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mercoledì, 25 Giugno, 2025
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L’europa di Domani. L’europa delle persone

Venerdì alle ore 11.00 presso il piccolo Auditorium Aldo Moro (via di Campo Marzio, 24) il gruppo dei liberi e forti di Roma propone un Seminario “L’europa di Domani. L’europa delle persone”.

L’incontro che prevede La relazione di Giuseppe Sangiorgi si pone il proposito di rispondere alla domanda, quale Europa vogliamo? E quale Italia al suo interno?

Un’Europa democratica e partecipativa ma sopratutto un’Europa necessaria.

Non basta mettere solo la persona al centro ci deve essere anche l’impresa

Articolo già apparso sulle pagine di Servire l’Italia

Il grande imprenditore Adriano Olivetti un giorno disse: “L’impresa non è solo un luogo di
produzione, ma è anche il motore principale dello sviluppo economico-sociale, e come tale ha delle responsabilità verso la collettività e il territorio”.

Olivetti, scomparso prematuramente nel 1960, ha svolto un lavoro straordinario con la sua
azienda per dimostrare questa fondamentale verità. Purtroppo il suo esempio non è stato seguitoné dalle grandi imprese, né dalle politiche economiche di decine di governi. Ai sindacati Olivetti non piaceva, perché era riuscito a creare un clima aziendale talmente “pacifico” e produttivo che i lavoratori non sentirono il bisogno di “proteggersi”. Il “welfare” interno ideato da Olivetti era talmente innovativo ed efficace che non c’era alcun bisogno di aderire a un sindacato. Se la Fiat e le altre grandi imprese avessero seguito quel modello, l’Italia non sarebbe stata colpita da quella “confusione e barbarie” profetizzata da Leone XIII nella Rerum novarum, se non fosse stata conclusa una stretta alleanza tra lavoratori e imprenditori.

Non è stato così creato quel capitalismo socialmente responsabile per il quale si batté sempre don Sturzo. In un discorso pronunciato al Senato il 20 febbraio 1954, egli disse: “Sarebbe grave colpa continuare a seguire la spinta di coloro che, sopprimendo il rischio, vogliono trasformare la responsabilità economica (che stimola all’efficienza) in responsabilità politica (che non funziona quasi mai). Non si può sopprimere il rischio da nessun settore della vita umana. Dio stesso volle darci la libertà, con il rischio di farci prendere la strada sbagliata invece della giusta. Ma l’orientamento attuale consiste nel riversare sullo Stato il rischio individuale. Arriveremo a essere quasi tutti impiegati statali
e tutti pensionati statali. Quel giorno, se venisse, non esisterebbe più una nazione di responsabili, ma un gregge di irresponsabili. (…)

Mi si domanda se ciò possa dirsi ‘sociale’ (ossia se è ‘sociale’ il rispetto dell’iniziativa privata, della responsabilità individuale, della cultura del rischio). Rispondo: è il solo sistema che indurrà la comunità ad affrontare i problemi che assillano il vivere in comune, perché concorrerà a elevare il tenore di vita e farà trovare i mezzi atti a risolvere i problemi sociali”.

Gli attuali guai economici e sociali dell’Italia risalgono a questo errore, che la Germania non fece grazie alla politica illuminata di Adenauer e alla “conversione” dei socialisti tedeschi (congresso di Bad Godesberg del 1959 che sconfessò il marxismo e portò il partito verso i valori e i principi dell’economia sociale di mercato). Il capitalismo italiano è stato così caratterizzato da un forte “inquinamento” del potere politico nell’economia che ha favorito lo sviluppo della corruzione a tutti i livelli, pubblici e privati. Ma grande è stata la responsabilità dei poteri forti dell’industria italiana che non hanno creato l’ambiente culturale adatto per far capire quale fosse la vera funzione sociale dell’impresa e come fosse fondamentale una politica economica, che ponesse al centro la difesa e lo sviluppo dell’iniziativa privata. La persona, senza la presenza al centro anche dell’impresa, è indifesa.

Un programma di governo che non favorisce o, peggio, non rispetta questa verità è sempre
destinato a fallire.

Muro col Messico: la Camera boccia la dichiarazione di emergenza

Un duro colpo per Donald Trump. La Camera ha infatti bocciato, tramite una risoluzione, lo stato di emergenza nazionale dichiarato dal presidente.

La Camera ha approvato la mozione dei democratici per annullare l’emergenza nazionale dichiarata dal presidente per costruire la barriera, bypassando il Congresso. La mozione è passata con 245 voti a favore e 182 contrari. Insieme alla maggioranza democratica hanno votato tredici deputati repubblicani.

Ora la risoluzione dovrà essere approvata dal Senato, controllato dai repubblicani che però non sono compatti. Affinché arrivi un secondo via libera i democratici hanno bisogno di 4 voti dalle fila repubblicane e del voto compatto di tutti i loro 47 senatori. Tre esponenti del Grand Old Party (Gop) hanno già annunciato che appoggeranno la mozione dem.

 

IL 1959 A MILANO, TRA STRIPTEASE E POLITICA

Articolo già pubblicato da Arcipelago Milano a firma di Walter Marossi 

La prima giunta di centrosinistra milanese è del gennaio 1961 ma in realtà la svolta avvenne nel 1959. In quei mesi la città sembrava più interessata ai manifesti ammiccanti “Parigi arriva a Milano”; il Teatro alle Maschere di via Borgogna 7, sala da 158 spettatori dei quali 53 seduti, stava infatti per abbandonare una economicamente difficile programmazione dedicata agli atti unici (ricordiamo quelli di Carlo Terron, Luigi Pirandello, Umberto Simonetta, Rosso di San Secondo, Peppino De Filippo, Giovanni Mosca) per introdurre la si suppone ben più remunerativa Rita Renoir star parigina dello striptease con cachet da 80.000 lire a serata; l’annuncio però allerterà i solerti censori della questura che imporranno l’assoluta obbligatorietà di mutandine e reggiseno, rovinando le attese dell’affollata platea di giornalisti e flaneur.

Parigi arriverà effettivamente a Milano pochi mesi dopo con il più vestito generale De Gaulle in visita per celebrare l’anniversario della battaglia di Magenta, il presidente dormirà in prefettura e pasteggerà a Villa Comunale (menu tristanzuolo: cocktail di gamberi, flan di verdure, petti di pollo con crema di funghi, gelato al limone ma con una perla, lo storione del Po in bellavista). A ricevere De Gaulle il presidente Giovanni Gronchi, il premier Antonio Segni, i presidenti di Camera e Senato e un interminabile stuolo di autorità tra cui il sindaco Virgilio Ferrari, la cui giunta è nel pieno della bufera. Nel gennaio infatti la sinistra socialdemocratica aveva deciso di lasciare il Psdi fondando (l’8 febbraio) il Muis, Movimento Unitario di Iniziativa Socialista. Tra gli scissionisti due dei suoi più importanti assessori i socialdemocratici Aldo Aniasi, e Lamberto Jori, che lasciano le rispettive cariche passando all’opposizione.

Scrive Enrico Landoni: “Aniasi rassegnò le dimissioni dall’incarico di assessore all’Economato ricoperto all’interno della Giunta Ferrari, accusando il Sindaco e la coalizione centrista che sosteneva la sua amministrazione, di aver colpevolmente anteposto le ragioni di partito alle vere istanze della città. A suo avviso, il Psdi e la Dc avevano commesso un grave errore nell’impedire al Psi, disposto a condividere gli obiettivi programmatici definiti dalla giunta allora in carica, di entrare a far parte della maggioranza organica del consiglio comunale. Iso era convinto del fatto che socialisti e democristiani fossero pronti ad elaborare insieme un’articolata piattaforma programmatica, che avrebbe certamente potuto incontrare il consenso di altre forze democratiche e progressiste, rappresentando un importante modello di riferimento anche su scala nazionale. Per questo è possibile affermare che le svolte politiche consumatesi a Milano anche per effetto del significativo contributo di Aniasi ebbero un indubbio valore nazionale.” Con Aniasi sono altre figure importanti del riformismo milanese e nazionale (che il primo maggio 1959 aderiranno al Psi): Corrado Bonfantini, Ugo Faravelli, Matteo Matteotti ma sopratutto uno dei grandi protagonisti della vita politica cittadina, Ezio Vigorelli.

Nato nel 1892, avvocato, era entrato nel consiglio comunale milanese nel 1922 per la lista dei socialisti unitari assieme a Turati, Treves, Caldara, Gonzales, Mondolfo, D’Aragona, Nino Levi, Paolo Pini, Osvaldo Maffioli, Giovanni Forlanini, Antonio Mascheroni, Cesare Marangoni, Pietro Mentasti, Carlo Raule (e scusate se è poco). Volontario nella prima Guerra mondiale, invalido e decorato di guerra, condusse subito una battaglia a Palazzo Marino ricordando “come la trincea avesse tutto eguagliato al di sopra delle classi e delle tessere e come ora il partito di dominante smentisca tutto ciò”, suscitando le ire dei conservatori che infatti al corteo commemorativo del 4 novembre del 1923 gli impediscono di partecipare perché, come scrisse un quotidiano, le intenzioni con i quali i socialisti intendevano partecipare “bastano da sole a giustificare le legnate fasciste”.

Nel 1923 la Giustizia, organo del partito di Matteotti, scrive che Roberto Farinacci era stato un imboscato. Il gerarca querela il giornale e sfida a duello l’autore, per l’appunto l’autodenunciatosi Vigorelli che attenderà invano i preannunciati padrini. Il tribunale assolve il giornale difeso da Enrico Gonzales dal reato di diffamazione e per reazione le squadracce lo assaltano il 9 dicembre 1923. Gli avvocati socialisti milanesi diventano la bestia nera dei fascisti e vengono più volte aggrediti. Durante il ventennio, Vigorelli, che viene sottoposto a vigilanza speciale e per due volte incarcerato a San Vittore, ricercato, dopo l’8 settembre si rifugia con la famiglia in Svizzera. I figli Bruno e Fofi rientrano in Italia per combattere tra i partigiani nella Divisione autonoma “Valdossola”; entrambi moriranno nel giugno 1944 durante un rastrellamento nazista. Fofi è medaglia d’oro al valor militare, Bruno d’argento. Anche Vigorelli torna in Italia nel settembre 1944 per assumere l’incarico di “ministro della Giustizia” della Repubblica partigiana dell’Ossola.

Nel dopoguerra eletto alla Costituente per i socialisti, è vicino alle posizioni del sindaco Greppi, ergo nel gennaio del 1947, con la scissione socialista, aderisce ai socialdemocratici, presiedendone sino al 1950, il Gruppo parlamentare e assumendo incarichi di governo: sottosegretario alle pensioni di guerra nel V governo De Gasperi e ministro del Lavoro e della Previdenza sociale nel primo Segni, nel governo Scelba e nel secondo governo Fanfani, ministero dal quale appunto si dimise nel gennaio del1959 per passare all’opposizione.
L’occasione gli fu fornita dai risultati assolutori (su proposta di Saragat), per un voto, della commissione d’inchiesta sullo “scandalo Giuffrè”, il cosiddetto banchiere di Dio che aveva truffato istituzioni e singoli cittadini, nel quale erano coinvolti (poi scagionati) il suo compagno di partito Luigi Preti e Giulio Andreotti. Le sue dimissioni portarono a quelle di Fanfani da presidente del consiglio e da segretario della Dc ed al secondo governo Segni (Dc-Pli). Insomma inizia la lunga agonia del centrismo e l’avvio della fase preparatoria del centro sinistra, soprattutto di quello milanese che precederà di anni quello nazionale.

Alle elezioni comunali milanesi del 1960 tra gli eletti della lista Psi, oltre a Vigorelli (con 7.000 preferenze) e a Guido Mazzali (con 9.000), troviamo Aldo Aniasi (4.628), il giovane Bettino Craxi (con 1.000 preferenze) e i radicali Eugenio Scalfari (con 3.500 preferenze) ed Elio Vittorini (ultimo); in pratica, come agli inizi del secolo, il gruppo consiliare è a schiacciante maggioranza riformista, anzi come si diceva allora autonomista/nenniano (le sinistre interne ebbero un solo eletto, Walter Alini). L’ingresso di Vigorelli e Aniasi ha cambiato gli equilibri, per sempre. Con i risultati elettorali e i nuovi equilibri politici interni a Dc e Psi la maggioranza centrista a Palazzo Marino non era più possibile.

Di Vigorelli si parlò, in quella come in altre occasioni, come ipotetico sindaco ma a sostituire Ferrari, in quella che sarà la prima giunta di centrosinistra in Italia (1961), fu non senza polemiche il socialdemocratico e presidente dell’Accademia dei Lincei Gino Cassinis (ex rettore del Politecnico), considerato insieme esempio di continuità (era stato assessore alle municipalizzate) e di rinnovamento perché più a sinistra dell’uscente.

Il mite Ferrari, perfetto esempio di understatement (morì alla Baggina e su Wikipedia nell’elenco dei sindaci milanesi è l’unico ancor oggi senza foto), il medico dei poveri, arrestato per aver favorito la fuga di Turati in Francia, ebbe forse l’unico scatto della sua vita e dichiarò: “Io antifascista che sono stato in campo di concentramento, cedo il posto a chi è stato nominato rettore durante la repubblica di Salò”. Cassinis ebbe diversi “franchi tiratori” e alle opposizioni interne Dc fu dato il contentino di non reiterare il centrosinistra alla provincia, mentre il Pci cossuttiano (ma allora era sinonimo di moderato), pur esprimendo giudizi non del tutto negativi sul programma, votò per un altro socialista: Antonio Greppi.
Oggi Vigorelli come tutta una generazione di riformisti del dopoguerra, in particolare quelli del Psdi, è dimenticatissimo, ma merita di essere “riscoperto” non per il suo impegno politico, ormai quel mondo interessa solo agli storici e a pochi aficionados tra cui voi che leggete, quanto per essere stato il teorico del welfare italiano, affrontando questioni ancora oggi irrisolte, vedasi il reddito di cittadinanza.

 

Qui l’articolo completo 

 

 

Kleombrotos racconta il paesaggio della Sibaritide

Giovedì 14 marzo 2019, dalle ore 10.00 alle ore 13.00, il Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide, in occasione della III Giornata Nazionale del Paesaggio, propone, a tutti gli istituti di I e II grado del comprensorio, Kleombrotos racconta il paesaggio della Sibaritide.
L’opera che il Museo della Sibaritide ha scelto per la Giornata Nazionale del Paesaggio è la Tabella bronzea di Kleombrotos, offerta dal giovane atleta Sibarita alla Dea Atena dopo aver vinto ad Olimpia la gara “degli uguali per altezza e corporatura”, secondo il voto fatto di offrirle la decima parte dei premi ottenuti. La targa, datata agli inizi del VI secolo a.C., è stata ritrovata nel sito archeologico di Timpone della Motta a Francavilla Marittima.

Sull’acropoli di Timpone della Motta, posta a 280 metri s.l.m., erano ubicati una serie di edifici a carattere sacro. Tra questi è stato rinvenuto un tempio arcaico che rappresenta il primo esempio di luogo cultuale indigeno. Le indagini archeologiche eseguite in questo sito hanno evidenziato la sua frequentazione anche in età greca, quando con la fondazione di Sibari, il centro venne conquistato e fatto rientrare nel territorio sibarita e il tempio intitolato alla Dea Atena.

Dopo una breve riflessione sulle trasformazioni che il paesaggio della Sibaritide ha subito nel corso del tempo, si terrà, in itinere, la visita ai reperti ritrovati nel Sito Archeologico di Timpone della Motta e la narrazione della storia del voto di Kleombrotos alla Dea Atena.
A seguire, l’ufficio Servizi Educativi ha organizzato laboratori teatrali per offrire ai ragazzi l’occasione di dare spazio alla propria espressività.
L’iniziativa è realizzata in collaborazione con l’Associazione per la Scuola Internazionale d’Archeologia “Lagaria Onlus”.

Il Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide, diretto da Adele Bonofiglio, afferisce al Polo Museale della Calabria guidato da Antonella Cucciniello.

Parte la settimana più importante del ciclismo su pista

La settimana più importante della stagione del ciclismo su pista è partita e fino a domenica 3 marzo tutti i nostri atleti saranno in pista per i Campionati del Mondo 2019, rassegna iridata che raccoglierà le stelle del panorama internazionale e vedrà l’Italia possibile protagonista in diverse specialità.

Venti i titoli in palio nei 5 giorni di gare, 10 a livello maschile e 10 a livello femminile. Le Nazionali italiane guidate da Edoardo Salvoldi e Marco Villa si presentano in Polonia con una formazione molto competitiva, che punta a migliorare il bottino dello scorso anno, quando ad Apeldoorn arrivarono un oro, un argento e quattro bronzi.

