prima Repubblica che per pagarsi l’iscrizione ed i libri dei livelli scolastici superiori, durante la pausa estiva, hanno svolto i lavori manuali più umili. Oggi quei pochi che esistono ancora hanno titolo per ricordare quale era lo stato della prima Repubblica e per affermare che con il sacrificio di tutto il popolo italiano e l’opera dei suoi rappresentanti in Parlamento, di maggioranza e di opposizione, hanno realizzato quello che venne definito il “miracolo italiano” ed hanno consegnato ai loro successori un Paese al sesto posto nella graduatoria dei paesi più progrediti. Ora un giovane statista che tutta Europa ci invidia ha definito noi, pochi superstiti della terza generazione, rappresentanti di quella stagione, “parassiti”, “mantenuti”, “nababbi”e “ladri di passato e di futuro”.

Sappia questo personaggio che non avrà da parte nostra la soddisfazione di avere reazioni degne del suo stile perché chi ci ha conosciuto nel nostro impegno parlamentare sa chi siamo, cosa abbiamo fatto e come viviamo. A lui possiamo solo dire che è stato anche grazie alla nostra opera che è potuto crescere nella bambagia e restare nel nido più del normale. A proposito della prima Repubblica ove si sono locupletati, secondo il Saint Just di Pomigliano, almeno una parte dei “nababbi” vorrei solo aggiungere qualche nota che traggo dalla mia memoria.

Quando sono stato eletto alla Camera nel 1972 l’indennità parlamentare ammontava a poco più di novecentomila lire. Oltre a questa si riceveva l’”oliva”, la tessera che consentiva di viaggiare gratuitamente sulle ferrovie dello stato, il rimborso per i viaggi aerei sul territorio nazionale e la “diaria” per il soggiorno nella Capitale nei giorni di seduta dell’aula, a patto però che risultasse firmato il registro delle presenze posto all’ingresso della medesima. Chi risiedeva a Roma ed era stato eletto in Piemonte, come il sottoscritto, non ne aveva diritto, perciò quando si recava nel suo collegio elettorale doveva trovarsi un alloggio a sue spese. Di altri rimborsi per l’esercizio del mandato non si parlava proprio perché l’indennità parlamentare era considerata omnicomprensiva.

Oggi, a questi austeri giustizieri, per l’esercizio del mandato oltre alla diaria (per ottenere la quale basta la presenza al trenta percento delle votazioni del mese) vengono corrisposte spese per il collaboratore parlamentare, per i taxi da e per l’aeroporto o la stazione e per il telefono pari a 4897 Euro mensili dei quali sono rendicontati circa un terzo. Il resto sono soldi non solo privi di giustificazione contabile ma in quanto spese sottratti ad imposizione fiscale. Come li possiamo definire? Una gratifica? Per quanto riguarda i sostegni pratici per svolgere le funzioni, nei locali oggi destinati al ristorante e adalcune postazioni giornalistiche vi erano allora le sale di scrittura ove al deputato che ne faceva richiesta veniva assegnato attorno a dei lunghi tavoloni un posto di lavoro corredato da un sottomano di cartone e da un porta carta da lettera in legno.

Inoltre il deputato poteva disporre di un cassetto con chiave nelle cassettiere poste lungo le
pareti ove custodire i suoi atti e la sua dotazione di carta da lettera e da minuta. Negli angoli delle sale erano disposte le macchine da scrivere con la carta carbone per le copie. Così è cominciata e proseguita per altre legislature la vita di un “mantenuto” nella prima Repubblica. Oggi si vogliono uffici personali come al Congresso degli Stati Uniti e facciano pure ma almeno con un poco di pudore e lascino stare la prima Repubblica. Aggiungo che nel Dicembre scorso “l’associazione degli ex parlamentari”nel corso della sua assemblea annuale, come avviene tutti gli anni, ha consegnato una medaglia ricordo ai 31 soci che nell’annata hanno compiuto novant’anni. Questo per dire che tra i ” parassiti-mantenuti” vi sono ancora un buon numero di ex della prima Repubblica, tutti ultraottantacinquenni che sono i più colpiti dalla scure dei leghisti, dei pentastellati con l’apporto di raro acume politico del PD che, per non essere da meno, ha rinunziato alla sua proposta di legge e massacrato i suoi predecessori regalando un successo all’on Di Maio e colleghi che hanno festeggiato con lumini e bicchierata davanti a Montecitorio e Palazzo Madama.

Ai più anziani dunque, nel momento di maggiore bisogno per esigenze di salute o di assistenza data l’età, la decurtazione del vitalizio si colloca tra il cinquanta e l’ottanta per cento e forse anche oltre. Ma in fondo possono sempre aggiungere i giustizieri dell’”equità sociale” : che vogliono ancora questi, “nababbi, “parassiti” e “mantenuti”, non si rendono conto che sono pure campati troppo e quindi sono un peso per la comunità”? Stiano certi, leveremo il disturbo, ma il più tardi possibile perché a loro abbiamo ancora qualcosa da dire.

La domanda di Don Sturzo: ci sono ancora uomini liberi e forti?

Articolo già apparso sulle pagine di https://it.aleteia.org a firma di Lucandrea Massaro 

Al di là delle celebrazioni formali, questo centenario della nascita del popolarismo è passato davvero in sordina. Tutti hanno citato don Luigi Sturzo, tutti a rammentarsi dell’appello “ai liberi e ai forti”, ma nessuno o quasi che si sia fatto domande sulla validità e permanenza delle intuizioni del sacerdote siciliano, sulle cause del declino dell’esperienza del popolarismo – che pure un ruolo nella rinascita dell’Italia ce l’ha avuto eccome -, in quella sorta di “damnatio memoriae” che ha colpito, a dirla tutta, l’intera cosiddetta “Prima Repubblica”. Agli albori della “Terza Repubblica”, quelli che c’erano prima sono solo i ladri, gli approfittatori, i buonisti, gli spreconi. Un giudizio che i nuovi signori dello Stato condividono in verità con i loro “padrini” della Seconda Repubblica. Eppure 25 anni dopo la fine di quell’esperienza politica fatta di studio, militanza e fumosi congressi, la situazione degli italiani non pare proprio cambiata drasticamente. Ma qui si rischia di finire fuori tema.

Don Sturzo voleva far uscire i cattolici italiani dalla minorità, non dalla minoranza perché all’epoca sicuramente la società era più profondamente e diffusamente cattolica, ma da uno stato di “apolidia”, il non expedit delle gerarchie relegava i cattolici a non partecipare alla nascente vita democratica, condannandosi a essere “non-cittadini”. Ma la società, per quanto più informata di quella attuale del cristianesimo, non era affatto una società cristiana, semplicemente perché essa non esiste sulla terra, Sant’Agostino ce lo ha spiegato agli albori della civiltà cristiana: in Cielo vige la regola dell’Amore, e il Vangelo è la Costituzione della Gerusalemme celeste, in terra vige la politica fatta dai peccatori. Lo Spirito Santo agisce, ma sempre di una somma di uomini e donne immerse nel peccato, nemmeno nei monasteri – isole di Paradiso – dove tutto è in comune e dove si elegge il proprio leader sono esentati dalla tentazione e dagli abusi. Una società che tenesse al centro Cristo e gli insegnamenti della sua Chiesa andava e va (ancora oggi) perseguita. Don Sturzo, avido lettore di sociologia (l’Istituto che a Roma porta il suo nome ha una ricca biblioteca in tal senso, frutto dell’intuizione del sacerdote) e ammiratore della democrazia anglosassone, capace di coniugare autonomia locale e democrazia rappresentativa, ambiva a contrastare da un lato il socialismo rivoluzionario, dall’altro il liberalismo classico, facendosi mediano tra le due posizioni: la libertà deve essere una libertà completa, tanto dal bisogno quanto dallo Stato. Per Sturzo i sindacati, i corpi intermedi, la famiglia, dovevano avere un ruolo fondamentalela libertà religiosa gli era carissima, e non a caso il Partito Popolare Italiano sarà un partito cristianamente ispirato ma laico, profondamente laico, capace di mettersi “contro” le gerarchie ecclesiastiche (Don Sturzo patirà la sospensione a divinis, Alcide De Gasperi disse “no” al Papa quando nel 1952 voleva imporre una alleanza con il Movimento Sociale e i Monarchici per le elezioni comunali di Roma) per ribadire l’autonomia del laicato in politica.

Cooperare ai fini superiori della Patria

Il governo del “cambiamento” ha varato la sua prima legge di bilancio, come previsto da molti attenti osservatori le tante e costose promesse elettorali sono rimaste solo slogan inattuabili. Due su tutte: reddito di cittadinanza (nella versione pre-elettorale) e flat-tax (per tutti).

Nei sondaggi  e nei commenti sui social network si inizia ad intravedere l’insofferenza di tanti italiani che avevano creduto, in buona fede, alle affascinanti promesse elettorali. Gran parte dell’opposizione continua a colpevolizzare la scelta e la voglia di cambiamento degli italiani, commettendo il più grave errore che un politico possa compiere.
Il 4 marzo gli italiani delusi da PD e FI quali alternative avevano nella scheda elettorale?
Continuando ad essere snob si finirà per favorire il nazional-populismo che si nutre proprio della contrapposizione popolo-élite. Dire semplicemente “noi siamo più competenti” non ridurrà la voglia di cambiamento. I dati dei vari sondaggi lo dimostrano, lega e 5 stelle non crescono più, ma l’unico partito che cresce è quello dell’astensione. Lavorare ad una nuova proposta politica è l’obiettivo a cui dovremmo ambire. La voglia di cambiamento e la richiesta di partecipazione attiva vanno ascoltate con attenzione empatica.
E’ necessario  essere umili, usare un linguaggio nuovo, veicolare idee e proposte utilizzando i nuovi media.
E’ indispensabile organizzare un nuovo impegno culturale, sociale e politico dei “liberi e forti” partendo dall’elaborazione di una piattaforma programmatica partecipata e condivisa. Mettiamo insieme le tante idee che in questi mesi tantissimi amici hanno proposto e uniti possiamo far ripartire l’Italia.
“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”

Forum di Davos, lʼFmi: “L’italia rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio globali”

La situazione finanziaria dell’Italia, assieme a Brexit, è al primo punto fra i principali fattori di rischio globali indicati dal Fondo monetario internazionale nella versione aggiornata del World Economic Outlook. “In Europa continua la suspence su Brexit, e il costoso intreccio fra rischi sovrani e rischi finanziari in Italia rimane una minaccia”, ha detto il direttore della Ricerca del Fmi Gita Gopinath presentando il rapporto a poche ore dall’inizio del Forum economico mondiale di Davos. ”

“Gli spread italiani – si legge al primo punto della sezione sui rischi globali, che evoca anche una Brexit senza accordo – sono scesi dal picco di ottobre-novembre ma restano alti. Un periodo prolungato di rendimenti elevati metterebbe sotto ulteriore pressione le banche italiane, peserebbe sull’attività economica e peggiorerebbe la dinamica del debito”.

E proprio per questo il Fondo monetario internazionale, come già ha fatto Bankitalia, taglia allo 0,6%, dall’1% di ottobre, la previsione di crescita per l’Italia nel 2019, mantenendola allo 0,9% per l’anno successivo.

