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domenica, 18 Maggio, 2025
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La Maestra è sempre la Storia

I simboli hanno sempre una ricchezza elevatissima di contenuti non solo per chi li ha proposti ma anche per chi poi vi si ispira o li mette a principio della propria cultura.

Inizio così perché non ci sarà alcun lettore che non riconosca nel simbolo della creazione di Roma la lupa che allatta i due bambini.In questo simbolo c’è ciò che in natura risulta vivere un tragico contrasto: la lupa, il lupo, il carnivoro più feroce, che solitamente è affamato e che deve badare alla propria vita, nutrendosi; qui in questa immagine mostra quanto contrasti la sua natura e offre invece, ai neonati il proprio latte.

Potentissimo simbolo.

Roma, quindi l’Italia nella sua origine ha posto questo quadro. Non possiamo che esaminarlo perché fa parte della nostra cultura e perché ancor oggi ci racconta tante cose. La legge in natura, aiutare chi è più debole, in questa origine della Roma antica, illumina con forza un gesto “Divino”.

Non è ancor oggi valido? Cos’è l’Italia oggi, in questo istante, se non la lupa? Cosa sono i bambini dentro quella nave? Non sono fors’anche anch’essi dei Romolo e Remo? Non dobbiamo noi, oggi, rispondere alla nostra antica e saggia simbologia di Roma?

Ecco, queste brevi domande, semplici, che fanno riandare i nostri occhi, agli occhi dei ragazzi che studiano alle elementari il nostro cammino storico, tutto per poter ispirare la nostra odierna volontà anche ai costumi che ci hanno lontanamente preceduto e che dovremmo onorare per quanto essi ci hanno dato e ci hanno consegnato.

E, come state leggendo, non ho nemmeno aperto un libro di seicento anni dopo: il Vangelo. Perché, l’avessi fatto, innalzerei ulteriormente un grido di dolore, ma sempre improntato sulla speranza che non fossero mai dimenticati due mila anni di storia. Sono risalito invece a due mila e seicento anni fa, quindi allo zampillare della nostra origine, dove la simbologia, pur essendo meno raffinata, parla in modo illuminante.

Oggi solo la Chiesa e il Sindaco di Siracusa danno ragione a tutta la nostra etica. La cosa più amara è constatare che anche coloro i quali vanno dicendo di aiutare i più poveri, oggi sono inclini a girare le spalle a quelli più deboli.

La storia serve sempre per riflettere su che cosa fare degli eventi che capitano al presente.

Il Papa alla Messa conclusiva della GMG: giovani non è sinonimo di “sala d’attesa”

E’ una chiamata ad essere protagonisti della propria vita e ad impegnarsi per gli altri, a cominciare dalla propria comunità ecclesiale, quella che Papa Francesco rivolge alle centinaia di migliaia di giovani che hanno passato la notte al Metro Park di Panama.

Ma con una precisazione: la chiamata Dio la rivolge nell’oggi ed è adesso che attende la risposta. Il Papa commenta il brano evangelico di Luca del giorno dove si racconta di Gesù che, entrato nella Sinagoga, proclama davanti a tutti: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

Ai giovani raccomanda l’ascolto reciproco tra le generazioni per imparare gli uni dagli altri, in uno spazio comune in cui anche i giovani, però, possono darsi da fare.  “Nessuno ti può promettere neanche un giorno del domani – insiste il Papa – la tua vita è quella di oggi. Tu devi metterti in gioco oggi, il tuo spazio è di oggi. Come stai rispondendo a questo?” E ripete: “Voi, cari giovani, non siete il futuro, ma l’adesso di Dio”. Non domani ma adesso, “sentite di avere una missione e innamoratevene”. L’amore che Gesù ci insegna “è amore concreto, vicino, reale”.

La Rai pagherà oltre 30mila euro a Grillo per lo show

A quanto apprende l’Adnkronos, lo spettacolo ‘C’è Grillo’, in onda questa sera su Rai2, costerebbe alla Rai oltre 30mila euro. Si tratta dei diritti che viale Mazzini dovrebbe corrispondere alla ‘Marangoni spettacoli’, ovvero all’agente storico di Beppe Grillo, per l’uso di vecchi filmati del comico genovese.

Nei giorni scorsi c’è stata polemica politica per la decisione della seconda rete Rai di dedicare una puntata a colui che, oltre al passato e al presente da showman, veste anche i panni di fondatore del M5S. Tanto che, viene spiegato, i vertici Rai stanno ragionando in queste ore sull’opportunità del compenso per i diritti, considerato che Grillo è il ‘padre’ del partito di maggioranza del governo giallo verde.

 

La tendenza a ingrassare è scritta nei geni

Cosa differenzia chi mangia di tutto senza ingrassare dalle persone che mettono su peso con grande facilità? Una ricerca condotta dall’Università di Cambridge e recentemente pubblicata sulla rivista scientifica Plos Genetics, ha dimostrato che questa diversità dipende in buona misura dai geni. Per giungere a questa conclusione, gli studiosi hanno confrontato il Dna di circa 14.000 persone: 1.662 che in passato hanno partecipato allo studio Stilts (Study into lean and thin subjects) sulla magrezza, 1.985 gravemente obese e altre 10.433 normopeso, coinvolte come gruppo di controllo. I risultati ottenuti hanno permesso agli esperti di comprendere che le persone che mangiano senza ingrassare presentano meno varianti genetiche che incrementano le probabilità di un individuo di essere sovrappeso. Inoltre, sono state individuate delle nuove regioni genetiche coinvolte nell’obesità grave e nella magrezza sana.

“Questa ricerca mostra per la prima volta che le persone sane e magre sono generalmente così perché hanno un carico inferiore di geni che aumentano le probabilità di sovrappeso e non perché siano moralmente superiori”, afferma Sadaf Farooqi, l’autrice principale dello studio. “È facile affrettarsi a giudicare le persone per il peso, ma la scienza dimostra che le cose sono più complesse: abbiamo molto meno controllo sul peso di quanto potremmo speranzosamente pensare”. Farooqi conclude spiegando che individuare i geni che impediscono di ingrassare potrebbe essere possibile elaborare delle nuove strategie per aiutare chi ha problemi di peso.

27 gennaio 2019: il “Giorno della Memoria” per non dimenticare!

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario,” in questa frase di Primo Levi, scrittore, partigiano, chimico e poeta, (morto nel 1987, a Torino a 67 anni) è racchiusa la filosofia della memoria e del ricordo, perché con lo scorrere degli anni e del tempo, si fa sempre più forte che il rischio e la rimozione inghiottiscano le grandi tragedie del Novecento, di cui la Shoah è certamente il simbolo.

Quando pensiamo all’efferatezza di un gesto, alla razionalità cinica applicata alla morte, all’impiego della tecnica come sistema di devastazione umana ci viene in mente, davanti a ogni altro fatto, l’Olocausto degli ebrei e di tutti quegli uomini, di diverse nazionalità, (rom e sinti, omosessuali, malati di mente, portatori di handicap, oppositori politici) che vennero ritenuti indesiderati e indesiderabili dalla follia nazista.

In un bellissimo libro “Se questo è un uomo” di Primo Levi, scritto tra il dicembre 1945 e il gennaio 1947, considerato un classico della letteratura mondiale, racconta attraverso un romanzo di vita vissuta, in prima persona, la testimonianza e le esperienze drammatiche, nel periodo in cui fu deportato in Polonia, nella Seconda Guerra Mondiale nei lager di Auschwitz (nome tedesco della città polacca).

La vicenda – che Levi descrive – inizia dall’arresto avvenuto la notte del 13 dicembre 1943, fino al momento della liberazione, dal Lager di Buna Monowitz nei pressi di Auschwitz, la mattina del 27 gennaio 1945.

“ Non è più un uomo,” chi si riduce e viene ridotto allo stato di bestia per sopravvivere, oppure chi ha messo in moto un perverso meccanismo di sistematica distruzione e morte, e chi ha obbedito per vigliaccheria o fanatico zelo, e chi sapeva e ha fatto finta di non sapere, chi sospettava ma ha girato lo sguardo per non vedere, chi ora conosce la verità e continua a negarla. Adesso questo peccato, il non essere stati uomini pesa su tutta l’umanità, e l’unico modo di espiare e continuare a ricordare, perché tutto ciò non abbia a ripetersi. Questo, in sostanza, il messaggio che veicola il libro.

Il “ Giorno della Memoria” è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno, dell’ ONU, nei paesi europei e dal 2000 anche nel nostro Paese, la legge italiana la definisce così:

“La Repubblica Italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria,” al fine di ricordare la Shoah ( catastrofe, distruzione,       sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.”

In Italia questa ricorrenza, che viene celebrata con molte attività pubbliche, promosse dalla Presidenza della Repubblica, dalle Regioni, dalle Provincie e dai Comuni, da significative iniziative dei Ministeri, come quelli per i “Beni e le Attività Culturali” e della “Pubblica Istruzione,” perché indica, a tutta la comunità nazionale, l’importanza dei valori in cui si riconosce lo Stato democratico attraverso la nostra Costituzione.      

In particolare nel mondo della scuola dove insegnanti, genitori e soprattutto studenti, studiano e approfondiscono la conoscenza del senso di cittadinanza, prendendo maggior coscienza dei valori della libertà, della pace, della non violenza e dell’amicizia tra i popoli e le culture.

In questi ultimi anni sono aumentati le iniziative come il “Viaggio della Memoria,” a Auschwitz, nell’ambito del Protocollo d’intesa siglato tra Ministero dell’Istruzione e Unione delle comunità ebraiche, promosse dalle Regioni e dai Comuni ( a Roma e nel Lazio i “ Treni della Memoria” vengono organizzati da oltre 15 anni) per gli studenti delle scuole superiori.  

Queste iniziative vengono valutate, dal Ministro della Pubblica Istruzione, come “ esperienze importanti del modello formativo della nostra scuola e questo  aiuterà a crescere e a far diventare cittadini migliori gli attuali studenti; questo è quello che deve fare la nostra scuola, anche nei prossimi anni.”

L’aiuto dei media, in particolare televisione e quotidiani, oltre alle testimonianze e alle conferenze, per ricordare questa ricorrenza è notevole, perché nella nostra Europa, i paesi hanno adottato  carte costituzionali democratiche e rispettose dei diritti fondamentali, anche se alcune frange estreme e minoranze xenofobe tentano periodicamente, in diversi paesi, di far prevalere teorie e comportamenti di tipo razzista, ma le società e la pubblica opinione reagiscono in maniera forte e consapevole, contrastando questi fenomeni pericolosi per l’umanità e convivenza civile.

I crimini contro l’umanità commessi dai regimi dittatoriali, al potere nel secolo scorso, sono portati come esempi di degenerazione politica e morale.

Ecco perché visitare il campo di concentramento di Auschwith, luogo simbolo della Shoah, e gli altri luoghi di detenzione, significa mantenere vivo un insegnamento attuale che non si può dimenticare, così come accadde al senatore americano Alben W. Barkley, membro del Comitato del Congresso degli Stati Uniti, una personalità politica della statura di Roosevelt e Truman, in ricognizione nel lager di Buchenwald, il 24 aprile 1945, ripete quel grido di dolore e di speranza:

“Mai più,” che fu lanciato dopo l’apertura dei cancelli di Auschwitz.

Due visite significative, nel corso degli anni trascorsi, hanno caratterizzato ciò che resta di quel luogo, ( che dal 1979, è patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, ed è visitabile dal pubblico), le visite di due Papi: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ed hanno assunto valori simbolici profondi.

La prima, circa quaranta anni fa, il 7 giugno 1979, Papa Wojtyla, figlio del popolo polacco, disse: “ Vengo qui oggi come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui. Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro dello sterminio e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Birkenau. Non potevo non venire come Papa. Sono sei milioni i polacchi, che hanno perso la vita durante la seconda guerra mondiale: la quinta parte della nazione. Non lo dico per accusare, ma per ricordare.”

La seconda, quasi tredici anni fa, il 28 maggio 2006, Papa Ratzinger, durante la visita disse: “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un papa che proviene dalla Germania.

In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio, un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?” E ripetendo le parole di Giovanni Paolo II: “ Non potevo non venire.”

Continuando con emozione: “ Era un dovere di fronte alla verità. Io, figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali, raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di recupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell’intimidazione, cosicchè il nostro popolo pote essere usato ed abusato, come strumento della loro smania di distruzione e di dominio.”

A distanza di settantaquattro anni, quando l’Esercito russo arrivò ad Auschwitz, all’alba del 27 gennaio, è possibile fare un bilancio delle persone morte in quel sito dell’orrore e del terrore?

Un bilancio preciso delle persone morte non esiste, alcune valutazioni parlano di quattro milioni di vittime, ma una ricostruzione storica sull’insediamento  di Birkenau, nel complesso del campo di concentramento di Auschwitz, certifica che persero la vita oltre un milione e cinquecentomila persone, uccise in gran parte nelle camere a gas e i cadaveri venivano distrutti in quattro grandi crematori, ( questa è una stima minimale), che operavano ininterrottamente giorno e notte, spesso non riuscivano a smaltire le eccedenze di cadaveri, nonostante le notevoli capacità distruttive delle installazioni di sterminio. Una valutazione complessiva delle vittime  dell’Olocausto, da parte dei nazisti e dei loro alleati, dal 1933 alla metà degli anni Quaranta, è di circa quindici milioni di persone, secondo le ricerche e le valutazioni del U. S. Holocaust Memorial Museum di Washington.

Esistono, in memoria di cittadini deportati in campi di sterminio nazisti, le “Pietre d’inciampo,” una iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig, presente in diciannove paesi europei, attualmente, al 2016, ne sono state installate oltre 56.000 “pietre.”

Concretamente, la memoria consiste in una piccola terga d’ottone della dimensione di un sampietrino, posta davanti alla porta della casa in cui abitò il deportato, sulla quale sono incisi il nome della persona deportata, l’anno di nascita, la data e il luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta, per ricordare chi si voleva ridurre soltanto a un numero. Un inciampo non fisico, dunque, ma visivo e mentale, per far fermare e riflettere chi vi passa vicino. Anche se la maggior parte delle “pietre d’inciampo” ricordano vittime ebree dell’Olocausto, alcune sono in memoria di persone, gruppi etnici e religiosi ritenuti “indesiderabili” dalla dottrina nazista.

Nel Giorno della Memoria del 2010, a Roma, la prima città in Italia, furono collocate le prime 30

pietre d’inciampo in sei Municipi, altre 54 nel 2011, in altri cinque Municipi. Nello scorso dicembre a Roma, nel Rione Monti, si è registrato un furto di venti “pietre”, suscitando preoccupazione per questo atto scellerato. Il nome in tedesco, delle pietre d’inciampo, è Stolpersteine.

Quest’anno, la Presidenza della Repubblica del nostro Paese ha ricordato la “Giornata della Memoria” il 24 gennaio, con una solenne cerimonia al Quirinale, alla presenza delle più alte cariche dello Stato. Nel discorso ufficiale, il Presidente Sergio Mattarella, tra l’altro ha rivolto un monito parlando della Shoah, e ha richiamato l’attenzione sui pericoli sempre presenti, come i simboli e i linguaggi di odio,  precisando: “Quel male alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, a distruggere, appena se ne ripresentino le condizioni.”

Ecco perché è importante, per tutti, ricordare la frase di Levi “ Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario,” aiuta ciascuno di noi a riflettere e a ragionare, sui crimini che hanno sconvolto l’umanità il secolo scorso.

Lavoro e famiglia per guardare al futuro. Parla monsignor Checchinato

Articolo già apparso su formiche.net a firma di Antonello Di Mario

Un dialogo col vescovo di San Severo su temi come il lavoro, la famiglia, i giovani, il futuro. Monsignor Giovanni Checchinato ha compiuto il cammino di formazione al sacerdozio nel Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, dove ha conseguito il Baccalaureato in Teologia. Ha proseguito gli studi per la specializzazione in Teologia Morale all’Accademia Alfonsiana a Roma. Si è iscritto come dottorando presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma ed ha frequentato un corso di perfezionamento in Bioetica presso l’Università La Sapienza di Roma. È stato ordinato sacerdote il 4 luglio 1981.

Il senso della prospettiva della persona tra diritto individuale e condivisione nella comunità. Su quali fondamenta poggia?

Parto da una riflessione che si sostanzia delle ricerche e delle scoperte della psicologia, a partire dagli studi di Sigmund Freud, che ci mostra la nostra esistenza come una realtà che riceve una dimensione essenziale dalla relazione interpersonale. Quando raggiungiamo la consapevolezza di noi stessi, del nostro essere appunto, ci rendiamo conto che non possiamo prescindere dalla storia che ci ha preceduto e che ci ha in qualche maniera “forgiato”; abbiamo così bisogno di accogliere quella rete di relazioni che ci hanno accompagnato, dal momento del nostro concepimento al qui e ora, farle diventare risorsa, se possibile, e comunque integrarle nel panorama della complessità del nostro essere. Questo punto di partenza che proviene dalle scienze psicologiche lo trovo pienamente illustrato nelle prime pagine del libro sacro per gli ebrei e i cristiani: la Bibbia. La lettura sapienziale che ci offre l’autore della Scrittura ci ricorda come l’uomo sia chiamato all’esistenza in una modalità “relazionale”: l’“in principio” della Genesi non ci fornisce un progetto realizzato da Dio e che si situa “cronologicamente parlando” alle nostre spalle, ma è il progetto verso il quale siamo chiamati con la nostra umanità, è l’ideale verso il quale tendere. L’ideale prospettato dalla Scrittura lega l’esistenza umana alla potenza creatrice di Dio. Questa potenza creatrice ricorda all’uomo che la sua storia è inscritta in una storia che lo precede: il taglio ombelicale ci ricorda infatti che il mondo esiste prima di noi. Questa Parola che chiama all’esistenza l’uomo è una Parola che lo limita: nel linguaggio sapienziale tipico di queste prime pagine della scrittura, si afferma che perché possa esistere l’essere, Dio procede a separazioni successive: “e Dio separò la luce dalle tenebre… e Dio separò le acque che sono sotto il firmamento da quelle che sono sopra il firmamento” (Gen 1, pass.). Questa separazione differenziazione culmina nella separazione dell’umano in maschio e femmina a immagine di Dio, un limite che rimane inscritto nel cuore dell’umano, come promessa di una relazione creatrice nell’amore. L’uomo non può essere creatore se non si accetta limitato, bisognoso dell’altro. Questo significa ancora che non esiste la mia vita senza la vita dell’altro: Significa il rifiuto della opposizione fra individuo e collettività: in questo senso l’espressione “non è bene che l’uomo sia solo” non indica solo la realtà che concerne il rapporto maschio femmina. Significa il riconoscimento degli altri in tutte le dimensioni della loro esistenza concreta perché non solo l’altro non può essere strumentalizzato, ma la verità è che solo l’altro può garantire la mia esistenza. “In effetti, solo quando so riconoscere il suo essere altro da me, l’altro è capace di offrirmi uno specchio attraverso il quale posso riconoscere la mia identità. Senza l’altro io non potrei che naufragare in una immagine fantasmatica di me stesso” (M. De Certeau). Secondo la Scrittura il non accogliere la differenza, l’alterità, rappresenta un regresso verso quel caos primordiale che l’atto creatore di Dio aveva respinto. L’impurità, secondo la Scrittura (come recitano i grandi libri della Torah) è la mescolanza di quello che deve restare separato, è il rifiuto delle differenze e il trionfo dell’indifferenziato: è cioè il disordine, il caos, che si oppone all’ordine della creazione. Visto da un punto di vista differente questo discorso, che rappresenta un ideale, ci ricorda che in verità facciamo fatica ad accettare il nostro essere “limitati”: ed è proprio l’esperienza della frustrazione di fronte al limite che può generare incomprensioni e talora conflitti. “Il bambino che incontra delle resistenze che gli delimitano uno spazio. L’adolescente che si scontra con una generazione già installata e che pretende di organizzare l’avvenire nelle strutture del passato. Primi scontri che precedono tutti quelli che saranno provocati dalla professione, dal matrimonio, dalle relazioni sociali. (…) Esistere significa sì ricevere dagli altri l’esistenza, ma significa anche, uscendo dall’indifferenziazione, provocarne le reazioni; vuol dire essere accettati e aderire a una società, ma anche prendere posizione nei suoi confronti e incontrare dinanzi a sé, come un volto illeggibile e ostile la presenza di altre libertà. Chi sfuggisse questo faccia a faccia, non per questo eviterebbe la paura, inseparabile da ogni scontro, ma rinuncerebbe ad essere, affermando al vento un diritto che sarebbe incapace di far riconoscere. Non si vive senza gli altri. Questo significa che non si vive senza lottare con loro.” (M de Certeau).