Al maschile, fari puntati sul quartetto dell’Inseguimento: Filippo Ganna, Liam Bertazzo, Francesco Lamon e Davide Plebani (con Consonni e Scartezzini riserve), dopo il titolo europeo, sono pronti a migliorare il bronzo dell’ultima edizione. Gran Bretagna e Danimarca le principali avversarie.
A livello individuale la punta sarà Ganna, campione mondiale in carica che dovrà vederserla con il portoghese Ivo Oliveira, il tedesco Dominic Weinstein, detentore del titolo europeo, il russo Ivan Smirnov e il britannico John Archibald. Può ambire alla medaglia anche Simone Consonni nell’Omnium, già bronzo lo scorso anno. Attenzione poi a Michele Scartezzini che proverà a brillare nello Scratch dopo l’argento del 2018, mentre Davide Plebani andrà a caccia di un piazzamento nell’inseguimento. Gli Azzurri proveranno a dire la loro anche nell’ultima prova del programma, il Madison: Belgio, Germania e Danimarca sembrano avere qualcosa in più rispetto alla coppia italiana formata da Simone Consonni e Lamon. Spazio a Bertazzo per un piazzamento nella Corsa a punti, mentre nel Km l’alfiere azzurro sarà Lamon. Attuale ruolo di riserve invece per Carloalberto Giordani e Stefano Moro.

Al femminile si potrà sognare in grande con le Rocket Girls dell’inseguimento a squadre: il quartetto femminile proverà a spingersi oltre i propri limiti e a raggiungere la finale, per rilanciare la sfida alla Gran Bretagna. Medaglia alla portata anche nel Madison con la coppia di grandissima qualità formata da Elisa Balsamo e Letizia Paternoster. Quest’ultima potrà ambire ad un tris di medaglie, visto che sarà anche una delle favorite nell’Omnium, mentre nella Corsa a Punti Maria Giulia Confalonieri punterà a confermarsi ai vertici dopo lo straordinario oro europeo. Attenzione anche a Martina Fidanza che ha brillato in Coppa del Mondo nello Scratch. Ci saranno poi le esperte Simona Frapporti e Silvia Valsecchi nell’inseguimento, mentre Miriam Vece proverà a sorprendere nella velocità.

L’elenco dei monumenti e musei gratis a Roma domenica 3 marzo

Una domenica, quella del 3 marzo, all’insegna della cultura a 360 gradi, tra arte, monumenti, musei, gallerie, scavi archeologici, parchi e giardini monumentali dello Stato ad ingresso gratuito.

Saranno aperyi al pubblico:

Parco archeologico di Ostia antica – Scavi di Ostia antica e Museo Ostiense
viale dei Romagnoli, 717 – Roma
Orario: Martedì-Domenica. Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: dalle ore 8.30 vedi dettaglio (1); Prenotazione: Nessuna

Villa di Orazio
via Licentina, s.n.c. – Licenza
Orario: 9.00-16.00 – visitabile su richiesta prenotando al +39 0774 330329 Chiusura settimanale: Lunedi; Orario biglietteria: 9.00-16.00; Prenotazione: Obbligatoria (Telefono: +39 0774 330329)

Villa dei Volusii
via Tiberina km 18, 500 – Fiano Romano
Orario: Martedì-Domenica. Visitabile su prenotazione al +39 06 9085173 Chiusura settimanale: Lunedì; Prenotazione: Obbligatoria (Telefono: +39 06 9085173)

Parco archeologico dell’Appia antica – Villa dei Quintili
via Appia Nuova, 1092 – Roma
Orario: Martedì-Domenica. Vedi dettaglio orario (1) Chiusura settimanale: Lunedì; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 39967700; Sito web: https://www.coopculture.it)

Villa Adriana e Villa d’Este – Villa d’Este
piazza Trento, 5 – Tivoli
Orario: Vedi dettaglio orario (1) Chiusura settimanale: Lunedì mattina; Prenotazione: Nessuna

Villa Adriana e Villa d’Este – Area archeologica di Villa Adriana
largo Marguerite Yourcenar, 1 – Tivoli
Orario: Lunedì-Domenica. Vedi dettaglio orario (1); Prenotazione: Nessuna

Terme Taurine o di Traiano
via delle Terme Taurine, s.n.c. – Civitavecchia
Orario: 9.30-13.30 Apertura pomeridiana su prenotazione Chiusura settimanale: nessuna; Orario biglietteria: 9.30-13.00; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 327 2699665; Sito web: )

Terme di Caracalla
via delle Terme di Caracalla, 52 – Roma
Orario: Domenica-Lunedì mattina. Vedi dettaglio orario (1) Chiusura settimanale: Lunedì pomeriggio; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 39967700; Sito web: www.coopculture.it)

Parco archeologico dell’Appia antica – Tombe della via Latina
via dell’Arco di Travertino, 151 – Roma
Prenotazione: Obbligatoria (Telefono: +39 06 39967700; Sito web: https://www.coopculture.it)

Pantheon
piazza della Rotonda, s.n.c. – Roma
Orario: Lunedì-Sabato 8.30-19.30; Domenica 9.00-18.00; festivi infrasettimanali 9.00-13.00 ; Orario biglietteria: ultimo ingresso 15 minuti prima dell’orario di chiusura; Prenotazione: Nessuna

Parco archeologico del Colosseo – Foro romano e Palatino
Largo della Salara Vecchia, 6 – Roma
Orario: Lunedì-Domenica. Orario biglietteria: Consultare il sito web: www.coopculture.it; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 39967700; Email: info@coopculture.it; Sito web: www.coopculture.it)

Necropoli della Banditaccia
via della Necropoli, 43/45 – Cerveteri
Orario: Martedì-Domenica. Estivo 8.30-19.30 – Invernale 8.30-16.30 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: Estivo 8.30-18.30 – Invernale 8.30-15.30; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 9940651; Email: necropolicerveteri@munus.com)

Museo nazionale romano – Palazzo Massimo
Largo di Villa Peretti, 2 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 9.00-19.45 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 9.00-18.45; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 39967700; Sito web: https://www.coopculture.it)

Museo nazionale romano – Palazzo Altemps
piazza di Sant’Apollinare, 46 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 9.00-19.45 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 9.00-18.45; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 39967700; Sito web: https://www.coopculture.it)

Museo nazionale romano – Terme di Diocleziano
via Enrico de Nicola, 79 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 9.00-19.30 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 9.00-18.30; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 39967700; Sito web: htt://www.coopculture.it)

Museo nazionale etrusco di Villa Giulia
piazzale di Villa Giulia, 9 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 9.00-20.00, con chiusura delle sale dalle 19.15 alle 19.30 e chiusura del bookshop alle 19.45 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 9.00-19.00; Prenotazione: Facoltativa (Email: arteingioco@libero.it)

Museo nazionale di Castel Sant’Angelo
Lungotevere Castello, 50 – Roma
Orario: Lunedì-Domenica 9.00-19.30; Orario biglietteria: 9.00-18.30; Prenotazione: Nessuna

Museo nazionale del Palazzo di Venezia
via del Plebiscito, 118 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 8.30-19.30 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 8.30-19.00; Prenotazione: Nessuna

Museo archeologico nazionale di Civitavecchia
largo Cavour, 1 – Civitavecchia
Orario: Martedì-Domenica 8.30-19.30 Chiusura settimanale: Lunedì; Prenotazione: Nessuna

Museo Giacomo Manzù
via Laurentina, Km 32,800 – Ardea
Orario: Martedì-Domenica 9.00-19.30 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: Martedì-Venerdì 9.00 – 18.30; Prenotazione: Nessuna

Museo Hendrik Christian Andersen
via Pasquale Stanislao Mancini, 20 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 9.30-19.30 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 9.30-19.00; Prenotazione: Nessuna

Museo delle navi romane di Nemi
via del Tempio di Diana, 13-15 – Nemi
Orario: Lunedì-Domenica 9.00-19.00 ; Orario biglietteria: 9.00-18.00; Prenotazione: Nessuna

Museo Boncompagni Ludovisi per le arti decorative, il costume e la moda dei secoli XIX e XX
via Boncompagni, 18 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 9.30-19.00 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 9.30-18.00; Prenotazione: Nessuna

Museo archeologico nazionale di Palestrina e Santuario della Fortuna Primigenia
piazza della Cortina, 1 – Palestrina
Orario: Lunedì-Domenica 9.00-20.00; Orario biglietteria: 9.00-19.00; Prenotazione: Nessuna

Antiquarium e Area archeologica di Lucus Feroniae
via Tiberina, Km. 18.500 – Capena
Orario: Antiquarium: Martedì-domenica 8.30-19.30; Area archeologica: Martedì-Domenica 8.30-un’ora prima del tramonto Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 8.30-19.30; Prenotazione: Nessuna

Monastero di Santa Scolastica
via dei Monasteri, 22 – Subiaco
Orario: 9.00-12.30/16.00-18.30 (invernale) 9.00-12.30/16.00-19.00 (estivo); Prenotazione: Nessuna

Monastero di San Benedetto Sacro Speco
piazzale San Benedetto – Subiaco
Orario: Lunedì-Domenica 9.30-12.15; 15.30-18.15; Prenotazione: Nessuna

Parco archeologico dell’Appia antica – Mausoleo di Cecilia Metella
via Appia Antica, 161 – Roma Orario: Martedì-Domen
Chiusura settimanale: Lunedì; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 39967700; Sito web: https://www.coopculture.it)

Galleria Spada
piazza Capo di Ferro, 13 – Roma
Orario: lunedì/domenica ore 8.30 – 19.30 (ultimo biglietto ore 19.00) Chiusura settimanale: Martedì; Orario biglietteria: 8.30-19.00; Prenotazione: Nessuna

Museo e Galleria Borghese
piazzale Scipione Borghese, s.n.c. – Roma
Orario: Martedì-Domenica 9.00 – 19.00 Chiusura settimanale: Lunedì; Prenotazione: Obbligatoria (Telefono: +39 06 32810)

Basilica di San Cesareo de Appia
via di Porta S. Sebastiano, s.n.c. – Roma
Orario: visitabile su richiesta prenotando al +39 338 4916838; Prenotazione: Obbligatoria (Telefono: +39 338 4916838)

Antiquarium di Pyrgi e Area archeologica
località Castello di Santa Severa, s.n.c. – Santa Marinella
Orario: Estivo: 9.00-19.00 (da Aprile) Chiusura settimanale: Lunedì; Prenotazione: Nessuna

Area archeologica di Veio – Santuario etrusco dell’Apollo
via Riserva Campetti, s.n.c. – Roma
Orario: Martedì, Mercoledì, Venerdì, Domenica e festivi 8.00-14.00; Giovedì e Sabato 8.00-16.00 (vedi nota 1) Chiusura settimanale: Lunedì ; Orario biglietteria: Martedì, Mercoledì, Venerdì, Domenica e festivi 8.00-13.30; Giovedì e Sabato 8.00-15.30; Prenotazione: Facoltativa

Arco di Malborghetto
via Barlassina, 1 – Roma
Orario: Lunedì, Mercoledì-Venerdì 9.00-13.00; Sabato 14.30-17.00; Domeniche dispari e festivi aperto dalle 9.30 con chiusura diversificata, previa verifica sul portale istituzionale e prenotazione. Chiusura settimanale: Martedì; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 33625595 (prenotazione gruppi dal lunedì al venerdì).; Email: ssba-rm.malborghetto@beniculturali.it)

Parco archeologico del Colosseo – Colosseo. Anfiteatro Flavio
piazza del Colosseo, 1 – Roma
Orario: Lunedì-Domenica. Prenotazione: Facoltativa (Telefono: singoli: +39 06 399 67 700 gruppi: +39 06 399 67 450 scuole: +39 06 399 67 200; Email: info@coopculture.it; Sito web: https://www.coopculture.it/colosseo-e-shop.cfm)

Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea
Viale delle Belle Arti, 131 – Roma
Orario: Da martedì a domenica ore 8.30 – 19.30; lunedì chiuso. (ultimo ingresso: 45 minuti prima della chiusura) Chiusura settimanale: lunedì; Prenotazione: Nessuna

Museo delle Civiltà – Museo nazionale preistorico ed etnografico “Luigi Pigorini”
piazza Guglielmo Marconi, 14 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 8.00-19.00 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 8.00-18.30; Prenotazione: Nessuna

Museo delle Civiltà – Museo nazionale dell’Alto Medioevo
viale Lincoln, 3 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 8.00-19.00 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 8.00-18.30; Prenotazione: Nessuna

Monumento a Vittorio Emanuele II (Vittoriano)
piazza Venezia, s.n.c. – Roma
Orario: Lunedì-Domenica 9.30-19.30 (ultimo ingresso 18.45); Orario biglietteria: 9.30-18.45; Prenotazione: Nessuna

Museo delle Civiltà – Museo nazionale d’arte orientale ‘Giuseppe Tucci’
via Merulana, 247-248 – Roma

Museo delle Civiltà – Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari
piazza Guglielmo Marconi, 8 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 8.00-19.00 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 8.00-18.30; Prenotazione: Nessuna

Abbazia greca di San Nilo
corso del Popolo, 128 – Grottaferrata
Orario: Abbazia: Lunedì-Sabato 9.00-12.00 e 15.30-19.00; Domenica pomeriggio visitabile su richiesta prenotando al +39 06 9459309 Museo: Sabato e Domenica 10.00-18.00 Chiusura settimanale: Abbazia: Domenica mattina; Museo: Lunedì-Venerdì; Orario biglietteria: Museo: 10.00-17.30; Prenotazione: Nessuna

Parco archeologico dell’Appia antica – Antiquarium di Lucrezia Romana
via Lucrezia Romana, 62 – Roma
Orario: Martedì-Giovedì, la prima, la seconda e la quarta domenica del mese 9.00-15.00. Visitabile su richiesta prenotando al +39 06 72016669 oppure al +39 06 7222568 ; Prenotazione: Obbligatoria (Telefono: +39 06 72016669 +39 06 7222568; Email: ssba-rm.antiquariumlucreziaromana@beniculturali.it )

Parco archeologico del Colosseo – Arco di Costantino
via di San Greogrio, s.n.c. – Roma
Orario: Prenotazione: Nessuna

Parco archeologico di Ostia antica – Area archeologica del Porto di Traiano
via Portuense km 25, 600 – Fiumicino
Orario: 9.30- 13.30 (ultimo ingresso ore 13) ; Orario biglietteria: 8.30-13; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: + 39 6529192; Email: pa-oant.museodellenavi@beniculturali.it)

Parco archeologico dell’Appia antica – Villa di Capo di Bove
via Appia Antica, 222 – Roma
Orario: Lunedi-Domenica 09.00-17.00 (ora solare); Lunedi-Domenica 09.00-18.30 (ora legale) ; Prenotazione: Nessuna

Parco archeologico dell’Appia antica – Complesso di Santa Maria Nova
via Appia Antica, 1092 – Roma
Orario: Martedì-Domenica. Vedi dettaglio orario (1) Chiusura settimanale: Lunedì; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 39967700; Sito web: https://www.coopculture.it)

Fonte di Anna Perenna
via Guidubaldo Del Monte, s.n.c. – Roma
Orario: Aperto per i singoli la 1 e 3 domenica del mese alle ore 11.00. Per i gruppi alle ore 10.00 e 12.00. Visite accompagnate: orario: ore 10.00 e 12.00. ; Orario biglietteria: Lunedì-Venerdì 9.00-13.00 e 14.00-17.00; Prenotazione: Obbligatoria (Telefono: +39 06 39967700; Sito web: https://www.coopculture.it)

Museo Aristaios
Largo Luciano Berio – Roma
Orario: Tutti i giorni dalle ore 11.00 alle ore 18.00; Prenotazione: Nessuna

Museo della via Ostiense – Porta San Paolo
via Raffaele Persichetti, 3 – Roma
Orario: Aperto dal martedì alla domenica dalle ore 9.00 alle 13.30. Visite accompagnate il primo sabato e domenica del mese alle 10.30, su prenotazione telefonica al numero 06 5743193 Chiusura settimanale: Chiuso il lunedì, il 25 dicembre, il 1° gennaio e il 1° maggio e i rimanenti festivi.; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 5743193)

Museo nazionale degli strumenti musicali
piazza Santa Croce in Gerusalemme, 9/a – Roma
Orario: Martedì-Domenica 9.00-19.00 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 9.00-18.30; Prenotazione: Nessuna

Parco archeologico di Ostia antica – Necropoli di Porto – Isola sacra
via Monte Spinoncia – Fiumicino
Orario: giovedì, venerdì, sabato, I e III domenica del mese, dalle ore 9 alle ore 13; Prenotazione: Obbligatoria (Telefono: +39 06 6583888)