Bindi, Bodrato e Occhetta sabato 26 a Torino

Pochi giorni dopo il centenario dalla diffusione dell’Appello “ai liberi e forti”, l’Associazione Popolari, insieme con la Fondazione “Carlo Donat-Cattin”, propone un secondo importante appuntamento a Torino per riflettere sul valore di quegli avvenimenti che hanno segnato per quasi un secolo la storia politica italiana, e che molto hanno da suggerire ancora oggi.

Dopo aver delineato a fine novembre la figura di prima grandezza di don Luigi Sturzo, fondatore del Partito popolare italiano, nella mattinata di sabato 26 gennaio, dalle ore 10.30, presso il Polo del ’900 (via del Carmine 14) verrà trattata “L’attualità del Popolarismo”.

Ne parleranno Rosy Bindi, ex parlamentare e ministro, Guido Bodrato, presidente emerito dei Popolari piemontesi, e il gesuita Francesco Occhetta, editorialista di “La Civiltà   Cattolica”, introdotti da Gianfranco Morgando, direttore della Fondazione Donat-Cattin, e da Alessandro Risso, presidente dei Popolari piemontesi.

Brexit: Jeremy Corbyn prende tempo

Il leader laborista, Jeremy Corbyn, si prepara a resistere fino all’ultimo alle pressioni di quanti, nel suo partito, gli chiedono di fare chiarezza e di risolversi ad appoggiare la richiesta di un secondo referendum: così il quotidiano “The Guardian” riassume la posizione ufficiale del Partito laburista dopo il fallimento del dialogo intavolato dal governo nel corso del fine settimana con i partiti di opposizione, nel tentativo di trovare una soluzione all’impasse in cui il paese si è cacciato; l’obbiettivo a breve di Corbyn, sostiene il giornale, è di arrivare in questo modo almeno fino al 29 gennaio prossimo, quando il primo ministro Theresa May sottoporrà al Parlamento il suo cosiddetto “piano B” sulla Brexit.

Secondo le fonti interne citate dal “Guardian”, insomma, il leader del Partito laburista starebbe solo cercando di prendere tempo: e per farlo punta sulle opposte spinte provenienti dalle ali contrapposte dei laburisti filo-Ue (i cosiddetti “Remainers”) e degli anti-europei (i cosiddetti “Leavers”).

Corbyn, secondo il giornale, è determinato a poter cogliere tutte le occasioni che i prossimi passaggi parlamentari gli offriranno per sottolineare la propria politica sulla Brexit, in contrapposizione a quella del Partito conservatore al governo.

Unicef: “nelle prime due settimane del 2019, più di 400 bambini hanno raggiunto le coste europee”

Si stima che circa 400 minorenni rifugiati e migranti – una media di 29 al giorno – siano arrivati sulle coste di Grecia, Italia eSpagna solamente nelle prime due settimane di gennaio.
Questi bambini affrontano viaggi resi particolarmente pericolosi dal gelo e dal maltempo dei mesi invernali.
Dalle notizie dello scorso fine settimana risulta che circa 170 persone siano morte o scomparse in due diversi naufragi nel Mediterraneo.
Secondo alcune segnalazioni, a bordo c’erano diversi bambini e una donna in gravidanza. La settimana scorsa, una bambina irachena di 9 anni sarebbe annegata nel Mediterraneo mentre cercava di raggiungere l’isola di Samos con la sua famiglia.
All’inizio di quest’anno, almeno 6 bambini sono stati bloccati per molti giorni a bordo della nave di salvataggio Sea Watch 3 alla quale non è stato permesso di attraccare.
I bambini a bordo sono rimasti nel limbo, alcuni anche 18 giorni, senza poter accedere alle cure mediche urgenti o ad altri servizi essenziali fino a quando alla nave è stato finalmente permesso di sbarcare.
«Ogni giorno, i bambini rischiano la vita viaggiando in acque pericolose in condizioni di gelo, con la speranza di trovare sicurezza e opportunità per costruire un futuro dignitoso» afferma il Direttore dell’UNICEF per Europa e Asia centrale e Coordinatore speciale per i minori migranti in Europa, Afshan Khan.  
 
«Un approccio a livello regionale aiuterebbe ad evitare che questi bambini – molti dei quali hanno già subito sfruttamento e abusi durante i loro lunghi viaggi – debbano soffrire ulteriormente». 
Si stima che nel 2018 23.000 minorenni rifugiati e migranti siano arrivati via mare in Grecia, Italia e Spagna, in massima parte in fuga da conflitti, povertà estrema e persecuzioni.

In Umbria un’iniziativa per le infrastrutture culturali e sportive

L’Istituto per il credito sportivo e Gepafin hanno siglato un accordo per garantire lo sviluppo e la crescita degli impianti sportivi e delle infrastrutture culturali nei diversi Comuni umbri. Una convenzione rivolta alle società che gestiscono attività sportive e culturali, per il rilascio di garanzie su mezzi propri e su fondi pubblici utili alla concessione di finanziamenti sia breve che a medio-lungo termine. Hanno sottoscritto l’accordo il presidente di Gepafin Spa, Salvatore Santucci, e il presidente dell’Istituto per il credito sportivo, Andrea Abodi.

In base all’intesa, Gepafin potrà rilasciare una garanzia, a valere sui fondi individuati dalla convenzione, che assisterà ciascun finanziamento fino all’ammontare dell’80% del credito vantato dall’Ics nei confronti del beneficiario. L’iniziativa vuole sostenere e incentivare su tutto il territorio umbro, un rilancio degli investimenti nel settore sportivo e culturale, compresa la valorizzazione di immobili storici, favorendo così progetti di sviluppo economico ed occupazionale a beneficio di tutti i cittadini.

Gepafin è la Società finanziaria per le piccole e medie imprese, costituita dalla Regione Umbria insieme alla Commissione europea, con il compito di supportare le realtà imprenditoriali, aventi sede legale e/o operativa nell’intero territorio regionale, nel reperimento di risorse finanziarie. La convenzione avrà durata biennale e prevede garanzie a valere su finanziamenti fino a 10 anni con tassi agevolati. Un progetto che riveste particolare importanza soprattutto per le iniziative del comparto culturale, dove non opera il Fondo di garanzia per l’impiantistica sportiva. Per le garanzie a valere su mezzi propri è previsto invece un plafond di 5 milioni di euro, con un minimo finanziabile di 50.000 euro fino ad un massimo di 500.000.

Oms: “Sui migranti falsi miti, non portano malattie”

Quello che “i migranti portano le malattie” è un falso mito, mentre è forte il rischio che la loro salute peggiori una volta arrivati nei Paesi di destinazione a causa delle cattive condizioni in cui vivono.

Il documento, realizzato in collaborazione con l’Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà (INMP) italiano, si basa sui dati di oltre 13mila documenti raccolti nei 54 paesi che fanno parte della regione Europa dell’Oms. Il primo falso mito, si legge, è nel numero dei migranti, che oggi in tutta la regione sono appena il 10% della popolazione, mentre in alcuni paesi europei la popolazione pensa che siano 3 o 4 volte di più. Dal punto di vista sanitario poi, la salute delle persone che arrivano è buona.

Il rischio di malattie non trasmissibili, come tumori o problemi cardiaci, è più basso che nella popolazione generale, ma aumenta all’aumentare del periodo di permanenza a causa del mancato accesso ai servizi sanitari e delle condizioni igieniche spesso insufficienti.

“Anche per le malattie infettive l’aneddotica non corrisponde alla realtà – sottolinea Santino Severoni, coordinatore del programma Oms Europa sulla migrazione e la salute -. E’ vero che lo spostamento delle popolazioni viene considerato una fonte di rischio, e per questo c’è un monitoraggio, ma riguarda tutti gli spostamenti. Si pensi ai 400mila che sono arrivati via mare in Italia nel 2016 e ai 20 milioni di passeggeri dell’aeroporto di Fiumicino. La verità è che anche quando arrivano persone con infezioni l’evento è così sporadico che non costituisce un problema per la salute pubblica, come dimostra il fatto che non abbiamo mai registrato un contagio alla popolazione residente”.

Sui migranti “ci sono governi che distolgono l’attenzione dai fatti e si registra una perdita o un cambiamento nella scala dei valori già da diversi anni”. E’ il commento di Santino Severoni, coordinatore del programma Oms Europa sulla migrazione e la salute, sulla situazione nel Mediterraneo.

 

L’impegno dei “liberi e forti” di Alessandria. Renato Balduzzi: “Entriamo nel merito dei problemi”

Si ricordano in questi giorni i 100 anni dall’appello di don Luigi Sturzo “A tutti gli Uomini Liberi e Forti”, che, facendo seguito a quelli che erano stati i primi tentativi portati avanti nei primi anni del XX secolo da personaggi come Filippo Meda e Romolo Murri, inaugurava l’esperienza storica del cattolicesimo politico.
Pur in uno scenario così diverso, quell’appello risuona ancora.

Si sente, soprattutto, l’urgenza di ricostruire una prospettiva di ispirazione cattolica e democratica, ritrovando un’unità programmatica e di intenti aperta e aconfessionale, ma al tempo stesso capace di recepire e reinterpretare in chiave attuale la parte più feconda dei valori e dei principi che la storia del cristianesimo sociale e politico può offrire per immaginare e progettare il futuro del paese e dell’Europa. Non mancano i richiami in questo senso, a partire dal presidente della Conferenza episcopale italiana, che ha voluto consegnare una riflessione che lega proprio l’appello del lontano gennaio 1919 alla chiesa e a tutta la società civile italiana di oggi “perché possa ritrovare la via della concordia e della fraternità, e ogni uomo e ogni donna di questo Paese possa sempre veder riconosciuti i propri diritti nella solidarietà e nella giustizia”.

Come interpretare, dunque, l’attualità dell’appello di Sturzo? Da dove ricavare la forza di guardare in faccia la realtà ed essere liberi di non subirla? Come non dissipare le libertà del nostro tempo e non confondere la forza con rabbia o prepotenza?
A partire da queste domande un gruppo di alessandrini si è ritrovato in città per dare inizio a un percorso, che potrà incrociarsi con quello di altri gruppi di “Liberi e Forti” in Piemonte e in tutto il Paese, consapevoli che una rete di sensibilità e di disponibilità c’è già ed è diffusa sul territorio nazionale.

“Dobbiamo andare oltre i sentito dire e le apparenze, condividere le nostre esperienze di vita quotidiana, entrare nel merito dei problemi, con analisi e proposte concrete e precise, su almeno tre temi fondamentali: povertà e immigrazione; lavoro e sviluppo, ambiente”, ha detto Renato Balduzzi nelle conclusioni dell’incontro.