Il ruolo della famiglia come agente formativo e luogo di valori. Se ne avverte l’assenza?

Nella misura in cui cogliamo la dimensione “relazionale” dell’essere umano, capiamo quanto sia importante e insostituibile il ruolo della famiglia, nella quale si apprende per “modellamento” l’essenziale utile per la vita. All’interno di una famiglia si attivano relazioni diversificate, e sono le stesse situazioni contingenti che diventano aula scolastica permanente. Generalmente nelle famiglie sono i ritmi dei più piccoli a dare il tempo all’intera famiglia: nessuno pretende che un lattante possa adeguarsi agli orari del resto della famiglia! Non lo insegna nessuno: ma è la stessa struttura familiare che fa accogliere questa “misura straordinaria” nella gestione degli spazi e del tempo della casa comune come fosse una normale ovvietà. Nella famiglia imparo a prendere i miei spazi e a riconoscere quelli degli altri e so che la vita di chi mi sta accanto non mi è indifferente. La frase tanto usata “la mia libertà termina dove comincia quella degli altri” esprime una verità parziale, perché rimanda certamente ad un atteggiamento di rispetto dell’altro che postula il riconoscimento della sua “privacy”, ma piano piano mi conduce alla percezione dell’altro come ad un individuo che è semplicemente “accanto” a me, meramente giustapposto allo spazio che occupo io. Nella famiglia si impara qualcosa di più impostante, che è l’appartenenza, di chi ha a cuore non solo la propria sorte ma anche quella dell’altro: e questo si trasforma in solidarietà, complicità, cura, prossimità. La vicinanza fisica dei corpi all’interno della famiglia alimenta la percezione del “buono” racchiuso nella presenza dell’altro/dell’altra. L’asimmetria dei figli rispetto ai genitori e dei genitori rispetto ai figli così come la presenza “plurale” dei fratelli e delle sorelle insegna la differenza come risorsa e non come minaccia. La percezione di essere inseriti in una storia che ci precede e ci chiede di essere portata avanti, garantita dalle relazioni con i genitori e con i nonni, ci permette di cogliere il senso positivo del nostro essere all’interno di un flusso di vita che ha le sue radici lontane e che ci permette di vivere il nostro presente in modalità più sicure. Queste sono solo alcune delle modalità attraverso le quali la famiglia esprime il suo ruolo di luogo di valore e ambiente di crescita.

L’importanza del lavoro come elemento di emancipazione e base per l’affermazione della dignità umana. Una realtà sempre più in crisi?

Parto con una citazione della enciclica “Laudato si” di Papa Francesco, al n. 124- 126: “Secondo il racconto biblico della creazione, Dio pose l’essere umano nel giardino appena creato (cfr Gen 2,15) non solo per prendersi cura dell’esistente (custodire), ma per lavorarvi affinché producesse frutti (coltivare). Così gli operai e gli artigiani «assicurano la creazione eterna» (Sir 38,34). In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose: «Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li disprezza» (Sir 38,4) … Raccogliamo anche qualcosa dalla lunga tradizione monastica. All’inizio essa favorì in un certo modo la fuga dal mondo, tentando di allontanarsi dalla decadenza urbana. Per questo i monaci cercavano il deserto, convinti che fosse il luogo adatto per riconoscere la presenza di Dio. Successivamente, san Benedetto da Norcia volle che i suoi monaci vivessero in comunità, unendo la preghiera e lo studio con il lavoro manuale (Ora et labora). Questa introduzione del lavoro manuale intriso di senso spirituale si rivelò rivoluzionaria. Si imparò a cercare la maturazione e la santificazione nell’intreccio tra il raccoglimento e il lavoro. Tale maniera di vivere il lavoro ci rende più capaci di cura e di rispetto verso l’ambiente, impregna di sana sobrietà la nostra relazione con il mondo”. Questi semplici passaggi ci aiutano a capire la dignità del lavoro, la sua importanza non solo per il prodotto finale che il lavoro produce, ma anche per la dignità dell’uomo, chiamato a collaborare con il creatore proprio con “l’opera delle sue mani”.

La crescita del Paese attraverso gli investimenti a favore della cultura e della produzione. È possibile?

Riprendo ancora una volta la citazione di san Benedetto che il papa ha usato più volte nell’enciclica Laudato si, per annotare come nel tempo in cui il grande monaco dell’occidente è vissuto, l’esperienza che gli uomini sperimentavano era quella dello smarrimento e della desolazione. La risposta a una tale situazione viene trovata nella esperienza monastica, fatta di preghiera e di lavoro, ma fatta anche di promozione della cultura globalmente intesa. Da questa esperienza di attenzione al ritmo corrispondente alla creazione, nasce un modo di vivere che influenzerà tutto il mondo occidentale: “grazie alla Regola di S. Benedetto: «le comunità benedettine furono la dinamo economica della loro epoca. Erano centri agricoli, di produzione e di conoscenza … all’inizio la loro attività fu agricola, ma ben presto seguirono la strada … per raggiungere l’indipendenza economica, ottenendo i loro primi successi nella pesca, nella lavorazione della lana, nella macinazione del grano e nell’allevamento dei cavalli. Le comunità monastiche erano organizzazioni culturali nelle quali venivano promossi studi ed esperimenti nel campo della manifattura di beni. Nel XV secolo, ormai i monasteri … gestivano attività come la fabbricazione della birra, l’estrazione dei minerali, la molitura del grano, la produzione del ferro e la lavorazione del vetro … Queste comunità “industriali” ed i loro monopoli controllavano l’Europa attraverso dipendenze (“masserie”) … L’efficienza organizzativa è l’eredità che esse hanno lasciato al nostro secolo, alla cui base troviamo alcuni principi benedettini: armonia, lavoro di gruppo e stabilità.” (Q. R. Skrabec jr, La Regola di San Benedetto per il successo negli affari, Hermes Ed., Roma, 2007, 55-56) Comunità monastiche benedettine -e non solo- ci hanno lasciato le copie delle prime edizioni di Cicerone, Virgilio, ed altri autori classici; a loro si aggiunsero successivamente i monaci irlandesi che diedero una particolare spinta alla preservazione della cultura classica, lontana dal cristianesimo, ma preziosa per apprezzare il cammino dell’uomo alla ricerca dell’Assoluto. Tra loro San Colombano che fondò in Lombardia il monastero di Bobbio, che salvò testi di Terenzio, Lucrezio, Virgilio, Orazio, Persio, Marziale, Seneca, Plinio, Cicerone, Ovidio assieme a Salteri, antifonari, e ogni tipo di codice liturgico che vennero pazientemente ricopiati e decorati. Promuovere la cultura non ha fatto mai male a nessuno! Diversamente, proprio dove regna l’ignoranza, dove l’uomo viene spinto a cogliere di se stesso solamente la sfera pulsionale ed emozionale, dove la cultura della relazione viene abbandonata a favore della cultura individualistica, dove viene promosso il semplicismo nell’affrontamento dei problemi e non si riesce a cogliere la complessità dell’agire umano, qui la barbarie è alle porte.

Il recupero della fiducia nel futuro dei giovani mediante una politica che guardi al domani, anziché al momento contingente…

Parto con una citazione del prof. Franco Nembrini, pedagogista, che esordisce in un convegno così: “Per cominciare vorrei leggere un paio di citazioni che ho trovato bazzicando su internet, e che mi pare possano servire a partire positivamente in questa riflessione. Una dice: “Il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico, non c’è più rapporto tra i ragazzi e i loro genitori. La fine del mondo non può essere lontana”. La seconda: “Questa gioventù è marcia nel profondo del cuore, i giovani sono maligni e pigri, non saranno mai come la gioventù di una volta; quelli di oggi non saranno capaci di mantenere la nostra cultura”. Sembrano due citazioni tratte da un giornale di stamattina, no? Invece la prima è di un sacerdote dell’antico Egitto, 2000 a.C., la seconda è un’incisione su un vaso di argilla dell’antica Babilonia nel 3000 a.C. Per dire che possiamo stare sereni: il problema è antico, ce la faremo anche stavolta. Partiamo con questa fiducia.” (Nembrini F.), Nei giovani c’è un immenso potenziale di bene e di capacità creative: come liberarlo? La citazione ci fa sorridere, ma ci dice un atteggiamento diffuso che sembra pervadere questo nostro tempo, che ahimè, è tanto simile ad altri tempi della storia. La sfiducia proviene a parer mio prima di tutto da un atteggiamento eccessivamente o esclusivamente “materno” che caratterizza le nostre società occidentali: sono tanti gli studi che parlano di una sorta di “evaporazione” della figura paterna nella società e nelle dimensioni educative, basti pensare ai numerosi testi dello psicanalista italiano Recalcati. Ma accanto a questo, esiste una fatica del mondo degli adulti a fare spazio ai giovani: dal mio osservatorio vedo che figure educative che fino a qualche decennio fa accompagnavano i fratelli più piccoli in un cammino di crescita alla fede e alla vita comune (penso agli educatori dell’azione cattolica e ai capi scout) sono sempre più adulte e spesso anziane. Non sono così naif da pensare che questa situazione non dipenda solo da questo ma abbia molteplici cause, però debbo dire che il posto che i giovani non occupano è spesso occupato da un adulto o da un super adulto che non è capace di portare a compimento il suo percorso. Se esiste dunque una generazione che fa fatica a prendersi gli impegni esiste corrispondentemente una generazione che fa fatica a “consegnare ad altri” i propri impegni. Geppe Inserra ha offerto qualche giorno fa una realistica e drammatica valutazione del Nord della Puglia, dove vivo: “Per Foggia e la Capitanata le cose stanno addirittura peggio, come mette in evidenza Smile, istituto di formazione e di ricerca, in un recente studio condotto da Leonardo Cibelli (Breve nota sulle dinamiche demografiche in provincia di Foggia): “Da anni è in corso un processo di declino demografico alimentato da una continua diminuzione delle nascite, accompagnata ad un consistente flusso migratorio. Le dimensioni del declino sono tali da collocare l’area provinciale tra quelle che nel corso degli ultimi 15 anni hanno registrato una più rapida riduzione della popolazione residente.” Certamente occorre uscire dalla tentazione di trovare la ricetta magica che risolva il problema, e accettare ancora una volta la dimensione della complessità del nostro tessuto sociale: “Il mondo reale […] è complesso nel senso che contiene fenomeni eccedenti le capacità di regolazione di cui disponiamo […] L’economia (e posiamo sostituire economia con Formazione, progettazione, società, comunità, relazione ndr) è permeata di complessità intesa sia come problema da affrontare, sia come terreno di sperimentazione e innovazione”. (E. Rullani, 2004) Aumentare però la dose di fiducia da offrire alle giovani generazioni e lasciare qualche spazio in più alla loro creatività e intraprendenza non sarebbe affatto nocivo.

Stragi nel Mediterraneo: appello “Non siamo pesci” firmato da 600 personaggi pubblici per istituire una commissione d’inchiesta

Un appello cui hanno aderito più di 600 esponenti del mondo della cultura, intellettuali e personalità di varie provenienze, e che ha dato vita al manifesto “Non siamo pesci”, la cui frase è stata pronunciata da una migrante fuggita dal Congo a bordo dalla nave Sea Watch. Nel manifesto si denunciano tutte le politiche migratorie dell’esecutivo italiano, pur senza dimenticare le responsabilità dell’Ue nel suo complesso, e si invoca un’immediata inversione di tendenza.

“Vogliamo dare voce a un’opinione pubblica – si legge nell’appello – che esiste e che di fronte a una tale tragedia chiede di ripristinare il rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali, e soprattutto del senso della giustizia. A cominciare con il consentire alle navi militari e alle Ong che salvano le vite in mare di poter intervenire. E a chi finge di non conoscere le condizioni di quanti – grazie anche a risorse e mezzi italiani – vengono riportati nei centri di detenzione libici – si legge ancora nell’appello – chiediamo di fare chiarezza sul comportamento e sulle responsabilità della guardia costiera libica”.

Si vuole ricordare a tutti gli Stati europei che la redistribuzione dei migranti si fa a terra e non in mare”.

Tra i firmatari troviamo gli scrittori Andrea Camilleri e Roberto Saviano, i registi Matteo Garrone e Roberto Benigni.

 

A Castelnuovo di Porto famiglie e bimbi accolti dagli abitanti

Il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini ha annunciato che “Si è appena concluso un tavolo con la prefettura in cui abbiamo raggiunto un accordo per cui le famiglie con bimbi che erano al Cara rimarranno nella zona di Castelnuovo di Porto, attraverso ‘l’accoglienza diffusa’ per consentire ai bambini di continuare a frequentare la scuola. E’ la prima volta che succede in Italia. Siamo molto soddisfatti”.

“Andiamo avanti anche con le protezioni umanitare, si tratta di 16 persone, per i quali si sta concludendo lo screening della task force e, attraverso la collaborazioni di sindaci di città da cui sono arrivate offerte di ospitalità, verranno accolti anche in altre Regioni”.

Tav: la Lega contro il M5S

Il progetto Tav continua a dividere Lega e M5s. L’analisi costi-benefici dell’infrastruttura non c’è ancora, ma spuntano i conti “paralleli” del Carroccio a dire “che l’opera va completata, che serve all’Italia, che sono maggiori i costi per sospenderla rispetto ad ultimarla”. “Va fatta”, dice Salvini, annunciando la visita a Chiomonte, “dove le forze dell’ordine vivono da mesi per difendere un cantiere della Tav spesso oggetto di violenze”.

Il ministro Toninelli aveva annunciato una decisione entro la fine di gennaio ma i tempi rischiano di allungarsi ancora, mentre l’analisi costi-benefici e’ ferma al ministero delle Infrastrutture nonostante le pressioni della Francia e dell’Unione Europea e il rischio di perdere i fondi già stanziati per l’opera.

Prevenzione della corruzione: il caso italiano fa scuola

L’Autorità nazionale anticorruzione va in Messico per far conoscere la propria esperienza e i risultati ottenuti. Su invito dell’Ufficio antidroga e anticrimine delle Nazioni Unite (Unodc), ha preso il via una missione istituzionale che vede il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, impegnato in una serie di incontri ad alto livello con le autorità messicane. L’esperienza italiana in tema di lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata è infatti ritenuta di particolare utilità sia dalle Autorità messicane che dall’Amministrazione statunitense, principale finanziatore di Unodc nel Paese attraverso la Merida Initiative (un’iniziativa congiunta per combattere la violenza criminale e il traffico di droga). Proprio questi sono stati i temi al centro del convegno dal titolo “La politica criminale e il fenomeno della corruzione”, che il 23 gennaio si è  svolto presso il Senato messicano.

Ieri si è poi tenuta una riunione con il ministro della Funzione pubblica, Irma Erendira Sandoval, per mettere l’accento sul modello italiano di prevenzione della corruzione e sulle buone prassi consolidate nel corso degli anni, riconosciute anche dall’Ocse: prevenzione alla corruzione negli appalti e controllo dell’esecuzione per la massima trasparenza della Pubblica amministrazione, evitando i conflitti d’interesse. Tutti temi che riscuotono grande interesse per il nuovo governo messicano presieduto da Andres Manuel Lopez Obrador, che ha ripetutamente definito il contrasto alla corruzione una delle priorità del suo mandato.

Il progressivo accumularsi di funzioni in capo all’Anac ha determinato la nascita di un soggetto in possesso di diverse funzioni d’intervento, in grado di raccordare interessi pubblici potenzialmente contrastanti. Se da un lato l’Anac è stata chiamata a svolgere un’azione di vigilanza e prevenzione degli illeciti, dall’altro deve colmare vuoti normativi o di intervento interpretativo. Se si considera, ad esempio, la funzione di regolazione nel settore dei contratti pubblici, il Codice non prende posizione sul delicato tema della “efficacia vincolante” degli atti dell’Anac, limitandosi a confermare “l’impugnabilità delle decisioni e degli atti assunti dall’Autorità innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa”: la legge, ha, in sostanza, lasciato all’Anac il compito di sviluppo e integrazione del precetto primario nelle parti che afferiscono ad un livello di puntualità e dettaglio non compatibile con la caratterizzazione propria degli atti legislativi.

Nel corso degli ultimi due anni, tra le novità più rilevanti occorre ricordare che in sede di conversione del d.l. 50/2017 è stato inserito un testo sostitutivo dell’abrogato art. 211, co. 2, del Codice (da parte del decreto correttivo), che attribuisce all’Autorità un potere impugnatorio assimilabile a quelli già riconosciuti ad altre amministrazioni. In applicazione di quanto stabilito dall’art. 211, co. 1-quater del Codice, l’Autorità ha ritenuto necessario disciplinare il nuovo potere a essa attribuito con un regolamento che è stato posto in consultazione. Secondo lo schema di regolamento, l’Autorità è legittimata ad agire direttamente in giudizio, senza previa interlocuzione con la stazione appaltante, per l’impugnazione di bandi, atti generali e provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Con riferimento a questa fattispecie, nello specifico, il regolamento, anche tenuto conto della elaborazione dei dati contenuti nella Banca dati nazionale dei Contratti pubblici, ha provveduto a definire cosa debba intendersi per “rilevante impatto”.

L’autorità ha il potere di agire in giudizio, previa emissione di un parere motivato contenente la diffida alla stazione appaltante a sanare le illegittimità riscontrate in autotutela, in presenza di gravi violazioni del Codice. L’elaborazione dei casi in cui è possibile riscontrare le gravi violazioni è avvenuta tenendo conto di quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 120 del C.P.A., di quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 108 del Codice, della tutela di alcune competenze dell’Autorità ed, infine, dell’esperienza riportata dagli Uffici di Vigilanza dell’Autorità. Gli altri articoli del Regolamento dettano disposizioni comuni ai due poteri in materia di: atti impugnabili, acquisizione della notizia e trattazione delle segnalazioni, accesso agli atti e pubblicità e, infine, ai rapporti con altri procedimenti dell’Autorità.