Villa di Livia
via Villa di Livia, 125 – Roma
Orario: Vedi dettaglio orario (1) Chiusura settimanale: Lunedì-Mercoledì; Sabato e Domenica come da dettaglio orario (1); Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 39967700; Email: info@coopculture.it; Sito web: https://www.coopculture.it)

Gallerie nazionali di arte antica di Roma – Palazzo Barberini
via Quattro Fontane, 13 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 8.30-19.00 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 8.30-18.00; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 32810; Sito web: https://www.tosc.it/)

Gallerie nazionali di arte antica di Roma – Galleria Corsini
via della Lungara, 10 – Roma
Orario: Mercoledì-Lunedì 8.30-19.00 Chiusura settimanale: Martedì; Orario biglietteria: 8.30-18.30; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 32810; Sito web: https://www.tosc.it/)

Museo dell’Istituto centrale per la grafica
Via della Stamperia, 6 – Roma
Nessuna

Castello di Giulio II
piazza della Rocca, 1 – Roma
Orario: Sabato e Domenica 8.30-18.30 con visite a cadenza oraria dalle 10.00 alle 17.00 per gruppi di massimo 20 persone Chiusura settimanale: Lunedì-Venerdì; Prenotazione: Nessuna

Museo nazionale romano – Crypta Balbi
via Botteghe Oscure, 31 – Roma
Orario: Martedì-Domenica 9.00-19.45 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 9.00-18.45; Prenotazione: Facoltativa (Telefono: +39 06 39967700 ; Sito web: https://www.coopculture.it)

Palazzo Poli
Via Poli, 54 – Roma
Prenotazione: Nessuna; Temporanemente chiuso (Altro)

Museo della civiltà contadina Valle dell’Aniene
Piazza San Giovanni, 1 – Roviano
Orario: mar., giov., sab., dom. 10,00-13,00/16.00-18.30 Chiuso: lunedì e venerdì; Prenotazione: Nessuna

Chiesa di Santa Marta
Piazza del Collegio Romano, 5, – Roma
Orario: * visite su prenotazione on line; Prenotazione: Obbligatoria

Museo nazionale archeologico Cerite
piazza Santa Maria, s.n.c. – Cerveteri
Orario: Martedì-Domenica 8.30-19.30 Chiusura settimanale: Lunedì; Orario biglietteria: 8.30-18.30; Prenotazione: Nessuna

Al via il progetto Piazza Wifi Italia del MiSE

Il Ministero dello Sviluppo Economico ha dato notizia dell’ avvio del progetto “Piazza Wifi Italia“, che ha come obiettivo quello di permettere a tutti i cittadini di connettersi, gratuitamente e in modo semplice tramite l’applicazione dedicata, a una rete wifi libera e diffusa su tutto il territorio nazionale.

Da oggi, i Comuni potranno fare richiesta di punti wifi direttamente online, registrandosi sulla nuova piattaforma web accessibile dal sito wifi.italia.it. Rispetto all’iniziale disponibilità di 8 milioni di Euro, il nuovo stanziamento di 45 milioni permetterà di portare nuove aree wifi gratuite in tutti i Comuni italiani, con priorità per i Comuni con popolazione inferiore a 2.000 abitanti.

I lavori di sviluppo della rete su tutto il territorio nazionale sono stati già affidati. Con la sottoscrizione del Decreto da parte del Ministro Di Maio, il 23 gennaio 2019, è stato dato l’incarico a Infratel Italia, società in-house del MiSE.

Torricella Sicura, in provincia di Teramo, è il primo Comune in Italia (e il primo delle zone colpite dal sisma del 2016) con un punto wifi attivo nell’ambito di questa iniziativa. I primi interventi stanno coinvolgendo, con un progetto dedicato, tutti i 138 Comuni colpiti dal sisma del 2016 in Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, nei quali sono state già avviate le attività di progettazione d’intesa con le amministrazioni locali.

Test Hiv ai minori senza permesso di mamma e papà

Il Ministero della Salute sta lavorando a una norma che cancelli la necessità del consenso dei genitori per il test sui minori, sostenuta anche dal Garante per l’Infanzia, per l’Hiv e per le infezioni sessualmente trasmissibili. “Per rendere più semplice l’accesso alla diagnosi per i giovanissimi ha spiegato il ministro Giulia Grillo – è essenziale intercettare precocemente l’eventuale contagio da Hiv o da altre malattie sessualmente trasmesse. Per questo sono molto soddisfatta della positiva risposta dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza”.

Secondo quanto spiegato dal Garante per l’Infanzia, l’ordinamento italiano prevede la possibilità di derogare al concetto di maggiore età, per cui il ragazzo può prendere decisioni sulla propria persona anche prima dei 18 anni. “È necessario che i test avvengano in un contesto protetto, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. Inoltre, in caso di positività ai test, i genitori o il tutore devono essere coinvolti per dare il giusto sostegno affettivo al minore – specifica infatti Filomena Albano, titolare dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza -. Inoltre è necessario promuovere capillarmente una cultura della prevenzione e l’educazione all’affettività e alle emozioni con una imponente campagna di informazione”.

Le scatole cinesi della secessione dei ricchi

Articolo già pubblicato sulla rivista il Mulino a firma di Alfio Mastropaolo

Capeggiati da Gianfranco Viesti, un gruppo di autorevoli studiosi si sta battendo contro quella che è stata denominata la “secessione dei ricchi”. Una battaglia sacrosanta per molti e ben noti motivi: le discriminazioni che il regionalismo differenziato è destinato a suscitare tra due Italie; i rischi insiti nella regionalizzazione di alcune competenze; la procedura eterodossa, e una volta di più mortificante per il Parlamento, che si vuol adottare.

I grandi partiti avevano perfezionato l’unificazione del Paese. I loro minuscoli eredi intendono disfarla. Ma il problema più grave è che, ove si riuscisse a sventare la manovra, grazie ai calcoli di convenienza elettorale dei 5 Stelle, dissonanti da quelli della Lega, la secessione dei ricchi resterà comunque in agenda. È da trent’anni che si ripropone di tanto in tanto, non è detto che si riesca a contrastarla all’infinito. È già successo che scelte politiche dagli effetti micidiali siano state a volte compiute per sbaglio o disattenzione. Ne è mirabile esempio la vicenda della separazione tra cechi e slovacchi. Altro incidente esemplare è la Brexit. Il governo che indisse il referendum cercava unicamente legittimazione a basso costo; non lo volevano l’alta finanza, né i sindacati ed è dubbio che lo volessero tutti gli elettori che l’hanno votato, parte dei quali stando ai sondaggi sarebbero pronti a un ripensamento. In compenso gli elettori vi trovarono occasione per manifestare la loro insofferenza per l’esecutivo in carica e per alcuni decenni di politiche pro-market: sono le regioni più danneggiate da queste politiche che hanno prodotto un risultato che nessuno sa bene come gestire e i cui effetti sono potenzialmente devastanti.

Ma la secessione dei ricchi non finirà soprattutto perché è il più grande fatto politico di questo nostro tempo, e non da oggi. La stagione precedente era stata segnata da un’apprezzabile riduzione delle disuguaglianze. Dagli anni Ottanta la forbice ha ripreso ad allargarsi, l’ascensore sociale verso l’alto si è bloccato e i ricchi hanno fatto abbondante secessione. Delocalizzando le fabbriche e informatizzando gli uffici si sono liberati del lavoro dipendente. Hanno fatto secessione riconvertendosi dalle attività manifatturiere a quelle finanziarie, grazie ai consumi di lusso, ai paradisi fiscali e a molte forme di fiscalità privilegiata e non progressiva. Perfino fisicamente hanno preso il largo nelle scuole e università di élite, nei quartieri gentrizzati, nelle gated communities.

Una variante subdola e assai riuscita di secessione dei ricchi, mascherata da meritocrazia e autonomismo democratico, è quella territoriale. Qui si situa il nostro caso.

Nella stagione precedente, date diversità e disuguaglianze tra territori, lo Stato nazionale aveva il compito di riequilibrare quelle disuguaglianze, favorendo la redistribuzione delle attività manifatturiere e delle opportunità occupazionali, anche per decongestionare le aree più affollate. Da un po’ di tempo in qua territori, regioni, città sono in competizione. Sono capitali da mettere a profitto. Ciascuno ha le sue risorse naturali, la sua struttura produttiva, le sue infrastrutture, il suo capitale sociale, il suo regime amministrativo e di governo: la concorrenza ne stimolerà il dinamismo. È una prospettiva ipocrita e ingiusta. Che finge che i territori siano tutti nelle medesime condizioni alla partenza, dispongano delle medesime risorse e siano sottoposti alle medesime sfide.

In Italia la variante territoriale della secessione dei ricchi è iniziata in anticipo. Fino alla metà degli anni Ottanta il principio di solidarietà ha ispirato le politiche d’intervento per il Mezzogiorno, imperniate sull’azione della Cassa. Che alla lunga fu soffocata dalle pressioni divenute esose dei partiti di governo; dalle rivendicazioni delle neoistituite regioni, intese ad appropriarsi dei finanziamenti e della conduzione delle politiche; dalle obiezioni delle opposizioni, che rivendicavano politiche d’intervento diverse. Le forze politiche si rivelarono incapaci di elaborare un disegno di policy sostitutivo. Era peraltro iniziata con gli anni Ottanta la grande ristrutturazione dell’economia nazionale. In questo sfondo vide la luce la Lega Nord, con la sua proposta di scaricarne i costi sul Mezzogiorno. I motivi non mancavano: la grande offensiva del crimine organizzato e la conduzione inefficiente dell’azione di governo da parte degli enti locali aiutavano a definire irrimediabile la condizione del Mezzogiorno. Sperperi e inefficienze non erano esclusiva delle amministrazioni meridionali. Né allora né oggi. Solo che quando le disponibilità finanziarie abbondano sono più agevolmente occultabili e meno dannosi. Ad ogni buon conto: costringere alla fame chi è già in difficoltà non è un buon modo per educarlo alla virtù.

Negli anni successivi attorno alla Lega si formò un’implicita coalizione d’interessi. Coinvolgeva larghi segmenti dei partiti di governo, nel frattempo travolti e rigenerati dalla crisi politica del ’92-94, e pure del mondo imprenditoriale. Di qui il tentativo di disinnescare il leghismo, portato da Berlusconi al governo, da un lato dirottando verso il Centro Nord una sostanziosa mole di risorse, dall’altro concedendo più ampie autonomie alle regioni. Il distacco fu però soprattutto politico e simbolico: il Mezzogiorno non era più una priorità nazionale. L’ha sanzionato la famigerata riforma del Titolo V, voluta a ogni costo nel 2001 dal centrosinistra, che comunque all’indomani perse le elezioni.

Senza disinnescare il leghismo, la riforma ha condannato il Mezzogiorno all’abbandono. In assenza di un’alternativa efficace alle politiche d’intervento straordinario, gli si è anzi inflitto un costo altissimo, di cui è prova il disastroso stato delle sue infrastrutture. Ha pagato un costo più alto delle regioni settentrionali per la crisi finanziaria del 2008 e per le politiche di austerità, anche in ragione della maggior gravosità dei piani di rientro della spesa sanitaria. Ha pagato un costo molto alto il suo già debole sistema industriale, per un fenomeno per nulla imputabile alle responsabilità del ceto dirigente locale (l’ha detto bene ancora Viesti, sul “Mulino”) come la concorrenza delle economie emergenti. In verità, un costo elevato l’hanno pagato anche regioni come Piemonte e Liguria: investite in pieno l’una dalla ristrutturazione dell’industria automobilistica, l’altra da quella della siderurgia, della cantieristica e di altri comparti ancora.

L’intreccio tra politiche pro-market e aggressività leghista, assecondata da altri, ha così già provocato una secessione territoriale spietata delle regioni più ricche. Conviene anche ricordare come contro la retorica leghista una pattuglia di volenterosi a suo tempo mobilitò l’armamentario della nazione. Senza attardarsi sui moventi profondi del leghismo, è stata una sinfonia di riflessioni sul tema. Che hanno chiamato in ballo un qualche deficit originario di spirito nazionale, o il sopravvenuto decesso della patria. Il culmine si è raggiunto con le celebrazioni del centocinquantenario. Perfino entusiasmanti, ma che non hanno zittito le sirene secessioniste, che hanno tosto ripreso a cantare.

Ognuno ha la Brexit o la Catalogna che può. Il paradosso è che ai veri ricchi della sanzione giuridica dell’autonomia differenziata importa poco. L’ha detto il sindaco di Milano. A capo dell’unica grande città globale del Paese, Sala vede giustamente una minaccia nell’autonomia differenziata. Come i finanzieri della city che vedevano la Brexit come il fumo negli occhi. Che governo regionale potrebbe sortirne? Cosa potrà divenire l’istruzione regionalizzata sotto l’ispirazione dei tanti Salvini, Bussetti, Fontana, Pillon, Zaia, Stefani? È uno scenario dell’orrore. In realtà, la Lega vuol mettere le mani su un malloppo finanziario sostanzioso e gratificare per un po’ i suoi elettori, che proprio ricchi non sono, ma s’illuderanno di esserlo. Non è da sottovalutare l’avidità di potere di altre classi dirigenti locali: avranno magari meno soldi, ma saranno più libere di spenderli e sono già in coda per seguire l’esempio.

Forse il destino dell’Italia è segnato. Il suo declino è gravissimo e le classi dirigenti di cui dispone, politica e imprenditoriale, sono di rara modestia. Tempo fa un loro pezzo, perfino il migliore, si persuase che l’Europa fosse il toccasana. Solo che l’Europa non è un consesso di generosi benefattori. È un’avida Europa di mercanti, dove impazza la competizione. Quando i più forti hanno visto che l’Italia, anche per i capricci delle elezioni e dei sistemi elettorali, era finita in mano a classi dirigenti inadeguate, da ultimo addirittura a dilettanti, si sono fregati le mani.

L’uscita dall’Europa non sarebbe ora il rimedio. Oltre a essere tecnicamente impervia – non ci riesce l’Inghilterra senza il vincolo dell’euro – sarebbe pure controproducente. Che cosa potrebbe fare l’Italietta, magari divisa in due, tra i marosi della globalizzazione? Né è un rimedio il sovranismo straccione che butta a mare i migranti: è solo una moda, per scaricare migranti fuori casa propria, piuttosto diffusa e emblematica di un’Europa egoista e intristita. Il rimedio sta invece in un’altra Europa e in un’altra Italia, che, archiviata la secessione dei ricchi in tutte le sue manifestazioni, riscoprano che stare insieme implica un vincolo reciproco di solidarietà. I destini umani sono effimeri. Quelli degli Stati e delle regioni lo sono pure. Non si sa mai: un tale vincolo sarebbe convenienza di tutti.

A inizio millennio le istituzioni europee hanno investito cifre mostruose per accreditare un’identità continentale. La crescita delle disuguaglianze ha vanificato lo sforzo. C’è ora da stare ben attenti. Le vittime – i left behind, gli have not – sono capaci di colpi di coda scomposti e terribili, come la Brexit, i successi elettorali dei populisti, in varie salse, i gilets jaunes. Non è necessario immaginare smottamenti elettorali imponenti. Bastano pochi elettori, incolleriti, che poco hanno da perdere e che non fanno troppo caso alle strumentalizzazioni di chi lavora a inquinare le istituzioni democratiche e la convivenza civile.

Il tafazzismo del Pd e il nuovo centro

Già pubblicato sull’Huffingtonpost

È difficile, francamente, respingere al mittente la riflessione del capo della Lega quando dice che dalle politiche in poi la sinistra ha perso tutto quello che poteva perdere. E, soprattutto, ha perso in quei territori dove governava da anni se non da decenni. È inutile fare l’elenco perché è noto a tutti. Ma è anche inutile ricordare che ormai è passato quasi un anno da quel fatidico 4 marzo che ha segnato la fine del renzismo e della gestione renziana del partito – peraltro da quasi tutti esaltata e promossa come modello dalla stragrande maggioranza di quel partito per lunghi 4 anni e poi prontamente rinnegata appena il centro e’ girato…- eppure si continua a perdere. E dappertutto.

Ora, quello che francamente stupisce e che imbarazza parecchio anche molti commentatori – salvo quelli che sono l’espressione del giornalismo d’élite, peraltro maggioritario, che continua a tessere le lodi del Pd e della sinistra quasi a prescindere dalla concreta e continua risposta dell’elettorato – e’ assistere alle manifestazioni di soddisfazione e di felicità del suo fantomatico gruppo dirigente dopo il voto in Abruzzo e in Sardegna. Due regioni governate, sino a ieri, dal centro sinistra e due regioni che contavano una vastissima coalizione e, soprattutto, con due candidati alla Presidenza molto autorevoli e molto prestigiosi. Risultato? Una doppia botta politica ed elettorale con una percentuale di distacco fra le due coalizioni che ondeggia fra il19 e il 22%. Qualunque persona di buon senso, almeno credo, si pone una banale domanda: ma si festeggia e si è felici e contenti per che cosa? Per le ripetute sconfitte politiche ed elettorali? Per le percentuali delle sconfitte? Per la buona performance del Pd? La risposta non si conosce. L’unica ragione consolatoria di questa chiassosa soddisfazione dei dirigenti, renziani ed ex turbo renziani, e’ forse quella di pensare di aver scampato un pericolo. Cioè la sostanziale scomparsa dalla geografia politica italiana. E l’unica giustificazione a questo atteggiamento, dunque, non può che essere il vecchio slogan “chi si accontenta gode”.