Si parte da un piccolo gruppo, ma con l’intenzione di essere inclusivi e dunque già in questa settimana la proposta di un “impegno di liberi e forti” sarà aperta all’adesione di quanti manifestino interesse, in vista di una prima convocazione tematica prevista per domenica 10 febbraio 2019. Questa iniziativa, infatti, non vuole creare contenitori o circuiti chiusi, né tantomeno mettersi in concorrenza con i vari tentativi di “fare rete nel mondo cattolico”. Non ha orizzonti di pochi mesi. Piuttosto, vuole partire dalle persone che sentono il dovere di mettersi in gioco e di dare prova di un nuovo esercizio della cittadinanza, della partecipazione democratica e del concorso alla valorizzazione dei tanti mondi vitali esistenti, animando un percorso aperto a tutti coloro che ne condividano l’ispirazione e abbiano la voglia di scoprire o riscoprire l’impegno a raggiungere chi, per tante ragioni, si sia scoraggiato o non riesca a trovare atteggiamento alternativo alla sfiducia, al rancore, al mugugno.

C’è bisogno, hanno sottolineato diversi interventi, di ricucire fratture oggi palpabili tra generazioni, categorie, e altri gruppi. Mondi che fanno fatica a parlarsi, a trovare punti di sintesi e forme di cooperazione, solidarietà. Da qui si può partire per ridare senso a una storia e alimentare la speranza per tante donne e uomini che oggi, pur nell’era dei navigatori satellitari, si sentono disorientati e “senza bussola”.
Solo insieme, si può.

Calenda, torna il fronte popolare

Dunque, l’alto borghese Calenda ha riproposto un progetto che periodicamente si affaccia nella politica italiana dal secondo dopoguerra. Ovvero, Il cosiddetto “fronte popolare”. Cambiano le fasi storiche, cambiano gli attori politici, cioè i partiti, cambiano – come ovvio – le classi dirigenti ma le proposte sono sempre quelle. Adesso, per tornare all’oggi, l’ex braccio destro di Montezemolo ha lanciato un appello. In sintesi, per difendere i ceti popolari, gli ultimi, i ceti disagiati, l’Occidente, l’Europa e forse anche le radici cristiane, parte la proposta di un listone per le ormai prossime elezioni europee. Proposta legittima, come ovvio, ma che richiede qualche precisazione.

Mi limito a farne tre.

Innanzitutto i fronti popolari in Italia non hanno mai avuto una grande fortuna. E questo per un motivo molto semplice. Nascono e decollano sempre “contro” qualcuno e quasi mai “per” qualche progetto specifico. Non a caso il fronte, o l’ammucchiata o il cartello elettorale, non possono essere portatori di un disegno politico proprio perché si deve assommare tutto e il contrario di tutto pur di battere i “barbari” di turno. Ci vuol poco a capire che proposte di questo genere sono perfettamente funzionali a chi si vuol distruggere. Nel caso specifico, la Lega di Salvini che cresce esponenzialmente in tutti i sondaggi e gli indici di gradimento personale.

In secondo luogo e’ francamente curioso, molto curioso, che un partito come il Pd, in preda ad una crisi di identità politica e di consensi sempre più forti, il giorno dopo la celebrazione del suo congresso sia tutto sommato – stando alle dichiarazioni dei due candidati alla segreteria più accreditati – d’accordo a dar vita ad un listone. Cioè, di fatto, a cancellare il logo e il simbolo del partito dalla scheda elettorale per le elezioni europee. Un fatto curioso e singolare perché il tutto avverrebbe a poche settimane dalla celebrazione del congresso per rilanciare il progetto e il ruolo del Pd dopo il disastro – da quasi tutti condiviso – della gestione renziana. Valli a capire…

In ultimo, e’ del tutto evidente che le ammucchiate elettorali sono destinate ad offuscare il progetto politico e la prospettiva politica di quel listone se non quello di esaltare lo scontro violento e senza esclusione di colpi contro il “nemico da abbattere”. Che, nello specifico e’ sempre e solo la Lega. Forse sarebbe opportuno, per contrastare seriamente il sovranismo e la deriva nazionalista, mettere in campo le culture politiche, i partiti, le varie sensibilità democratiche funzionali a creare un arco di forze, e quindi una coalizione, capace di essere realmente alternativa a chi si vuol democraticamente combattere.

Il progetto dell’ex braccio destro di Montezemolo forse sarebbe opportuno lasciarlo ancora un po’ nel assetto. Semprechè il Pd non pensi di chiudere anticipatamente la sua esperienza politica, elettorale e anche di governo.

Liberi o Forti: storia o attualità?

Articolo già apparso sulle pagine di Servire l’Italia

Nel 1919, quando fu fondato il Partito Popolare Italiano, erano trascorsi 28 anni dalla
promulgazione dell’Enciclica “Rerum novarum”. E si può dire che era stata già dimenticata.
Ma la “Rerum novarum” non fu mai dimenticata da don Sturzo, che – avendone capito la
grande validità – si dimostrò come il più efficace promotore della stessa. E quando riceveva
complimenti per l’ottimo lavoro che stava svolgendo nel passare dalle parole ai fatti, don Sturzo era solito rispondere:
“Non è farina del mio sacco, devo tutto al Vangelo e alla Rerum novarum”.
È probabile che se Leone XIII non avesse promulgato quell’Enciclica, don Sturzo avrebbe
seguito la sua prima vocazione: diventare un buon professore di filosofia o di teologia. Fu invece proprio la lettura della “Rerum novarum” a fargli cambiare idea. In tal modo acquisì le basi culturali necessarie per contribuire a migliorare le condizioni di vita di gran parte dellapopolazione di Caltagirone che da secoli viveva poco e di poco.

Si sa che povertà e ingiustizia sociale produssero la teoria rivoluzionaria di Marx. Ma Leone
XIII giudicò la soluzione marxista come una “medicina” peggiore del male che voleva curare.
La vera cura doveva invece essere fornita dal Cristianesimo, portatore di valori e di principi
dotati di “ricchezza di forza meravigliosa”, come orgogliosamente veniva affermato nella
“Rerum novarum”.
Purtroppo quella “forza” non era mai stata sfruttata nel passato, tanto che persino la Chiesa si era ormai arresa da secoli al dato di fatto che chi nasceva ricco moriva ricco e chi nasceva povero moriva povero. Peccato che i ricchi erano pochi e i poveri tanti…. Di qui la soluzione rivoluzionaria di Marx e la successiva soluzione altrettanto rivoluzionaria di Leone XIII per quel tempo, perché proponeva una cura da molti ritenuta utopistica, ossia che la questione sociale si poteva risolvere con efficacia e giustizia non con il duro conflitto tra imprenditori e lavoratori, come voleva Marx, ma con la stretta alleanza tra imprenditori e lavoratori.

Don Sturzo, tuttavia, non giudicò utopistica questa soluzione e iniziò subito a darsi da fare per dimostrare che il Cristianesimo era davvero dotato di una “forza meravigliosa”, non solo per migliorare la nostra vita spirituale. Utilizzò quindi la “medicina” della “Rerum novarum” nel “darsi da fare” e realizzò iniziative innovative nella sua Caltagirone, iniziative che lo portarono dapprima all’attenzione ammirata dei suoi concittadini, poi dei siciliani e infine di tutta l’Italia, sino a farsi sentire in Europa dagli anni Venti in poi. Sin dal 1896, ad appena 25 anni, egli iniziò a promuovere cooperative di lavoro, cooperative di produzione e anche cooperative di vendita di beni di consumo per rendere più accessibili tali beni ai meno abbienti. Nel 1897 fondò la Cassa Rurale San Giacomo per combattere il “cancro”
dell’usura. E negli anni successivi si adoperò persino a risolvere dispute di lavoro tra i
proprietari terrieri e i braccianti. Il 1° novembre 1903, all’indomani di un lungo sciopero deciso dai 3.000 contadini di Caltagirone, si poteva leggere sul giornale “La Domenica dell’Operaio” il seguente resoconto: “Nessuna meraviglia ci recò la notte scorsa la notizia che sono stati concordati e stipulati i nuovi patti agrari nei locali della Cassa Rurale San Giacomo. È stata l’opera fatta dal sacerdote Luigi Sturzo, senza rumori, senza discorsi, in lunghe riunioni notturne, ora con gli agricoltori, ora con i proprietari, soli o riuniti insieme, studiando le condizioni economiche, le difficoltà tecniche e i possibili miglioramenti colturali. E in cima al verbale dei patti agrari sta il Nome Santo del Signore e il nome del Suo ministro come paciere difensore dei diritti di entrambe le classi.

Si è voluto così mostrare come non è l’odio di classe predicato dai socialisti, ma l’amore e la concordia quello che può condurre verso i desiderati frutti di bene. La democrazia cristiana si è realizzata grazie alla costanza e al trionfo di un prete”.
Nella “Rerum novarum “era appunto scritto che “la concordia fa la bellezza e l’ordine delle cose, mentre un perpetuo conflitto fra capitale e lavoro non può che dare confusione e barbarie. Ora a pacificare il dissidio, anzi a svellerne le stesse radici, il Cristianesimo ha ricchezza di forza meravigliosa”.

Nel constatare come quella “medicina” funzionasse bene, don Sturzo provava una certa
delusione nel vedere come altri non seguissero il suo esempio. E nel 1901, a 10 anni dalla
promulgazione dell’Enciclica di Leone XIII, denunciò il fatto che “ancora oggi, per somma
vergogna, molti cattolici non conoscono quel prezioso documento”. Questa constatazione,
purtroppo, dovremmo farla anche noi oggi, ma con una vergogna maggiore, perché molti
cattolici impegnati in politica e nel mondo dell’economia conoscono la dottrina sociale della
Chiesa, ma non sono stati ancora capaci di utilizzarla a vantaggio del bene comune.
Il 15 maggio 1902, nel commemorare l’11° anniversario della “Rerum novarum”, don Sturzo diede una profonda chiave di lettura dei mali che da sempre affliggevano (e tuttora affliggono) il mondo: “Non è meraviglia se la società oggi non si adagia in nessuno dei partiti che dispiegano la bandiera della giustizia sociale. La giustizia nella sua essenza manca. Manca, perché manca l’amore verso il prossimo; e questo amore non vi è, non vi può essere, perché manca l’amore verso Dio; e l’amore verso Dio non vi è, né vi può essere, perché della religione se n’è voluto fare un rapporto soltanto privato e di coscienza, e non sociale; la religione è stata esclusa dalla società. La religione è un principio sintetico, che abbraccia tutti gli elementi della vita terrena per vivificarli del soffio della moralità, per ordinarli a un fine superiore, per elevarli con il carattere della soprannaturalità”.

In piena coerenza con questo suo convincimento, divenuto ancora più profondo con il passare del tempo, don Sturzo scriverà in esilio un libro dal titolo “La vera vita, sociologia del soprannaturale”, un libro dominato dal “soffio della moralità”, cioè da quel “soffio” di cui si è spesso sentita la mancanza ai piani alti del mondo politico ed economico.
Tutti i popoli, chi più chi meno, tuttora soffrono per un “deficit” di giustizia sociale, perché la ragione morale continua a essere calpestata dalla ragione politica e dalla ragione economica. Don Sturzo diceva che se la politica e l’economia violano la morale non hanno alcun diritto di chiamarsi ragione politica e ragione economica, perché sono prive di ragione, ossia prive di razionalità. Per il grande sacerdote di Caltagirone la moralità si rispecchia nella razionalità dell’agire umano, ossia nell’azione che ubbidisce alla retta ragione. Ne consegue che una persona morale è razionale, mentre una persona immorale è irrazionale, perché non segue la retta ragione.