Binario 21: un “viaggio nella memoria” 

Dal binario 21 della stazione centrale di Milano, trasformato oggi in memoriale della Shoah, partivano i convogli carichi di deportati ebrei diretti ai campi di sterminio nazisti. Dal binario 21, il 30 gennaio 1944 circa 650 ebrei, tenuti in prigionia nel carcere di San Vittore vennero condotti ai campi di Auschwitz-Birkenau,e solo ventidue di loro riuscirono a tornare vivi dal lager.

“Binario 21” è il nome del progetto culturale, un “viaggio nella memoria” per non dimenticare il passato, per essere consapevoli della terribile capacità dell’uomo di commettere orrori, un viaggio che ha l’ambizione di smuovere coscienze: queste sono le premesse dell’esperienza culturale, di forte impatto emotivo, legata alle celebrazioni della Shoah, propostadall’Associazione Marluna Teatro di Trani, con il supporto organizzativo dell’agenzia Guastella Communication di Bari,  in partnership con le guide turistiche di Confguide Bari, e  il patrocinio di Regione Puglia, Consiglio Regionale Pugliese, Assessorato alla Pubblica Istruzione Regione Puglia, Città Metropolitana e del Comune di Bari, che si svolgerà nel Museo Archeologico di Santa Scolastica fino al 9 febbraio 2019.

Tumore alla prostata? Un calcolatore on line rivela il rischio

Il Dipartimento Nefro-Urologico degli Ospedali Riuniti di Foggia ha sviluppato il primo calcolatore italiano on line in grado di stabilire il rischio – relativamente ad un paziente maschio e adulto – di contrarre il carcinoma della prostata. Un’invenzione segnalata – è detto in una nota dell’Università di Bari – anche dalla rivista scientifica internazionale Frontiers in Oncology.

“È noto che il PSA, ovvero il marcatore del tumore della prostata – spiega il prof. Luigi Cormio, responsabile della struttura di Endourologia presso il Dipartimento Nefro-Urologico degli Ospedali Riuniti nonché professore associato di Urologia a Foggia -, può essere aumentato non solo in caso di tumore della prostata ma anche in caso di infiammazione della prostata o di ipertrofia prostatica benigna, ovvero l’aumento di volume dell’organo che porta a problemi nella minzione. Era, quindi, molto importante avere a disposizione un calcolatore che, immettendo parametri clinici facilmente rilevabili durante la visita urologica, consentisse di predire il rischio del paziente di avere un carcinoma della prostata”.

Sturzo e noi nel dibattito di Castegnato

Se da Brescia il viaggiatore si dirige in Val Camonica, quasi subito, imboccata la tangenziale, incontra Castegnato. Se vi giunge, dopo cena, in una sera di gennaio, capisce dalla nebbia che il nord esiste e sta da queste parti. Terra ormai di remota eruzione leghista, il cattolicesimo politico resiste nella fine e testarda civitas di una Lombardia già sobria e laboriosa propaggine della Repubblica Serenissima. Nel 1919, quando inaspettatamente il neonato PPI strappava 100 deputati nelle elezioni del primo dopoguerra, ancor più inaspettatamente per la pubblica opinione dell’epoca il partito di Sturzo raddoppiava in questa provincia la media dei voti nazionali, andando anche oltre il 40 per cento dei consensi.

A Castegnato ieri sera, in una sala d’oratorio gremita e attenta, ha parlato Marco Vitale. L’uditorio, come un tempo si diceva, con il saluto introduttivo di Franco Franzoni (che assieme a Nicola Vacca sono due generazioni di Popolari impegnati ad animare il Centro Studi De Gasperi) e l’introduzione di Luciano Zanardini si adagiava alla lezione di uno storico non di professione, ma di specchiato amore e grande intelligenza per l’impresa politica del prete siciliano. Giocava in casa, Vitale, perché di Milano ha fatto il suo ambiente di vita professionale, fino a diventare uno stimato economista d’azienda e fino a prestare una fugace collaborazione al sindaco proto-leghista Formentini, ma di Brescia conserva e difende il legame di nascita, di affetti familiari, di memoria (ad esempio per il Vescovo di Cremona, originario di Nigoline, Mons. Geremia Bonomelli).

Non è stato il populismo a inventare un mondo angusto e sfatto, che De Andrè immortalava nell’atto di “strameledir le donne il tempo ed il governo”. Vero è l’inverso, ossia che da quel mondo fatalmente nasce e rinasce il disincanto del populismo. Perciò la scelta di riunirsi, come a Castegnato, per capire il nostro tempo con le lenti preziose del passato costituisce un antidoto sicuro alla volgarità della politica di oggi. Non sono venute a caso, le persone chiamate dal Centro De Gasperi. In quinta fila, attente e discrete, anche alcune suore. Ecco, la lezione di Vitale è lunga – lui stesso lo dice e se ne scusa – ma scorre fluviale, senza intoppi, punteggiata di oculate citazioni. Sturzo ne esce campione di una politica alta e nobile, fatta di “generosità e severità”. Dai primi passi nella sua Caltagirone, per approdare quindi a Roma e alla grande battaglia civile e democratica, attraverso la fondazione del partito, fino alla sconfitta e all’esilio, per non chinare il capo di fronte a Mussolini; e poi tornare dopo l’esilio, nel 1946, vivendo da par suo un altro esilio, in Patria: Sturzo vien fuori, grazie a Vitale, in tutta la sua grandezza e tenacia e sofferenza, nell’intreccio di vicende e personaggi, noti e meno noti, in special modo nel rapporto con De Gasperi.

Dunque, una relazione importante, ora da leggere (anche sul Domani d’Italia di oggi) e approfondire. Deve farci aprire gli occhi – e lo ha riconosciuto Tino Bino, alla fine della serata, dismettendo per un attimo il suo velato pessimismo “à la Martinazzoli” – sul perché la figura del fondatore del PPI torni prepotentemente alla ribalta della discussione politica in Italia. E del perché, in giro per città e paesi, si cerchi nella sua esemplarità (come indicava il Cardinal Bassetti a monito dei cattolici di oggi nella messa del 19 gennaio a Santi Apostoli) il titolo di legittimità per riprendere a parlare nel nome e nel segno di una tradizione di pensiero, ben incarnata nella vita pubblica del Paese.

Si tratta allora di comprendere come sia possibile recuperare l’energia racchiusa in questa “rinascita sturziana”, altrimenti leggibile come desiderio di sfuggire all’ombra del tradimento di quella che in molti considerano l’unica dottrina politica uscita vincitrice rispetto alle caduche e tragiche ideologie dal Novecento. Insomma, per dirla in breve, si tratta di prendere sul serio l’appello a un nuovo Appello (ai Liberi e forti), come e quando verrà, per non essere presi alla sprovvista, magari a scadenza più ravvicinata di quanto si possa prevedere. Non viviamo tempi normali e l’urgenza di uscire dalla gabbia di sovranismo e populismo, con tutti i rischi gravanti sull’Italia, si manifesta a tutto tondo. Possiamo girare gli occhi da un’altra parte?

 

Questo è link con la relazione che l’economista Marco Vitale ha tenuto presso loratorio di San Filippo Neri a castegnato.. De Gasperi e Sturzo 25 gennaio 2019

 

Il prossimo presidente, se sarà democratico

Articolo gia pubblicato dalla rivista il Mulino a firma di Martino Mazzonis

Primarie, presidenziali, midterm, primarie. La politica elettorale americana è un ciclo senza sosta e il giorno dopo le elezioni di mezzo termine eccoci a cercare di capire cosa ne sarà della disfida per la candidatura democratica a presidente. Coloro che hanno annunciato la costituzione di un comitato esplorativo sono tanti e altri ne arriveranno. L’anno in corso servirà per testare le acque, decidere se rimanere o meno in ballo, costruire l’infrastruttura della campagna, accumulare risorse. Questo è quel che serve per avere qualche chance di vincere le primarie più importanti della storia? L’enfasi è voluta: ammesso che giunga in fondo al mandato – e viste le notizie delle ultime settimane è concesso coltivare qualche dubbio – dopo 4 anni di Trump, agli americani e al mondo servirebbe un candidato forte, bravo, vincente e, poi, anche capace di fare bene il presidente degli Stati Uniti.

Per fare bene il presidente occorrerà però vincere primarie che si annunciano tra le più difficili di sempre. Almeno a gennaio 2019, quando i sondaggi ancora non dicono nulla di credibile e quando i candidati non sono ancora stati passati al setaccio né messi alla prova – che vincere un seggio alla Camera o al Senato o essere un miliardario di successo non è una prova.

Se dovessimo fare un elenco delle figure che hanno speculato su una possibile candidatura, esauriremmo la pazienza di chi ci legge: sono tanti, diversi tra loro, giovani e anziani, estremisti di sinistra (per modo di dire) e moderati, uomini, donne, bianchi, neri, rossi e tutto quanto c’è in mezzo. Proprio come la coalizione che ha portato il partito democratico a vincere le elezioni di mezzo termine dello scorso novembre.

Proviamo dunque a stabilire cosa sia necessario per avere chance di farcela. Sapendo però che quella forza e quella debolezza dipendono anche da dove sarà l’economia tra un anno, da come prenderanno forma le tensioni commerciali tra Washington e Pechino, la crisi coreana o l’Iran – e naturalmente il Russiagate e tutto quanto ruota attorno ai guai giudiziari del presidente Trump.

Per vincere le primarie non basta essere un buon candidato: la partita è nazionale, ma gli Stati hanno le loro composizioni demografiche, sociali, la loro economia, le loro fissazioni. E quel che un buon progressista vende bene in Ohio non si vende bene in California. Il senatore dell’Ohio, Sherrod Brown, ha per certo un appeal tra i lavoratori bianchi che nel 2016 hanno voltato le spalle a Clinton e porta in dote uno Stato storicamente cruciale – assieme alla Florida. La sua posizione sul commercio combacia in parte con quella di Trump, nel senso che dalle sue parti le fabbriche hanno chiuso dopo l’ingresso della Cina nel Wto e che Brown contro gli accordi commerciali ha scritto un libro. In California, Stato liberal, di sinistra, ambientalista, però si vive di globalizzazione e Brown difficilmente funzionerà.

Un candidato con un forte radicamento locale che abbia fatto bene nel suo Stato e possa portare la sua esperienza a Washington, dunque? Un tempo funzionava così e i governatori erano un bacino dove pescare presidenti. Da Obama in poi molto meno: il presidente democratico, i suoi avversari McCain e Romney, Clinton, Sanders e Trump sono tutte figure nazionali. Due figure così sono Joe Biden e Bernie Sanders. Tutti sanno chi siano – ed è un vantaggio iniziale cruciale – ma senza una buona idea, rischiano di venire sepolti dalla voglia di novità. Biden ha dalla sua la possibile promessa di fare il presidente dopo un minuto che siede alla Casa Bianca. Ma nonostante i toni populisti di cui è innegabilmente capace, l’ex senatore è piuttosto moderato in economia e piuttosto falco vecchia maniera sulle questioni internazionali – la gestione della crisi Ucraina è un buon esempio.

Un sondaggio Gallup e diverse rilevazioni del Pew Research Center segnalano come la base democratica sia più liberal (ovvero di sinistra) che mai: se nel 2008 i liberal tra i democratici erano il 38%, oggi sono il 51% (28%/46% per Pew). E di solito sono più militanti degli altri: donano più soldi, fanno più i volontari, votano di più alle primarie. A chiunque servirà quindi un profilo di sinistra per vincere le primarie. Questa evoluzione dell’ideologia della base Dem ha incoraggiato tanti campioni progressisti e liberal (che sono due cose diverse) a correre. E anche i più moderati dovranno scegliere almeno una grande questione sulla quale schierarsi in maniera netta. Diritto alla salute, salario minimo, Green New Deal, riforma del sistema penale, liberalizzazione della marijuana, debito studentesco, c’è di che scegliere. Con un potenziale problema: se la base Dem si è spostata a sinistra non è detto che altrettanto abbiano fatto le donne dei suburbs e gli operai bianchi che nel 2018 hanno voltato le spalle ai repubblicani. Alcuni temi declinati a sinistra funzionano anche per i moderati, ma quali? E raccontati come?

I politici con un passato avranno in questo senso più difficoltà: Biden critica se stesso su alcune scelte passate in materia di carcere duro (afroamericani) e molestie sessuali (donne: il caso Anita Hill, che accusò il giudice costituzionale Clarence Thomas di molestie e non venne ascoltata). Sanders ha invece l’handicap di non essere più l’eroe solo che si batte contro l’establishment. Funzionerà meglio l’usato sicuro o una nuova sfida radicale per unire la sinistra-sinistra? O questa si spaccherà in rivoli favorendo la vittoria di un candidato più moderato?

Elemento cruciale per vincere le primarie è la costruzione di una infrastruttura. Gli Stati vanno conosciuti, occorre cercare alleanze locali, endorsement, risorse, arruolare volontari, sapere che esempio fare in quella contea e che crisi locale citare nell’altra. Tutti coloro che ipotizzano una candidatura visitano gli Stati cruciali usando la campagna di mezzo termine come scusa. La prima candidata del “pack”, la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, ha intessuto relazioni strette e arruolato nella sua campagna figure cruciali in Iowa, New Hampshire e South Carolina, i primi Stati dove si vota. In questo senso è più avanti degli altri.

Con un’avvertenza cruciale per il 2020: non solo le figure sono in maniera crescente nazionali, ma la geografia tradizionale delle primarie conterà meno a causa del rifacimento del calendario. Oltre che nei tre Stati appena citati si voterà presto a New York e il primo Super Tuesday (3 marzo) vedrà il voto in tre Stati con candidati forti: Texas, California e Massachusetts, Stati dove normalmente la battaglia delle primarie è relativa (la California in genere votava a giochi fatti, quando il campo dei concorrenti era ristretto a due). Dal Texas viene un candidato già annunciato, l’unico ispanico del gruppo, Julian Castro e il probabile Beto O’Rourke, che ha perso per poco il seggio senatoriale. Entrambi hanno delle falle in termini di profilo ideologico: cosa pensano davvero? Adatteranno le loro posizioni al mercato politico per poi venire infilzati dai media di sinistra che gli ricordano quella volta che hanno votato per la cosa sbagliata? Uno è un buon oratore, ha una storia da raccontare ed esperienza, l’altro è un personaggio con cui i giovani possono identificarsi. Ma forse fare una campagna in auto da underdog giovane in Texas non è la stessa cosa che portare una immensa carovana a Washington.

L’altra ragione per cui il voto nei primi Stati conta meno è l’altra infrastruttura: quella social. Che capacità di lettura dei big data avranno le campagne? Quanti follower? Che capacità di usare, parlare, mobilitare attraverso gli account Instagram e Facebook? Test fondamentale nel quale in diversi hanno già una buona esperienza. Tra tutti Sanders e Biden hanno un bagaglio pregresso ottimo. Beto O’Rourke ha invece la campagna contemporanea perfetta. È un nativo digitale e si vede. Ma ha lo stesso perso le elezioni. Warren e Harris sembrano aver trovato un buon modo di usare i propri account e hanno un seguito notevole.

Il primo Super Tuesday è ancora più importante per la California: un’altra candidata potenzialmente molto forte è infatti Kamala Harris, senatrice, ex procuratore generale dello Stato in guerra contro le lobby e la finanza. Figlia di un giamaicano e di una indiana, relativamente giovane, ottimista, sorridente ma procuratore generale dal pugno di ferro. Harris ha l’aria sempre sincera – una bella cosa – e qualche scheletro nell’armadio: alcuni casi in cui ha difeso casi discutibili in rappresentanza dello Stato e una rete di donatori miliardari, come chiunque venga eletto in California o a New York – quelli di Harris hanno il pregio di non lavorare a Wall Street. Obamianamente, credo, Castro, O’Rourke e Harris enfatizzeranno la freschezza delle rispettive candidature e punteranno molto sull’idea del “Ce la possiamo fare insieme, l’America ha bisogno di te, proprio di te”. Il Super Tuesday è anche il momento del Massachusetts di Warren, mentre la New York della senatrice Kristy Gillibrand avrà già votato. Tutte queste figure potrebbero fare buon bottino e, dunque, non ritirarsi in fretta come sarebbe capitato con il calendario tradizionale. Parlando di geografia, Warren ha buone chance in Iowa e in New Hampshire, che portano pochi delegati, peseranno di meno, ma sono pur sempre i primi Stati dove si vota.

Harris, Warren, Sanders, Gillibrand e Cory Booker, il senatore del New Jersey, hanno tutti votato contro le nomine di Trump, in maniera tale da non farsi trovare con le mani sporche. Booker, che su molte questioni appare molto liberal, ha però buone relazioni con la finanza (piuttosto presente in New Jersey) e con big pharma. Non una buon pedigree a sinistra. Ma aiuta a reperire risorse.

Le risorse sono l’altro aspetto fondamentale. Corteggiare i big donors facendo infuriare la sinistra o costruire una rete di decine di migliaia di piccoli donatori? O’Rourke ha i secondi, ma non è il solo. Harris ha raccolto 1,5 milioni in 24 ore, superando i risultati fatti da Sanders dopo il lancio della sua candidatura sia in termini di cifre che di numero di donatori.

Fin qui le componenti indispensabili per avere chance. Ma senza un messaggio chiaro e ben confezionato, un posizionamento capace di formare una coalizione (neri, ispanici, sindacati, giovani, donne, operai e così via) non c’è infrastruttura che tenga. Questa seconda parte attiene molto anche alle capacità del politico, al suo carisma. Chi farà l’Obama del 2020, nel senso che venderà la sua storia personale e chi lo farà vendendo la partecipazione come valore? E chi si presenterà come un costruttore di ponti capace di far tornare le istituzioni a funzionare? Chi punterà sull’emergenza climatica? Le campagne stanno formando ora i loro messaggi e li correggeranno. Ci sarà modo di osservarle.

Una cosa ancora: se ritenete di aver letto troppi nomi in questo articolo, sappiate che tra i candidati possibili non abbiamo menzionato alcune figure importanti e molte minori. E che il campo è destinato ad allargarsi molto. Con tutti gli enormi rischi del caso per i democratici.

La Banca centrale europea lascia invariati i tassi di interesse

La Banca centrale europea ha (Bce) ha deciso di mantenere invariati tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la stessa Bce invariati rispettivamente allo 0,0 allo 0,25% e al -0,4 per cento.

Lo ha annunciato il presidente della Bce, Mario Draghi, durante una conferenza stampa tenuta ieri, 24 gennaio, all’Eurotower. Draghi ha aggiunto che i tassi della Bce rimarranno invariati “almeno fino all’autunno del 2019”, si legge sul quotidiano tedesco “Handelsblatt”.

Durante la conferenza stampa, Draghi ha inoltre avvertito che aumentano i rischi per i mercati finanziari, con “continue incertezze, soprattutto in termini di fattori geopolitici, e la minaccia del protezionismo che stanno pesando sul clima dell’economia” dell’Eurozona, caratterizzata da una crescita “più lenta”.