Ora, però, al di là della felicità incontenibile dei dirigenti del Pd, da questo voto emerge un dato abbastanza evidente. Oltre, come ovvio, alla disfatta del movimento 5 stelle e alla straripante vittoria della Lega salviniana e del centro destra. Dappertutto, dal Trentino alla Sicilia. E cioè, il Pd non è più il fulcro dell’alternativa al centro destra. Il simbolo del Pd, diciamoci la verità, è stato sostanzialmente nascosto in tutte le consultazioni elettorali che si sono svolte dalla sconfitta delle elezioni politiche in poi. Un accantonamento tattico e strategico. Tattico perché si tratta di un logo oggi non particolarmente gettonato nella pubblica opinione. Anche in quella della sinistra tradizionale e non solo. Strategico perché è evidente a tutti che il futuro del centro sinistra non potrà più ruotare attorno ad un partito, seppur importante, ma del tutto incapace di ricostruire attorno al suo ruolo e al suo simbolo un progetto di alternativa politica e di governo al centro destra.

Ed è proprio attorno a questo tema che si gioca ormai la vera partita del futuro centro sinistra dopo la sbornia della sciagurata “vocazione maggioritaria” e la cesura della “cultura delle alleanze” di renziana memoria. Si tratta, cioè, come dicono ormai molti commentatori ed opinionisti su vari organi di informazione, di ricostruire un “partito/movimento di centro” non per rispondere ad un astratto posizionamento geografico nello scenario politico italiano ma, al contrario, per rideclinare una “politica di centro” e una “cultura di centro” che nel cosiddetto centro sinistra di oggi rischiano di essere solo un ricordo del passato. Cioè della prima repubblica. E questo a maggior ragione dopo le primarie del Pd che vedranno, quasi sicuramente, la vittoria di Zingaretti e quindi il ritorno del Pds. Ovviamente in forma aggiornata e rivista ma sempre un partito della sinistra italiana. Un progetto, va detto con altrettanta chiarezza, del tutto legittimo e anche utile perché con il ritorno del sistema proporzionale da un lato e delle identità politiche dall’altro, e’ persin scontato che la sinistra ritorni a fare la sinistra. Dopodiché, però, va ricostruita una cultura delle alleanze perche’, come diceva Mino Martinazzoli, “in Italia la politica è sempre stata la politica a delle alleanze”. E una alternativa credibile al centro destra non potrà non partire da 3 caposaldi decisivi e visibili: riconoscere e promuovere una vera cultura delle alleanze; smetterla di pensare che tutto ruoti attorno ad un partito, il Pd, che progressivamente ed irreversibilmente non potrà che essere un tassello della coalizione; e prendere atto, infine, che senza un “centro” riformista, di governo, con una spiccata cultura cattolico popolare e democratico, il tutto rischia di essere un mero esercizio retorico ed intellettualistico. Perché, forse, d’ora in poi sarebbe utile e consigliabile smetterla di essere contenti e felici per le sconfitte. Perché, come dicevo poc’anzi, poteva andare peggio. Cioè potevamo scomparire. Con una classe dirigente del genere, e’ difficile progettare e scommettere sul futuro. Altroché essere competitivi…

I flussi di voto a Cagliari e Sassari

Articolo già pubblicato sulle pagine della  Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo

Due settimane dopo le elezioni regionali in Abruzzo un nuovo appuntamento elettorale in una regione italiana ha catturato l’attenzione degli osservatori politici. Il voto in Sardegna ha rappresentato un’occasione per valutare lo stato di salute delle forze politiche, cercando di trarre dal voto locale indicazioni sugli orientamenti generali dell’elettorato italiano.

Anche l’Istituto Cattaneo ha posto sotto esame il voto sardo indagando – coi consueti metodi (“modello di Goodman”) – i flussi elettorali nei due principali centri della regione, Cagliari e Sassari.

I flussi elettorali sono gli interscambi di voto avvenuti fra i partiti nel corso di due elezioni successive. Nel nostro caso vengono stimati per singole città sulla base dei risultati delle sezioni elettorali. Si tratta di stime statistiche, e quindi di misure affette da un certo margine di incertezza. Le nostre analisi sono effettuate «su elettori» e non «su voti validi», al fine di poter includere nel computo anche gli interscambi con l’area del «non-voto» (astenuti, voti non validi, schede bianche).

Abbiamo compiuto un’analisi del tutto analoga a quella svolta due settimane fa in Abruzzo, confrontando il voto regionale col voto del 4 marzo. Nel voto regionale abbiamo considerato il voto al presidente, di più agevole comprensione rispetto al voto delle liste, dove la presenza di numerose sigle puramente locali rende complicato qualsiasi tentativo di riaggregazione.

In questo comunicato completiamo lo studio sui flussi a Cagliari e a Sassari, dopo le prime anticipazioni di ieri, relative a una parte delle sezioni elettorali. Lo spoglio è proceduto con particolare lentezza e solo nella tarda serata di ieri, lunedì, sono stati disponibili i dati relativi a tutte le sezioni dei due comuni presi in esame. Va anzitutto rilevato come l’analisi parziale tendesse a sovrastimare i flussi in uscita verso l’astensione. I dati completi ci danno un’immagine più corretta riportando alla sua giusta misura l’astensione ma confermando e consolidando le tendenze principali emerse già nell’anticipazione.

Le domande che ci si pone passando in rassegna i dati che emergono da queste stime sono essenzialmente le stesse che ci eravamo posti due settimane fa in occasione delle elezioni abruzzesi. Procediamo dunque seguendo lo stesso ordine del comunicato diffuso in quell’occasione, così da rendere più facile al lettore che volesse operare un confronto la comparazione tra le tendenze delle due regioni.

Sulla base delle stime fornite dal “modello di Good man” abbiamo quantificato i passaggi di voto dai bacini elettorali del Pd (e, più in generale, del centrosinistra), del Movimento 5 stelle e del centrodestra verso i candidati che si sono confrontati domenica (Zedda del centrosinistra, Solinas del centrodestra, Delogus del M5s, e infine tutti gli altri raggruppati in un’unica categoria). Poniamo dunque la nostra attenzione sui cosiddetti flussi in uscita. Per la precisione, abbiamo posto pari a 100 gli elettorati che il 4 marzo scelsero Pd, M5s, FI e Lega e abbiamo osservato come si sono ripartiti nel voto per le regionali sarde di domenica (tabb. 1 e 2).

 

Tabella 1 Flussi di voto a Cagliari (elezioni politiche 2018-elezioni regionali 2019)

 

Tabella 2 Flussi di voto a Sassari (elezioni politiche 2018-elezioni regionali 2019)

 

1)  Come hanno votato gli elettori che il 4 marzo 2018 scelsero Pd?

Il voto sardo conferma una tendenza emersa due settimane fa in Abruzzo. Il flusso in uscita da questo partito verso il M5s sembra essersi arrestato. In entrambi i centri considerati, dal Pd verso il M5s escono flussi di scarsissima entità (1% a Cagli ari e 2% a Sassari). Al contempo, si registra, come diremo più avanti, qualche flusso in direzione contraria.

In entrambe le città il centrosinistra non subisce perdite verso l’astensione.

In buona sostanza, si può dire che il Pd riesca a mantenere i ranghi abbastanza compatti rispetto al 4 marzo, anche se a Sassari si registra una perdita di una certa entità verso Solinas

(ben il 22% del bacino elettorale originario).

2)  Come hanno votato gli elettori che il 4 marzo 2018 scelsero M5s?

Ancor più che in Abruzzo, il M5s veste i panni dello sconfitto di queste elezioni: la perdita di voti rispetto all’exploit del 4 marzo appare impressionante. Il candidato e la lista sono ridotti a una percentuale che, pur consentendo a questa formazione di entrare per la prima volta nel consiglio regionale, la riduce a partito di rango secondario.

Riprendiamo la stessa classificazione con cui avevamo suddiviso gli elettori cinquestelle due settimane fa. Ci sono i fedeli, che rinnovano il voto per il proprio partito (il 25% a Sassari e solo 19% a Cagliari).

Ci sono i disillusi, che passano all’astensione (33% a Cagliari e il 27% a Sassari): anche in questo caso è il gruppo ancora più consistente.

Ci sono i traghettati (18% a Cagliari, 33% a Sassari), che passano al centrodestra, conquistati probabilmente dal dinamismo dell’azione politica dell’alleato-concorrente di governo Matteo Salvini.

Ci sono, infine, i pentiti (26% a Cagliari e 15% a Sassari), che passano (tornano) al centro-sinistra: in Sardegna (soprattutto a Cagliari, per via dell’attrattiva del candidato Zedda) questo gruppo sembra dunque essere un po’ più consistente che in Abruzzo. Insomma, correggendo in parte quello che emergeva dall’analisi parziale, in Sardegna la tendenza che porta i cinquestelle a destra e quella che li porta a sinistra sembrano fronteggiarsi quasi alla pari: a Cagliari prevale (otto punti percentuali in più) la prima (grazie, come si diceva, a Zedda), a Sassari prevale (18 punti percentuali) la seconda. Intorno al consolidamento di questa tendenza si gioca la possibilità del centrosinistra di tornare ad essere competitivo nel confronto col centrodestra: oggi, come hanno dimostrato tutte le elezioni regionali svoltesi dopo il 4 marzo, il centrodestra appare praticamente imbattibile.

Cosa c’è dietro questa dispersione degli elettori cinquestelle? C’è, anzitutto, la risaputa debolezza locale del M5s, che soffre di una classe politica per molti versi priva delle capacità e delle risorse politiche per conquistare consensi sul “territorio”. L’ampiezza dell’arretramento e il fatto che questo arretramento non vada solo a beneficio della pur maggioritaria astensione, ma finisca per premiare forze concorrenti, sembra però implicare che dietro ad esso vi sia un giudizio sulla performance governativa del partito. L’arretramento non deriverebbe quindi solo dal debole radicamento territoriale ma segnalerebbe anche un momento di difficoltà politica.

3)  Come hanno votato gli elettori che il 4 marzo 2018 scelsero Lega e FI?

Per entrambi i principali partiti del centrodestra, la maggioranza degli elettori confluisce sul candidato del proprio schieramento (Solinas). A Sassari è però notevole la perdita di entrambi i bacini elettorali verso il “non-voto” (43% per FI, 36% per la Lega).

Non vi è dunque una perfetta sovrapposizione tra il voto al centrodestra del 4 marzo e quello per Solinas. Da una parte il bacino originario del centrodestra ha perso voti verso l’astensione, dall’altra ha acquisito, come si è visto in precedenza, consensi dal M5s (in entrambe le città) e dal Pd (a Sassari).

 

Analisi a cura di Rinaldo Vignati con la collaborazione di Francesco Amato Fonte: Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo Sito web: www.cattaneo.org

Memo4Europe: Luigi Berlinguer, Maria Romana De Gasperi e Carlo Rubbia incontrano gli studenti italiani

Una giornata dedicata all’Europa in un confronto generazionale che collega tutt’Italia. “Memo4Europe” è l’evento nazionale che, oggi, metterà in rete l’Università di Torino, la Sapienza di Roma, l’Università Federico II di Napoli, assieme a migliaia di altri studenti delle scuole superiori.

Tre incontri che si terranno in contemporanea, dalle 9.30 alle 12.30, creando un unico grande dibattito condiviso tra le sale e trasmesso all’esterno in diretta. Il collegamento in streaming fra le tre sedi permetterà di confrontarsi e discutere sull’Europa di ieri, oggi e domani. La giornata vanta testimonial d’eccezione che dialogheranno con i giovani rispondendo e rivolgendo loro domande. Sono Luigi Berlinguer, già ministro dell’Istruzione, Maria Romana De Gasperi, primogenita dello statista trentino Alcide De Gasperi, Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica e senatore a vita.

Dopo la sessione mattutina, la giornata continuerà con iniziative organizzate dalle singole Università, con l’Europa come filo conduttore, e aperte a studenti, professori, studiosi, cittadini: da convegni di approfondimento a dirette radiofoniche e intrattenimenti culturali ed enogastronomici che mettono a confronto i diversi Paesi europei.

I Popolari nella crisi del primo dopoguerra

La terza iniziativa del ciclo organizzato dall’Associazione Popolari insieme con la Fondazione “Carlo Donat-Cattin” per ricordare il centenario della nascita del Partito popolare italiano si concentrerà su cattolici e il fascismo.

Dopo l’incontro di fine novembre 2018 sulla figura di don Luigi Sturzo e quello di fine gennaio sull’attualità del Popolarismo, ora l’associazione affronta lo spinoso argomento del rapporto tra i cattolici e il fascismo, che porterà alla spaccatura del PPI nel giro di pochissimi anni dalla sua fondazione nel 1919.

Venerdì 1° marzo, al Polo del ‘900 (via del Carmine 14), con inizio alle ore 17.45, Alessandro Risso, presidente dei Popolari piemontesi e autore del libro Liberi e forti (e antibolscevichi). Il Partito popolare italiano nella Torino “rossa” del 1919. (Ed. Effatà) e Alberto Guasco, docente universitario e autore del volume Cattolici e fascistiLa Santa Sede e la politica italiana all’alba del regime 1919-1925 (Ed. Il Mulino) parleranno delle forti tensioni sociali e politiche nello scenario di crisi del primo dopoguerra, approfondendo il tema del crescente consenso della gerarchia vaticana, del clero e del laicato cattolico conservatore verso il blocco d’ordine reazionario rapidamente egemonizzato dai fascisti.

I due relatori saranno presentati da Gianfranco Morgando, direttore della Fondazione Donat-Cattin, e l’incontro sarà moderato dal giornalista Luca Rolandi.

Un « code Maritain » à Sodoma ? Une erreur de perspective historique

Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo un articolo che uscirà in questi giorni su La Croix

Frédéric Martel accorde une grande importance au philosophe Jacques Maritain (1882-1973), au point d’en faire la clé interprétative de « Sodoma » : « Pour comprendre le Vatican et l’Église catholique, au temps de Paul VI comme d’aujourd’hui, Jacques Maritain est une bonne porte d’entrée. J’ai découvert peu à peu l’importance de ce codex, ce mot de passe complexe et secret, véritable clé de lecture de Sodoma. Le code Maritain » (p. 187). Dès le premier chapitre, Martel incluait Maritain dans une galerie d’« auteurs homosexuels » qui va de Proust à Pasolini et de Julien Green à Roland Barthes. Dans l’épilogue, l’auteur établit une typologie des clercs-gays et se sert de Maritain pour caractériser le premier type : « Le modèle vierge folle’, fait d’ascétisme et de sublimation, c’est celui qui caractérise Jacques Maritain, François Mauriac, Jean Guitton et peut-être aussi quelques papes récents ». Il s’agirait « d’homophiles contrariés », qui ont « choisi la religion pour ne pas céder à la chair ; et la soutane pour échapper à leurs inclinations. L’amour d’amitié est leur penchant naturel. On peut penser qu’ils ne sont guère passés à l’acte » (p. 605-606). Martel consacre un chapitre (le 7) à définir le « code Maritain » : l’homosexualité sublimée ou refoulée à travers la chasteté conjugale ou sacerdotale se traduirait par une « homophilie », qui deviendrait in fine « homophobie intériorisée ». Martel aligne les noms des papes (p. 192) et des cardinaux de curie (p. 185-187), qui partageraient ce « code Maritain » : « On ne peut comprendre les papes Jean XXIII, Paul VI et Benoît XVI, ni la majorité des cardinaux de la curie romaine, si on ne décrypte pas le maritainisme comme une donnée intime sublimée » (p. 192). Paul VI aurait ainsi été « séduit » par Maritain (p. 188). En de beaux amalgames, Martel remonte de Maritain à Proust, au sujet de quelques cardinaux d’un âge avancé : tel cardinal « me dit qu’il va emporter les livres de Maritain avec lui dans la maison du sud de la France, où il compte prendre sa retraite, différée depuis vingt ans. À la recherche du temps perdu, le cardinal prendra seulement une partie de ses livres » (p. 189). Étant donné l’importance doctrinale, politique, métaphysique de l’œuvre de Maritain au XXe siècle,  si un cardinal lecteur de Maritain devient aussitôt, par code, gay friendly, sinon openly gay, on arrive naturellement à 100% de cardinaux gay…

  1. Martel souligne la nécessité de « remonter aux matrices anciennes, bien qu’elles nous semblent d’un autre temps » (p. 199). Il entend devenir historien, et c’est là que les choses se gâtent. Autant un historien de métier n’a en effet, sur le plan épistémologique, rien à dire sur l’enquête produite par Martel, assise pour l’essentiel sur des entretiens et sur des procédés d’écriture très littéraires (allusions, associations, name-dropping), autant, au sujet de l’analyse du « code Maritain », un historien a le devoir de clarifier certains points. Sous la plume de Martel, erreurs factuelles, ignorance de la bibliographie, anachronismes conduisent à des affirmations à la fois naïves, cocasses et réfutables. Les questions sérieuses que Martel soulève et auxquelles il répond de manière outrancière, méritaient pourtant plus de finesse. De ces outrances, nous ne donnerons que quelques exemples : « Avec cette sorte d’air de sagesse qui plaît tant à son entourage efféminé, le philosophe disserte jusqu’à plus soif du péché homosexuel et lance des ‘Je vous aime’ à ses jeunes amis qu’il appelle ses ‘filleuls’ » (p. 187). « L’homosexualité est l’une des idées fixes de Maritain, comme en témoigne sa correspondance aujourd’hui publiée » (p. 191) ; « Jacques Maritain ne s’est jamais consolé de la disparition de l’être aimé », à savoir Ernest Psichari, « le grand amour de jeunesse », qui serait « l’Eurydice » du philosophe (p. 199)…

Frédéric Martel, sur le plan historique et éditorial, est sous la dépendance de Jean-Luc Barré, auteur d’une biographie de Maritain (publiée en 1995, rééditée en 2009), et éditeur et ardent promoteur de Sodoma. Depuis la parution de cette biographie, ont pourtant été publiés de nombreux ouvrages historiques (ceux de Philippe Chenaux, Jean-Dominique Durand, Michel Fourcade, Michel Bressolette, Sylvain Guéna, René Mougel par exemple), de nombreuses correspondances, ainsi que des catalogues d’exposition (Maritain et les artistes. Rouault, Cocteau, Chagall, 2016), avec des lettres de Cocteau et de Sachs, mais aussi de Rouault, Chagall et Jean Hugo. Barré et Martel n’ont aucune connaissance des travaux universitaires édités depuis plus de 20 ans, qui nuanceraient pourtant très sérieusement leur interprétation gay du monde Maritain.