Giudice naturale di tale rettitudine è sempre la nostra coscienza, che è il nostro giudice naturale, perché risponde a una legge naturale.
La lunga storia del mondo ci dimostra chiaramente che un regime politico e un
Ma il suo progetto fallì nel tentativo di respingere la violenza “rossa” e la violenza “nera” con una proposta di politica economica che favorisse la stretta alleanza tra gli imprenditori e i lavoratori per evitare il secolare conflitto tra capitale e lavoro, conflitto che “non può che dare confusione e barbarie”, come giustamente affermò Leone XIII. La responsabilità di tale
fallimento fu dei grandi capitalisti di quell’epoca che finanziarono l’ascesa di Mussolini pur di
respingere “l’onda rossa”, che si proponeva di abolire la proprietà privata. Ma se il mondo
politico e il mondo economico avessero accolto le innovative proposte di don Sturzo, il fascismo non sarebbe mai nato in Italia. E se il nostro Paese si fosse avviato sulla strada suggerita dal popolarismo sturziano, la follia di Hitler non avrebbe trovato in Italia un esempio altrettanto folle da seguire.

Una seconda rinascita della dottrina sociale della Chiesa sarebbe potuta avvenire dopo la
seconda guerra mondiale, nel ricordo dell’Enciclica “Quadragesimo anno”, che a sua volta
ricordava – dopo ben 40 anni! – la validità e la lungimiranza della “Rerum novarum”. Ma anche l’insegnamento delle numerose Encicliche sociali successive è poi finito per essere una “vox clamans in deserto”.
In un articolo scritto nel 1946, dal titolo “Moralizziamo la vita pubblica”, don Sturzo diceva:
“Quanto più è accentrato il potere e quanto più larghi sono gli afflussi del denaro
nell’amministrazione pubblica, tanto più grandi sono le tentazioni”.
Da qui la sua avversione per lo Stato imprenditore, per lo Stato banchiere e per lo Stato
factotum. Quanto più l’economia è gestita dallo Stato, egli diceva, tanto più la politica corrompe e si corrompe. Lo Stato deve essere soprattutto arbitro e non anche giocatore. Se ricopre entrambi i ruoli, finisce per arbitrare male e per giocare male. Don Sturzo era convinto che il buon governo dovesse essere fondato sulla buona cultura ed egli la trovò innanzitutto nei valori e nei principi del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa. Valori e principi fondati sulla centralità della persona, sull’etica della libertà responsabile, sull’elogio dell’iniziativa privata, sulla diffusione della proprietà privata, sulla funzione sociale dell’impresa e quindi sulla stretta alleanza tra capitale e lavoro. Ne consegue che egli sosteneva un capitalismo popolare di tipo partecipativo e riteneva molto dannoso sia il capitalismo di Stato, sia il capitalismo di tipo finanziario e speculativo, che purtroppo oggi sta prevalendo.

Allora si capisce perché don Sturzo sia stato sempre contrario allo Stato “tuttofare”. Ma fu
anche critico del comportamento dei grandi capitalisti, sempre contrari a un accordo
costruttivo con il mondo del lavoro. Negli anni Cinquanta un simile accordo avrebbe potuto
portare l’Italia verso l’economia sociale di mercato, come poi avvenne nella Germania di
Adenauer, un grande statista che ebbe il merito di non far cadere il suo Paese nella “confusione e barbarie” profetizzata da Leone XIII nella “Rerum novarum”. “Confusione e barbarie” di cui ha purtroppo sofferto l’Italia sia con il fascismo, sia con la Dc, che non indossò la “corazza” dell’insegnamento sociale della Chiesa per evitare il duro conflitto tra imprenditori e lavoratori, e i danni economici e morali previsti da don Sturzo, se fosse arrivato il centro-sinistra.

È significativa la seguente preoccupazione di don Sturzo nel commemorare il 60° anniversario della “Rerum novarum” in un articolo pubblicato su “Il Mattino” del 12 maggio 1951 “È strano che non sia stato compreso, né messo in luce, il diverso processo ideologico e pratico delle due posizioni della teoria di Marx e della Enciclica di Leone XIII, nelle varie fasi per le quali sono passate le rivendicazioni operaie sotto i regimi politici in questo ultimo sessantennio di interventismo statale. Purtroppo da parte dell’impresa libera non si è avuta una chiara concezione dell’apporto etico della scuola cattolico-sociale e dell’importanza dell’insegnamento papale, che spinge il capitalista a cercare la collaborazione di classe insieme all’integrazione delle esigenze dell’altra parte. Oggi si punta troppo sul gioco di forze antagoniste e sopra un intervento statale che tende a dare in mano alla burocrazia l’economia del Paese. Tutto ciò è contrario sia allo spirito cristiano che agli interessi nazionali, e rende più costosa e meno efficiente l’elevazione del lavoratore”.

L’errore della Dc è stato credere che le “convergenze parallele” di due culture opposte e quindi non coniugabili, la “socialcristiana” e la “socialcomunista”, potessero davvero convergere nell’interesse del bene comune. Errore poi non riparato nella seconda Repubblica, dove hanno continuato a governare – a fasi alterne – entrambi gli eredi della prima Repubblica che hanno continuato a non capire la validità della cultura sturziana dei “liberi e forti”.

Concludo rispondendo alla domanda posta dal titolo di questo Convegno: i “LIBERI E FORTI” sono STORIA O ATTUALITÀ? Certamente sono STORIA, una storia molto importante e purtroppo ancora poco conosciuta. Ma certamente non sono ATTUALITÀ, perché oggi
viviamo in pieno POPULISMO per non avere avuto la Dc il coraggio e l’intelligenza di attuare
il POPOLARISMO. Dovremmo allora domandarci se sia possibile parlare di ATTUABILITÀ
del prezioso patrimonio culturale dei “liberi e forti”. Ci stiamo lavorando da tempo con molti
amici autenticamente sturziani, ma con risultati sino ad oggi deludenti, che attribuiamo al forte “vento contrario” subìto dalle nostre idee sin dai lontani anni Sessanta.

Ma non ci siamo arresi, a differenza di altri, portatori di idee contrarie alle nostre e che si sono illusi che potessero funzionare. Altre illusioni si stanno creando con l’arrivo dei populisti e dei sovranisti. È molto probabile che finiranno come Icaro. È quindi urgente che il patrimonio culturale dei “liberi e forti” inizi a fare scuola per consentire all’Italia e all’Europa di esprimere l’enorme potenziale di sviluppo ottenibile da governi guidati con la giusta “bussola” in mano a politici seri e competenti. Molti parlano di riportare la persona al centro. Ma se al suo fianco non riportiamo anche la libera impresa, libera dai politici incompetenti, dalla burocrazia nemica anziché alleata, dal cancro della corruzione e della criminalità, la “persona” sarà sempre lontana dal “centro” e finirà per essere soffocata.
Non credo che l’Italia sia un Paese votato al suicidio, tutt’altro. Dobbiamo quindi avere fiducia che il popolarismo sturziano sia ATTUABILE. Non dobbiamo farci sfuggire l’opportunità del suo Centenario. 100 anni di errori e di orrori compiuti dai suoi avversari ci devono far capire che la salvezza dell’economia può venire solo dall’economia della salvezza, cioè dalle parole del Vangelo e dell’insegnamento sociale cristiano. A noi spettano i fatti, diceva don Sturzo.

Se fallisce il Pd…

Articolo gi apparso sulle pagine dell’ huffingtonpost

Aggirare l’ostacolo è sempre la soluzione più attraente, ma anche quella meno efficace. Se si pensa di risollevare il Pd dalla sua condizione di fragilità con trucchi elettoralistici, non si fa nessun passo avanti. Capisco Calenda e apprezzo il suo sforzo: dietro c’è il desiderio di inventare qualcosa di nuovo. Una lista unitaria, aggregante le forze antipopuliste e antisovraniste, di per sé non è infondata. Tuttavia, se l’approccio consiste nel nascondere i problemi e nel giocare tutto sulla formula da adottare alle europeee, annegando la dialettica interna al Pd in un mare magnum indistinto, il risultato non potrà che essere di gran lunga inferiore alle attese.

Noi dobbiamo chiarire cosa sia o cosa debba essere, dopo oltre dieci anni dalla fondazione,il “partito unico” dei riformisti. È ancora valido? Abbiamo sbagliato a strutturarlo nel modo che sappiamo, con troppi leaderismi e poca cultura condivisa? Oppure, più semplicemente e gravemente, ci siamo illusi che fosse plausibile un’operazione incentrata sulla convergenza delle tradizioni di pensiero democratico e riformatore, per recuperare il retaggio migliore del Novecento e andare oltre? Non parlare di noi impedisce il chiarimento sulla strategia da seguire: procediamo ad occhi bendati.

Noto per altro che anche nel Pd avanza la pretesa di assorbire il connotato specifico degli ex popolari in un progetto di rinascita della sinistra (senza se e senza ma). Non credo di far torto all’interessato se attribuisco a Zingaretti tale volontà. Per questo la sua candidatura mal si concilia con l’esigenza di valorizzare il retaggio del popolarismo. Con Zingaretti il Pd muterebbe il suo codice genetico, assumendo le fattezze del PDS e dei DS. Basterebbe confrontare gli argomenti e le motivazioni che erano alla base di quegli esperimenti politici con gli auspici presenti nel disegno di Zingaretti. Le assonanze superano le disarmonie e i contrasti.

Dov’è l’alternativa? Rendiamoci conto che se fallisce il rilancio del Pd si restringe la speranza di un’autentica ripresa democratica dell’Italia, fuori dall’inganno rappresentato oggi dal populismo di governo. In effetti l’alternativa spetta a Martina, dal quale attendiamo l’espansione di un discorso sul Pd da rifondare. Non può passare sotto silenzio la mobilitazione di questi giorni attorno al centenario dei liberi e forti. C’è in atto, da tempo, l’accumulazione di nuove energie che danno l’idea di un risveglio del cattolicesimo sociale e democratico. Occorre dunque costruire una formula ideale, prima che organizzativa, in grado di convincere gli italiani. Lo dobbiamo fare nella chiarezza, recuperando il valore di una politica seria e responsabile, capace di occupare il “centro” della vita democratica nazionale.

Proactiva Open Arms: “Con o senza la presenza delle Ong nel Mediterraneo i dati dimostrano che le persone continuano a partire”

Veronica Alfonsi, coordinatrice della sede italiana di Proactiva Open Arms, commenta all’Adnkronos l’intenzione del ministro dell’Interno Matteo Salvini di non cambiare linea sulla gestione dei flussi migratori, nonostante la nuova strage nel Mediterraneo dichiarando che: “Con o senza la presenza delle Ong nel Mediterraneo i dati dimostrano che le persone continuano a partire”.

“Non ci mettiamo nella condizione di doverci difendere dalle accuse, continuiamo semplicemente ad operare nel rispetto del diritto e delle convenzioni internazionali: Sar, Solas, Ginevra. I governi europei, compreso quello italiano, invece non lo stanno facendo e se ne dovranno assumere la responsabilità. Sarà la storia a giudicare”.