Brexit: a rischio 3,4 mld di export dal Prosecco ai pelati

Dal prosecco ai pomodori pelati il mancato accordo sulla Brexit rischia di affossare 3,4 miliardi di export agroalimentare italiano in Gran Bretagna per effetto dei dazi e dei ritardi doganali che scatterebbero con il nuovo status di Paese Terzo rispetto all’Unione Europea. E’ quanto afferma la Coldiretti in riferimento al pacchetto di misure elaborato dal Ministero dell`Economia e delle Finanze per garantire la piena continuità dei mercati e degli intermediari in caso di recesso del Regno Unito. Con quasi una bottiglia esportata su due consumata dagli inglesi è il Prosecco Dop il prodotto simbolo del Made in Italy in Gran Bretagna che rischia di essere pesantemente colpito dopo che le vendite nel 2018 hanno sfiorato i 350 milioni di euro secondo le stime della Coldiretti che evidenziano un aumento in valore del 6% rispetto all’anno precedente.

Si tratta – sottolinea la Coldiretti – del risultato di una crescita ininterrotta da circa un ventennio che ha reso il Prosecco la bevanda italiana preferita dagli inglesi. Dopo il vino che complessivamente fattura sul mercato inglese quasi 800 milioni di euro al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna c’è l’ortofrutta, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi e dell’olio d’oliva. Tra i prodotti di rilievo – precisa la Coldiretti – ci sono anche i pelati e le polpe di pomodoro per le quali l’incidenza delle esportazioni in Gran Bretagna è pari al 20% del totale delle esportazioni italiane.

Rilevante anche il flusso di Grana Padana e Parmigiano Reggiano per un valore attorno ai 90 milioni di euro con la Brexit che puo’ diventare il cavallo di troia per l’arrivo del Parmesan in Europa dopo che la denominazione è stato purtroppo liberalizzata per colpa del Ceta in Canada che fa parte del Commonwealth ed ha relazioni privilegiate con la Gran Bretagna. Senza accordo, un problema infatti riguarda la tutela dei prodotti a denominazione di origine Dop/Igp con le esportazioni italiane di prodotti a indicazioni geografica e di qualità (Dop/Igp) che incidono per circa il 30 per cento sul totale dell’export agroalimentare Made in Italy.

“La mancanza di un accordo è lo scenario peggiore perché rischia di rallentare il flusso delle ma a preoccupare è anche il rischio che con l’uscita dall’Unione Europea si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole all’esportazioni agroalimentari italiane” afferma  il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. Un esempio è l’etichetta nutrizionale a semaforo sugli alimenti che si sta diffondendo in gran parte dei supermercati inglesi e che – riferisce la Coldiretti – boccia ingiustamente quasi l’85% del Made in Italy a denominazione di origine (Dop).

L’etichetta semaforo indica – conclude la Coldiretti – con i bollini rosso, giallo o verde il contenuto di nutrienti critici per la salute come grassi, sali e zuccheri, ma non basandosi sulle quantità effettivamente consumate, bensì solo sulla generica presenza di un certo tipo di sostanze, porta a conclusioni fuorvianti arrivando a promuovere cibi spazzatura come le bevande gassate dalla ricetta ignota e a bocciare il Parmigiano Reggiano o il Prosciutto di Parma, ma anche un elisir di lunga vita come l’olio extravergine di oliva.

Stanziati 25 milioni di euro per progetti culturali nelle periferie urbane

Al via il piano “Cultura Futuro Urbano” rivolto al rilancio dei territori in difficoltà, diversificando e implementando le opportunità per accedere ad attività culturali e creative. Per il piano sono stati stanziati complessivamente 25 milioni di euro fino al 2021 per sviluppare, innovare e migliorare servizi e funzioni culturali nelle scuole e nelle biblioteche dei quartieri periferici, anche recuperando opere pubbliche rimaste incompiute. Promosso dalla Direzione generale arte, architettura contemporanee e periferie urbane in collaborazione con le istituzioni interessate, il piano sarà suddiviso in tre azioni strategiche: Scuola attiva la cultura; Biblioteca casa di quartiere; Completati per la cultura.

Sull’intero territorio nazionale saranno oltre 100 i progetti finanziati. A marzo verranno pubblicati i bandi per gli Enti pubblici, privati e terzo settore, al fine di selezionare le iniziative che dovranno distinguersi per originalità e qualità delle proposte. Le idee programmatiche potranno prevedere anche percorsi di avvicinamento alla creatività contemporanea, nell’ambito delle arti visive e performative, della fotografia, del video, delle arti applicate, della manifattura digitale o dell’innovazione tecnologica; progetti che coinvolgano artisti e designer che lavorano nell’ambito dell’arte relazionale; progetti espositivi. In linea con gli obiettivi dell’Agenda Onu 2030 e quelli dell’Agenda urbana europea il Mibac ha deciso di promuovere la cultura come fattore abilitante dello sviluppo sostenibile mettendo al centro delle azioni di valorizzazione il capitale sociale e territoriale, anche in chiave multiculturale.

“Ho notato, a tutti i livelli della politica ha detto il titolare del Mibac, Alberto Bonisoli – che per le periferie c’è sempre poca attenzione. Io credo invece che sia da lì che bisogna partire. La rivalutazione delle periferie è una delle priorità del mio mandato. Per questo i progetti che verranno realizzati con questo piano contribuiranno a costruire, attraverso la cultura, opportunità per il miglioramento sociale ed economico dei territori più fragili. Favorire l’intelligenza collettiva, creare dinamiche collaborative tra istituzioni pubbliche, private e terzo settore contribuirà a rispondere ai bisogni reali delle persone e a rispondere alle trasformazioni sociali in atto”.

“Attraverso l’arte e la creatività – ha sottolineato il direttore della Direzione generale arte, architettura contemporanee e periferie urbane, Federica Galloni – i cittadini potranno esprimere non solo le loro potenzialità e desideri ma anche sviluppare quel senso identitario che li rende unici come comunità”.

La Direzione generale arte, architettura contemporanee e periferie urbane è l’ufficio del Mibac dedicato alla contemporaneità. La sua funzione principale è quella di promuovere e incentivare l’arte e l’architettura contemporanee, a cui si aggiunge proprio il compito di avviare processi di riqualificazione delle periferie urbane.

Arriva la nuova APP CEI

Nasce la nuova app della Cei per offrire a tutti coloro che desiderano rimanere aggiornati, le ultime notizie sulla vita della Chiesa Italiana. Tutte le news ufficiali sulla CEI e le diocesi italiane da chiesacattolica.it costantemente aggiornate e consultabili in base ai temi di proprio interesse.

Oltre alle principali notizie, presentate con una semplice e rapida interfaccia, troviamo tra i contenuti aggiuntivi l’agenda condivisa delle attività e iniziative degli uffici e Segreteria generale della CEI per tutti gli ambiti pastorali; la sezione delle Nomine dei nuovi vescovi delle diocesi italiane. Si aggiunge ai contenuti dell’app, la sezione CEInews, che propone le ultime notizie presenti sul sito di CEInews.it a cura dell’Ufficio Comunicazioni Sociali.
Completano le funzionalità dell’app la sezione “Catalogo App”, che propone un elenco con tutte le App pubblicate dalla CEI, e la sezione “My CEI” che offre la possibilità di scegliere e seguire le categorie di proprio interesse.

L’app è promossa dall’Ufficio Informatico CEI e dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana.

Friuli Venezia Giulia: Musei gratis la domenica

Grazie all’iniziativa promossa dall’assessorato alla cultura della Regione Friuli Venezia Giulia i musei saranno aperti gratuitamente tutte le domeniche fino a fine febbraio con i consueti orari.

Inoltre l’offerta artistica, culturale e turistica si arricchisce con “Un itinerario di stupore e bellezza” di Bruno Lucchi, scultore contemporaneo di Levico Terme, noto a livello internazionale per le sue opere pubbliche in terracotta, bronzo, porcellana e recentemente anche in corten abbinato a refrattario o mosaico, in collaborazione con Pordenone Fiere.

15 installazioni collocate in angoli suggestivi di Pordenone composte da una trentina di statue di grandi dimensioni andranno a costituire una mostra en plein air costruita su un percorso di valorizzazione turistica della città, collegando la Fiera, che ospita l’installazione “madre” al centro urbano, passando per il Noncello.

Scoperto il modo di rendere le cellule immunitarie “fameliche”

Un team di ricercatori della Scuola di Medicina dell’Università americana della Pennsylvania, coordinato da Gregory Beatty, ha scoperto come rendere “fameliche” le cellule immunitarie quando impegnate a fronteggiare le unità biologiche tumorali.

La scoperta potrebbe rivoluzionare le terapie mediche attualmente impiegate contro il cancro, rafforzando l’efficacia delle ricerche di James P. Allison e Tasuku Honjo, premiati con il Premio Nobel per la Medicina 2018, per aver individuato i principi sui quali si basa l’immunoterapia.

I due esperti hanno infatti scovato il meccanismo attraverso il quale le cellule del sistema immunitario attaccano le unità biologiche tumorali.

 

Conte a Merkel nel fuorionda di Piazzapulita

Democratici e Popolari per l’Abruzzo: alle Regionali con la lista “Centristi x l’Europa

Il Movimento “Democratici e Popolari per l’Abruzzo”, di fronte alle allucinanti condizioni del panorama politico del nostro Paese, intende sollecitare l’impegno di donne e uomini di buona volontà per valorizzare energie giovani ed esperienze collaudate.

Questo per fornire risposte adeguate al governo delle istituzioni, soprattutto a livello locale. Il movimento guarda con preoccupazione alla condizione di isolamento dei Municipi, in cui Sindaci ed amministratori sono lasciati alla mercè delle emergenze frutto di errori di programmazione, di sovrapposizioni e di mancanza di risorse. Il territorio necessita di una rilettura delle modalità di governo e il movimento ha posto grande attenzione alle elezioni del 10 febbraio della Regione Abruzzo, aprendo una fase di riflessione progettuale per fornire sollecitazioni, idee ed esperienze e partecipando attivamente alle elezioni stesse con la lista “Centristi x l’Europa– Solidali e Popolari con Legnini”, sostenendo con determinazione la candidatura a presidente di Giovanni Legnini e lavorando all’articolazione di una coalizione plurale, democratica, costituzionale e desiderosa di un’Europa con al centro la giustizia sociale e non le lobby e gli speculatori.

Il movimento, inoltre, pone al centro della propria riflessione ideale il documento “Se ne parli”, frutto di un intenso lavoro di confronto sollecitato in quasi due anni dal “Laboratorio Spataro – scuola di formazione per il popolarismo nel Paese e nelle istituzioni” e che fa riferimento ai principi e alle idee di fondo che hanno caratterizzato l’esperienza del cattolicesimo democratico e popolare. Il programma è pubblicato sul portale www.terzomillennio.eu.

Questo processo va concretizzato non con una nostalgica riproposizione di simboli e nomi superati dalla storia, ma attualizzando quell’esperienza e calando i principi nell’attuale contesto politico che appare confuso e inappropriato a fornire risposte al Paese. Il movimento partecipa alla riflessione in atto nella Rete Bianca, contenitore in sintonia con i contenuti del cattolicesimo democratico e popolare.

Mattarella: “Il Giorno della Memoria è un invito costante e stringente all’impegno e alla vigilanza”

Rivolgo un saluto al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente del Consiglio, ai Vicepresidenti, alla Vicepresidente del Senato, a tutte le autorità e tutti i presenti, particolarmente ai ragazzi e ai bambini delle scuole.

Sono passati settantaquattro anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Eppure, nonostante il tanto tempo trascorso, l’orrore indicibile che si spalancò davanti agli occhi dei testimoni è tuttora presente davanti a noi, con il suo terribile impatto. Ci interroga e ci sgomenta ancora oggi.

Perché Auschwitz non è soltanto lo sbocco inesorabile di un’ideologia folle e criminale e di un sistema di governo a essa ispirato.

Auschwitz, evento drammaticamente reale, rimane, oltre la storia e il suo tempo, simbolo del male assoluto.

Quel male che alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, appena se ne ripresentino le condizioni.

Una società senza diversi: ecco, in sintesi estrema, il mito fondante e l’obiettivo perseguito dai nazisti. Diversi, innanzitutto, gli ebrei. Colpevoli e condannati come popolo, come gruppo, come “razza” a parte.

Gli ebrei. Portatori di una cultura antichissima, base della civiltà europea, vittime da sempre di pregiudizi e di discriminazioni, agli occhi dei nazisti diventano il problema, il nemico numero uno, l’ostacolo principale da rimuovere, con la violenza, per realizzare una società perfetta, a misura della loro farneticazione.

Ma quando il benessere dei popoli o gli interessi delle maggioranze, si fanno coincidere con la negazione del diverso – dimenticando che ciascuna persona è diversa da ogni altra – la storia spalanca le porte alle più immani tragedie.

Gli ebrei erano bollati con il marchio, infamante, della diversità razziale. Dipinti con tratti grotteschi, con una tale distorsione della realtà da sfociare nel ridicolo, se non si fosse tradotta in tragedia.

La furia nazista si accanì con micidiale e sistematica efficienza anche contro altre categorie di “diversi”: i dissidenti, gli oppositori, i disabili, i malati di mente, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i rom e i sinti, gli slavi.

Nell’ordine nuovo, vagheggiato da Hitler, non c’era posto per la diversità, la tolleranza, l’accettazione, il dialogo. La macchina della propaganda, becera quanto efficace, si era messa in moto a tutti i livelli per fabbricare minacce improbabili e nemici inesistenti.

Dove la propaganda non bastava, arrivavano il terrore e la violenza.

La ragionevolezza e l’intelligenza umana furono oscurate, fino al punto di non ritorno, dalla nebbia fitta dell’ideologia e dell’odio razziale.

Per gettare il marchio di infamia sugli ebrei furono utilizzati tutti i mezzi di indottrinamento allora a disposizione: giornali, radio, cinema, manifesti, libri per bambini, trattati pseudo scientifici, vignette.

Per sterminarli si fece ricorso agli strumenti tecnici più avanzati e alle più aggiornate teorie d’organizzazione burocratica e industriale. L’eliminazione del “diverso”, del sub-umano, come prodotto finale delle fabbriche della morte.

Come ha acutamente notato Bauman, con un paradosso apparente, la modernità tecnologica e scientifica del tempo era piegata spregiudicatamente al servizio di una ideologia antimoderna, barbara e regressiva.

Le persecuzioni naziste si iscrivevano in un progetto di società basato sul predominio dei popoli cosiddetti forti e puri sui popoli deboli, su un nazionalismo esasperato nemico della convivenza, sulla guerra come fonte di rigenerazione e di grandezza, su un imperialismo alimentato da delirio di onnipotenza, sulla sottomissione dell’individuo allo Stato, sulla negazione della libertà di coscienza, sulla repressione feroce di ogni forma di dissenso.

Tutto quel che la nostra Costituzione ha voluto consapevolmente bandire e contrastare – segnando un discrimine tra l’umanità e la barbarie – con il riconoscimento di eguali diritti e dignità ad ogni persona e con l’obiettivo e il metodo della cooperazione internazionale per una convivenza pacifica tra i popoli e gli Stati.

Ho trovato di grande interesse il tema scelto quest’anno per il Giorno della Memoria, scandagliando in profondità la terribile condizione femminile all’interno dei campi di sterminio. Di quelle donne umiliate e violate, nel fisico e nell’animo, di quelle madri, che con l’ultima forza residua, hanno abbracciato e rincuorato fino all’ultimo istante i loro piccoli, nel buio tremendo delle camere a gas.

Ringrazio Francesca Fialdini – che ha condotto così bene questo incontro – , il Ministro Bussetti, la presidente Di Segni, la professoressa Santerini, per i loro efficaci interventi. Edith Bruck per la sua lucida, coraggiosa – e terribile – testimonianza, di cui dobbiamo serbare memoria, nel cuore e nella mente. Ringrazio Isabella Ragonese, Federica Fracassi, Cristina Zavalloni e il Maestro Francesco Lotoro, perché anche l’arte, insieme alla storia, alla sociologia, alla filosofia, alla psicologia, è un modo per avvicinarsi a quell’inestricabile groviglio di eventi, sofferenze, paure, atrocità che fu la Shoah.

Ringrazio le studentesse, Federica e Giulia, per la loro testimonianza.

Rivolgo un saluto particolare, con affetto, ai sopravvissuti che, oggi, hanno voluto essere qui tra noi: Peppino Gagliardi, Sami Modiano, Selma Modiano, Gilberto Salmoni e Piero Terracina.

Una sola considerazione sul tema delle donne nella Shoah: le ideologie totalitarie hanno sempre considerato le donne come esseri inferiori. E così come la donna ariana, nella follia nazista, era ridotta a mero strumento per la riproduzione di nuovi ariani, la donna ebrea portava la colpa ulteriore di aver generato la progenie di una razza ritenuta diversa.

Anche per questo va sempre ricordato che non può esistere democrazia e libertà autentica nei Paesi in cui, ancora, si continua a negare pienezza dei diritti e pari opportunità per ogni donna.

Il Giorno della Memoria non è soltanto una ricorrenza, in cui si medita sopra una delle più grandi tragedie della storia, ma è un invito, costante e stringente, all’impegno e alla vigilanza.

In Italia e nel mondo sono in aumento gli atti di antisemitismo e di razzismo, ispirati a vecchie dottrine e a nuove e perverse ideologie. Si tratta, è vero, di minoranze. Ma sono minoranze sempre più allo scoperto, che sfruttano con astuzia i moderni mezzi di comunicazione, che si insinuano velenosamente negli stadi, nelle scuole, nelle situazioni di disagio.

La riproposizione di simboli, di linguaggi, di riferimenti pseudo culturali, di vecchi e screditati falsi documenti, basati su ridicole teorie cospirazioniste, sono tutti segni di un passato che non deve in alcuna forma tornare e richiedono la nostra più ferma e decisa reazione.

Noi Italiani, che abbiamo vissuto l’onta incancellabile delle leggi razziali fasciste e della conseguente persecuzione degli ebrei, abbiamo un dovere morale. Verso la storia e verso l’umanità intera. Il dovere di ricordare, innanzitutto, Ma, soprattutto di combattere, senza remore e senza opportunismi, ogni focolaio di odio, di antisemitismo, di razzismo, di negazionismo, ovunque esso si annidi. E di rifiutare, come ammonisce spesso la senatrice Liliana Segre, l’indifferenza: un male tra i peggiori.

Auschwitz, il più grande e più letale dei campi di sterminio – con le sue grida, il suo sangue, il suo fumo acre, i suoi pianti e la sua disperazione, la brutalità dei carnefici – è stato spesso, e comprensibilmente, definito come l’inferno sulla terra. Ma fu, di questo inferno, solo l’ultimo girone, il più brutale e perverso.

Un sistema infernale che ha potuto distruggere milioni di vite umane innocenti nel cuore della civiltà europea, soltanto perché, accanto al nefando pilastro dell’odio, era cresciuto quello dell’indifferenza.

L’Italia si prepara per una Brexit senza accordo

Il Mef ha approntato le misure necessarie a garantire piena continuità dei mercati e degli intermediari in caso di Brexit senza accordo.

Le misure mirano ad assicurare la stabilità finanziaria, l’integrità e la continuità operativa di mercati e intermediari nonché la tutela degli investitori e della clientela, tramite l’introduzione di un congruo periodo transitorio nel quale tali soggetti potranno continuare ad operare; analogamente al periodo transitorio che sarebbe previsto in caso di accordo tra il Regno Unito e la UE. Durante il periodo transitorio sarà possibile per gli intermediari – siano essi bancari, finanziari, assicurativi o operanti nel campo della previdenza complementare – continuare ad operare secondo la normativa attuale: la possibilità varrà sia per gli operatori britannici operanti in Italia, sia per gli operatori italiani operanti nel Regno Unito.