L’analyse de F. Martel est de ce fait truffée d’erreurs. Non, Raïssa Maritain n’est pas comme la cousine et « l’épouse » d’André Gide (p. 190) : avec Jacques, elle accueille et accompagne les « convertis de Meudon », dont elle est parfois la marraine (Sachs). Non, la correspondance Maritain-Psichari n’a pas été « publiée récemment », et il ne s’agit pas – tant s’en faut – de « 175 lettres d’amour » (p. 197). Non, Maritain ne s’est pas rendu « sur les traces de Psichari jusqu’en Afrique » (p. 199) – il s’y est simplement arrêté lors d’une escale, alors qu’il était en route vers l’Amérique du Sud. Non, la sociabilité de Maritain n’est pas que celle des « catholiques célibataires, des intellectuels homosexuels et des jeunes éphèbes » « reçus dans de grandes effusions d’hospitalité » (p. 187) : on est certes là au temps des années folles, et si Maritain reçoit en effet des homosexuels cocaïnomanes (les deux questions sont alors liées), il y a cependant dans le salon des Maritain des femmes –beaucoup du reste comme en atteste sa correspondance ! –, des catholiques mariés, des orthodoxes, des juifs, des protestants, des divorcés, des pères de famille nombreuse, etc. Non, les « filleuls » ne sont pas un nom de code pour les éphèbes qui « fréquentent » le milieu Maritain : il s’agit des « filleuls », au nombre de 80 environ, au sens religieux du terme. Non, Maritain n’a pas « préféré détruire ses carnets de notes intimes pour éviter que ses biographes ne s’aventurent trop loin ». Ces carnets sont en cours de publication, depuis cinq ans, dans les Cahiers Maritain

L’analyse de Martel est également pleine d’anachronismes. Martel interprète les fragments très choisis de la correspondance Maritain-Psichari échangée en 1899 – c’est-à-dire avant Proust et avant Freud – selon les codes gays de la période postérieure à la révolution sexuelle et au « mariage pour tous ». Il considère en outre que les enjeux homosexuels du milieu Maritain étaient connus du public, alors que précisément il faut attendre la publication des correspondances intégrales avec Green (1982), avec Cocteau (1994), avec Journet (1996, pour les années 1920), avec Sachs (2003), et celle des carnets personnels de Jacques (2014-aujourd’hui), pour commencer à préciser les tenants et aboutissants de la question. Martel sur-interprète certains textes qu’il mobilise pour sa cause. La correspondance équivoque que Maritain échange avec Psichari en 1899 exigeait d’être contextualisée et remise en perspective par la centaine de lettres des quinze années suivantes, dont quelques-unes sont assez violentes entre les deux amis. Martel suborne en un sens ses témoins et invente un corpus documentaire qui, affirme-t-il, est publié alors qu’il ne l’est pas, et dont il biaise l’interprétation, sans cependant considérer toute la documentation existante.

En historien, il faut donc juger les pages de F. Martel pour ce qu’elles sont : très fragiles, et même nulles. Si le reste du volume est bâti selon les mêmes procédés, sur la base de témoignages tronqués et d’amalgames, cela n’est pas sans poser un vrai problème de méthode. Quoi qu’il en soit, en historien, il faut surtout souhaiter que les débats autour de l’homosexualité dans le milieu Maritain – un beau sujet – ne reposent pas seulement sur des procédés militants, dans une perspective de scandale médiatique délibéré, mais puissent enfin être posés, avec finesse, sur une base documentaire intégrale.

 

Florian Michel Université Paris 1 Panthéon Sorbonne

Ambiente: Istat, nel 2017 il valore aggiunto del settore delle ecoindustrie è di 36 mld di euro

L’Istat diffonde per la prima volta le stime preliminari del conto dei beni e servizi ambientali, che descrive il cosiddetto settore delle “ecoindustrie”.

Il nuovo conto misura l’offerta di beni e servizi la cui finalità primaria è la protezione dell’ambiente o la gestione delle risorse naturali. Gli aggregati stimati riguardano il valore aggiunto, la produzione, le esportazioni e l’input di lavoro impiegato. A oggi il conto misura esclusivamente la produzione market, cioè venduta sul mercato, mentre esclude le attività non market e quelle svolte in proprio da imprese, istituzioni o famiglie.

Il conto delle ecoindustrie arricchisce l’informazione disponibile all’interno della contabilità satellite ambientale che, a partire dal quadro centrale dei conti nazionali, allarga il focus dell’analisi per soddisfare specifiche esigenze informative. Queste misure sono coerenti con i tradizionali indicatori macroeconomici e a essi rapportabili.

Nel 2017 il valore aggiunto generato dal settore delle ecoindustrie, valutato ai prezzi base, è pari a 36 miliardi di euro correnti (+0,9% rispetto al 2016) e pesa per il 2,3% sul valore aggiunto complessivo dell’economia del Paese.

In termini di produzione, i beni e servizi ambientali rappresentano il 2,4% dell’insieme dell’economia. Nel 2017 il valore della produzione supera i 77 miliardi con un incremento dell’1,9% rispetto all’anno precedente.

Nel 2017 il settore delle ecoindustrie impiega 386 mila unità di lavoro a tempo pieno (+0,5% rispetto al 2016).

Le stime preliminari del valore aggiunto delle ecoindustrie indicano che nel 2017 oltre il 65% deriva dalla produzione di beni e servizi destinati alla gestione delle risorse naturali (ovvero riduzione del prelievo di risorse dall’ambiente e altre azioni per la conservazione e il mantenimento degli stock).

Berlino: Il futuro al lavoro

Articolo già apparso sulle pagine della rivista il Mulino a firma di Fernando D’Aniello

Il futuro al lavoro. Andrea Nahles, da poco meno di un anno presidente della Spd, sta tentando di far uscire il suo partito dalla crisi nella quale si trascina ormai da anni. Una crisi confermata dai sondaggi che danno ormai i socialdemocratici terza forza politica dopo i conservatori e i Grünen e a rischio di essere superati dalla stessa Alternativ für Deutschland. Per invertire questa tendenza, Nahles ha intenzione di innovare profondamente il programma del partito e ha già avviato una discussione interna con lo slogan “Zukunft in Arbeit” (il futuro nel lavoro).

Lasciamo per ora da parte la questione del se e del come la Spd riuscirà a far convivere queste proposte – molte delle quali sono già state valutate molto negativamente dai vertici della Cdu – con la sua presenza in un’alleanza di governo che, almeno nel testo del Koalitionsvertrag, non prevede moltissimi degli interventi chiesti dalla socialdemocrazia. Anche perché, d’altro canto, alla Spd serve tempo, quantomeno per comunicare agli elettori queste nuove proposte: il partito di Nahles è indubbiamente l’ultimo a volere adesso una crisi di governo che condurrebbe a nuove elezioni (catastrofiche per la socialdemocrazia).

Il primo pacchetto di riforme che la Spd ha presentato lunedì scorso (Un nuovo stato sociale per un nuovo tempo) è dedicato proprio al lavoro e, in particolare, al superamento di gran parte delle famose riforme di Schröder, la ormai celebre Agenda 2010.

A fare da perno del sistema è un diritto al lavoro (Recht auf Arbeit) con il quale la Spd intende schierarsi decisamente contro un reddito di base o di cittadinanza (Grundeinkommen). Diritto al lavoro significa che «la comunità solidale si obbliga a occuparsi di ogni singolo membro e rendere possibile ad ognuno lavoro e partecipazione, invece di sottrarsi da questa responsabilità con un reddito di base». Il lavoro resta, dunque, elemento centrale anche nell’epoca della digitalizzazione e del mutamento tecnologico: «salari equi e buone condizioni di lavoro restano anche per il futuro la chiave di una vita autodeterminata». Tutela e dignità del lavoro si traducono in proposte concrete: salario minimo (approvato proprio dalla Grande coalizione a partire dal 2015 e fissato a 8,50 euro, attualmente è di 9,19 euro e, in prospettiva, la Spd lo fissa a 12 euro, misura che dovrebbe coinvolgere poco meno di 10 milioni di lavoratori), maggiore centralità dei contratti di categoria (tramite vantaggi fiscali per le imprese che li adottano), rafforzamento della codecisione (Mitbestimmung) nei luoghi di lavoro, provvedimenti ad hoc per le nuove forme di lavoro autonomo (in particolare quelle delle piattaforme online) che garantiscano «diritti e condizioni minime di lavoro, come una paga minima e protezione sociale».

C’è, poi, l’altra gamba del sistema (per ragioni di spazio non ci soffermiamo sugli interventi previsti per la famiglia, come un’assicurazione universale per i bambini), quella rivolta a chi non lavora (e non accede quindi ai benefici previsti dalla tutela della disoccupazione che i lavoratori stessi pagano mensilmente con le trattenute sulla basta paga) o a chi, pur lavorando, non guadagna a sufficienza da garantirsi una vita dignitosa.

Qui si prevede il superamento del sistema dell’Hartz IV con un nuovo Bürgergeld (diciamo una sorta di reddito minimo garantito) fondato su tre presupposti. 1) È privo di sanzioni, quantomeno di quelle senza senso e vergognose: si pone ovviamente subito il problema, per ora non chiarito del tutto, di quali siano queste sanzioni. 2) È più attento alla storia professionale di ogni singolo cittadino, per evitare che debba essere costretto ad accettare ogni proposta di lavoro. Infine, 3) rende possibile per i titolari di questa prestazione di disporre comunque di piccoli patrimoni personali, mentre oggi chi riceve l’Hartz IV è obbligato a utilizzarli (quasi) completamente (finendo quasi sempre per peggiorare la propria condizione, diventando sempre più povero).

Si tratta di una modifica più letterale che sostanziale: il superamento del sistema di Schröder del fördern und fordern (incentivare e pretendere) avviene tramite altre formulazioni, tutto sommato abbastanza simili. I cittadini, ad esempio, sono senz’altro titolari dei diritti alle prestazioni dello Stato sociale ma sono anche investiti da precisi obblighi e responsabilità. La ragione è evidente: in un sistema che fa del lavoro il perno con il quale assicurare agli individui libertà e autodeterminazione, quelli che non lavorano vanno inseriti, quanto prima, in un percorso di riqualificazione professionale o messi nella condizione di tornare a lavorare. La Spd, però, tramite l’innalzamento del salario minimo vorrebbe combattere il fenomeno, oggi stabile ma comunque molto consistente, dei salari bassi o bassissimi e vorrebbe affidare i lavoratori che recepiscono il Bürgergeld (magari perché il loro salario è comunque troppo basso) alla mediazione dell’Agentur für Arbeit e non più degli uffici del Jobcenter (la cui asfissiante e irrazionale burocrazia è particolarmente odiata). In questo modo dovrebbe essere limitata il vero problema dell’Hartz IV: un enorme regalo alle imprese, tramite l’intervento dello Stato che mette di tasca propria una certa quota di salario (che dunque, nella sua quota di spettanza alle imprese, resta molto basso), senza che i lavoratori abbiano ricevuto alcunché in cambio. Lo testimonia il dato in base al quale i disoccupati sono diminuiti ma sono aumentati coloro che pur lavorando fanno domanda di Hartz IV.

In attesa di leggere anche le altre proposte è possibile fare due valutazioni. Innanzitutto Nahles sta riuscendo, lentamente, a dare la propria impronta al partito: superando razionalmente e senza inutili estremismi quanto andava superato delle riforme del 2003. Ci sono certamente ancora punti oscuri – come ha fatto notare il professor Butterwegge vicino alla Linke – ma nella sostanza è evidente che la Spd si stia confrontando con maggiore chiarezza e senza inutili affanni o estremismi con il proprio (recente) passato. Del resto che le riforme del 2003 abbiano bisogno di essere riviste e riaggiornate è un fatto ormai acquisito. Riacquistando alcuni tratti tipici della socialdemocrazia classica, a partire dalla centralità dei lavoratori e delle loro rappresentanze: è un inizio indubbiamente interessante, seppur segnato da alcune contraddizioni e forse non sufficiente a superare l’attuale crisi.

Perché ciò che ancora lascia aperto più di un dubbio sulla consistenza di queste proposte è il rapporto della Spd, più che con la propria storia, con il futuro: questa centralità del lavoro e dei lavoratori come si traduce in una proposta politica complessiva adatta al contesto internazionale che si è venuto a determinare negli ultimi anni? Qual è, ad esempio, la declinazione europea di queste proposte? Come ci si relaziona ai colossi economici che operano in Europa, come Amazon, il cui fondatore ha dichiarato proprio in Germania l’inutilità dei sindacati?

Ma ancor più stringente appaiono anche altre questioni: il ruolo dello Stato non solo nelle prestazioni sociali come il Bürgergeld ma anche nella tutela e nell’erogazione di beni comuni, a partire dal patrimonio immobiliare, dal quale lo Stato tedesco si è ritirato negli ultimi decenni con la conseguenza di un’impennata degli affitti in un Paese storicamente di affittuari e non di proprietari (Il Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung segnala che il rischio di povertà è cresciuto enormemente proprio tra chi ha una casa in affitto). Le proposte della Spd permettono certamente di riaprire una discussione politica importante con le altre forze progressiste tedesche. Ma, almeno per ora, appaiono più dettate dalla gestione dell’emergenza che da una chiara indicazione di rotta.

Prevenzione della corruzione, l’esperienza italiana best practice europea

L’esperienza italiana è stata il modello di riferimento della conferenza internazionale organizzata in Macedonia dalla missione Osce e dalla nostra Ambasciata. “Institutional reforms for fight against corruption, best practices towards European model – The Italian example” il titolo del convegno che si è tenuto nella capitale macedone il 22 febbraio. A spiegare i vari aspetti di cui si compone il modello italiano è stato il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone. Ad accompagnarlo, per l’occasione, il comandante del Nucleo speciale anticorruzione della Guardia di Finanza, generale Gaetano Scazzeri, il cui intervento si è soffermato sul raccordo operativo esistente con l’Anac e le tecniche investigative impiegate in Italia. Tutti elementi di grande utilità per una nazione, come la Repubblica balcanica, che ha da poco approvato un’apposita legge sulla prevenzione della corruzione e il conflitto di interessi.
La missione dell’Anac è stata anche l’occasione per una serie di incontri bilaterali ai più alti livelli col Primo ministro, Zoran Zaev, il ministro della Giustizia Renata, Deskoska, e il presidente della Commissione macedone per la prevenzione della corruzione, Biljana Ivanovska.