Dl Semplificazione, arriva l’etichetta d’origine Made in Italy

Arriva l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti per valorizzare la produzione nazionale e consentire scelte di acquisto consapevoli ai consumatori contro gli inganni dei prodotti stranieri spacciati per Made in Italy. “E’ una nostra grande vittoria“ afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel ringraziare per il sostegno  e l’impegno il Ministro delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio, il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ed  i relatori al decreto legge semplificazioni Daisy Pirovano e Mauro Coltorti. Un risultato che siamo certi – sostiene Prandini – troverà nell’iter parlamentare un sostegno bipartisan per una norma a costo zero a difesa dell’interesse nazionale e a tutela della salute dei cittadini, del territorio, dell’economia e dell’occupazione

La norma – sottolinea la Coldiretti – consente di adeguare ed estendere a tutti i prodotti alimentari l’etichettatura obbligatoria del luogo di provenienza geografica degli alimenti ponendo fine ad un lungo e faticoso contenzioso aperto con l’Unione europea oltre 15 anni fa. In particolare – precisa la Coldiretti – si individuano disposizioni nazionali autorizzate nell’ambito di una consultazione con la Commissione sulla base del Regolamento quadro sull’etichettatura n. 1169 del 2011, in ragione della protezione della salute pubblica e dei consumatori, della prevenzione delle frodi e della protezione dei diritti di proprietà industriale e di repressione della concorrenza sleale. Sono previste sanzioni in caso di mancato rispetto delle norme che vaanno da 2mila a 16mila euro, salvo che il fatto non costituisca reato di frode penalmente rilevante.

L’obiettivo – spiega la Coldiretti – è dare la possibilità di conoscere finalmente la provenienza della frutta impiegata in succhi, conserve o marmellate, dei legumi in scatola o della carne utilizzata per salami e prosciutti fin ad ora nascosta ai consumatori, ma anche difendere l’efficacia in sede europea dei decreti nazionali già adottati in via sperimentale in materia di etichettatura di origine di pasta, latte, riso e pomodoro

Una misura importante anche di fronte al ripetersi di scandali alimentari nell’Unione Europea dove si sono verificati nel 2018 quasi dieci allarmi sul cibo al giorno che mettono in pericolo la salute dei cittadini e alimentano psicosi nei consumi per le difficoltà di confinare rapidamente l’emergenza. Le maggiori preoccupazioni – precisa Coldiretti – sono proprio determinate dalla difficoltà di rintracciare rapidamente i prodotti a rischio per toglierli dal commercio con un calo di fiducia che provoca il taglio generalizzato dei consumi che spesso ha messo in difficoltà ingiustamente interi comparti economici, con la perdita di posti di lavoro. L’esperienza di questi anni dimostra l’importanza di una informazione corretta con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine nazionale dei prodotti che va esteso a tutti gli alimenti. Secondo una ricerca di Beuc (l’organizzazione europea dei consumatori) il 70% dei cittadini europei (82% in Italia) vuole conoscere da dove viene il cibo sulle loro tavole, che diventa 90% nei casi di derivati del latte e della carne.

In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti in una situazione in cui ad oggi grazie al pressing esercitato dalla Coldiretti sono stati fatti molti passi in avanti nella trasparenza dell’informazione ai consumatori ma purtroppo ancora 1/4 della spesa degli italiani resta anonima.

L’obbligo di indicare l’origine è una battaglia storica della Coldiretti che, con la raccolta di milioni di firme, ha portato  l’Italia all’avanguardia in Europa. Per ultimo con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine per pelati, polpe, concentrato e degli altri derivati del pomodoro grazie alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 47 del 26 febbraio 2018, del decreto interministeriale per l’origine obbligatoria sui prodotti come conserve e salse, oltre al concentrato e ai sughi, che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro. Il 13 febbraio 2018 è entrato in vigore l’obbligo di indicare in etichetta l’origine del grano per la pasta e del riso, ma prima c’erano stati già diversi traguardi raggiunti: il 19 aprile 2017 è scattato l’obbligo di indicare il Paese di mungitura per latte e derivati dopo che il 7 giugno 2005 era entrato già in vigore per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo Made in Italy mentre, a partire dal 1° gennaio 2008, vigeva l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro.

A livello comunitario – conclude la Coldiretti – il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto, mentre la Commissione Europea ha recentemente specificato che l’indicazione dell’origine è obbligatoria anche su funghi e tartufi spontanei.

 

L’ETICHETTA DI ORIGINE SULLA SPESA DEGLI ITALIANI
Cibi con l’indicazione origine                                           E quelli senza
Carne di pollo e derivati                                                    Salumi
Carne bovina                                                                      Carne di coniglio
Frutta e verdura fresche                                                   Carne trasformata
Uova                                                                                     Marmellate, succhi di frutta, ecc
Miele                                                                                     Fagioli, piselli in scatola, ecc.
Extravergine di oliva                                                          Pane
Pesce Derivati del pomodoro e sughi pronti (*)            Insalate in busta (IV° gamma), sottoli
Latte/Formaggi (*)                                                              Frutta e verdura essiccata
Pasta (*)
Riso (*)
Tartufi e Funghi spontanei
(*) grazie a norme nazionali
  Fonte: Elaborazioni Coldiretti

lo short track fa base a Courmayeur

La Nazionale italiana di short track guidata dagli allenatori Anthony Barthell e Assen Pandov si ritrova oggi al centro tecnico federale di Courmayeur per dieci giorni di raduno in vista dei prossimi appuntamenti internazionali: a febbraio sono infatti in programma le ultime due tappe stagionali di Coppa del Mondo. Si parte fra due settimane da Dresda, in Germania, per poi spostarsi al Palavela di Torino da venerdì 8 a domenica 10. Esattamente un mese più tardi in programma gli importantissimi Mondiali di Sofia, in Bulgaria. La grande novità di questo raduno è segnata dal ritorno di Arianna Fontana, la campionessa olimpica che rientra in gruppo dopo l’assenza della prima parte di stagione. Per lei cinque giorni di lavoro con la squadra anche se non prenderà poi parte alla Coppa del Mondo.

Diciotto dunque gli atleti convocati per il raduno azzurro: Mattia Antonioli (Esercito), Arianna Fontana (Fiamme Gialle), Nicole Botter Gomez (C.P. Pinè), Andrea Cassinelli (Velocisti Ghiaccio Torino), Yuri Confortola (C.S. Carabinieri), Tommaso Dotti (Fiamme Oro Moena), Davide Viscardi (Esercito), Marco Giordano (C.S. Esercito), Milan Grugni (Milan Evolution Skating), Cecilia Maffei (Fiamme Azzurre), Lorenzo Morrone (Velocisti Ghiaccio Torino), Cynthia Mascitto (Skating Club Courmayeur), Arianna Sighel (Sporting Club Pergine), Arianna Valcepina (Fiamme Gialle), Martina Valcepina (Fiamme Gialle), Elena Viviani (Fiamme Gialle), Lucia Peretti (Esercito) e Augusto Duzioni (Milan Evolution Skating).

Aborti in calo: scendono sotto quota 81mila.

Interruzioni volontarie di gravidanza sempre di più in discesa libera. Nel 2017 sono stati registrarti 80.733 aborti che, non solo confermano il trend in diminuzione del fenomeno, ma con un ulteriore spinta in più: le IVG diminuiscono in misura leggermente maggiore rispetto al 2016 (-4.9% rispetto al dato del 2016 e ben -65.6% rispetto al 1982, anno in cui si è osservato il più alto numero di IVG in Italia (234.801 aborti). Liguria, Umbria, Abruzzo e PA di Bolzano sono le Regioni dove le IVG hanno mostrato un rallentamento importante. Al contrario la PA di Trento è l’unica con un lieve aumento di interventi.

Si conferma l’influsso positivo della contraccezione di emergenza: l’andamento di questi ultimi anni, potrebbe essere almeno in parte collegato alla determina Aifa che ha cancellato l’obbligo di ricetta di ellaOne per le donne maggiorenni. Una ricaduta positiva anche sugli aborti clandestini che sarebbero in calo anche grazie all’arma delle pillole del giorno dopo acquistabili dalle donne maggiorenni senza prescrizione

Luigi e Mario Sturzo: il progetto cristiano di democrazia

Articolo già apparso su Servire l’Italia

L’ennesimo anniversario (il 100°!) della fondazione del PPI e di uno degli Appelli politici più importanti nella storia dell’Italia mi porta a due riflessioni iniziali, una negativa e una positiva.

La riflessione negativa mi dice che, nonostante tante celebrazioni in lode di questi due eventi storici, dalle parole non si è mai passati ai fatti, come se quel ricordo fosse utile solo per una formale e dovuta commemorazione, e non di stimolo a realizzare gli ideali di giustizia sociale e di libertà responsabile che il popolarismo sturziano proponeva.

Ma la riflessione positiva mi dice che il prezioso e sempre attuale patrimonio culturale del popolarismo non è affatto ibernato nel chiuso delle biblioteche. Sono idee che palpitano ancora di vita, circolano e fanno discutere, forse più di ieri, proprio perché quegli ideali di giustizia sociale e di libertà responsabile non si sono ancora pienamente realizzati nel nostro Paese. L’interesse per il pensiero e per la testimonianza di vita di don Sturzo è quindi ancora vivo. Ciò lo si deve al fatto che si tratta di un patrimonio culturale ricco di valori e di principi non dipendenti da ideologie o da mode passeggere, perché si tratta di valori e di principi derivanti in gran parte dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa. Purtroppo molti politici li hanno ritenuti (e tuttora li ritengono) valori e principi difficili da seguire, tanto da giudicarle verità… utopiste. Ma don Sturzo non credeva affatto che Gesù e Leone XIII fossero due utopisti. Anzi per lui la vera utopia era credere che la giustizia sociale e la libertà responsabile si possano ottenere ignorando le verità evangeliche e i consigli della dottrina sociale della Chiesa. È davvero incredibile che questa semplice verità non sia stata ancora recepita dal mondo della politica, dopo tanti fatti storici che l’hanno convalidata.

Certamente nel 1891 il ventenne seminarista Luigi Sturzo non ritenne che fosse una utopia la seguente affermazione di Leone XIII scritta nella “Rerum novarum” e posta come “pietra d’angolo” della prima Enciclica sociale:

“IL CRISTIANESIMO HA RICCHEZZA DI FORZA MERAVIGLIOSA”

Con ciò Leone XIII voleva soprattutto dire che il Cristianesimo aveva una forza capace di abbattere l’impianto teorico della rivoluzione marxista, che in realtà rappresentava una “medicina” peggiore del male che voleva curare: la povertà e le pessime condizioni di lavoro degli operai. La vera giustizia sociale si poteva realizzare solo con la “rivoluzione” cristiana dell’Amore e con la stretta alleanza tra lavoro e capitale, anziché con l’abolizione della proprietà privata come voleva Marx per metterla tutta nelle mani capienti (ma poco efficienti) dello Stato.

E per ben 15 anni, dal 1905 al 1920, don Sturzo – come pro-sindaco di Caltagirone – dimostrò con i fatti che Gesù e Leone XIII non erano affatto due utopisti e che quella “ricchezza di forza meravigliosa” funzionava molto bene al servizio del bene comune. Con molta umiltà e con l’intelligenza di un “missionario” prestato alla politica, quando riceveva complimenti per il suo ottimo lavoro di amministratore pubblico, il pro-sindaco Sturzo era solito dire: “Non è farina del mio sacco, devo tutto al Vangelo e alla Rerum novarum”.