La normativa disciplinerà nel dettaglio tutti gli adempimenti che i vari tipi di intermediari saranno chiamati ad assolvere – sulla base della normativa settoriale applicabile – per poter continuare ad operare anche oltre al periodo transitorio definito, in modo da definire un quadro certo per tutti gli operatori che permetterà a ciascuno di prepararsi per tempo alla fine del periodo transitorio, consentendo una piena operatività nel nuovo contesto istituzionale ed operativo che si verrà a creare.

Previsioni analoghe – spiega il Mef – saranno presenti nella parte del provvedimento inerente i mercati, con particolare riferimento alle sedi di negoziazione e all’accesso degli operatori alle stesse. Anche in questo caso, le previsioni relative al periodo transitorio, in cui potrà essere proseguita l’attuale operatività secondo la normativa attualmente vigente, varranno sia per i gestori di sedi di negoziazione britannici che operano in Italia sia per quelli italiani che operano nel Regno Unito.

Saranno infine previsti – prosegue la nota – anche gli adempimenti che i gestori delle sedi di negoziazione dovranno porre in essere per poter continuare ad operare dopo la fine del periodo transitorio. La disciplina eccezionale che il provvedimento pone in essere – puntualizza Via Venti Settembre – ha come unico obiettivo quello di evitare soluzioni di continuità rispetto all’esercizio di attività soggette a riserva di legge in ambito nazionale, nel rispetto delle pertinenti discipline UE di armonizzazione. Pertanto, in linea con i limiti richiamati dalla stessa Commissione europea con la Comunicazione del 13 novembre scorso, il provvedimento non include disposizioni che attengono aspetti riguardanti i rapporti bilaterali fra intermediari e clienti, che esulano dal perimetro delle richiamate discipline di armonizzazione di settore, e sono invece retti dalla disciplina generale dei rapporti contrattuali.

La data di emanazione del provvedimento dipenderà dai prossimi sviluppi e dalle conseguenti determinazioni che verranno adottate nel Regno Unito in ordine al recesso. Esso verrà comunque adottato – assicura il Ministero – in tempo utile per permettere un ordinato svolgimento delle attività e fornire un quadro normativo certo entro cui operare anche in caso di recesso senza accordo.

Giorno della Memoria: Assisi, fino 18 marzo iniziative per non dimenticare

Ci sarà anche Gioia Bartali, oggi alle ore 11,30 alla cerimonia della Prefettura di Perugia in occasione della Giornata della Memoria che quest’anno si svolge al Museo della Memoria di Assisi dove si ricorda l’opera di salvezza degli ebrei alla quale partecipò anche il grande campione di ciclismo Gino Bartali.

La nipote porterà il suo saluto e le impressioni a caldo del viaggio fatto ad Aschiwtz con gli studenti e alcuni sopravvissuti alla Shoah, organizzato dal Miur e dall’Ucei.

La cerimonia, si concluderà con la consegna da parte del prefetto Claudio Sgaraglia delle “medaglie d’onore ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra”.

Altri appuntamenti sono in programma lunedì 28 gennaio alla scuola “Galeazzo Alessi” di Santa Maria degli Angeli dove ci sarà la testimonianza di Viviana Salomon, figlia di genitori sopravvissuti alla Shoah, e giovedì 31 gennaio alle ore 15,30 nella Sala della Conciliazione del Comune di Assisi dove ci sarà il racconto di Roberto Cerniani di Trieste su “Come le famiglie Mayer e Cerniani furono nascoste e salvate in Assisi”.

Domenica 3 febbraio alle ore 15,30 ci sarà il tradizionale percorso alla scoperta dei luoghi assisani della Memoria con la visita al convento delle Suore dell’Atonement dove furono nascoste diverse famiglie ebree.

Lunedì 18 marzo alle ore 10,30 al teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli in scena il racconto teatrale di Paolo Mirti “Nuvole – Da Firenze ad Assisi con la libertà nascosta della bicicletta di Gino Bartali”. In questi giorni tante scuole sono in visita al Museo della Memoria dove vengono organizzati laboratori e percorsi ad hoc per gli studenti di ogni ordine e grado

Ciclovie turistiche: pubblicato il decreto in Gazzetta Ufficiale

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 18 del 22 gennaio 2019 il Decreto 29 novembre 2018 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, recante: “Progettazione e realizzazione di un sistema nazionale di ciclovie turistiche.”.

“I progetti e gli interventi relativi alle ciclovie turistiche sono individuati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.”. E’ quanto prevedeva l’articolo 1, comma 640, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016). L’utilizzo del fondo per la realizzazione delle ciclovie, disposto con D.P.C.M., era previsto dall’articolo 1, comma 140 della Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di bilancio 2017) ed è stato oggetto di ricorso da parte della Regione Veneto.

La Corte Costituzionale con la Sentenza n. 74 del 7 marzo 2018 (pubblicata in G.U. 18/04/2018, n. 16) si è pronunciata dichiarando l’illegittimità di questo comma nella parte in cui non viene prevista “un’intesa con gli enti territoriali in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri riguardanti settori di spesa rientranti nelle materie di competenza regionale”.

L’8 novembre 2018 il provvedimento è stato esaminato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che ha espresso l’Intesa con raccomandazioni, sancita nella Conferenza Unificata dello stesso giorno.

Spinaceto 2 è salva

Le 60 famiglie del Piano di Zona Spinaceto 2 non saranno sfrattate dalle loro case. Lo ha detto  la sindaca Virginia Raggi con un post su Facebook, spiegando che “dopo le revoche sui comparti di Tor Vergata e Castelverde, compiamo un ulteriore passo: l’approvazione in Giunta di una delibera che prevede la decadenza della convenzione stipulata nel 2006 con la Cooperativa Vesta”.

“Chiaramente il percorso da fare è ancora lungo e complesso perché ogni Piano di Zona ha delle caratteristiche particolari che non consentono di applicare un procedimento standardizzato per tutti, ma il nostro impegno non viene e non verrà meno – conclude la sindaca -. Continueremo sulla strada di legalità, trasparenza e giustizia poiché quella dei Piani di Zona costituisce una problematica prima di tutto sociale e di tutela dell’interesse pubblico”.

Venezuela: Guaidó l’uomo che si fece presidente

Il giovane Juan Guaidó, leader dell’Assemblea nazionale, si è autoproclamato presidente “pro tempore” del Paese.

Riconosciuto come leader già da Trump, e dall’Organizzazione degli Stati Americani (Oas), Guaidó ha sempre considerato “l’usurpazione del potere” da parte di Maduro, il cui secondo mandato è considerato illegittimo dall’opposizione e da buona parte della comunità internazionale, un problema non trascurabile.

Ma chi è il nuovo Presidente “pro tempore” del Venezuela?

Guaidó si è diplomato nel 2000 dopo aver vissuto la tragedia di Vargas, ossia le violente alluvioni e inondazioni che nel dicembre 1999 hanno devastato lo Stato federato venezuelano, cosa che ha probabilmente influenzato la sua politica, rendendolo un oppositore del presidente Hugo Chávez. Ha ottenuto la sua licenza di ingegnere nel 2007 presso l’Università cattolica Andrés Bello.

Ha preso parte alle proteste in Venezuela del 2007 contro il rinnovamento della licenza alla rete televisiva RCTV e contro il referendum costituzionale promosso dall’allora presidente Chávez.

Nel 2009 è tra i membri fondatori del partito Volontà Popolare (Voluntad Popular), forte oppositore di Chávez prima e di Maduro poi.

L’anno successivo viene eletto deputato dell’Assemblea Nazionale per il suo Stato e, con questo incarico, si occuperà di indagare sulla corruzione presente nell’amministrazione del presidente venezuelano Nicolàs Maduro.

Nel dicembre 2018 viene eletto presidente dell’Assemblea Nazionale, organo esautorato da Maduro e sostituito dall’Assemblea nazionale costituente.

E’ a favore di un’economia di mercato e del federalismo fiscale in Venezuela. E’ consapevole dei rischi che corre perché Maduro, che ha già esautorato i poteri del Parlamento, potrebbe dichiararne le scioglimento, arrestare Guaidò e scatenare una violenta repressione contro gli oppositori. “So che ci saranno conseguenze – ha detto alla folla ‘assumendo’ i poteri – per riuscire a compiere questa missione e ristabilire la Costituzione occorre il consenso di tutti i venezuelani”.

A Grottole (Matera) per cambiare vita e salvare il borgo

La no profit Wonder Grottole, offre a 4 persone la possibilità unica di staccare la spina e trasferirsi per 3 mesi nel borgo di Grottole, diventando volontari nella splendida campagna lucana.

Arroccato su una collina a pochi chilometri da Matera, il centro storico di Grottole con i suoi soli 300 abitanti e le sue oltre 600 case vuote rischia, in pochi anni, di diventare un borgo fantasma.  Per restituire nuova vita al borgo, Airbnb sta supportando Wonder Grottole, una no profit locale impegnata in progetti di rigenerazione urbana, nella sfida di trovare 4 volontari da tutto il mondo pronti a trasferirsi a Grottole e sostenerne la rinascita.

Da semplici turisti, i 4 selezionati si trasformeranno in cittadini temporanei, immergendosi nella cultura locale, lavorando nell’orto della comunità e imparando deliziose ricette della tradizione da trasmettere poi a loro volta ai turisti che visiteranno il borgo.

Melanoma: scoperta una proteina che potrebbe vincere la resistenza primaria all’immunoterapia

Anche se l’immunoterapia è sempre più precisa, circa il 40% dei soggetti con melanoma non risponde ai farmaci anti-PD1 e anti-CTLA4.
Proprio per questo lo studio pubblicato da Nature Immunology, firmato da Ping-Chih Ho del Ludwig Institute for Cancer Research (Losanna) è innovativo.

Nello studio si suggerisce una possibile spiegazione a questo fenomeno e forse anche una soluzione.

Grazie alla ricerca si è potuto scoprire  il ruolo della proteina UCP2 nella risposta all’immunoterapia.
Gli autori dello studio sono dunque andati a studiare in cosa differiscono, rispetto all’espressione genica, i tumori cosiddetti ‘freddi’ (non infiltrati da cellule T) da quelli ‘infiammati’.

L’analisi computazionale dei geni espressi dal melanoma riportata ne The Cancer Genome Atlas (TCGA) ha rivelato che i tumori che manifestano una robusta risposta immunitaria anti-tumorale sono quelli che esprimono elevati livelli di UCP2 (uncoupling protein 2), una proteina mitocondriale metabolica.

I melanomi che esprimono molta UCP2, esprimono anche un sottogruppo di citochine che attirano le cellule del sistema immunitario nel loro microambiente, in particolare le cellule T killer e le cellule dendritiche convenzionali di tipo 1 (cDC1). Queste ultime sono in grado di ‘istruire’ e di scatenare le cellule T killer contro le cellule tumorali. Ulteriori analisi condotte sui dati del TCGA suggeriscono che i tumori con elevata espressione di UCP2, presentano un infiltrato infiammatorio di cellule T killer e cDC1.

Partendo da queste constatazioni, i ricercatori del Ludwig Institute for Cancer Research sono andati a trapiantare su topi dei melanomi indotti ad esprimere alti livelli di UCP2; l’induzione di UCP2, come previsto, è andata a potenziare la produzione di fattori in grado di provocare una risposta anti-tumorale, attirando al contempo un flusso di cellule T killer e di cDC1 all’interno del tumore.
I tumori trapianti nei topi ‘ingegnerizzati’ per essere carenti di cellule cDC1 al contrario non presentavano questo infiltrato di cellule T killer, neppure in presenza di iperespressione di UCP2.

“Questi esperimenti – commenta Ho – confermano che l’espressione di questa proteina da parte delle cellule tumorali può modificare lo stato immunitario del microambiente tumorale e che questo induce un ciclo immunitario anti-tumorale ben noto, controllato dalle cellule cDC1 e T killer”.

Lo stesso gruppo di ricerca sta ora cercando di confermare questi risultati in una serie di studi preclinici che potrebbero fornire il razionale per un trial clinico sull’uomo sull’impiego del rosiglitazone per vincere la resistenza agli anti-PD1 nel melanoma.

Popolari, ora il soggetto politico

Continuano in tutta Italia le riflessioni, le iniziative e gli approfondimenti attorno al centenario della nascita del Partito Popolare Italiano. E, soprattutto, dell’attualità del popolarismo di ispirazione cristiana. Il tutto, com’è altrettanto ovvio, si inserisce in un contesto culturale nazionale dove emerge la necessità, sempre più forte, di rinnovare e rilanciare un protagonismo politico dei cattolici italiani. Sia chiaro, nessuna deriva clericale, nessun partito confessionale o “dei vescovi” e, nello specifico, nessun “partito dei cattolici”. Che, in Italia, non è mai esistito. Non lo era il Ppi di Sturzo, non lo è stata la Democrazia Cristiana e tantomeno il Ppi di Mino Martinazzoli. Una tradizione ed una prassi estranei alla storia politica italiana e alla stessa esperienza concreta dell’area cattolica italiana. Seppure non siano mai mancate tentazioni integralistiche e confessionali dal secondo dopoguerra in poi. Ma che sono sempre stati minoritarie e marginali.

Ora, e’ indubbio, e al di là dei retroscena giornalistici quotidiani, che questo fermento non può non generare una iniziativa politica. Quando da più versanti emerge la necessità di ridar voce e rappresentanza ad una cultura e ad un pensiero oggi irresponsabilmente marginali e ininfluenti, lo sbocco politico diventa quasi inevitabile. Certo, il panorama cattolico democratico, popolare e sociale oggi pullula di movimenti, gruppi, associazioni, singole personalità e via discorrendo che pensano, ognuno, ancora di essere il depositario esclusivo per l’avvio di un nuovo soggetto politico. Eppure la vera sfida resta quella di far canalizzare in un soggetto politico unitario e il più rappresentativo possibile le varie sensibilità che arricchiscono, oggi, l’area cattolica italiana. Sotto questo versante, e’ del tutto evidente che non è sufficiente cercare di strumemtalizzare il magistero sturziano o l’eredità del popolarismo di ispirazione cristiana per i propri disegni politici. È stata una operazione simpatica, ma francamente grottesca, quella messa in atto in questi giorni da Berlusconi da un lato che si rivolge agli uomini “liberi e forti”era una nuova Forza Italia e da Zingaretti dall’altro per accalappiarsi l’eredità sturziana nella formazione del nuovo partito della sinistra italiana. Tentativi legittimi ma del tutto grotteschi se non ridicoli quello di dare cittadinanza politica, culturale e programmatica ad una tradizione che se coniugata con ciò che resta del berlusconismo o con un rinnovato Pds sarebbe destinata a restare semplicemente a bordo campo. Un motivo in più, quindi, per ridare voce politica a questa tradizione ideale che, altrimenti, sarebbe consegnata agli archivi storici. Un tema, questo, che si pone anche e soprattutto dopo il tramonto dei “partiti plurali” – nel caso specifico del Pd che ormai si avvia a diventare, giustamente, un rinnovato partito della sinistra italiana , una sorta quindi di neo Pds – e del sostanziale esaurimento della esperienza di Forza Italia e dell’Udc sul versante del centro destra.

Ma questo nuovo soggetto politico adesso si impone. E questo non solo per l’insistenza di molti settori della gerarchia ecclesiastica o dell’associazionismo cattolico di base, ma per la richiesta di fette crescenti dell’elettorato che si sente sempre più orfano nell’attuale cittadella politica italiana. Un elettorato che per molti anni si è riconosciuto, seppur stancamente, in altri partiti ma che adesso, dopo lo tsunami del voto del 4 marzo scorso, e’ alla ricerca di nuovi rappresentanti, di nuovi progetti e soprattutto di un nuovo soggetto politico.

E il ricordo e la riflessione sul centenario del Ppi sturziano e dell’ormai celebre appello ai “liberi e forti” può essere la leva decisiva per aprire una nuova fase politica per i cattolici democratici e popolari italiani. Senza limitarsi a celebrare in modo un po’ protocollare e burocratico una cultura politica, come ormai ci ha abituati l’Associazione Popolari guidata da Pier Luigi Castagnetti. È giunto il momento, invece e al contrario, di tradurre concretamente questo fermento politico, culturale, programmatico ed organizzativo. È giunto cioè il momento, seppur in un contesto storico profondamente diverso e mutato rispetto all’inizio del novecento, di imitare il coraggio e l’intuizione di quel prete di Caltagirone che con un piccolo gruppo di volenterosi raccolse la spinta per un rinnovato impegno politico dei cattolici italiani e mise in campo un progetto e una cultura che dopo 100 anni continuano a conservare una bruciante attualità. Perché Sturzo e il popolarismo non si celebrano ma si vivono. Concretamente e quotidianamente. Come recita la miglior tradizione del cattolicesimo politico italiano.

Mattarella ricorda Guido Rossa: «La democrazia si difende se resta se stessa e non rinuncia ai propri valori scolpiti nella Costituzione»

Onoriamo qui, oggi, un uomo, un lavoratore, un delegato sindacale, un militante politico che, nel momento in cui forze eversive e oscure portavano il loro assalto sanguinario alla nostra convivenza civile, ebbe il coraggio di non guardare dall’altra parte.

Di non cedere alla meschinità della paura e della fuga dal senso di responsabilità di fronte alla minaccia e alla violenza.

Ha pagato, con la sua famiglia, il prezzo supremo di chi ha voluto tener fede ai valori della Repubblica, che in Genova e nelle sue fabbriche hanno trovato radice profonda nell’impegno nato nella Resistenza.

Il terrorismo si definisce da solo per ciò che è: attacco vile alle persone, alla loro dignità, alla vita. Aggressione alle idee, intimidazione contro la libertà di ciascuno. Tentativo di abbattere le istituzioni poste a salvaguardia di tutti.

Guido Rossa non indugiò a chiedersi se toccasse proprio a lui contrastare il terrorismo. Seppe battersi per tutti.

Anche per chi preferiva fingere di non vedere.

Anche per chi stentava a capire cosa fosse in gioco nella drammatica stagione del terrorismo, più o meno mascherato dietro deliri ideologici e sigle di maniera.

Una esperienza che, ancora una volta, conobbero e dovettero combattere le principali democrazie europee.

E la democrazia prevalse, sorretta da un vasto sentimento popolare, dopo gli assassinii e i ferimenti di tanti concittadini, colpevoli solo di essere interpreti delle diverse forme in cui la nostra società si è liberamente organizzata.

Prevalse nel rispetto pieno delle regole dello Stato di diritto.

Prevalse senza cedimenti ai propositi di chi intendeva spingere l’azione dei pubblici poteri sul terreno della riduzione dei diritti e della repressione delle libertà.

La democrazia divenne più forte con il rispetto dei nostri principi e precetti costituzionali.

Si impose con il contributo fondamentale del movimento dei lavoratori – sicura riserva dei valori della Repubblica – che seppe, sull’esempio di Guido Rossa, rinsaldare le proprie fila e sfidare l’eversione là dove, come nelle fabbriche, pretendeva di costruire un consenso di massa puntando sul disagio sociale, ignorando il carattere profondamente democratico del movimento dei lavoratori.

Emerse oltre ogni dubbio, con il suo assassinio, il carattere ferocemente antipopolare, oltre che antidemocratico, del cosiddetto “partito armato”.