L’importanza di una prospettiva diversa, di tipo preventivo, è, quindi, un tema al centro, da anni, del dibattito mondiale in materia di lotta alla corruzione. Il primo criterio della strategia è connesso ad un capovolgimento della prospettiva tradizionale. L’esigenza di assicurare la legalità e la corretta cura degli interessi pubblici è un problema a cui i sistemi amministrativi hanno cercato di rispondere soprattutto con la logica del controllo, collegata all’idea di un’amministrazione di cui non ci si può fidare, perché un “luogo a rischio”, un’entità, quindi, da sottoporre ad una sorta di tutela. “L’impianto normativo della legge Severino scommette, invece, sulla capacità di ogni amministrazione di poter generare gli anticorpi, partendo da un assunto in astratto difficilmente contestabile – ha detto il presidente dell’Anac Cantone nel suo intervento lo scorso anno alla conferenza di Buenos Aires -. Non si può contrastare la corruzione, ponendosi contro l’amministrazione e non utilizzando la parte migliore di coloro che la compongono. Questo capovolgimento di prospettiva si traduce, in pratica, nell’innovativa previsione di uno strumento alternativo di controllo, attraverso la riorganizzazione delle procedure, quello dei piani di prevenzione della corruzione”.

I piani di prevenzione si ricollegano sia al sistema di compliance previsto nell’ambito della responsabilità “penale” delle imprese, introdotta in Italia dal d.lgs. n. 231 del 2001 che ai piani di integrità (“integrity plans”), introdotti in molti Paesi stranieri per verificare l’integrità dell’organizzazione e valutare il livello di vulnerabilità degli organismi, ma si muove comunque con una direttrice autonoma. Il Piano si articola su un doppio livello, un piano nazionale (Pna) ed uno di ogni singola amministrazione; entrambi hanno validità triennale ma devono essere annualmente aggiornati. Il piano nazionale deve essere redatto dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) sia pure dopo aver sentito altri organi (in particolare un comitato interministeriale e la conferenza unificata Stato Regioni) e nella pratica viene sempre predisposto con un confronto con i rappresentanti delle amministrazioni e previa consultazione pubblica. Con esso vengono fornite alle amministrazioni le indicazioni metodologiche per la redazione del proprio piano nonché individuate le possibili aree di rischio su cui intervenire e le misure adottabili.

È’ però con il piano triennale che viene messa in campo la specifica strategia di ogni ente. Tutte le amministrazioni sono tenute ad adottarlo e ad adeguarlo ogni anno, pena una sanzione pecuniaria amministrativa (da 1.000 a 10.000 euro) a carico dei soggetti obbligati alla sua predisposizione ed approvazione. I piani dovranno effettuare la cd. mappatura dei rischi e cioè l’individuazione dei fattori che possono agevolare i fatti di corruzione; quelli esterni, collegati a situazioni ambientali esterne all’ente (quali, ad esempio, l’esistenza di fenomeni di diffusa illegalità) e interni, ricollegati, in particolare, all’attività degli uffici (che si si occupano, ad esempio, di questioni di impatto significativo dal punto di vista economico).

Una volta individuati i rischi, vanno poi indicate le misure organizzative che possono sterilizzarli; a partire dalla rotazione del personale (misura obbligatoria), le altre misure saranno calibrate alle peculiarità dei rischi medesimi e possono consistere, ad esempio, in controlli aggiuntivi (il visto sulle pratiche o la istruttoria condotta da parte di più persone), nel destinare maggiori risorse di personale ad alcune attività, nel prevedere rigidi criteri cronologici nell’esame delle pratiche o anche nell’eliminare intralci burocratici che possano essi stessi essere fattori di rischio.

Cliciak torna a Roma

Cliciak torna alla Casa del Cinema a Roma. Fino al 30 aprile, infatti, la prestigiosa sede, inserita all’interno di Villa Borghese, ospita la mostra fotografica con i migliori scatti del concorso nazionale per fotografi di scena promosso dal Centro Cinema Città di Cesena, giunto quest’anno alla ventunesima edizione. Per CliCiak si tratta ormai di un appuntamento abituale, che si rinnova da diversi anni.

L’esposizione offre una significativa selezione dei migliori scatti premiati e segnalati dalla giuria, composta da Cesare Biarese, Andrea Crozzoli, Enza Negroni, Claudio Pastrone e Michele Smargiassi.
In tutto 40 fotografie scelte tra le 2.300 in lizza (nuovo record di partecipazione al concorso), scattate da 56 fotografi a documentazione di 115 tra film, cortometraggi, fiction e serie tv. In pratica, le foto di Cliciak abbracciano l’intera stagione cinematografica 2017/18 – dai successi del box office, alle opere prime ai più raffinati film d’autore – senza trascurare le fiction.

In mostra, tra le altre, le opere di Mario Biancardi ( miglior foto per Ombra e il poeta), Greta De Lazzaris (miglior serie per Dogman) e Valentina Glorioso (miglior serie televisiva per Il cacciatore). Il Premio ‘Giuseppe e Alda Palmas’, per un fotografo che per la prima volta partecipa al concorso, è andato a Stefania Rosini, mentre si sono aggiudicati il premio “Ciak ritratto d’attore”, indicato dalla redazione del magazine di cinema diretto da Piera Detassis, Andrea Miconi per la sezione in bianco e nero (A Casa tutti bene) e Gianni Fiorito per la sezione colore (Loro 1).

Scoperti i geni dell’insonnia

Identificati i geni alla base dell’insonnia, regolano stress ed emozioni e grazie ad essi si comincia a delineare il primo quadro completo dei meccanismi biologici responsabili di questo disturbo. Li hanno scoperti due ricerche, pubblicate entrambe sulla rivista Nature Genetics.

Il primo studio, condotto dall’americano Massachusetts General Hospital (Mgh) e dall’Università britannica di Exeter, ha individuato 57 geni associati ai sintomi dell’insonnia, analizzando i dati di 450.000 persone conservati nella Biobanca del Regno Unito, insieme a quelli di 15.000 norvegesi e 2.200 americani. “I geni che abbiamo scoperto potrebbero ora essere il bersaglio per nuovi trattamenti”, commenta Jacqueline Lane del Mgh. “Sappiamo da tempo che c’è una correlazione tra insonnia e disturbi cronici”, aggiunge Samuel Jones di Exeter, “ora abbiamo la prova che il rischio di depressione e malattie del cuore aumenta a causa di questo disturbo”.

In Sardegna vince il centrodestra. Il Pd? Serve una nuova alleanza democratica

Articolo già apparso sulle pagine di www.huffingtonpost.it

In Sardegna vince l’alleanza che un tempo aveva Berlusconi come principe assoluto. Oggi lo scettro del comando è passato a Salvini, impegnato a governare assieme ai Cinque Stelle, eppure in perfetta sintonia, nei Comuni e nelle Regioni, con i vecchi partner di centrodestra. Questa anomalia alla lunga non può durare.

Se osserviamo il quadro che emerge dall’Isola, possiamo ricavare alcune indicazioni utili. Sebbene divisi sul territorio, M5S e Lega hanno sempre ottenuto, come pura somma numerica, la maggioranza dei consensi. Finora è andata così. Stavolta invece i due partiti di governo, affiancati in via ipotetica, raggiungono a mala pena un quarto dei voti.

Non è un fatto banale. Sì è votato per la Regione, ma l’elettorato comunque ha sancito una bocciatura di questa stramba dinamica – tra centro e periferia – dei partiti attualmente alla guida della nazione. Al di là dei sondaggi, il dato elettorale non permette di rintracciare un “blocco di maggioranza” in grado virtualmente d’imporsi malgrado le divisioni sul territorio.

Che dire, sul fronte opposto, del risultato del Pd? È vero, una tenuta elettorale si può registrare. Non siamo al tracollo annunciato, alla pratica liquidazione di un progetto ambizioso, nato nel 2007, sebbene i problemi rimangano e siano davvero grandi. L’illusione che il crollo del M5S giovi al Pd s’infrange sugli scogli dell’aritmetica elettorale. Evidentemente la proposta dei riformisti risulta tuttora alle prese con un deficit di credibilità.

Se l’alleanza prefigurata dal Pd vuole essere la riproposizione di un accordo – sempre seduttivo per gli ex “giovani comunisti” – tra sinistra riformista e sinistra radicale, non credo abbia successo lo sforzo di riorganizzazione sottoposto al vaglio degli elettori delle primarie. Esiste una questione, per la quale si scomoda alle volte l’ipotetico “partito dei Vescovi” o meglio il risorgente “partito cattolico”, in concreto riguardante lo spazio ora vuoto del Centro.

Si tratta, allora, di capire e conseguentemente studiare una strategia che riporti in campo aperto una funzione politica equilibrante, capace di rendere operativa e credibile una nuova alleanza democratica, nuova soprattutto nel modo di concepire la collaborazione tra centro e sinistra. Il Pd ha questo compito, altrimenti non risponde alla sua originaria ambizione. E può morire.

Sardegna: la destra vince nella sua configurazione a trazione leghista

Per quanto sia difficile e spesso arbitrario tirare conseguenze generali da singoli passaggi elettorali, sembra che i segnali che arrivano dalle elezioni in Abruzzo e in Sardegna siano tre.

Primo: la destra magari non sfonda come qualcuno temeva o auspicava, ma vince nella sua configurazione a trazione leghista.

Secondo: il centro sinistra nella sua varia articolazione – e nonostante l’incertezza nazionale – non è affatto scomparso ed anzi pare ancora saper aggregare, nei territori e attorno a leader credibili, una parte significativa benché non maggioritaria di cittadini.

Terzo: il processo di trasformazione del M5S da Movimento a partito di governo pare decisamente in una fase di crisi tutt’altro che marginale e fisiologica.

Ciò che si può osservare è che Salvini sta riuscendo a tenere assieme due dimensioni apparentemente inconciliabili: essere sostanzialmente leader politico di un Governo con i grillini e nello stesso tempo essere sostanzialmente leader di una destra che comprende la Lega ma anche formazioni oggi all’opposizione del Governo, come Forza Italia (col suo corollario di cosiddetti centristi alla UDC) e Fratelli d’Italia.

Tanto di cappello a lui e a Fratelli d’Italia.
Una domanda invece a Forza Italia (in particolare alla componente Taiani) e ai suoi alleati cosiddetti centristi e sedicenti “popolari”: pensano veramente che la tradizione degasperiana e il pensiero “popolare” possano essere compatibili con il supporto ad un auspicato futuro Governo Salvini, come pare di capire dalla loro strategia politica nel caso di rottura del patto Lega-M5S?

Non si scappa da un punto. L’alternativa vincente e credibile alla destra in crescita – una destra che preoccupa da molti punti di vista e non solo politici, ma anche culturali – passa da tante cose, alcune delle quali riguardano i valori sociali e la cultura civile del Paese e dunque richiedono processi di medio periodo, ma passa anche dalla ricostruzione di un’area politica oggi dissolta: quella del “centro”.

Termine apparentemente (e in parte effettivamente) desueto, arcaico, ridicolizzato e polverizzato dal processo di radicalizzazione della domanda politica e dallo smottamento dei meccanismi tradizionali della rappresentanza. Certo.

Ma all’appello delle risorse necessarie per un’alternativa credibile manca proprio questo, oltre che un leader comunemente riconosciuto. Inutile girarci attorno.
Laddove per “centro” deve intendersi qualcosa di nettamente diverso dal passato, se non su un punto, che invece deve essere recuperato con forza: la capacità di lettura dei cambiamenti e l’attitudine inclusiva della politica attorno ai valori fondamentali di una “democrazia comunitaria e sociale”.
Un terreno oggi solo evocato in forme poco credibili e niente affatto praticato con proposte innovative, serie, competenti, lungimiranti, generose e ispirate ad una concezione “alta” delle istituzioni.

Ciò che può trasformare una significativa minoranza ( che di questi tempi non è comunque fatto da sminuire) in una potenziale maggioranza forse è proprio questo.
Il Paese ha bisogno che tale vuoto venga riempito, senza scorciatoie di breve momento e senza ansie da prestazione immediate. Fuori da ogni suggestione di autosufficienza o equidistanza, ma nella chiarezza della scelta strategica e con un impegno dichiarato e visibile.

Passare dalle molte iniziative della “Rete Bianca” e dei “Liberi e Forti” ad un progetto politico che punti a rianimare su basi nuove in Italia il senso ed il ruolo di questa cultura politica non è né semplice né privo di insidie, anche per i troppi errori fatti – ahinoi- in questi anni.
Ciò non di meno è necessario.

Lavoro: mancano all’appello oltre un milione di posti full time

La fotografia nella ricerca effettuata da Inps, Istat e Ministero del Lavoro ci fa notare come il mondo del lavoro sa cambiato dall’inizio della crisi ad oggi.

Nella media del 2018, si legge nella ricerca, il numero di occupati supera il livello del 2008 di circa 125mila unità. Si sono così recuperati i livelli pre-crisi. Eppure qualcosa si è perso: nei primi tre trimestri del 2018, rispetto a dieci anni fa, mancano all’appello poco meno di 1,8 milioni di ore lavorate, ovvero oltre un milione di posti full time.

Nel 2017 circa un milione di occupati ha lavorato meno ore di quelle per cui sarebbe stato disponibile, mentre la schiera dei sovraistruiti ammonta a quasi 5,7 milioni: quasi un occupato su quattro. Nel rapporto Il mercato del lavoro viene sottolineato come negli anni il fenomeno risulta in continua crescita, sia in virtù di una domanda di lavoro non adeguata al generale innalzamento del livello di istruzione sia per la mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste e quelle possedute.

L’aumento della quota di occupazione meno qualificata, accompagnata dalla marcata segmentazione etnica del mercato del lavoro italiano, ha favorito la presenza di lavoratori immigrati più disposti ad accettare lavori disagiati e a bassa specializzazione. Tra il 2008 e il 2018 gli stranieri sono passati dal 7,1% al 10,6% degli occupati. Nei servizi alle famiglie su 100 occupati 70 sono stranieri.

L’età media al primo ingresso è di circa 22 anni, nel 55% dei casi si tratta di uomini. Su 100 primi ingressi, oltre 50 si registrano nel Nord, 20 al Centro e 30 nel Mezzogiorno; 80 sono riferiti a cittadini italiani e 20 a stranieri.

Il contratto a tempo determinato è il più utilizzato al primo ingresso (50%), seguito da apprendistato (14%) e lavoro intermittente (12%). Solo il 9% avviene con contratto a tempo indeterminato o in somministrazione e il 4% nella forma di collaborazione. Per i giovani alle dipendenze le professioni più frequenti sono camerieri e assimilati (12%), commessi delle vendite al minuto (8,5%), braccianti agricoli (7,4%), lavori esecutivi di ufficio (2,8%).

Onu: Il mondo è alle prese con “una ondata di xenofobia, razzismo e intolleranza”

La comunità internazionale che ha adottato lo Statuto delle Nazioni Unite fin dal 1945 si è assunta l’obbligo di garantire il rispetto dei diritti umani e le libertà fondamentali per ogni essere umano a prescindere da differenze di razza, origini etniche, sesso, lingua o religione.

Nel 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che specifica proprio nel primo e terzo articolo che tutti gli uomini, senza alcuna distinzione, sono nati liberi ed uguali in dignità e diritti. Nella “Convenzione sulla Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio”, in vigore dal 1951, inoltre il genocidio è condannato come ‘crimine internazionale’.

E sicuramente da queste nozioni fondamentali  nasce la dichiarazione che ieri il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, nel suo discorso di apertura del Consiglio per i diritti umani dell’ Onu a Ginevra ha rilasciato.

Il mondo è alle prese con “una ondata di xenofobia, razzismo e intolleranza” ed i diritti umani stanno perdendo terreno a livello globale”

Esiste un “restringimento dello spazio civico”, che negli ultimi tre anni ha portato alla morte di oltre 1.000 tra giornalisti e attivisti per i diritti umani.

 

Germania: La presidente Cdu Kramp-Karrenbauer favorita come nuovo cancelliere

La presidente dell’Unione cristiano-democratica (Cdu), Annegret Kramp-Karrenbauer, potrebbe essere il futuro cancelliere della Germania.

È quanto si apprende da un sondaggio condotto dell’emittente televisiva tedesca “n-tv”, che ha rilevato come Kramp-Karrenbauer abbia il gradimento della maggioranza del campione in un duello con i maggiori esponenti del Partito socialdemocratico (SpD), la leader Andrea Nahles e il suo vice Olaf Scholz, attuale vicecancelliere e ministro delle Finanze.