Il 20 gennaio 1901, a circa 10 anni dalla promulgazione dell’Enciclica leoniana, il giovane Sturzo – non ancora trentenne – scriveva che “ancora oggi, per somma vergogna, molti cattolici non conoscono quel prezioso documento”, da lui definito la ‘Magna Charta’ dei democratici cristiani. E il 15 maggio 1902, nel commemorare l’11° anniversario della famosa Enciclica, egli diede una profonda chiave di lettura dei mali che da sempre affliggevano (e tuttora affliggono) il mondo:

“Non è meraviglia se la società oggi non si adagia in nessuno dei partiti che dispiegano la bandiera della giustizia sociale; la giustizia, nella sua essenza, manca. Manca, perché manca l’amore verso il prossimo; e questo amore non vi è, non vi può essere, perché manca l’amore verso Dio; e l’amore verso Dio non vi è, né vi può essere, perché della religione se n’è voluto fare un rapporto soltanto privato e di coscienza, e non sociale; la religione è stata esclusa dalla società. La religione è un principio sintetico, che abbraccia tutti gli elementi della vita terrena per vivificarli del soffio della moralità, per ordinarli a un fine superiore, per elevarli con il carattere della supernaturalità”. E più avanti, nel suo discorso di commemorazione della “Rerum novarum”, don Sturzo ci faceva capire quanto fosse importante sfruttare quella “ricchezza di forza meravigliosa” per passare dalla profonda conoscenza del pensiero cristiano all’azione concreta capace di dare buoni frutti: “La parola della Chiesa non deve rimanere infruttuosa; essa non è solo principio di conoscenza, è principio di azione; essa deve animare le nostre aspirazioni e le nostre lotte, essa ci deve guidare e sorreggere, perché divina è la sua virtù. E spetta a noi attuare quegli insegnamenti nel vorticoso succedersi dei tempi e nel contrasto violento dell’attività umana. Noi cristiani e uomini del nostro tempo, chiamati per dovere di coscienza a scendere nel campo delle lotte pubbliche di pensiero e di azione, dobbiamo portarvi quell’elemento positivo che la Chiesa ci dà, che la ragione illuminata dalla fede ci suggerisce, che l’amore naturale, vivificato dal divino, ci impone; affinché nel cozzo dei fatti umani, che dipendono dalle nostre libere forze e dal nostro costante lavoro, possano la verità e il bene concretizzarsi nella società e prevalere nello svolgimento della storia”.

Erano parole forti, che troviamo fedelmente trasferite alla fine del famoso “Appello a tutti gli uomini liberi e forti” del 18 gennaio 1919: “Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, ispirandoci ai saldi principi del cristianesimo, che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia, missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismi, di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi imperi caduti, di fronte a democrazie socialiste che tentano la materializzazione di ogni idealità, di fronte a vecchi liberalismi settari, che nella forza dell’organismo statale centralizzato resistono alle nuove correnti affrancatrici”. La profonda fede e un grande coraggio portarono don Sturzo a combattere una difficile battaglia “civilizzatrice e affrancatrice” della società italiana contro l’egoismo di forze potenti, le vecchie forze (i liberali) e le nuove forze (i marxisti). Questo egoismo era ereditato da lunghi secoli di dominio dei pochi ma potenti benestanti sulla massa del popolo, che non aveva mai avuto alcuna voce in capitolo.

Al centro della società, con la loro corte e clientela, vi erano sempre stati i re, i principi, i baroni, i granduchi, i duchi, i conti, i marchesi e, talvolta, gli stessi pontefici. Questa realtà era “certificata” dalla cartina geografica dell’Italia segnata dai nomi indicativi dei sistemi intitolati ai potenti di turno: regno, principato, baronato, granducato, ducato, contea, marchesato, stato pontificio. In un simile contesto storico la voce del Cristianesimo – promotore di amore, rispetto e dignità per tutti gli esseri umani – non poteva essere in sintonia con la voce dei potenti, il cui principale interesse era di guadagnare più terra e più potere al duro costo di guerre continue. Per millenni la principale fonte di energia per coltivare la terra e per conquistarla era fornita dai deboli muscoli delle braccia dei tanti sudditi, per lo più “condannati” a essere soldati o contadini; questi erano appunto chiamati “braccianti”. Le loro braccia erano il vero “tesoro” a disposizione dei potenti, ma per il popolo erano braccia poco produttive, data la naturale debolezza dei muscoli umani. La povertà diffusa era causata dalla scarsa produttività di quei muscoli e i contadini venivano quindi pagati poco.

È molto significativo il diverso interesse dei potenti nei confronti dell’aratro e della pietra, ovvero il diverso interesse dimostrato per la “produttività” dei contadini e dei soldati. Per millenni sull’aratro non fu fatto alcun investimento; bastava sfruttare a basso costo i muscoli degli uomini e degli animali. Poi grazie all’invenzione del motore arrivò il trattore e l’aratro fu finalmente rottamato, ma solo dopo diversi millenni di completo disinteresse per alleggerire il duro lavoro dei contadini.

Invece sulla pietra i potenti hanno subito iniziato a investire molto: l’arma primordiale e meno costosa, la pietra, è stata via via sostituita con armi sempre più efficienti e costose, sino ad arrivare alla bomba atomica. È altrettanto significativo quanto è avvenuto dopo l’invenzione del volo umano, sognato e ritenuto possibile da Leonardo: per i primi decenni gli aerei furono guidati solo dai piloti militari. Ai piloti civili si pensò più tardi. perché questa straordinaria invenzione doveva innanzitutto servire a sterminare con maggiore efficienza i nemici. Ai potenti la “produttività” della guerra stava molto più a cuore dell’uso commerciale e pacifico degli aerei.

Morale: aveva ragione Gesù quando nell’ultima Cena, con una certa amara ironia, avvertì gli Apostoli di non seguire l’esempio dei “benefattori”: “I re delle nazioni le governano e si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così: chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa sia come colui che serve” (Lc XXII, 25).

In effetti la lunga storia dell’umanità ci dice che i “piani alti” del mondo politico ed economico sono stati spesso occupati da persone incapaci di testimoniare la grande validità e funzionalità delle verità evangeliche. Di conseguenza la missione civilizzatrice del Cristianesimo ha fatto fatica a farsi strada. Persino tra gli uomini di Chiesa vi era un tempo la convinzione o la rassegnazione che “così va il mondo, chi nasce ricco muore ricco e chi nasce povero muore povero, non c’è nulla da fare”. Peccato che i ricchi erano pochi, mentre i poveri erano tanti…

Ci fu pertanto una completa resa, anche della Chiesa, di fronte al duro sfruttamento da parte dei pochi “soggetti” sui molti “oggetti” della cosiddetta società civile, una società che in realtà era molto incivile e che purtroppo ancora lo è in diverse parti del mondo. Dopo aver letto la “Rerum novarum”, don Sturzo si ribellò contro questa resa e iniziò a dare il suo contributo per cristianizzare la politica e l’economia, dapprima a livello locale e poi a livello nazionale. La lunga esperienza di pro-sindaco di Caltagirone gli fece capire l’importanza dell’autonomia gestionale dei comuni, i danni prodotti dal potere accentratore ed eccessivo dello Stato, nonché l’esigenza di assicurare sempre il primato della morale nell’attività politica ed economica. Egli era solito dire che se la politica o l’economia calpestano la morale non hanno alcun diritto di chiamarsi “ragione politica” o “ragione economica”, perché in tal caso sono ragioni prive di ragione, ossia prive di razionalità e moralità. La storia ha sempre dimostrato che un regime politico e un sistema economico, che non considerino come valore fondamentale l’integrità morale dei suoi protagonisti, prima o poi sono destinati a crollare. I mali della società si possono correggere solo se è la ragione morale a guidare la ragione politica e la ragione economica; entrambe devono servire l’uomo e non servirsi dell’uomo. “Il denaro deve servire non governare” dice giustamente Papa Francesco. Quindi per don Sturzo cristianizzare la società voleva dire civilizzarla. Il suo famoso Appello del 18 gennaio 1919 era rivolto a tutti gli uomini liberi e forti, perché spettava a loro il compito di rendere libero e forte un popolo da sempre oppresso e sfruttato dai “piani alti” della politica e dell’economia. Il nome di “popolarismo” derivava da questa esigenza di giustizia e di civiltà che un partito aconfessionale, ma di ispirazione cristiana, aveva il compito di realizzare. Gli interessi del popolo dovevano essere portati al centro della società al posto degli interessi della ristretta corte dei re, degli imperatori, delle aristocrazie o, peggio, dei dittatori. Solo in un corretto sistema democratico si potevano realizzare gli ideali di giustizia sociale e di libertà responsabile che il popolarismo perseguiva.

Ma sappiamo che il suo generoso tentativo fu presto fermato dai poteri forti dell’industria e dell’agricoltura che favorirono l’avvento del fascismo per essere protetti dalla minaccia dei “rossi”. E dopo l’esilio fisico di ben 22 anni, don Sturzo dovette poi subire l’amarezza di venire esiliato anche culturalmente dagli “amici” democristiani, che criticavano la sua battaglia contro l’apertura a sinistra condotta al Senato e sulla stampa. Egli era convinto che, se il compromesso storico fosse stato concluso, sarebbe poi stato difficile realizzare un programma di governo ispirato da “quella ricchezza di forza meravigliosa” e nel pieno rispetto della moralità pubblica. Purtroppo ha avuto ragione. Ma non si può dire che la sua battaglia sia stata persa. Hanno certamente perso i suoi avversari degli anni ’20 e i suoi “amici” degli anni ’50. Il popolarismo è ancora attuale ed è da molti giudicato come il più valido antidoto al populismo. Inoltre riveste sempre una grande importanza la preziosa funzione pedagogica della buona politica, così come era concepita dal grande sacerdote e statista di Caltagirone. Egli credeva in una specie di processo di causa- effetto: la politica è utile se è buona ed è tale se è sostenuta dalla buona cultura. Questa si acquisisce attraverso lo studio del vero e del bene, studio a cui il Cristianesimo ha dato un decisivo contributo (purtroppo molti politici cristiani non lo hanno mai capito). La buona cultura è importante, perché esiste ed è spesso dominante la cattiva cultura, che si potrebbe definire – per chi è in buona fede – come lo studio di ciò che si ritiene vero, ma è invece falso o come lo studio di ciò che si reputa un bene, ma è invece un male.

Poiché gli esseri umani hanno ricevuto da Dio il grande dono della libertà e del connesso libero arbitrio, sono liberi di seguire il bene e di seguire il male, di fare cose giuste e di commettere errori. Come dire che la libertà può essere usata bene, cioè in modo responsabile, razionale, morale. E può essere usata male, cioè in modo irresponsabile, irrazionale e immorale. Quasi sempre il male e gli errori vengono fatti per mancanza di buona cultura o per abbondanza di cattiva cultura.