È con emozione – quindi – e con sentimenti di profonda riconoscenza, che partecipo, insieme a voi, a questo ricordo nella fabbrica in cui Guido Rossa ha lavorato e ha combattuto le sue battaglie civili.

La memoria è parte vitale della costruzione del nostro futuro. Non saremo mai veri protagonisti se non avremo la forza di riconoscere la continuità dei valori, degli ideali, delle conquiste sociali raggiunte nel cammino di cambiamento della nostra comunità.

Il progresso avanza sulle azioni degli uomini. Sul coraggio e sull’integrità di persone normali, come Guido Rossa, che al suo mestiere, alla sua competenza professionale, univa l’impegno nel sindacato e nel Partito comunista italiano al quale aveva aderito. Non si proponeva di diventare un eroe ma voleva essere fedele a se stesso, a ciò che intendeva costruire per il domani della sua famiglia, del quartiere in cui abitava, della fabbrica in cui lavorava, dell’intera società.

Assumersi delle responsabilità è difficile, e può diventare pesante: ma l’Italia, a partire dalla Resistenza, si è basata su questa capacità, nel suo progredire.

Donne e uomini che hanno saputo in famiglia, sul lavoro, nella vita di tutti i giorni, assumere le proprie responsabilità, costruire il futuro.

Ecco perché oggi la Repubblica dice grazie a Guido Rossa e a tutti quanti hanno saputo rendere grande il nostro Paese.

Continueremo a custodire la memoria dei tanti che negli anni di piombo sono divenuti bersagli inermi e innocenti del terrorismo brigatista, delle sue spietate filiazioni, dello stragismo della galassia dell’eversione neofascista.

È lunga la sequela di nomi e di vite spezzate. Ancora ci chiediamo come sia potuto accadere. Ed è un interrogativo attuale per una democrazia che voglia saper vivere e affrontare le proprie contraddizioni, per impedire che forze oscure avvertano nuovamente la tentazione di tornare all’attacco.

La nostra comunità ha superato la prova grazie alla propria coesione, rafforzata da quelle personalità e da quelle forze politiche e sociali che sono state capaci di ricostruire unità nei momenti cruciali. Grazie alla lungimiranza di uomini di governo e delle istituzioni rappresentative, alla dedizione di uomini delle forze dell’ordine, di magistrati, di sindacalisti, di insegnanti, di tanti cittadini che hanno saputo respingere la barbarie, la violenza, l’odio, la sopraffazione.

A decenni di distanza, quell’impegno non può dirsi del tutto concluso. L’azione delle istituzioni per ristabilire piena luce, dove questa è ancora lacunosa, non può fermarsi. Così come una definitiva chiusura di quella pagina richiede che sia resa compiuta giustizia, con ogni atto utile affinché rendano testimonianza e scontino la pena loro comminata quanti si sono macchiati di gravi reati e si sono sottratti con la fuga alla sua esecuzione.

La democrazia è una condizione delicata, la cui cura viene affidata alle istituzioni ma, in misura non minore, è affidata alla responsabilità e ai comportamenti dei cittadini, in tutti i luoghi in cui si sviluppa la loro presenza.

La fabbrica – il luogo di lavoro – ha avuto, ha un ruolo centrale.

Il lavoro ha un ruolo centrale nella organizzazione della vita di ciascuno e della collettività. Lo ha, simbolicamente, il luogo della fabbrica, sinonimo di produzione, crescita, trasformazione, innovazione nei prodotti e nelle relazioni sociali, economiche.

Un termometro del cambiamento potremmo definire Ilva, oggi Arcelor Mittal.

Sfide continue impongono di stare al passo con i tempi.

Ma apertura ai mercati non significa allentamento di norme di tutela della dignità e della integrità delle persone.

Due giorni fa, qui a Genova – in altro luogo – ancora una volta un operaio, Eros Ciniti, è morto sul lavoro. Sono morti inaccettabili. Mentre ci uniamo all’immenso dolore dei suoi bambini e dei suoi familiari, dobbiamo ribadire che la sicurezza sul lavoro è un diritto fondamentale di cittadinanza.

Genova è una capitale industriale del Paese. La manifattura cambia e muta anche la distribuzione degli impieghi tra i vari settori. Non viene meno però il valore strategico di un’industria moderna, competitiva, capace di integrarsi nel territorio rispettando gli standard ambientali. L’Italia è consapevole dell’importanza di industrie capaci di stare sui mercati.

C’è bisogno di visione e di programmi adeguati.

Per Genova c’è bisogno di colmare al più presto il gap infrastrutturale, evidenziato dal tragico, inaccettabile crollo del ponte Morandi.

Anche in questa occasione desidero ricordare le vittime e rivolgere un pensiero di vicinanza ai loro familiari; così come a coloro che hanno perduto la propria abitazione. Alla città di Genova, che ha dimostrato ancora una volta i suoi valori di solidarietà, va garantito che la ricostruzione del ponte, in tempi certi, sia una priorità nazionale.

Al mondo del lavoro e alle sue espressioni organizzate spettano compiti importanti per fare del nostro un Paese migliore, più forte e più inclusivo.

Era ciò per cui Guido Rossa, delegato di fabbrica della FIOM, si è sempre battuto, consapevole che la promozione dei diritti dei singoli trova, nella tutela collettiva dei lavoratori, lo strumento di più efficace espressione.

È il tema della consapevole e impegnata partecipazione dei cittadini, che fu essenziale nella lotta vincente contro il terrorismo.

I lavoratori italiani sono stati costruttori della Repubblica.

La fabbrica è stata motore di sviluppo, e scuola di democrazia.

Il terrorismo disumano e totalitario la voleva piegare alla sua propaganda di violenza e di morte. Quel tentativo è stato respinto, battuto dal popolo.

La battaglia per la libertà non concede tuttavia tregua.

I fantasmi del passato sono sempre in agguato.

Contro di essi la coscienza internazionale dei Paesi democratici, della Unione Europea, ha il dovere di essere vigile e di essere forte.

Dalla nostra storia, dai testimoni di cui facciamo memoria, abbiamo imparato che la democrazia si difende se resta se stessa e non rinuncia ai propri valori, scolpiti nella Costituzione.

Sappiamo che, a questa impresa, da Genova saprà venire sempre un apporto vigoroso, come avvenne con Guido Rossa.

Brexit: molte aziende lasciano sola la May

Il rischio di una Brexit senza accordo si manifesta con gli annunci di trasferimenti all’estero di numerose imprese britanniche. Per la stampa britannica questo è un segno ulteriore di come gli imprenditori stiano “perdendo la pazienza per l’incapacità della politica” di far uscire il Regno Unito dall’impasse della Brexit.

Tra le aziende che lasceranno il Regno Unito, scrive  il “Guardian”, vi è Dyson, specializzata in elettrodomestici d’avanguardia e prodotti per la domotica, che trasferirà il proprio quartier generale da Londra a Singapore. A Dyson si aggiunge la società di navigazione P&O, la cui intera flotta di sei traghetti in servizio nella Manica d’ora in poi batterà bandiera di Cipro. Si tratta di una mossa decisa per non avere problemi con l’Ue dopo la Brexit.

A sua volta, l’industria elettronica giapponese Sony ha confermato la decisione di trasferire i suo quartier generale in Europa da Londra ad Amsterdam. Inoltre, la catena di negozi di elettronica Dixons Carphone e quella di prodotti per gli animali domestici Pets at Home hanno reso pubblicato piani straordinari di accumulo di scorte per far fronte alla probabilità che subito dopo la Brexit i porti britannici precipitino nel caos.

Il produttore di auto di lusso Bentley ha assunto la medesima iniziativa. Inoltre, l’amministratore delegato di Bentley, Franz-Josef Paefgen, ha duramente criticato la Brexit, definendola un “killer” che minaccia la stessa sopravvivenza della sua azienda.

Yemen: Basta armi italiane per la guerra

Movimento dei Focolari Italia, Un Ponte per…, Arci, Pro Civitate Christiana Assisi, Libera (Associazioni, nomi e numeri contro le mafie), Gruppo Abele, Fondazione Finanza Etica, Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, Movimento Nonviolento Roma, Rete della Pace, Pax Christi, Amnesty International Italia, Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione chiese evangeliche in Italia firmano una petizione per fermare la vendita di armi italiane per la guerra in Yemen.

In Italia si producono bombe utilizzate nel conflitto in corso dal 2015 in Yemen. Gli ordigni colpiscono scuole e ospedali. Cambiano i governi e la composizione di Camera e Senato, ma le armi continuano a partire nonostante le numerose risoluzioni del Parlamento europeo che invitano gli Stati a sospendere ogni rapporto di fornitura con i protagonisti, nel nostro caso con l’Arabia Saudita, di una guerra che gli esperti Onu definiscono un disastro umanitario”, ribadiscono i firmatari della mozione.

“Il tentativo di trattare la questione come un caso marginale, delocalizzando il problema nel territorio sardo del Sulcis Iglesiente, dove quella produzione avviene, è solo uno degli argomenti più banali usati per coprire le gravi responsabilità politiche di ciò sta accadendo nel nostro Paese”, precisano.

“La nostra società non può rassegnarsi a tale declino morale ed economico – sottolineano -. Il ripudio della guerra si mette in pratica attuando la legge 185/90 che vieta la vendita di armi ai Paesi in guerra e prevede il finanziamento di seri piani di riconversione industriale. Un reale cambiamento parte da un dibattito pubblico promosso nei comuni italiani su una mozione che chiede di fermare gli ordigni che provocano stragi e promuovere un’economia di giustizia. Assisi è stato il primo comune a rompere il muro della complicità e indifferenza. Cagliari ha approvato una mozione che va nella stessa direzione”.

La mozione sarà presentata il 28 gennaio (ore 17.30 Sala del Carroccio) in Campidoglio

Istat: nel 2016 retribuzione oraria lorda degli italiani sotto la media dell’eurozona

Si stima che nel 2016 il costo del lavoro in senso ampio delle unità economiche con almeno 10 dipendenti dell’industria e dei servizi sia pari a 41.785 euro per dipendente.

Le retribuzioni lorde per dipendente ammontano a 30.237 euro e sono il 72,4% del costo del lavoro.

A livello di macrosettore, l’Industria mostra i più elevati valori medi delle retribuzioni lorde annue per dipendente (32.805 euro); Servizi e Costruzioni registrano i livelli inferiori, pari rispettivamente a 29.476 e 27.969 euro.

Ad un maggiore dettaglio settoriale, le retribuzioni lorde annue per dipendente più elevate si registrano nell’Estrazione di minerali da cave e miniere (53.370 euro) e nelle Attività finanziarie e assicurative (52.666 euro), quelle minime nelle Attività di servizi di alloggio e ristorazione (17.806 euro).

I contributi sociali incidono per il 27,3% sul costo del lavoro in senso ampio, in particolare, il peso percentuale delle singole componenti è del 20,9% per i contributi sociali obbligatori per legge, dello 0,4% per quelli volontari e contrattuali e del 3,6% per il Trattamento di Fine Rapporto.

Le spese per la formazione rappresentano soltanto lo 0,2% del costo del lavoro in senso ampio.

La retribuzione lorda per ora lavorata è pari a 20,19 euro, con una differenza di oltre sette euro tra le unità economiche con 1.000 e più dipendenti e quelle di piccole dimensioni (10-49 dipendenti).

La retribuzione per ora lavorata è superiore alla media nazionale nel Nord-ovest e nel Centro (rispettivamente +4,5% e +2,1%) mentre nel Nord-est, nel Sud e nelle Isole i valori sono inferiori (-3,3%, -6,1% e -2,8%).

Torino: Sandy Skoglund. Visioni Ibride

color photograph; approx. image area 27 1/2" X 35"

Apre al pubblico oggi negli spazi di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, a Torino,
l’importante mostra “Sandy Skoglund. Visioni Ibride”, prima antologica dell’artista statunitense Sandy Skoglund (1946), curata da Germano Celant.
La mostra riunisce lavori che vanno dagli esordi nei primi anni Settanta all’ancora inedita opera“Winter”, alla quale l’artista ha lavorato per oltre dieci anni. Sarà proprio questa immagine -accompagnata da alcune delle sculture create per l’installazione da cui è stata tratta la fotografia – ilfulcro dell’esposizione: una spettacolare anteprima mondiale che conferma una volta di più l’unicitàdella sua ricerca e del suo linguaggio, formatisi in pieno clima concettuale per evolversi in un immaginario sospeso tra sogno e realtà, di straordinaria potenza evocativa.

La mostra permette dunque di seguire questo percorso attraverso oltre cento lavori tra fotografie, quasitutte di grande formato, e sculture. Si va dalle prime serie fotografiche prodotte a metà anni Settanta, dove già emergono i temi caratteristici dell’interno domestico e della sua trasformazione in luogo di apparizioni tra comico e inquietante, fino alle grandi composizioni dei primi anni Ottanta, che hanno dato all’artista fama internazionale.

In particolare, si ricordano le visionarie “Radioactive cats” del 1980
e “Revenge of the goldfish” del 1981, autentiche icone del periodo, rivisitazioni surreali e stranianti di ambienti famigliari dai colori improbabili, invasi da gatti verdi e pesci volanti. Come ha dichiarato l’artista, credo che esista un contrasto tra l’aspetto della fantasia – gli animali sono come cartoon o fantasie – e la realtà. Poiché noi, in quanto esseri umani, ci consideriamo la principale forma di coscienza esistente in natura, ho scelto di popolare le mie immagini con animali per introdurre nella nostra esperienza questa coscienza alternativa.

Le immagini di Skoglund nascono – sempre – dalla costruzione di un set, estremamente complesso, che l’artista poi fotografa: un procedimento che ben spiega la rarefatta produzione dell’artista e la peculiarità della suo percorso visuale, che è al tempo stesso installativo, scultoreo e fotografico. Elementi, tutti, che si ritrovano nella mostra torinese, dove alcune sculture rimandano alle fotografie e  viceversa.

Le candidature per gli oscar 2019

L’Academy ha ufficializzato i film candidati agli Oscar 2019: Roma e La Favorita, con dieci ciascuna sono le pellicole favorite, seguono  A Star is Born, con otto e Vice – L’Uomo nell’Ombra anche lui con otto nomination, seguito da Black Panther con sette. Green Book, vincitore del PGA pochi giorni fa, ha ottenuto otto nomination (ma non quella, molto importante, alla miglior regia), mentre il campione d’incassi Bohemian Rhapsody ne ha ricevute cinque (tra cui miglior film e miglior attore protagonista).

Il film di Alfonso Cuaron è nominato come miglior film, miglior film straniero, miglior regia, fotografia, sceneggiatura, sonoro e montaggio del suono, attrici. Tre le nomination per un altro film straniero, Cold War di Pawel Pawlikowski, che oltre appunto a miglior film straniero ottiene anche fotografia e montaggio.

Da notare la doppia nomination per la migliore attrice protagonista a La Favorita (Rachel Weisz ed Emma Stone), e la doppia nomination a Sandy Powell per i costumi di La Favorita e Il Ritorno di Mary Poppins. Inoltre, Lady Gaga è la prima donna nominata come migliore attrice e per la miglior canzone nello stesso anno.

Ma quello che stupisce di più è Netflix al centro delle nomination non solo con Roma, ma anche con La Ballata di Buster Scruggs, che ottiene tre nomination.

Dall’Aci i dati degli incidenti sulle strade extraurbane secondarie

L’Aci ha presentato uno studio dal titolo “Localizzazione degli incidenti stradali 2017 sulle strade provinciali”, una ricerca che analizza il numero di sinistri, sia in valore assoluto che in relazione ai chilometri di strada, evidenziando la loro gravità ad esito infausto sulla viabilità secondaria provinciale. Nel documento sono contenute due diverse tipologie di tabelle: una con incidenti, morti, feriti e indicatori per ciascuna strada provinciale, l’altra con i dati aggregati in base al comune in cui è avvenuto l’incidente, un focus utile per individuare la tratta più pericolosa di una determinata strada. Le cause sono prevalentemente di natura umana: disattenzione, alta velocità, sosta negli spazi non consentiti e uso del telefono cellulare.

Le province con l’incidentalità più elevata, sia per numero che per densità di incidenti, sulle strade extraurbane secondarie sono: Milano (693 chilometri di strade, 741 incidenti, 13 morti e 1.194 feriti), Venezia (860 chilometri, 490 incidenti, 12 morti e 709 feriti), Padova (1.039 chilometri, 542 incidenti, 14 morti e 745 feriti) e Treviso (1.136 chilometri, 586 incidenti, 15 morti e 863 feriti). Le province con gravità elevata (per tasso di mortalità e indice di gravità) risultano invece essere: Latina (938 chilometri di percorso, 249 incidenti, 21 morti e 443 feriti) e Napoli (520 chilometri, 267 incidenti, 22 morti e 435 feriti).

Il consumo di alcol influenza sia il rischio di incidenti da traffico, sia la gravità delle conseguenze che questi provocano. Dalle ultime statistiche vediamo che più di 8 persone su 100 fra i conducenti di autovetture nell’ultimo periodo hanno guidato sotto l’effetto dell’alcol, avendo assunto due o più unità alcoliche un’ora prima di essersi messi alla guida; altre 6 persone su 100 dichiarano di essere state trasportate da un conducente che guidava sotto l’effetto dell’alcol. La quota di giovanissimi alla guida sotto l’effetto dell’alcol è leggermente più bassa rispetto al resto della popolazione ma comunque preoccupante poiché il rischio di incidenti stradali legato a questo comportamento è decisamente più alto quando associato alla giovane età. Tra i 18 e 21 anni il 6% dichiara di aver guidato dopo aver bevuto, rischiando d’incorrere in una sanzione certa, indipendentemente dal livello di alcolemia effettivamente accertata, poiché in questa fascia d’età la soglia legale di alcolemia consentita è pari a zero.

Secondo un rapporto Aci-Censis per i ragazzi di età compresa tra i 18 e i 29 anni, la guida sotto l’influsso di alcol e droghe rappresenta il più grande problema (61,6%), seguito dall’eccesso di velocità (57%). I dati mostrano che il 37,9% di soggetti di età inferiore a 30 anni, rispetto ad una media totale del 36,9%, sceglie responsabilmente di limitare il consumo di alcolici (il valore più basso si registra nella classe di età 45-69 anni). Il 47,1% degli intervistati ha affermato di non preoccuparsi del problema della guida dopo il consumo di alcol “perché non è un bevitore abituale”, e la percentuale si abbassa notevolmente nella fascia d’età 18-29 (36,6%). Preoccupante risulta la percentuale di giovani (3,4% rispetto allo 0,7% di chi ha più di 30 anni) che pur sapendo di doversi mettere alla guida sceglie di non limitare il consumo di alcol.

Dna modificato, la Cina conferma: “Cʼè una seconda gravidanza”

C’è una seconda gravidanza in Cina nell’ambito degli esperimenti di bimbi geneticamente modificati.

Il ricercatore He Jiankui era finito nella bufera dopo l’annuncio della nascita a novembre di due gemelline con il Dna “corretto” per evitare di contrarre l’Aids.

Lo scienziato, dopo il caso delle due bambine, era stato subito licenziato dalla Southern University of Science di Shenzhen.