Il confronto con la leader dell’SpD, vede Kramp-Karrenbauer ottenere il 45 per cento dei consensi, mentre Nahles si ferma al 13 per cento. Contro Scholz, la presidente della Cdu raggiunge il 40 per cento, mentre il ministro delle Finanze si attesta al 20 per cento.

Il medesimo sondaggio ha rivelato che l’Unione, il blocco conservatore al Bundestag formato da Cdu e Unione cristiano-sociale (Csu) si conferma primo partito in Germania con il 30 per cento delle preferenze. In seconda posizione tornano i Verdi che, con il 20 per cento, rimontano sul Partito socialdemocratico tedesco (SpD), sceso al 16 per cento. Quarta forza, con il 12 per cento, è Alternativa per la Germania, partito di destra che raccoglie consensi anche negli ambienti estremisti. Chiudono la classifica il Partito liberaldemocratico e La Sinistra, rispettivamente al 9 e al 7 per cento.

La Pontificia Università Antonianum ha indetto il settimo Premio San Francesco

La Pontificia Università Antonianum ha indetto il settimo Premio San Francesco per autori di opere monografiche con caratteristiche scientifiche, edite negli anni 2017-2018. Il bando prevede che trattino tematiche relative a diversi ambiti.

Si tratta di studi interdisciplinari in Sacra Scrittura, teologia, mariologia, diritto e filosofia; studi francescani – storia dell’Ordine dei Frati Minori, letteratura francescana e clariana, dottrine e istituzioni, pensiero filosofico e teologico; valori del Vangelo e diritti fondamentali nella legislazione – costituzioni e statuti – della vita consacrata; matrimonio e famiglia nelle problematiche del terzo millennio alla luce dei recenti documenti del magistero della Chiesa.

Le opere dei partecipanti dovranno essere consegnate in triplice copia entro il 30 aprile 2019 alla segreteria del rettore presso la Pontificia Università Antonianum, in via Merulana, 124 – 00185 Roma. Saranno ammesse le opere nelle lingue ufficiali dell’Ordine dei frati minori: italiano, inglese e spagnolo. La partecipazione è gratuita.

A giudicare i lavori sarà una commissione nominata dal rettore dell’Ateneo, costituita da docenti universitari e studiosi di fama internazionale, in grado di rappresentare la cultura francescana nelle diverse aree geografiche del mondo. Il miglior lavoro sarà premiato con una somma di 6.000 euro. L’esito del concorso e la graduatoria generale di merito saranno pubblicate entro il 30 novembre 2019 nel sito istituzionale della Pontificia Università Antonianum.

Diminuiscono i frontalieri

L’Ufficio federale di statistica svizzero (UST),  ha certificato la nuova diminuzione di frontalieri. Tra il quarto trimestre 2017 e il quarto trimestre 2018,  il numero dei frontalieri stranieri attivi in Svizzera è diminuito dello 0,6%.

I frontalieri dall’Italia sono calati del 4,1%, dalla Germania del 2,4%, mentre i pendolari con un permesso per frontalieri provenienti dalla Francia sono aumentati dell’1,3%.

Sempre a livello nazionale, il numero di frontalieri è in calo in tutte le fasce di età, ad eccezione di quella di età compresa tra i 55 e i 64 anni (+3,1%). La flessione è netta tra i 15-24enni (-4,0%) e gli over 64 (-23,5%).

Alla fine del 2018 la maggior parte dei frontalieri lavorava nel settore dei servizi (66,7%), il 32,7% nel secondario e lo 0,6% nel settore primario.

Un saldo negativo che parla da solo. E tra l’altro un segnale della crisi che investe ormai anche l’area di frontiera.

A 9 anni è il baby sindaco alla ciclabilità di Amsterdam

Lotta  Crok, dallo scorso giugno, è il primo baby sindaco al mondo con mansioni esclusivamente dedicate alla ciclabilità e la sua area di lavoro è la capitale olandese. La sua missione è quella di ispirare i bambini a pedalare ogni giorno e attirare l’attenzione sugli ostacoli che i bambini sulle biciclette affrontano.

Secondo Lotta: “I tre maggiori problemi per noi sono auto, cicloturisti e motorini. Le macchine occupano troppo spazio, i turisti oscillano sempre da una parte all’altra e si fermano quando meno te lo aspetti, e gli scooter ti passano sopra (gli scooter in Olanda possono utilizzare le piste ciclabili: ndr)”.

L’idea vincente di Lotta è stata quella di aggiungere dei tandem e delle biciclette per bambini al sistema di bike sharing più diffuso del Paese.

Idea subito sposata dalle Ferrovie dello Stato, gestori del servizio di bike sharing. La società ha iniziato, infatti, un progetto pilota per dotare alcune stazioni ferroviarie di bici pensate per i più piccoli.

Mentre l’idea di far diventare Lotta una baby sindaco con mansioni alla ciclabilità è arrivata direttamente dall’assessore alla ciclabilità di Amsterdam Katelijne Boerma, la quale sostiene che sia importante comunicare direttamente con quei 125 mila bambini che vivono in città. Il modo migliore per farlo era prendere a modello una persona che potesse incoraggiarli e porsi come modello da seguire.

Epidemia di morbillo in Giappone

Sono 170 i nuovi casi da inizio anno in 20 delle 47 prefetture del paese, le più colpite da questo picco epidemico sono quella di Mie e Osaka. Oltre la metà dei malati nella prefettura di Mie, nella regione del Kansai, a ovest di Kyoto e Osaka, sono membri del gruppo religioso Kyusei Shinkyo, i cui fedeli ritengono che la medicina sia dannosa e che sostengono la purificazione del corpo e della mente.

Secondo l’OMS, le tendenze no vax hanno fatto aumentare i casi di morbillo nel mondo fino al 50%, in alcune regioni del mondo, compresi paesi in cui la copertura vaccinale è sempre stata storicamente alta. In Italia i contagi sono stati 2295 nel 2018.

Qualche breve chiosa all’ordinanza n. 17/2019

Articolo già apparso sulle pagine di http://www.nomos-leattualitaneldiritto.it

Rileggo a qualche settimana di distanza l‟ordinanza della Corte e, senza la pretesa di aggiungere suggestioni particolarmente innovative a molti pregevoli commenti già pubblicati prima di essa (sulla base del comunicato stampa) e anche dopo, mi vorrei limitare a qualche chiosa seguendo l‟ordine degli argomenti della Corte nel considerato in diritto, soprattutto laddove emergano perplessità.

Un primo punto problematico mi sembra il modo con cui si elude la questione della legittimazione del Gruppo parlamentare come tale, cosa che credo andrebbe ritenuta pacifica per come il diritto parlamentare e costituzionale vigente ha visto crescere il loro ruolo, fino alle novelle regolamentari del 2012. Ora rispondere che “manca, nel ricorso in esame, la necessaria indicazione delle modalità con le quali il gruppo parlamentare avrebbe deliberato di proporre conflitto” sembra criticabile sotto un doppio profilo: il primo, piuttosto evidente, è la sottoscrizione del ricorso da parte di un numero di aderenti superiore alla maggioranza assoluta dei componenti che di per sé manifesta in modo inequivoco la volontà del gruppo; il secondo, come chiarito dal ricorso, è l‟ampio potere di rappresentanza che il Regolamento conferisce al Presidente del Gruppo, ossia la natura „presidenzialista‟ del Regolamento. Basta però già il primo argomento per ritenere eccessivamente formalistica l‟obiezione della Corte.

Resta peraltro piuttosto strano il fatto che una Corte così rispettosa verso l‟autonomia regolamentare delle Camere entri invece in modo così pregnante in quella dei Gruppi; forse ha voluto trovare un argomento per sfuggire al merito della decisione, essendo incerta sul da farsi. Essa avrà però almeno un merito: spingere ad una revisione del Regolamento del Gruppo che intenderà ricorrere (anche) come tale per cui l‟argomento risulterà non più riproducibile in futuro. Sarà il primo caso di una riforma di un Regolamento di Gruppo per dar seguito a una sentenza della Corte. In fondo ex malo bonum.

Un secondo aspetto da sottolineare, in questo caso in senso adesivo, è la riaffermazione solenne della possibilità di ricorso del singolo, nei termini comunque prudenti di cui al punto 3.5 del considerato in diritto, che ha già avuto echi nella vita parlamentare giacché tale argomento si è già prestato ad essere utilizzato da alcuni eletti ma anche da alcuni costituzionalisti rispetto all‟emendabilità delle proposte di revisione della Costituzione e delle intese ex art. 116 Cost, fungendo da prezioso deterrente nei confronti di possibili decisioni di inammissibilità delle Presidenze di Assemblea. Evidentemente per i parlamentari è più prudente minacciarlo come deterrente che non usarlo immediatamente giacché un uso che apparisse affrettato potrebbe ben portare la Corte, per prudenza, a prime sentenze restrittive. In tal senso si è orientato il gruppo Pd Senato di fronte alla decisione quanto mai anomala della Presidente Casellati di dichiarare inammissibile emendamenti sul progetto di revisione costituzionale relativo al numero dei parlamentari che intendevano collegare tale aspetto con le funzioni delle Camere e con l‟elettorato attivo e passivo delle medesime.

Un terzo aspetto da sottolineare, anche in questo caso in senso adesivo, e che forse si può leggere anche, a prescindere dalla volontà della Corte, come monito nei confronti della revisione costituzionale in corso sul referendum propositivo è la precisazione che le decisioni di bilancio sono “il nucleo storico delle funzioni affidate alla rappresentanza politica sin dall‟istituzione dei primi parlamenti e che occorre massimamente preservare”

Il quarto aspetto da sottolineare, invece, di ordine critico, è la contraddizione che obiettivamente si apre tra due aspetti: per un verso si ricorda la convenzione costituzionale Pera-Morando che a partire dai primi anni 2000 aveva configurato “forma di compensazione nel coinvolgimento della Commissione Bilancio nella definizione del testo su cui il Governo poneva la fiducia, tenendo conto delle proposte emendative in quella sede discusse e approvate”; per altro verso, però, si cerca di sminuire la rottura di tale convenzione con un argomento di natura essenzialmente politica, ossia il fatto che “ il nuovo testo recepiva almeno in parte i lavori parlamentari svoltisi fino a quel momento, inclusi alcuni emendamenti presentati nel corso della discussione (si veda la tabella di raffronto contenuta nel dossier del Senato della Repubblica dedicato al maxi-emendamento governativo, edizione provvisoria del 23 dicembre 2018, pagine 15 e seguenti).” (punto 4.4) Ora, a parte la giusta considerazione del qualificato lavoro degli uffici del Senato, com‟è noto le tabelle non parlano da sole e per qualsiasi deputato che abbia partecipato all‟esame in Commissione Bilancio della Camera, al di là di qualche tema affrontato, risulta obiettivamente difficile riscontrare una somiglianza complessiva tra il testo esaminato in quella sede e quello che è stato emendato in Senato, sia in termini quantitativi sia qualitativi.

Ma più in generale: in un sistema bicamerale paritario, l‟essere stata una parte del testo discussa da una camera può giustificarne l‟approvazione senza discussione da parte dell‟altra? E‟ evidente che esiste una certa continuità sui temi e che si riscontra sempre una qualche parentela tra gli emendamenti di una lettura e quelli dell‟altra, ma su questa base si finirebbe per non poter censurare mai nessuna violazione procedurale perché tutti i Governi e le maggioranze potrebbero sempre tentare di utilizzarla. Non avrebbe quindi senso a quel punto affermare, come si fa in conclusione, che “in altre situazioni una simile compressione della funzione costituzionale dei parlamentari potrebbe portare a esiti differenti” (punto 4.5), con quel monito che appare essere la vera sostanza dell‟ordinanza, in analogia al monito contenuto nel discorso di fine anno del Presidente Mattarella.

Pare di capire quindi, in sintesi, che la Corte abbia quindi deciso prima, di fatto, sul merito, ritenendo di doversi muovere in analogia con l‟altro vicino organo di garanzia, avallando sul momento quanto accaduto per evitare mali maggiori, ma volendo porre un serio deterrente pro futuro, e abbia quindi cercato un itinerario argomentativo inevitabilmente difficile tra queste due esigenze. In questo itinerario forse poteva essere omessa l‟osservazione sull‟esame già intervenuto alla Camera perché indebolisce il deterrente finale e poteva magari essere proposta qualche osservazione sull‟importanza di rispettare pro futuro convenzioni costituzionali come quella in questo caso violata fino a trasformarla, sempre pro futuro, in una consuetudine costituzionale.

 

Bonomi: «Quelle tracce di comunità nell’Italia vista rasoterra»

Articolo già pubblicato sulle pagine di http://www.vita.it/ a firma di Aldo Bonomi

Come la struttura cooperativa e mutualistica delle origini dei dettaglianti si è evoluta sino ad affrontare la sfida delle reti globali della grande distribuzione, con sullo sfondo il tema della digitalizzazione, dell’e-commerce e del modello Amazon? E in questo scenario: cosa rimane del mutualismo e della solidarietà delle sette cooperative che compongono Conad? Nel Grande Viaggio Insieme di Conad ho cercato le risposte a questi interrogativi incamminandomi lungo un percorso di ricerca-azione che ha fatto dello slogan «Persone oltre le cose» una narrazione di vite minuscole, una sorta di antropologia del quotidiano, sino a teorizzare che «il supermercato non è un’isola», con tanto di presunzione di farne un piccolo saggio sui cambiamenti della società italiana vista «rasoterra» – dal banco del salumiere, mi verrebbe da dire.

Cosa ho trovato in questo viaggio nei territori? Tracce di comunità, questo ho trovato innanzitutto. Tracce di comunità in un’Italia chiusa nell’epoca del rancore. Tipicamente nella stagione del rancore, cooperazione, mutualismo e solidarietà diventano inoperose, lasciando spazio a un’operosità rinserrata in gated community delle élite, impermeabili ai flussi in alto e in basso, comunità chiuse dal localismo maligno dei tanti in preda alla paura di diventare ultimi che cercano il capro espiatorio quando la comunità si fa maledetta, alla ricerca dell’Heimat del sangue, del suolo e delle religioni. Nel Grande Viaggio ho assistito invece a una metamorfosi. Una sorta di intelletto collettivo sociale a matrice cooperativa è emerso al di là e al di sopra delle paure del rancore. Un intelletto collettivo che si è snodato valorizzando luoghi simbolici delle comunità stesse: sale parrocchiali, centri di aggregazione, centri culturali, teatri comunali. Fino al supermercato. Il supermercato che non è un’isola. E anzi, diventa un osservatorio delle crisi sociali.

Esemplare il caso delle uova di Pasqua raccontato da una socia Conad di Ancona: «Avevo già fatto le rese, la Pasqua per me era finita, ma continuavano a chiedermi le uova, non mi ero resa conto che il mio piccolo supermercato non è oggi un’isola, è all’interno anche di una comunità ortodossa, per loro la Pasqua iniziava quando per me era finita».

Il Grande Viaggio Insieme attraversa un’Italia nell’epoca del rancore e diventava quindi importante per un gruppo come Conad cercare tracce di comunità di cura, là dove la solidarietà e il mutualismo si alimentano di un’identità che sta nella relazione con l’altro da sé. Diventava importante capire quanto la forma cooperativa fosse motore di una comunità operosa in relazione con le questioni sociali del territorio. La ricerca-azione sul territorio aggiungeva alla società dello spettacolo e del marketing territoriale del Grande Viaggio Insieme un momento interagente con e per i soci, interrogandoli sul loro fare impresa con una rivoluzione del punto di osservazione che passava dalla piazza spettacolare ai sottoscala della Caritas, alle comunità di cura che si occupavano degli ultimi, dei migranti, della società dello scarto della nostra epoca, che lo sguardo dei bottegai intercettava spesso nel fare la spesa e nel consumare di quelli che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese. Insomma un percorso di ricerca-azione per rendere visibili gli invisibili, spesso non illuminati dai riflettori della società dello spettacolo.

Per andare oltre nell’Italia in metamorfosi, ci siamo fatti, dunque, aiutare dallo sguardo dei soci Conad, chiedendo a loro una geografia sociale ed economica. Ebbene, secondo i soci la connessione tra attività imprenditoriale e azione comunitaria è in grado di produrre un’articolata serie di benefici (ancor più evidente tra i soci del Mezzogiorno) lato clienti, lato collaboratori e lato personale. In tutti i casi si tratta di effetti benefici sulla dimensione dell’appartenenza: quella dei clienti e dei collaboratori al punto vendita, quella del socio al contesto locale.

Esemplare il caso delle uova di Pasqua raccontato da una socia Conad di Ancona: «Avevo già fatto le rese, la Pasqua per me era finita, ma continuavano a chiedermi le uova, non mi ero resa conto che il mio piccolo supermercato non è oggi un’isola, è all’interno anche di una comunità ortodossa, per loro la Pasqua iniziava quando per me era finita». Microstoria da dettaglianti che colgono come appunto il supermercato non sia un’isola ma un luogo ricco di biodiversità umana, stando dentro l’arcipelago delle etnie, delle culture, dei credo religiosi. Della metamorfosi cooperativa che non si arrende al rancore.