Ne consegue che per don Sturzo una delle più importanti forme di istruzione era l’educazione al buon uso della libertà, compito da svolgere ovunque: nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e persino nello svago. Ebbene per lui l’uso responsabile della libertà dipendeva in gran parte dal prevalere della buona cultura sulla cattiva cultura. Tutta la sua vita è stata un insegnamento e una testimonianza di buona cultura, perché alla base egli possedeva il tesoro di “quella ricchezza di forza meravigliosa”. L’augurio è che nell’anno del Centenario ciò venga capito e finalmente recepito dalla politica italiana.

Il Programma del 1919, un programma per l’oggi

Articolo già apparso su Rinascita Popolare

Insieme all’Appello “ai liberi e forti” il 18 gennaio 1919 venne divulgato il Programma del Partito popolare italiano. Lo pubblichiamo come utile strumento di conoscenza e analisi storica. Ne possiamo apprezzare l’incisività e la concretezza.

Anche qui abbiniamo al documento storico un programma calato nella realtà odierna, scritto dai nostri Carlo Baviera, Giuseppe Davicino e Alessandro Risso.

Certo, i contesti storico, sociale ed economico sono radicalmente diversi e difatti molte proposte di allora hanno perso di significato. Ma gli autori, che si muovonoi nel solco della stessa tradizione culturale cattolico democratica, hanno cercato di mantenere la stessa sensibilità e lo stesso stile,  privilegiando la sintesi, con lo stesso numero di punti, dodici. Ma soprattutto sono stati conservati e attualizzati, i temi affini nei due documenti, Sarà interessante confrontarli, convinti che i valori del Popolarismo possono ancora essere molto utili a orientare le scelte del presente.

 

Il programma del 1919

I – Integrità della famiglia. Difesa di essa contro tutte le forme di dissoluzione e di corrompimento. Tutela della moralità pubblica, assistenza e protezione dell’infanzia, ricerca della paternità.

II – Libertà di insegnamento in ogni grado. Riforma e cultura popolare, diffusione dell’istruzione professionale.

III – Riconoscimento giuridico e libertà dell’organizzazione di classe nell’unità sindacale, rappresentanza di classe senza esclusione di parte negli organi pubblici del lavoro presso il comune, la provincia e lo Stato.

IV – Legislazione sociale nazionale ed internazionale che garantisca il pieno diritto al lavoro e ne regoli la durata, la mercede e l’igiene. Sviluppo del probivirato e dell’arbitrato per i conflitti anche collettivi del lavoro industriale e agricolo. Sviluppo della cooperazione. Assicurazioni per la malattia, per la vecchiaia e invalidità e per la disoccupazione. Incremento e difesa della piccola proprietà rurale e costituzionale del bene di famiglia.

V – Organizzazione di tutte le capacità produttive della nazione con l’utilizzazione delle forze idroelettriche e minerarie, con l’industrializzazione dei servizi generali e locali. Sviluppo dell’agricoltura, colonizzazione interna del latifondo a coltura estensiva. Regolamento dei corsi d’acqua. Bonifica e sistemazione dei bacini montani. Viabilità agraria. Incremento della marina mercantile. Risoluzione nazionale del problema del mezzogiorno e di quello delle terre riconquistate e delle province redente.

VI – Libertà ed autonomia degli enti pubblici locali. Riconoscimento delle funzioni proprie del comune, della provincia e della regione, in relazione alle tradizioni della nazione e alle necessità di sviluppo della vita locale. Riforma della burocrazia. Largo decentramento amministrativo ottenuto anche a mezzo della collaborazione degli organismi industriali, agricoli e commerciali del capitale e del lavoro.

VII – Riorganizzazione della beneficenza e dell’assistenza pubblica verso forme di previdenza sociale. Rispetto della libertà delle iniziative e delle istituzioni private e di beneficenza e di assistenza. Provvedimenti generali per intensificare la lotta contro la tubercolosi e la malaria. Sviluppo e miglioramento dell’assistenza alle famiglie colpite dalla guerra, orfani, vedove e mutilati.

VIII – Libertà ed indipendenza della Chiesa nella piena esplicazione del suo magistero spirituale. Libertà e sviluppo della coscienza cristiana, considerata come fondamento e presidio della vita della nazione, delle libertà popolari e delle ascendenti conquiste della civiltà nel mondo.

IX – Riforma tributaria generale e locale, sulla base dell’imposta progressiva globale con l’esenzione delle quote minime.

X – Riforma elettorale politica con il collegio plurinominale a larga base con rappresentanza proporzionale. Voto femminile. Senato elettivo con prevalente rappresentanza dei corpi della nazione (corpi accademici, comune, provincia, classi organizzate).

XI – Difesa nazionale. Tutela e messa in valore della emigrazione italiana. Sfere di influenza per lo sviluppo commerciale del paese. Politica coloniale in rapporto agli interessi della nazione e ispirata ad un programma di progressivo incivilimento.

XII – Società delle nazioni con i corollari derivanti da una organizzazione giuridica della vita internazionale: arbitrato, abolizione dei trattati segreti e della coscrizione obbligatoria, disarmo universale.

Un programma per l’oggi

I – Difesa e valorizzazione della Costituzione Italiana e dei valori irrinunciabili in essa enunciati; applicazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dei trattati internazionali per il disarmo e della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Sostegno per il rinnovamento dell’ONU, in un quadro di rafforzamento dei suoi poteri per la difesa della pace, della convivenza fra i popoli, dello sviluppo sociale, civile ed economico di ogni nazione.

II – Costituzione della Comunità Europea federale, con ampie autonomie per i territori regionali e le forme nazionali che la compongono; Governo federale eletto direttamente e Parlamento con poteri legislativi; Costituzione Europea fondata sul rispetto della dignità di ogni persona, delle comunità locali e delle articolazioni sociali, culturali e religiose. Tutela del diritto di emigrazione e immigrazione.

III – Riforme che pongano la famiglia, e non il singolo individuo, al centro delle politiche sociali ed economiche, in linea con le più avanzate esperienze europee; sostegno alla maternità; insegnamento libero e pubblico, rispettoso della libertà educativa delle famiglie; difesa della parità di genere e realizzazione concreta delle pari opportunità.

IV – Riconoscimento europeo della società civile e dei corpi intermedi; sviluppo dell’associazionismo, del Terzo Settore, della cooperazione economica, sociale, civile, del volontariato organizzato; aumento degli spazi di partecipazione e della democrazia deliberativa. Assistenza, previdenza sociale, sanità, scuola, università, formazione professionale, politiche attive per il lavoro, comunque gestite e organizzate, che siano garantite a tutti, all’interno della fiscalità generale. Investimenti rilevanti nell’istruzione e nella ricerca, unici strumenti per mantenere posizioni di rilievo nell’economia globalizzata.

V – Fronteggiare il riscaldamento del pianeta e l’inquinamento di falde, acqua, e aria; valorizzare e difendere l’ambiente, il paesaggio e tutti i beni comuni, nell’ambito di una politica energetica che abbandoni il “fossile” e passi alle “rinnovabili”, e che estenda a tutto il territorio italiano il recupero, il riciclo e il riutilizzo dei rifiuti.

VI – Piena attuazione del Titolo V della Costituzione sul sistema delle Autonomie locali, con riconoscimento delle funzioni proprie del Comune, della Provincia o Città Metropolitana e della Regione. Riforma della dirigenza pubblica e radicale semplificazione delle procedure burocratiche.

VII – Garantire a tutti opportunità di lavoro (imprenditoriale, intellettuale, manuale) attraverso la miglior organizzazione delle politiche attive per il lavoro e della formazione professionale. Equilibrare e semplificare, a livello europeo, legislazioni del lavoro, delle imposte, dei controlli; fissare una paga minima oraria inderogabile e redistribuire il lavoro sul maggior numero possibile di persone. Riconoscere le organizzazioni sindacali e di categoria per ogni forma di lavoro e per chi è momentaneamente in attesa di occupazione, con compartecipazione sindacale alla gestione sul modello tedesco.

VIII – Riforma della previdenza sociale all’insegna dell’eguaglianza tra persone e generazioni. Riconoscimento del valore pubblico dei lavori di cura svolti in ambito familiare, tramite interventi sulla legislazione del lavoro e sulle politiche fiscali e di bilancio.

IX – Riforma tributaria generale e locale, con trasferimento di tassazione dal lavoro alle rendite, mantenendo la progressività dell’imposta con l’esenzione delle quote minime. Responsabilità fiscale degli Enti locali a finanziamento degli ambiti di loro competenza. Trasferimento della competenza catastale ai Comuni. Perseguire l’armonizzazione delle norme fiscali europee. Lotta a evasione ed elusione fiscale, come elemento necessario di equità sociale e di minore esborso per i contribuenti onesti.

X – Riforma elettorale che garantisca al cittadino la libera scelta della lista e delle persone, con rappresentanza proporzionale per ribadire il valore del dialogo tra partiti, del confronto programmatico, della conciliazione di interessi per un governo orientato al bene comune. Attuazione dell’art. 49 della Costituzione sullo status giuridico dei partiti.

XI – Una giustizia che garantisca tempi brevi di giudizio, anche attraverso le applicazioni informatiche, e la certezza della pena, e che si preoccupi sempre del recupero del condannato; che semplifichi la legislazione esistente con uno sforzo per la realizzazione di testi unici, ed equipari le normative europee attuali.

XII – Servizio Civile, su base nazionale, come elemento di formazione civica e solidale, che deve essere perseguita da ogni grado di istruzione, collegato agli Enti di volontariato e protezione civile; un efficiente servizio di Polizia e tutela dell’ordine pubblico e un Esercito coordinati a livello europeo.

Roma: “Valorizzare la nostra diversità attraverso l’interculturalità”

Valorizzare la nostra diversità attraverso l’interculturalità”. Sarà questo il tema del primo corso di formazione formatrici dell’”Interculturalità nella vita religiosa”, che si svolgerà dal 21 gennaio al 1 febbraio di quest’anno presso il nuovo Centro di formazione della Uisg (Unione internazionale delle superiore generali) a Roma.

Al corso parteciperanno 180 religiose appartenenti a 46 Congregazioni diverse, provenienti da più di 50 Paesi del mondo: con una prevalenza di Africa e Asia (23% per ciascuno continente), a seguire Europa e America del Sud (21% e 20% rispettivamente); il 10% dall’America del Nord e il 3% dall’Oceania.

Questa iniziativa, spiega la segretaria dell’Uisg, sr. Patricia Murray, mira a formare quattro religiose per ogni Congregazione che “a loro volta potranno formare altre nella propria Congregazione, nel paese dove sono in missione ed essere al servizio della Chiesa. L’interculturalità è una sfida grande per la vita religiosa. Compito della Uisg – aggiunge la religiosa – è sostenere con la formazione le Congregazioni e attivare dei processi di formazione continua nelle diverse parti del mondo”.