 

I governi affianchino la Chiesa in Africa. Parla Gerardo Bianco

Articolo già apparso sulle pagine di Formiche.net a firma di Stefano Vespa

In questi giorni si celebra il centenario dell’Appello ai Liberi e Forti di don Luigi Sturzo che segnò la nascita del Partito popolare italiano, e sono molti gli intellettuali e gli esponenti della società civile che, nel confrontarsi con l’attuale politica italiana e internazionale, hanno così fatto riferimento a quel passaggio storico della democrazia italiana, un’impronta indelebile che ne segnò la forma e la sostanza. Si parla perciò con insistenza, necessariamente, dell’impegno politico dei cattolici, il punto però della discussione è fissato su quale contenitore dare a questa possibile proposta, nonché sulla sua realizzabilità. Un desiderio velleitario o una realtà attuabile, financo necessaria? Formiche.net ne ha parlato con un democristiano di lungo corso, l’ex parlamentare Gerardo Bianco, già segretario nazionale del Partito popolare o esponente della Margherita, vicepresidente della Camera nel lontano ’87 e ministro della Pubblica istruzione nel 1990, subentrando alla carica allora rivestita da Sergio Mattarella.

Onorevole, cosa rimane oggi di quell’esperienza?

A mio avviso rimane quello che è stato costruito nella storia d’Italia, la grande democrazia sviluppata nel nostro Paese, e un appello vissuto nel nostro Paese dando vita a un movimento politico che ha segnato la storia del ventesimo secolo, costruendo la democrazia italiana. La cui fine segnativa ha lasciato un vuoto che tutti avvertono, una mancanza che viene sentita da quanti conoscono il valore di quel documento. Penso allo splendido articolo di Galli della Loggia sul Corriere della Sera, che spiega che non si trattava di un appello generico ma di un programma di partito, con una cultura alle spalle, che raccoglieva tutta l’esperienza e l’elaborazione concettuale dei movimenti democratici.

Cattolici e politica, oggi. È possibile ripartire da quell’esperienza?

Non è possibile, è necessario. Non ci sono i termini storici, ma c’è un vuoto che va riempito. Oggi ciò che manca non è solo un pensiero politico che guidi le forze politiche ma c’è l’improvvisazione dell’oggi, cioè la politica giocata quotidianamente sui problemi quotidiani ma che non vanno oltre una certa contingenza, non c’è più una visione generale, della società, dello Stato, dell’Europa, del mondo. Le altre culture sono in crisi, mentre quella che avrebbe da suggerire e ispirare in modo concreto una visione del mondo e una politica che si ispiri a questa visione mi pare che sia il pensiero proprio originato dal popolarismo sturziano. Che offre una visione e una tensione ideale, oltre che culturale. Il problema è che ci sono delle oggettive difficoltà storiche che vanno recuperate, con un’iniziativa che a mio avviso dovrebbe cominciare, come fece don Sturzo, dalle autonomie locali, soprattutto dai comuni, dalle città, da chi cioè ha esperienza diretta della realtà può ripartire un movimento che abbia una sua incidenza. Non maggioritario, ma che abbia una sua forza ideale con la quale orientare la politica italiana.

Tra le voci più critiche, come quella di Panebianco, si parla del rischio che un’operazione del genere sia controproducente per la Chiesa stessa.

Secondo me Panebianco commette un errore, che è quello di ritenere che il movimento politico sia una proiezione della Chiesa, ma non è questo il problema, anche perché don Sturzo realizzò la diversità di un movimento politico da quella che era la funzione della Chiesa. Un punto fermo in quell’impostazione politica. Quello che non mi convince poi del suo discorso è che un movimento al massimo dell’otto per cento non avrebbe nessuna consistenza. Io invece credo che anche un movimento con una sua consistenza che si aggiri su percentuali non elevate, nel momento in cui abbia una forza di pensiero e di orientamento, soprattutto in un sistema come quello attuale, che è diventato un sistema proporzionale, può avere un grande ruolo di orientamento. E conquistare via via consistenza e forza. Io credo che ancora il tessuto sociale e italiano sia intessuto di formazione e di cultura cristiana che bisognerebbe saper interpretare politicamente in modo moderno.

Invece, cosa ci si presenta?

Allo stato attuale ci troviamo di fronte a un vuoto totale: non c’è un pensiero né economico né sociale che regga l’azione politica. Ci troviamo di fronte o al ritorno di pericolosi miti come quelli nazionalisti, pure persino in senso regionalistico che è contro l’unità d’Italia, oppure ci troviamo di fronte al pauperismo assistenziale e straccione, che è quello che viene portato avanti attraverso i sussidi piuttosto che attraverso lo sviluppo. Don Sturzo, la Democrazia cristiana e il popolarismo hanno insegnato ben altro: la visione basata sulla dignità della persona che si realizza col lavoro. E soprattutto, uno dei grandi problemi che oggi si pone è che queste forze politiche lavorano contro la Costituzione. La cultura della democrazia diretta e il regionalismo spinto sono sostanzialmente la dissoluzione della Costituzione e il ritorno a posizioni pre-risorgimentali, dove non c’è uno Stato ma una specie di confederazione di staterelli, con la perdita di duecento anni di storia.

Popolarismo e populismo. Quali analogie e quali differenze.

Uno degli elementi essenziali e fondamentali di un partito di ispirazione cristiana e popolare è soprattutto, al primo punto, la difesa non formale ma sostanziale, concreta e storica della Costituzione. Che è praticamente anche la difesa di una storia, che è quella della costruzione democratica e anti-fascista della nostra democrazia. È un elemento fondamentale del pensiero sociale cristiano, il recupero del ruolo dei cosiddetti corpi intermedi nel quadro di un’unità nazionale che insieme costruisce l’Europa. Questa cultura unitaria e coerente oggi non è presentata minimamente dalle forze politiche che hanno in questo momento in governo del Paese.

Oggi una caratteristica che segna sempre più la politica è la disintermediazione.

Non solo, ma anche l’illusione nefasta di poter realizzare una decisione presa direttamente dal popolo. Praticamente basta conoscere un po’ di storia della democrazia greca per capire che questo è il grande inganno dei vari populisti e demagoghi, la demagogia che illude il popolo di poter decidere da solo. E peraltro, la cosa oggi è ancor più pericolosa, con l’utilizzo di strumenti cosiddetti democratici diretti, ed è da tener presente che alla base dei grillini c’è un nome che ha sempre dato vita alla demagogia giacobina. Parlo di Rousseau.

Per un attimo ho pensato parlasse di Casaleggio, più che di Rousseau.

È più che assurdo che si parli di democrazia diretta, dove il popolo deve decidere, poi si è governati da una piattaforma che è governata da alcune persone. Il classico caso che si ripete dei Cleone di turno, famoso demagogo che contribuì alla distruzione di Atene antica.

In questo caso il Cleone di oggi sarebbe Beppe Grillo?

È chiaro, solo che Cleone fu sbeffeggiato da Aristofane, e adesso non troviamo nessun Aristofane che sia in grado di sbeffeggiare Cleone. Ma credo che si stia sbeffeggiando lui stesso.

Un punto fondamentale di oggi, che segna le principali tematiche dei giornali ma anche il rapporto tra il Vaticano, i vertici della Chiesa italiana e l’attuale governo è quello delle migrazioni. Come si comporterebbero i popolari?

Innanzitutto, non deve mai venire meno la pietas, fondamentale nell’azione politica. Ma questo non significa buonismo, come dice lo stesso Papa Francesco, ma compito fondamentale della politica è mantenere la sicurezza e la serenità di una società. Quindi bisogna trovare politiche adeguate. Solo che i problemi attuali, di fronte a un fenomeno che si è sviluppato in maniera impetuosa soprattutto negli ultimi vent’anni della globalizzazione, non si può che rispondere con politiche globali, e quindi in primo luogo con politiche che certamente hanno senso di fronte al problema nella sua ampiezza. Che significa interventi seri e massicci nei Paesi di origine, attraverso politiche coordinate nei Paesi che sono in grado di farlo. Bisogna tenere presente, peraltro, che uno di problemi è quello di far crescere una classe dirigente in questi Paesi, soprattutto del continente africano, e quindi è importante creare le condizioni per farlo.

Un consiglio?

Se dovessi dare un consiglio agli attuali governanti è di ascoltare soprattutto le opere dei missionari e delle congregazioni religiose che operano in questi Paesi. Sentire i salesiani o i comboniani forse potrebbe essere per loro una grande lezione per capire come agire in queste realtà. Proponendo politiche di carattere internazionali. Non c’è altra strada.

Il Papa ha appoggiato apertamente il Global Compact dispiacendosi per chi non ha firmato questo trattato, che la Santa sede invece ha firmato.

È evidente e ha ragione. Anche qui la grande lezione oggi è che paradossalmente gli unici che hanno una visione corretta insieme nazionale e mondiale, obiettivamente, sono nel mondo cattolico. Ed è anche ovvio: il ruolo che può avere la Chiesa cattolica nel mondo, soprattutto nel mondo africano, è straordinario. I governi dovrebbero affiancarla in questa operazione. Manca però la fantasia, perché non si rendono conto che avere qui immigrati che poi tornano nei loro Paesi, con esperienze di sviluppo acquisite, è uno dei grandi contributi che si può dare allo sviluppo dei Paesi africani.

Per restare nella stretta attualità, nel salotto Rai di Fazio, il leader-ombra dei Cinque stelle Di Battista ha parlato di voler avere un incidente diplomatico con la Francia, sul tema dei migranti, toccando anche la questione del franco francese nei Paesi africani.

Non commento.

 

Le pericolose fandonie di Di Maio e Di Battista contro la Francia. Gli risponde J.L. Touadi

Articolo già apparso su Faro di Roma

La Francia non batte moneta per nessuno. Questi paesi che sono 15 e non 10 (alcuni dei quali non ex colonie francesi come la Guinea Bissau e la Guinea Equatoriale, quindi con adesione spontanea) hanno due banche centrali (UEMOA per l’Africa Occidentale e CEMAC per l’Arica centrale) che battono moneta. Il legame con la Francia è la parità fissa negoziata prima con il Franco francese poi con l’Euro nel 2000. Parità fissa che conferisce stabilità a questa moneta e convertibilità universale che fa comodo per le loro transazioni. La parità fissa le mette al riparo, inoltre, dall’inflazione intorno al 3% contro i 100% e 1000% di altri paesi africani. Chi dice inflazione dice potere d’acquisto non di Di Maio ma della povera gente costretta ad una ginnastica che non potete nemmeno immaginare. Questi paesi, inoltre, per garantire questa stabilità presso la banca di Francia devono mettere in comune con la Francia 50% delle loro riserve, ossia 14 miliardi di euro per i quali la Banca di Francia versa loro degli interessi con un tasso fisso d’interesse di 0’75 contro il tasso attuale dello 0,25% qualunque siano le fluttuazioni sul mercato monetario. Non sfugge l’aspetto di mancanza di sovranità monetaria 60 anni dopo le indipendenze.

Si tratta di una scelta fatta da paesi sovrani che considerano un bene la stabilità dell’euro piuttosto che avere una moneta locale assumendosi rischi di governance, di farla fluttuare per facilitare le importazioni, di mantenere una disciplina monetaria che altrove in Africa non si è vista. Dal Franco CFA (non franco coloniale Côme ripetono i 5S e tutta la Stampa dietro a loro ) che significa Franc de la Communauté Financière Africaine si può uscire quando si vuole. Madagascar, ex colonia francese, ne è uscito nel 1973. Qui sta la vera questione: perché gli africani non creano una moneta unica continentale prendendo tutto rischi e assumendosi l’onere della gouvernance?

Ben 39 paesi africani hanno la loro moneta che non è il franco CFA. Non per questo non hanno flussi di immigrati. Anzi, sui primi dieci paesi africani di provenienza dei immigrati solo due (Costa d’avorio e Mali sono nella zona CFA e figurano 7 e 8 ) sono ex colonie francesi. Molti immigrati provengono da Somalia, Eritrea, Etiopia. Che dire? Ex colonie italiane?

Ma davvero si può semplificare così la realtà per nascondere la colpa mortale di aver lasciato morire persone tra la Libia e l’Italia ? La Francia ha le sue colpe nelle strategie post coloniali in quello che viene chiamata la « Francafrique ». Ma tocca agli africani ieri come oggi fare le loro scelte. Almeno che si pensi come sembra pensare Di Maio che siamo privo di soggettività storica e manipolati come bambini irresponsabili. Pensarlo significa portare un maschera di in razzismo sottile ma reale. Per adesso gli africani hanno fatto una scelta di sovranità condivisa sulla moneta con la Francia. Domani potrebbe rinunciare al comfort della stabilità monetaria garantita dalla Francia. Ma tocca a loro farlo non al governo italiano.

Jean Leonard Touadi nel suo profilo Facebook

Nella foto: Jean Leonard Touadi, professore universitario, con laurea in Filosofia e in Scienze politiche, è stato docente a contratto di “Geografia dello Sviluppo in Africa” all’Università di Roma / Tor Vergata e in altri atenei. Nato in Congo e cittadino italiano, è giornalista e scrittore, ed è stato il primo deputato originario dell’Africa subsahariana, dopo essere stato Assessore alla Sicurezza, alle Politiche giovanili e all’Università del Comune di Roma; durante la precedente legislatura è stato Consigliere politico al Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale.

Nella sua attività pubblicistica e professionale presta particolare attenzione alle tematiche africane e delle migrazioni. Tra le sue collaborazioni giornalistiche, da segnalare quelle con la Rai, come autore e conduttore di programmi radiofonici e televisivi; e con Nigrizia, Limes e Aspenia. Ultimi libri pubblicati: Il Continente Verde. L’Africa: Cooperazione, Ambiente, Sviluppo (con Ilaria Cresti), Bruno Mondadori, 2011; L’Africa in pista, SEI, 2006. Cura per Radio Radicale la Rassegna stampa africana.

Libertà, giustizia, scuola. L’attualità del Partito Popolare Italiano

La fondazione nel 1919 del Partito Popolare Italiano è il punto di arrivo – ma anche di ripartenza – dell’impegno sociale e politico dei cattolici cresciuti con le riflessioni suggerite da Leone XIII nella Rerum novarum del 1891. La prima enciclica sociale del magistero della Chiesa, ha spinto forze culturali, sociali, politiche ed economiche verso un impegno nella storia e fra gli uomini a partire da un’ispirazione cristiana non più oppositiva alla modernità. Difatti, le tesi contenute nella Rerum novarum, permisero ai cattolici italiani di sviluppare quel processo che li porterà – con il Partito Popolare prima e con la Democrazia Cristiana poi – ad occuparsi della politica nazionale non tramite una prospettiva clericale bensì attraverso un impegno civile fondato su principi cristiani. Ciò significava divenire una forza e una rappresentanza politica non più legata a filo doppio al romano pontefice e ai suoi interessi politici ma aperta alle dinamiche e ai bisogni dell’intero popolo italiano.

Nodo fondamentale dell’operazione politica popolare è il concetto di libertà. Tale questione – per gli uomini capeggiati a lungo da Luigi Sturzo – non era di natura formale ed esteriore. A parere dei popolari, infatti, il concetto e l’esercizio della libertà riguardavano l’intera realtà sociale destinata ad esercitare un senso profondo, sostanziale e intimo di quel valore capace di avviare un progresso continuo tanto nei vari corpi sociali quanto nei singoli. Nella logica del Partito Popolare Italiano, anzitutto, si trattava di declinare la libertà sul versante della scelta religiosa e dell’insegnamento considerate come le uniche vie di fuga da ogni tentativo statalista, monopolista e dittatoriale. Inoltre, il valore della libertà – nella visione dei popolari – andava connesso all’ideale della giustizia. Proprio nella perenne congiunzione fra libertà e giustizia, si fonda la proposta della libertà d’insegnamento, della riforma della cultura e della diffusione dell’istruzione professionale presente al secondo punto del programma del partito d’ispirazione cristiana lanciato insieme all’Appello a tutti gli uomini liberi e forti il 18 gennaio del 1919.

La sintetica espressione sull’insegnamento presente nell’idea programmatica dei popolari indica una precisa visione dell’uomo, della società e dello Stato. Prospettiva che, in primo luogo, rifiuta la concezione dell’ente statale come educatore ed insegnante unico; l’imposizione di un insegnamento meccanico e uniforme per tutti; la centralizzazione e la burocratizzazione dell’educazione e della formazione; la soppressione dell’iniziativa privata nel campo educativo; il mero raggiungimento formale di un titolo di studio. In seconda battuta, l’opinione sull’insegnamento avanzata dei popolari intende il processo educativo come il risultato di un vasto insieme di relazioni che vedono come protagonisti la famiglia, i corpi sociali, la religione. Si tratta di un processo poliforme e realmente democratico finalizzato alla continua maturazione di una cittadinanza consapevole e interessata alle sorti della comunità nazionale e umana in genere. In questa elaborazione, è senza dubbio la famiglia a possedere il diritto primario all’istruzione e all’educazione dei figli che può integralmente esercitare con l’attività sussidiaria dello Stato. Oltre alla famiglia, ruolo fondamentale nell’insegnamento è quello svolto dal maestro. Difatti per i popolari, l’insegnante rappresenta il cuore della scuola poiché dove esiste un maestro consapevole del proprio ufficio esiste una scuola, anche se difettano i locali, gli arredi e tutte le comodità suggerite e volute dal progresso sociale. In questa riflessione, non possiamo dimenticare che le tesi sulla libertà d’insegnamento sostenute dal Partito Popolare Italiano si collegavano strettamente al problema dell’economia nazionale. Simile questione era sollevata soprattutto in riferimento all’istruzione professionale la quale poteva permettere, secondo gli uomini guidati da Luigi Sturzo, un adeguato sviluppo economico.

La proposta politica dei popolari, avversa ad ogni forma di monopolio di Stato o di ideologia, trova nella libertà d’insegnamento un punto di riferimento fondamentale. Alla radice dell’idea di scuola e di educazione del partito d’ispirazione cristiana, vi è la concezione di una libertà intesa in termini relazionali e sociali la quale permette di avviare un processo, mai definitivo, di sviluppo e di maturazione tanto per i singoli quanto per l’intera società. Da ciò deduciamo che il programma del partito fondato da Luigi Sturzo, nasceva da una certa visione della storia e della comunità umana la quale discende dal cristianesimo ma che – nella sua proposizione politica, sociale ed economica – conserva pienamente i caratteri dell’aconfessionalità. In merito alla libertà d’insegnamento, l’ispirazione cristiana faceva emergere – nella visione programmatica dei popolari – tre capisaldi irrinunciabili come l’aspetto relazionale, la centralità della famiglia, il legame con la prospettiva sociale ed economica. Tali temi risultano prioritari per rintracciare, a cento anni di distanza l’attualità dell’esperienza e del messaggio politico del Partito Popolare.

Don Sturzo e il Partito Popolare Italiano

Il Partito Popolare Italiano (PPI) è stato un partito politico, nato il 18 gennaio 1919, di cui ricorre il centenario. Il PPI rappresentò per i cattolici italiani il ritorno organizzato alla vita politica attiva dopo lunghi decenni di assenza a causa del “ Non Expedit”.
Dal 1919 al 1923 don Luigi Sturzo fu segretario nazionale, a cui segui Alcide De Gasperi dal 1924 al 1925. La sua dissoluzione si ebbe nel novembre 1926. Tutti i maggiori esponenti furono costretti all’esilio (don Sturzo, Donati, Ferrari) o a ritirarsi dalla vita politica e sociale (De Gasperi).