Sos Fattoria Italia, addio a 1,7 milioni di animali

Addio alla vecchia fattoria in Italia dove sono scomparsi 1,7 milioni tra mucche, maiali, pecore e capre negli ultimi dieci anni. E’ la Coldiretti a lanciare l’allarme in occasione di Sant’Antonio Abate, il Patrono degli animali, in Piazza San Pietro a Roma dove per l’occasione sono arrivate mucche, asini, pecore, capre, galline e conigli delle razze più rare e curiose salvate dal rischio di estinzione. Una tradizione popolare – spiega Coldiretti – che il 17 gennaio vede in tutta Italia parrocchie di campagne e città prese d’assalto per la benedizione dalla variegata moltitudine di esemplari presenti sul territorio nazionale. Stalle, ricoveri e ovili si sono svuotati dal 2008 con la Fattoria Italia che ha perso – sottolinea la Coldiretti – solo tra gli animali più grandi, circa un milione di pecore, agnelli e capre, oltre a 600mila maiali e più di 100mila bovini e bufale.

Un addio che – precisa la Coldiretti – ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori. A rischio – denuncia la Coldiretti – anche la straordinaria biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini.

Un patrimonio composto da veri e propri tesori della natura e della storia arrivati per l’occasione a San Pietro come l’Asino Amiatino, originario della provincia di Grosseto, in Toscana, dove è conosciuto con l’appellativo di “Miccio”; che per le sue caratteristiche è molto adatto ad essere utilizzato in zone impervie e marginali, o come la Chianina, la più “maestosa” tra le razze bovine italiane. Ma anche – spiega la Coldiretti – il cavallo maremmano dalla storia antichissima, presente nel litorale tirrenico della bassa Toscana già dal tempo degli Etruschi, tipico dei butteri, assieme al Pentro, cavallo della provincia di Isernia, in Molise, particolarmente resistente alle avversità climatiche e frugale, per questo adattato in un territorio che in inverno vede temperature molto basse e neve. Arrivata con le invasioni barbariche invece la Marchigiana diffusa in centro Italia, mentre tipico del Nord – continua Coldiretti – è il cavallo Haflinger altotesino dalla folta e setosa criniera di colore chiaro e dal carattere docile, adatto a essere utilizzato per terapie assistite con animali, ad esempio riabilitazione di persone con disabilità fisiche o psicomotorie. In piazza San Pietro – spiega Coldiretti –anche il maiale nero casertano “calvo”, detto anche di razza “pelatella” perché senza peli, che ha avuto la sua massima diffusione alla fine dell’800 per poi essere riscoperto in tempi recenti con allevamenti allo stato brado o semibrado. Oppure la pecora sopravissana, diffusa nel Centro Italia. E’ nota soprattutto per la lana di ottima qualità, oltre che per la sua versatilità. E non si possono dimenticare le galline come la Ancona con le sue tipiche penne a pois bianchi per mimetizzarsi meglio nell’ambiente sfuggendo a predatori e anche alla conta dei latifondisti che ne pretendevano una parte dai contadini.

Gli animali custoditi negli allevamenti italiani – sottolinea la Coldiretti – rappresentano un tesoro unico al mondo che va tutelato e protetto anche perché a rischio non c’è solo la biodiversità delle preziose razze italiane, ma anche il presidio di un territorio dove la manutenzione è garantita proprio dall’attività di allevamento, con il lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali. L’allevamento italiano – continua Coldiretti – è poi un importante comparto economico che vale 17,3 miliardi di euro e rappresenta il 35 per cento dell’intera agricoltura nazionale, con un impatto rilevante anche dal punto di vista occupazionale dove sono circa 800mila le persone al lavoro. “Per questo quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni”, ricorda il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

Facebook rischia multa record per violazione privacy

Secondo il “Washington Post” Facebook rischia una vera e propria stangata da parte delle autorità di vigilanza statunitensi per violazione della legge sulla privacy che protegge i dati personali.

Potrebbe arrivare una multa record che supererebbe quella di 22,5 miliardi di dollari inflitta nel 2012 dalla Us Federal Trade Commission a Google.

Per il social media di Mark Zuckerberg sarebbe la prima sanzione dallo scandalo di Cambridge Analytica che coinvolse le informazioni riservate di circa 87 milioni di utenti.

 

Maturità 2019: la seconda prova multidisciplinare nelle diverse scuole

 

  • Liceo classico, materie seconda prova 2019: latino e greco
    Materie commissari esterni: lingua e cultura straniera e matematica e lingua letteratura italiana
  • Liceo scientifico, materie seconda prova: matematica e fisica
    Materie commissari esterni: italiano, lingua straniera e scienze naturali
  • Liceo scienze umane: scienze umane, diritto ed economia
    Commissari esterni: italiano, lingua straniera e matematica
  • Liceo linguistico: lingua straniera 1 e 3
    Commissari esterni: italiano, lingua straniera 2 e fisica
  • Liceo Musicale: teoria analisi e composizione
    Commissari esterni: italiano, lingua straniera e fisica
  • Liceo Coreutico: tecniche della danza
    Commissari esterni: italiano, lingua straniera e fisica
  • Liceo Artistico: seconda prova diversa a seconda degli indirizzi
    Commissari esterni: italiano, lingua straniera e storia dell’arte
  • Amministrazione Finanza e Marketing AFM, materia seconda prova : economia aziendale
    Materie commissari esterni: lingua italiana, inglese e diritto
  • Relazioni internazionali per il marketing: economia aziendale e inglese
    Materie commissari esterni: italiano, seconda lingua e diritto
  • Costruzioni ambiente e territorio: progettazione, costruzioni e impianti e geopedologia economia ed estimo
    Materie commissari esterni: lingua inglese e topografia
  • Meccanica, meccatronica, energia: disegno ,progettazione e organizzazione industriale – meccanica, macchine ed energia
    Materie commissari esterni: italiano, inglese e sistemi
  • Informatica e telecomunicazioni: informatica e sistemi e reti
    Materie commissari esterni: italiano, inglese, tecnologie e progett. sistemi informatici telecomunicazioni
  • Grafica e comunicazione: progettazione multimediale e laboratori tecnici
    Materie commissari esterni: italiano, inglese e processi di produzione
  • Agrario: produzioni vegetali e trasformazione dei prodotti
    Materie commissari esterni: italiano, inglese, economia estimo marketing e legislazione
  • Turistico: discipline truistiche e aziendali, lingua inglese
    Materie commissari esterni: discipline turistiche e aziendali e inglese
  • Trasporti e logistica: struttura, costruzione sistemi
    Materie commissari esterni: italiano, inglese e meccanica
  • Sistema moda: ideazione e progettazione
    Materie commissari esterni: italiano, inglese ed economia e marketing
  • Elettronica ed elettrotecnica: elettrotecnica ed elettronica e sistemi automatici
    Materie commissari esterni: italiano, inglese, tecnologie e progett. sistemi elettrici
  • Servizi enogastronomia e ospitalità alberghiera, materia seconda prova:  scienza e cultura alimentazione e laboratorio servizi enogastronomici
    Materie commissari esterni: italiano, inglese e diritto tecn. amm. della struttura ricettiva
  • Accoglienza turistica, seconda prova: laboratorio di servizi di accolgienza turistica, diritto e tecn. amministrative della struttura ricettiva
    Commissari esterni: italiano, inglese e scienza e cultura dell’alimentazione
  • Professionale Agricoltura: economia agraria e valorizzazione attività produttive legislazione di settore
    Materie affidate ai commissari esterni: italiano, inglese e agronomia
  • Servizi commerciali: tecniche professionali dei servizi commerciali
    Esterne: italiano, inglese e diritto ed economia
  • Produzioni industriali e artigianali: tecniche di produzione e organizzazione
    Materie affidate ai commissari esterni: italiano, inglese e tecnologie applicate
  • Manutenzione e assistenza tecnica: tecnologie tecniche installazione e manutenzione
    Materie affidate ai commissari esterni: italiano, inglese e tecnologie elettrico-elettroniche
  • Servizi socio sanitari: igiene e cultura medico sanitaria e psicologia generale e applicata
    Commissari esterni: italiano, inglese e legislazione socio-sanitaria

 

Nel corpo umano almeno 5.000 specie di batteri

Aggiornato il catalogo dei batteri del corpo umano: dalle circa 1.500 specie finora note ora ne comprende quasi 5.000 specie e molte di queste, circa il 77%, erano finora sconosciute; altre ancora, alcune centinaia, sono distribuite in modo diverso nelle popolazioni, a seconda del grado di industrializzazione. La ricerca, pubblicata sulla rivista Cell, è guidata dall’Italia, con il gruppo di bioinformatica dell’Università di Trento coordinato da Nicola Segata ed Edoardo Pasolli.

Unendo alle tradizionali indagini genetiche e microbiologiche le analisi basate su grandi quantità di dati (big data), i ricercatori italiani hanno studiato quasi 10.000 campioni di batteri prelevati in tutti i continenti, ricavati in gran parte da banche dati pubbliche. Su questa base hanno catalogato oltre 150.000 genomi batterici. Hanno così scoperto che nelle popolazioni non occidentali, come quelle africane e sud america.

La ragione, secondo gli autori, potrebbe essere legata ai diversi stili di vita, come la differente dieta e il diverso utilizzo di antibiotici. Il prossimo passo sarà capire il possibile collegamento tra questi batteri e l’aumento di malattie croniche, come patologie autoimmuni, obesità, diabete e malattie oncologiche. Lo studio riguarda l’analisi del cosiddetto microbioma umano, l’insieme di microrganismi che popola l’organismo e che, secondo le ultime ricerche, è fondamentale per la salute umana. In particolar modo, i batteri che abitano l’intestino, che agiscono come una centrale biochimica per il corpo, fornendo molecole cruciali non disponibili nella dieta e rafforzando le difese immunitarie, agendo ad esempio da barriera nei confronti di microrganismi portatori di malattie.

Cattolici popolari, parte la Rete dei “liberi e forti”

Rete Bianca, il movimento politico e culturale nato per favorire la ricomposizione della frantumata presenza politica dei cattolici democratici e popolari, promuove la formazione della rete dei ‘liberi e forti’ organizzando e raccordando associazioni, movimenti, comitati e circoli in tutto il paese.

Una presenza politica e culturale e non partitica, aperta, inclusiva, laica e finalizzata a rilanciare un rinnovato protagonismo dei cattolici popolari in un contesto storico e politico confuso e, per certi aspetti, delicato per le stesse sorti della democrazia italiana.

Una proposta che si inserisce nelle molteplici iniziative disseminate in tutto il paese per ricordare, rileggere e riattualizzare lo storico “appello ai liberi e forti” e la costituzione del Partito Popolare Italiano di Luigi Sturzo fondato nel gennaio del 1919.

Uno strumento, appunto, politico e culturale che Rete Bianca mette in campo con l’obiettivo, da un lato, di non disperdere un patrimonio ideale che continua ad essere attuale e moderno e, dall’altro, di gettare le premesse per un rinnovato impegno, laico ed autonomo, dei cattolici italiani nella società contemporanea. Una società dominata da simboli, parole d’ordine e metodi che rischiano, se non arginati, di travolgere gli stessi capisaldi di una politica democratica e costituzionale. E che richiede, oggi più che mai, una forte, coerente e convinta opposizione all’attuale equilibrio politico. E la cultura popolare e cattolico democratica può, al riguardo, svolgere un ruolo decisivo e determinante.

E, sotto questo versante, l’apporto del popolarismo di ispirazione cristiana attraverso la rete dei ‘liberi e forti’ può dare un contributo decisivo alla intera politica italiana.

Non per il bene dei cattolici ma per la salute e la qualità della democrazia.