Si può dire che don Sturzo abbia fondato il Partito Popolare per generare sostanzialmente un’esperienza di popolo nel quale l’uomo potesse essere accolto ed educato, nel quale potesse fare esperienza del dono di un benessere e di una pace. E non si tratta di una questione meramente politica.
Don Sturzo ci teneva a precisare: “Io sono un sacerdote, non un politico”.
Inoltre ha avuto come punto di partenza una questione che è il problema educativo. Sturzo si coinvolse in quella esperienza politica perché aveva a cuore la difesa della libertà, dall’inizio, quando era ancora a Caltagirone, fino alla morte.
E non si può non rimanere impressionati da quello che affermava, quando si esprimeva così: “Prego Dio che il mio grido sopravviva alla tomba”.

Un altro elemento da tenere presente in Sturzo è certamente l’impegno, l’operatività attorno alla natura del Cristianesimo, che non esclude nulla e che affronta tutta la realtà umana. Cristianesimo che vale per tutto o per niente, non vale per alcune cose e per altre no.
Il suo apporto non è stato propriamente teologico, ha operato come l’ “operaio nella vigna del Signore”, in maniera infaticabile e responsabile.

Il Partito Popolare Italiano nasceva aconfessionale ma durò poco. Nel 1925 ci fu lo Stato autoritario voluto dal fascismo, il quale prevedeva l’uscita di scena di tutti i partiti che non fossero quello fascista. Don Sturzo venne così sacrificato e costretto all’esilio. Quando ritornò dopo la fine del fascismo e della Seconda guerra mondiale (1939-1945), scelse di non entrare nella Democrazia Cristiana, fondata nel 1943, e combatté una battaglia solitaria come senatore a vita contro la degenerazione statalista del partito di ispirazione cristiana.
Sbagliano quindi oggi tutti quelli che per guadagnare terreno politico a dispetto degli altri, pensano di fregiarsi del termine sturziano poco più che citandolo. Molti poi sono quelli che pensano di conoscerlo ma conoscono ben poco della sua esperienza, delle sue idee e dei suoi scritti.
Nell’Appello troviamo innanzitutto il sentimento di appartenenza nazionale con cui si rivolge “a tutti gli uomini liberi e forti che in questa grave ora sentono il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi né preconcetti”.

“A uno stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private” diceva il sacerdote calatino.
Vito Piepoli

Swg: il governo rallenta nei consensi

Dall’ultima rilevazione eseguita da Swg su un campione di 1.500 maggiorenni italiani, i cui esiti sono pubblicati nello speciale “Ambiente” di “PoliticApp” diffuso ieri emerge che: se si dovesse votare oggi il 31,5% sceglierebbe la Lega (-0,7% rispetto alla rilevazione di una settimana fa) mentre il 25,7% il Movimento 5 Stelle (+0,5%).

In crescita di consensi anche il Partito democratico (17,9%, +0,6%), Forza Italia (8,6%, +0,4%) e Fratelli d’Italia (4,4%, +0,2%). Flessioni di gradimento, invece, per +Europa (3%, -0,2%), per il raggruppamento Mdp-Si-altri sinistra (2,8% -0,3%) e Potere al popolo (2,3%, -0,2%).

In diminuzione anche i consensi a favore di altri partiti (3,8%, -0,3%). Continua a calare la percentuale di quelli che non si esprimono, scesi in una settimana dal 35,6% al 34,3%. Erano il 38,7% quindici giorni fa.

Carlo Cottarelli: la manovra ci porterà in recessione

“La manovra del cambiamento? Il cambiamento c’è stato, infatti, dopo anni, invece di ridurre la spesa si è deciso di aumentarla. La vera priorità per l’Italia è la riduzione della burocrazia e una riforma della giustizia civile”. Così Carlo Cottarelli in un’intervista al quotidiano online LabParlamento che ha condotto un’inchiesta sul reddito di cittadinanza e la flat tax. Un giudizio negativo, quello dato dall’ex commissario alla spending review del governo Letta, che sul reddito di cittadinanza non usa mezzi termini: “finanziare misure del genere in deficit per un Paese come il nostro che ha già un debito pubblico elevato aumenta il rischio di una crisi”.

Pollice verso anche sull’altro provvedimento “bandiera” del governo legastellato, la Flat Tax. “Questa misura, molto piccola, va a beneficiare le microimprese. E una previsione del genere tende a far rimanere piccolo ciò che è già piccolo. Avrei preferito una riduzione generale della tassazione finanziata però con un contenimento della spesa”, spiega Cottarelli a LabParlamento.

Una manovra quindi che potrebbe sancire il rischio di recessione, spiega l’economista secondo cui “i dati della produzione allarmano, non c’è crescita. E questo è un problema anche per i conti pubblici. Il prossimo anno il governo prevede una crescita del Pil dell’1% in termini reali. Mi sembra molto difficile. Partendo dalla crescita zero degli ultimi mesi anche arrivare allo 0,5-0,6% ci dovrà essere nella seconda parte del 2019 un’accelerazione”.

Al via gli interventi di riqualificazione del Corviale

Al via gli interventi di riqualificazione del Corviale. L’obiettivo è migliorare la qualità della vita dei residenti.

In particolare gli interventi riguardano:

1)      La rinascita del 4° Piano. Con 10,5 milioni (1,5 del Mit), sarà ristrutturato completamente il quarto piano, con l’abbattimento delle case abusive e la ricostruzione di 103 nuovi appartamenti. È stato concordato un piano di turnazione dei residenti che verranno gradualmente trasferiti in altri alloggi ATER, fino al completamento dei lavori, tra 5 anni.

2)      Il progetto Rigenerare Corviale. Con oltre 11 mln di euro regionali si entra nella fase realizzativa del progetto di rigenerazione che ha vinto il concorso internazionale lanciato dalla Regione Lazio. L’obiettivo è quello di migliorare l’accessibilità all’edificio e la vivibilità e la sicurezza dei percorsi interni e degli spazi comuni.

Gli altri progetti:      

  • Progetto Passi con Calciosociale La Regione Lazio ha finanziato un progetto di inclusione sociale che sta permettendo a 10 ragazzi NEET di Corviale di uscire dalla condizione di emarginazione per iniziare un percorso di crescita personale volto all’inserimento nel mondo del lavoro. Iniziato lo scorso anno è giunto quasi al termine.
  • “Laboratorio di città Corviale” Avviato nel 2017 dalla Regione Lazio con il supporto dell’università Roma Tre, il laboratorio ha la missione di accompagnare la trasformazione e il recupero di Corviale attraverso un confronto con gli abitanti.
  • Gli interventi del Comune con il Bando periferie: a dicembre il Comune di Roma ha presentato i primi interventi del Bando periferie. Al Corviale 2,5 milioni per la riqualificazione del parco di via dei Sampieri e il completamento della scuola di via Marino Mazzacurati.

Hayez: Un capolavoro ritrovato

La ricomparsa di un capolavoro della matura pittura di storia del capofila del Romanticismo italiano Francesco Hayez, la quarta versione di Valenzia Gradenigo davanti agli inquisitori (1845 circa), è l’occasione per presentare al pubblico il dipinto, ricostruendone le vicende e mettendolo a confronto con le altre tre versioni del tema realizzate dal pittore. Si restituisce così un tassello importante alla produzione storica di Hayez, testimonianza non solo dell’interesse per la storia veneziana, ma anche di snodi stilistici e di poetica nella sua pittura.

Colpevole di aver tentato di salvare l’amato Antonio Foscarini, ambasciatore della Repubblica di Venezia condannato per tradimento nel 1622, Valenzia Gradenigo, viene condotta davanti ai giudici dell’Inquisizione, tra cui il padre, davanti al quale, sentendosi scoperta e quindi perduta, sviene. L’episodio è ispirato al romanzo francese Foscarini ou le patricien de Venise e si intreccia con la vicenda storica di Foscarini, resa celebre all’epoca dalla tragedia omonima di Giovanni Niccolini (1827).

È un tema emblematico dello spostamento della pittura di Hayez su un binario romanzesco e sentimentale, che in questi anni costruisce il mito di una Venezia torbida e misteriosa, salutato da grande successo. Come in una sequenza cinematografica, Hayez gli dedicò infatti ben quattro dipinti nell’arco di quindici anni, qui riuniti per la prima volta e messi a confronto sia con gli studi e i disegni preparatori sia con le derivazioni – incisioni, illustrazioni, opuscoli – che ne attestano il successo di pubblico e la fortuna iconografica.

La prima versione risale al 1832, ma già nel 1835 Hayez torna sul tema con una composizione più strutturata e teatrale. Dieci anni dopo Hayez ripresenterà lo stesso soggetto in altre due versioni di grandi dimensioni, recentemente recuperate, testimoni della fama di Hayez all’estero: furono infatti realizzate una per un mercante viennese, poi passata ai conti Beroldingen di Vienna, e una per il conte Lützow, nobile di origine austriaca. Assai simili nell’ambientazione, in cui Hayez allarga ulteriormente la scena conferendole maggior solennità, si differenziano per dettagli nelle pose e negli abiti dei personaggi, per la resa della luce e per la cromia. Nelle diverse versioni Hayez interpreta la scena con cadenze diverse, ora più drammatiche ora più concentrate, variando con i modi espressivi anche i modelli, che vanno rintracciati nella grande tradizione della pittura veneta, da Carpaccio a Tiziano a Tinto

Talassemia: la cura genica funziona

Uno studio, pubblicato su Nature Medicine, ha coinvolto nove soggetti di diversa età – tre adulti sopra i trent’anni, tre adolescenti e tre bambini sotto i sei anni – tutti con forme di beta talassemia gravi e dipendenti dalle trasfusioni. In tre dei quattro pazienti più giovani si è raggiunta la totale indipendenza dalle trasfusioni di sangue, mentre nei tre pazienti adulti si è ottenuta una significativa riduzione della loro frequenza.

Solo uno dei bambini trattati non ha riportato effetti positivi sul decorso della malattia e i ricercatori stanno ora cercando di capirne il motivo.

La sperimentazione è il frutto di oltre dieci anni di lavoro del gruppo di ricerca di Giuliana Ferrari, docente dell’Università Vita-Salute San Raffaele, all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano e possibile grazie all’alleanza strategica tra IRCCS Ospedale San Raffaele, Fondazione Telethon e Orchard Therapeutics. I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di terapia genica simile a quella già impiegata all’SR-Tiget per altre malattie rare del sangue, come ADA-SCID (il cui trattamento è diventato il primo farmaco salva-vita di terapia genica approvato al mondo), la leucodistrofia metacromatica (MLD) e la sindrome di Wiskott-Aldrich (WAS).

Lettera a chi la vuole leggere

Sono un ex deputato della prima Repubblica. Sono uno di quei ragazzi che dove è cresciuto ha  conosciuto da vicino la Resistenza e che appena ha raggiunto l’età della ragione nella quale occorreva cominciare a darsi da fare si è reso conto di vivere in un Paese distrutto dalla guerra, con le fabbriche devastate dall’invasore in ritirata, i campi arati con i buoi e le sigarette vendute a numero, anche una sola, perché il pacchetto intero costava troppo per la maggior parte dei fumatori.

Sono uno di quei tanti giovani della prima Repubblica che per pagarsi l’iscrizione ed i libri dei livelli scolastici superiori, durante la pausa estiva, hanno svolto i lavori manuali più umili. Oggi quei pochi che esistono ancora hanno titolo per ricordare quale era lo stato della prima Repubblica e per affermare che con il sacrificio di tutto il popolo italiano e l’opera dei suoi rappresentanti in Parlamento, di maggioranza e di opposizione, hanno realizzato quello che venne definito il “miracolo italiano” ed hanno consegnato ai loro successori un Paese al sesto posto nella graduatoria dei paesi più progrediti. Ora un giovane statista che tutta Europa ci invidia ha definito noi, pochi superstiti della terza generazione, rappresentanti di quella stagione, “parassiti”, “mantenuti”, “nababbi”e “ladri di passato e di futuro”.

Sappia questo personaggio che non avrà da parte nostra la soddisfazione di avere reazioni degne del suo stile perché chi ci ha conosciuto nel nostro impegno parlamentare sa chi siamo, cosa abbiamo fatto e come viviamo. A lui possiamo solo dire che è stato anche grazie alla nostra opera che è potuto crescere nella bambagia e restare nel nido più del normale. A proposito della prima Repubblica ove si sono locupletati, secondo il Saint Just di Pomigliano, almeno una parte dei “nababbi” vorrei solo aggiungere qualche nota che traggo dalla mia memoria.

Quando sono stato eletto alla Camera nel 1972 l’indennità parlamentare ammontava a poco più di novecentomila lire. Oltre a questa si riceveva l’”oliva”, la tessera che consentiva di viaggiare gratuitamente sulle ferrovie dello stato, il rimborso per i viaggi aerei sul territorio nazionale e la “diaria” per il soggiorno nella Capitale nei giorni di seduta dell’aula, a patto però che risultasse firmato il registro delle presenze posto all’ingresso della medesima. Chi risiedeva a Roma ed era stato eletto in Piemonte, come il sottoscritto, non ne aveva diritto, perciò quando si recava nel suo collegio elettorale doveva trovarsi un alloggio a sue spese. Di altri rimborsi per l’esercizio del mandato non si parlava proprio perché l’indennità parlamentare era considerata omnicomprensiva.

Oggi, a questi austeri giustizieri, per l’esercizio del mandato oltre alla diaria (per ottenere la quale basta la presenza al trenta percento delle votazioni del mese) vengono corrisposte spese per il collaboratore parlamentare, per i taxi da e per l’aeroporto o la stazione e per il telefono pari a 4897 Euro mensili dei quali sono rendicontati circa un terzo. Il resto sono soldi non solo privi di giustificazione contabile ma in quanto spese sottratti ad imposizione fiscale. Come li possiamo definire? Una gratifica? Per quanto riguarda i sostegni pratici per svolgere le funzioni, nei locali oggi destinati al ristorante e adalcune postazioni giornalistiche vi erano allora le sale di scrittura ove al deputato che ne faceva richiesta veniva assegnato attorno a dei lunghi tavoloni un posto di lavoro corredato da un sottomano di cartone e da un porta carta da lettera in legno.

Inoltre il deputato poteva disporre di un cassetto con chiave nelle cassettiere poste lungo le
pareti ove custodire i suoi atti e la sua dotazione di carta da lettera e da minuta. Negli angoli delle sale erano disposte le macchine da scrivere con la carta carbone per le copie. Così è cominciata e proseguita per altre legislature la vita di un “mantenuto” nella prima Repubblica. Oggi si vogliono uffici personali come al Congresso degli Stati Uniti e facciano pure ma almeno con un poco di pudore e lascino stare la prima Repubblica. Aggiungo che nel Dicembre scorso “l’associazione degli ex parlamentari”nel corso della sua assemblea annuale, come avviene tutti gli anni, ha consegnato una medaglia ricordo ai 31 soci che nell’annata hanno compiuto novant’anni. Questo per dire che tra i ” parassiti-mantenuti” vi sono ancora un buon numero di ex della prima Repubblica, tutti ultraottantacinquenni che sono i più colpiti dalla scure dei leghisti, dei pentastellati con l’apporto di raro acume politico del PD che, per non essere da meno, ha rinunziato alla sua proposta di legge e massacrato i suoi predecessori regalando un successo all’on Di Maio e colleghi che hanno festeggiato con lumini e bicchierata davanti a Montecitorio e Palazzo Madama.

Ai più anziani dunque, nel momento di maggiore bisogno per esigenze di salute o di assistenza data l’età, la decurtazione del vitalizio si colloca tra il cinquanta e l’ottanta per cento e forse anche oltre. Ma in fondo possono sempre aggiungere i giustizieri dell’”equità sociale” : che vogliono ancora questi, “nababbi, “parassiti” e “mantenuti”, non si rendono conto che sono pure campati troppo e quindi sono un peso per la comunità”? Stiano certi, leveremo il disturbo, ma il più tardi possibile perché a loro abbiamo ancora qualcosa da dire.

La domanda di Don Sturzo: ci sono ancora uomini liberi e forti?

Articolo già apparso sulle pagine di https://it.aleteia.org a firma di Lucandrea Massaro 

Al di là delle celebrazioni formali, questo centenario della nascita del popolarismo è passato davvero in sordina. Tutti hanno citato don Luigi Sturzo, tutti a rammentarsi dell’appello “ai liberi e ai forti”, ma nessuno o quasi che si sia fatto domande sulla validità e permanenza delle intuizioni del sacerdote siciliano, sulle cause del declino dell’esperienza del popolarismo – che pure un ruolo nella rinascita dell’Italia ce l’ha avuto eccome -, in quella sorta di “damnatio memoriae” che ha colpito, a dirla tutta, l’intera cosiddetta “Prima Repubblica”. Agli albori della “Terza Repubblica”, quelli che c’erano prima sono solo i ladri, gli approfittatori, i buonisti, gli spreconi. Un giudizio che i nuovi signori dello Stato condividono in verità con i loro “padrini” della Seconda Repubblica. Eppure 25 anni dopo la fine di quell’esperienza politica fatta di studio, militanza e fumosi congressi, la situazione degli italiani non pare proprio cambiata drasticamente. Ma qui si rischia di finire fuori tema.

Don Sturzo voleva far uscire i cattolici italiani dalla minorità, non dalla minoranza perché all’epoca sicuramente la società era più profondamente e diffusamente cattolica, ma da uno stato di “apolidia”, il non expedit delle gerarchie relegava i cattolici a non partecipare alla nascente vita democratica, condannandosi a essere “non-cittadini”. Ma la società, per quanto più informata di quella attuale del cristianesimo, non era affatto una società cristiana, semplicemente perché essa non esiste sulla terra, Sant’Agostino ce lo ha spiegato agli albori della civiltà cristiana: in Cielo vige la regola dell’Amore, e il Vangelo è la Costituzione della Gerusalemme celeste, in terra vige la politica fatta dai peccatori. Lo Spirito Santo agisce, ma sempre di una somma di uomini e donne immerse nel peccato, nemmeno nei monasteri – isole di Paradiso – dove tutto è in comune e dove si elegge il proprio leader sono esentati dalla tentazione e dagli abusi. Una società che tenesse al centro Cristo e gli insegnamenti della sua Chiesa andava e va (ancora oggi) perseguita. Don Sturzo, avido lettore di sociologia (l’Istituto che a Roma porta il suo nome ha una ricca biblioteca in tal senso, frutto dell’intuizione del sacerdote) e ammiratore della democrazia anglosassone, capace di coniugare autonomia locale e democrazia rappresentativa, ambiva a contrastare da un lato il socialismo rivoluzionario, dall’altro il liberalismo classico, facendosi mediano tra le due posizioni: la libertà deve essere una libertà completa, tanto dal bisogno quanto dallo Stato. Per Sturzo i sindacati, i corpi intermedi, la famiglia, dovevano avere un ruolo fondamentalela libertà religiosa gli era carissima, e non a caso il Partito Popolare Italiano sarà un partito cristianamente ispirato ma laico, profondamente laico, capace di mettersi “contro” le gerarchie ecclesiastiche (Don Sturzo patirà la sospensione a divinis, Alcide De Gasperi disse “no” al Papa quando nel 1952 voleva imporre una alleanza con il Movimento Sociale e i Monarchici per le elezioni comunali di Roma) per ribadire l’autonomia del laicato in politica.