Riflessioni sull’ultimo libro di Frederic Martel

Il lento avanzare dell’età costringe chi scrive, spesso, a intere giornate dedicate alla lettura. Potendo ancora contare su qualche piccolo agio, come le novità inviate in anteprima dalle principali case editrici, ho potuto leggere “l’ultima fatica” dello storico francese Frederic Martel, Sodoma, pubblicato in Italia da Feltrinelli.

Notevole il timing nell’uscita del volume, in coincidenza con un Forum internazionale sugli abusi sessuali, che si svolge in questi giorni in Vaticano.

Vasto il raggio d’azione dell’inchiesta: quasi 1500 persone intervistate, oltre 30 Paesi visitati. Rilevante l’impegno, che però non basta a fugare i dubbi. Il primo è legato all’idea di fondo che motiva l’inchiesta. Cioè la tesi, indimostrabile (e indimostrata nel libro), che all’interno dei Sacri palazzi sia presente una presunta “lobby gay”.

Secondo l’autore, non si tratterebbe di una vera e propria lobby, bensì di “una comunità che alimenta, anzi erige a sistema una inestricabile rete di ricatti, di pressioni più o meno manifeste, di molestie”. In questo modo, la questione omosessuale diventerebbe per l’autore una chiave di lettura (anche se non l’unica) per interpretare alcuni episodi controversi nella storia della Chiesa recente, almeno dell’ultimo mezzo secolo.

Cambiano i tempi e gli scenari ma, dal pontificato di Montini a quello di Bergoglio, il “fil rouge” sembra essere lo stesso, ricamato intorno a presunte “abitudini” di una parte della gerarchia ecclesiastica e dei prelati, spesso spiati dal buco della serratura. Il criterio guida sarebbe dunque quello di una tacita ipocrisia. “Dont’ask, don’t tell”,

come insegnano subito i generali dell’esercito americano ai loro soldati.

Le fotografie negative (a volte vere e proprie caricature) risparmiano ben poche personalità all’interno della Chiesa e del mondo cattolico. Chi non viene accusato apertamente di omosessualità, finisce per cadere, agli occhi del lettore, nell’ombra di un sospetto strisciante. Come si capisce, ciò è funzionale a creare un certo “climax”. Tra le personalità oggetto di indagine nel libro, c’è anche il filosofo francese Jacques Maritain. E’ noto il profondo legame del filosofo con Papa Montini, che lo considera un “maestro nell’arte di vivere e di pensare”. E proprio a Maritain, quale rappresentante degli intellettuali, Paolo VI consegna nel 1968, sul sagrato di San Pietro, il suo Messaggio agli uomini di pensiero e di scienza.

Numerosi sono gli intellettuali e gli artisti che i coniugi Maritain (Jacques e la moglie ebrea russa Raissa) conoscono e frequentano nell’arco della loro vita, prima a Meudon (Francia) e poi a Princeton (Stati Uniti) dove riparano per sfuggire alle persecuzioni antisemite. Sono relazioni continue, non frammentarie o occasionali.

Si tratta perlopiù di frequentazioni e scambi epistolari, molti dei quali raccolti in volumi. In questo modo siamo venuti a sapere che i coniugi Maritain seguono sovente la gestazione delle opere più importanti degli artisti e intellettuali loro amici, assieme agli sviluppi della loro creatività. Questi ultimi, a loro volta, ricevono e commentano i libri inviati dai coniugi Maritain. Si informano, reciprocamente, sulle gioie e sui dolori delle rispettive vicende familiari. Si tratta di amicizie intellettuali, nulla di diverso. Questo va detto con chiarezza, per ristabilire la verità storica intorno a una vicenda affrontata diffusamente nel libro (le frequentazioni dei coniugi Maritain) che non ha ragione di essere prestata a equivoci o fraintendimenti di alcun genere.

 

Fra’ Galdino

L’Iran presenta il suo primo sottomarino tattico

L’Iran ha reso noto di avere lanciato un missile da crociera da un sottomarino per la prima volta nella storia del Paese durante l’esercitazione annuale in corso nello Stretto di Hormuz. L’agenzia di stampa Fars ha pubblicato una fotografia di un sottomarino verde in superficie mentre lancia un missile arancione, spiegando che anche altri sottomarini della flotta iraniana sono in grado di lanciare questo tipo di missili.

Il Fateh è il primo sottomarino di medie dimensioni interamente costruito dall’Iran: potrebbe trattarsi della versione allungata della piattaforma Nahang. Il sottomarino d’attacco monoscafo Fateh, in produzione dal 2013 nei cantieri navali di Bostanu, è certamente più grande delle precedenti unità in servizio, con lunghezza stimata di circa 48 metri, un diametro di quattro ed un dislocamento in emersione di 527 tonnellate (590 immersione).

La profondità operativa stimata è di 200 metri per una velocità massima di 14 nodi (undici in emersione).

Nasa: Il primo lancio senza equipaggio della capsula Crew Dragon

Il primo lancio senza equipaggio della capsula Crew Dragon partirà il 2 marzo dalla piattaforma 39 del Kennedy Space Center, a Cape Canaveral, in Florida.

Lo ha comunicato la Nasa attraverso una nota pubblicata sul proprio sito.

L’agenzia spaziale americana e SpaceX hanno deciso di procedere con il test che porterà per la prima volta un veicolo spaziale senza equipaggio ad agganciarsi alla Stazione Spaziale Internazionale (Iss).

Salvo imprevisti, la missione Crew Dragon Demo-1 prenderà il via sabato 2 marzo alle 8.48 (ora italiana), quando la capsula realizzata dall’agenzia spaziale di Elon Musk partirà in direzione della Iss, alla quale si aggancerà dopo 27 ore di volo.

Il velivolo porterà agli uomini in orbita alcuni rifornimenti e, dopo una permanenza di cinque giorni, farà ritorno sulla Terra venerdì 8 marzo. Se tutto si concluderà per il meglio, il test rappresenterà un importante passo per SpaceX verso il primo volo con degli astronauti a bordo della Crew Dragon, che potrà così andare a sostituire lo Space Shuttle – la cui ultima missione risale al 2011 – e porre fine alla dipendenza statunitense dalla Russia per il trasporto di uomini nello spazio.

Basta un test del sangue per la diagnosi del tumore al seno

Un test del sangue sarà in grado di fornire una diagnosi del tumore al seno. La nuova scoperta destinata a rivoluzionare la medicina e la prevenzione in campo oncologico è opera di un team di ricerca di Heidelberg, di cui ha dato notizia in Germania la Bild. Il nuovo test, ritenuto “sensazionale” sarebbe in grado di fornire indicazioni “con lo stesso grado di probabilità di una mammografia”.

A questo esame sono state sottoposte 650 donne, di cui metà delle quali era malata, l’altra metà no. Secondo i ricercatori, il test avrebbe lo stesso grado di probabilità che si ottiene con una mammografia. Tuttavia saranno necessari studi più ampi per verificare quanto questo test sia sicuro nella prassi.

Gli attacchi alla Chiesa sono il segno di una nostalgia nascosta

Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Andrea Monda

«Sto vivendo una bellissima esperienza di sinodalità, di camminare insieme» afferma il cardinale Christoph Schönborn e sente di poter estendere le sue parole a tutti i partecipanti al summit convocato in Vaticano sul tema della tutela dei minori. «Vedo che qui tutti quanti stiamo insieme, uniti e cerchiamo di non pensare che i problemi sono solo quelli degli altri ma che tutti dobbiamo procedere in un cammino di conversione, che è la prima parola del Vangelo e la condizione per l’annuncio. Per questo mi sento di dire che questi quattro giorni possono essere un grande momento di rinnovamento della Chiesa tramite la conversione».

All’interno delle tre giornate di lavoro è stato da più parti osservato come da parte del mondo esterno la Chiesa sia continuamente sotto accusa, rappresentando il bersaglio preferito, quasi il capro espiatorio di tutti i mali che affliggono la società contemporanea. Lei non trova che questo sia spesso il segno di un ingiusto accanimento che nasce dal fatto che in un mondo in preda ad un relativismo imperante la voce della Chiesa, con la sua solida struttura etica, sia fuori dal coro, controtendenza e quindi da contrastare, colpire, discreditare?

Se da una parte questo è vero, dall’altra la questione merita un approfondimento. Personalmente ho una visione più complessa del problema, che non intende esaurire la questione ma può essere uno spunto utile per arricchire la nostra riflessione, per aiutarci a non vivere solo sulla difensiva, come una cittadella assediata, a staccarci dalla visione solo negativa del mondo con la facile contrapposizione tra il mondo cattivo e la Chiesa buona e povera vittima. Dovremmo innanzitutto ricordarci che Gesù stesso ci ha detto «beati siete voi se tutti dicono male di voi». Poi va riconosciuto che a volte non dovremmo lamentarci perché dicono male di noi, perché lo fanno a buon diritto, con buone ragioni, perché il male c’è e quello degli abusi sui minori è un male gravissimo.

In questi giorni il Papa ha convocato qui tutti i presidenti della conferenze episcopali del mondo, un’occasione per vivere realmente la cattolicità, l’universalità della Chiesa.

Esatto, anche qui c’è una prima reazione che potrebbe portare ad avvertire come ingiusti gli attacchi che tutta la Chiesa deve sopportare per i peccati di alcuni. Si potrebbe pensare: «Cosa ho a che fare io con la lontana Chiesa del Cile o degli Usa?». Ma non è così. La Chiesa, tutta la Chiesa deve rispondere, sempre, complessivamente. Questo proprio alla luce del Vangelo, delle parole del Signore: siamo una realtà sola, un solo corpo, è il primo attributo della Chiesa che è «una, santa, cattolica, apostolica». Siamo il corpo di Cristo e come ha scritto il Papa nella Lettera al popolo di Dio, se un membro è perseguitato tutti siamo perseguitati e se un membro ha peccato tutto il corpo pecca e soffre. Facciamo dunque l’esperienza davanti al mondo che la Chiesa è veramente una, nel bene ma anche nel male.

Lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton diceva che la Chiesa cattolica permette poche cose ma perdona tutto, mentre il mondo permette tutto ma non perdona nulla. C’è qualcosa di implacabile negli attacchi rivolti oggi contro la Chiesa, forse che la misericordia è sparita dal mondo contemporaneo?

Molto bella e molto giusta la frase di Chesterton. Sì, a volte sembra che ci sia poca misericordia. Ma è anche vero che dietro questa durezza e apparente mancanza di misericordia può nascondersi un desiderio, tante volte deluso, che esiste il bene, la carità, la misericordia. Questa mia riflessione nasce alla luce di alcune parole di Benedetto XVI, che ha detto più volte che il mondo secolare proprio nel suo sguardo critico nei riguardi della Chiesa rivela una nostalgia nascosta, una grande nostalgia di qualcosa di grande e di puro. Nel cuore dell’uomo c’è sempre questa nostalgia che diventa come una sfida di credere che veramente la Chiesa di Cristo rappresenta qualcosa di grande e di puro. La critica allora può essere vista anche come un anelito di quelle persone che ci criticano ma perché vogliono che quella grandezza del Vangelo sia vera, sia vissuta autenticamente. Quasi una rabbia, un rammarico che il Vangelo non può essere sporcato ma che per forza deve esistere. In questo senso mi ha aiutato un testo del secondo capitolo della Sapienza, su cui Benedetto XVI ha spesso riflettuto, dove è scritto: «Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l’educazione da noi ricevuta». La Chiesa come un maestro che rimprovera e quindi suscita un duro attacco: «Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio, egli l’assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione». Ecco io penso che la Chiesa oggi vive un periodo di prova, il momento in cui è “saggiata”. Anche Benedetto XVI meditando su questo testo lo ha sentito così: il mondo ci critica per saggiarci, per vedere se veramente siamo miti, se veramente il Vangelo è giusto e possibile. Allora invece di lamentarci sulla durezza dei mass-media contro la Chiesa leggiamo in questo un desiderio nascosto, che la Chiesa sia veramente quello che Gesù vuole che sia. Se leggiamo in controluce questi attacchi si può vedere un sentimento misto di ammirazione e delusione. Da qui dobbiamo ripartire, innanzitutto cercando di essere misericordiosi anche con quelli che ci criticano.

Un altro Sud. Tutte le virtù (dimenticate) del Mezzogiorno della modernità

Articolo già apparso sulle pagine di Formiche.net a firma di Federico Pirro

Ha pienamente ragione Riccardo Pedrizzi a scrivere su queste colonne che nel Mezzogiorno si indulge troppo spesso alla cultura del piagnisteo e della lamentazione da parte di coloro i quali ritengono che il divario con Nord sia sempre e soltanto responsabilità di altri, di tanti altri collocati fuori dalle regioni meridionali, ma non in generale delle classi dirigenti del Sud.

E ha pienamente ragione inoltre quando afferma che deve pur esservi una ragione se, ad esempio, in molte aree dell’Italia settentrionale i servizi ai cittadini vengono offerti da Amministrazioni mediamente più efficienti di molte di quelle esistenti del Meridione.

Attenzione, però: quando Pedrizzi scrive tutto questo, che pure in parte condividiamo, sembra dimenticare, o non conoscere affatto, che invece esiste nell’Italia meridionale un altro Mezzogiorno – costituito da tante imprese di piccole, medie e grandi dimensioni, da Comuni e Regioni efficienti, da Università e centri di ricerca di prestigio internazionale, da Interporti dinamici e di dimensioni europee, da grandi scali marittimi competitivi con quelli del Nord – che da anni ormai compete, investe, esporta, produce ricerca applicata, impiega con celerità i fondi comunitari, un altro Sud che gestisce con riconosciuta efficienza interi nosocomi pubblici e privati, che ha saputo creare banche di credito cooperativo di rilievo nazionale nel loro comparto, e che, fra l’altro, è diventato sempre più trendy con l’attrazione di flussi crescenti di turisti italiani e stranieri.

Questo Mezzogiorno della modernità – è bene dirlo con assoluta chiarezza – non solo rifugge dal piagnonismo, ma lotta da tempo con durezza contro l’altro Mezzogiorno accattone e incapace di competere ad ogni livello e che, è doveroso saperlo, è destinato storicamente alla sconfitta, anche se la sua definitiva scomparsa sarà preceduta ancora da pesanti colpi di coda, sussulti anche politico-amministrativi e da lamentazioni sempre più disperate proprio perché destinate alla sconfitta.

Il Mezzogiorno della modernità inoltre è sempre più diffuso e al riguardo consigliamo a Riccardo Pedrizzi la lettura degli studi della SRM, società di ricerca del Gruppo Intesa Sanpaolo – cui il sottoscritto contribuisce da lungo tempo con ricerche sul campo – della Fondazione Edison, di testate specializzate come ad esempio il mensile Economy, sempre attento alle moderne imprese del Sud: prestigiose Istituzioni e testate, quelle appena citate, che sono tutte del Nord più avanzato e che però da anni si dedicano con cura e rigore scientifico a produrre analisi e a dare testimonianza di un Mezzogiorno che contribuisce in misura oltremodo significativa al Pil nazionale, avendo conquistato peraltro primati nazionali nella produzione di molti beni e materie prime.

Questo Mezzogiorno moderno e competitivo peraltro è pienamente consapevole che il secolare divario con il Nord non può colmarsi in tempi ravvicinati, anche perché il confronto del Sud più moderno avviene con regioni settentrionali che sono fra le più avanzate d’Europa; ma il prolungato inseguimento – se così possiamo definirlo – sta rafforzando la consapevolezza ormai diffusa nel Mezzogiorno di poter tenere testa sia pure progressivamente alle zone più progredite del Settentrione.

E anche questa testata, ormai da anni – se è consentita un’autocitazione di cui ci si scusa con i lettori – ospita articoli di chi scrive che stanno censendo on the road industrie, aziende, imprenditori, centri di ricerca avanzati, banche con attivi imponenti, Autorità di sistemi portuali dinamiche, efficienti società di gestione di aeroporti, etc.

Piuttosto è giunto il momento che tutta la grande stampa italiana e il mondo delle televisioni nazionali dedichino spazio più sistematico e meno occasionale al Mezzogiorno della modernità che è saldamente agganciato all’Europa, e che è strettamente intrecciato all’economia del Nord, se è vero, come lo è, che centinaia di grandi gruppi settentrionali ed esteri producono con i loro stabilimenti nell’Italia meridionale, avvalendosi anche di provvidenze messe a disposizione dal governo e dalle Istituzioni meridionali utilizzando i fondi comunitari.

AfD, ritratto di un partito sempre più a destra

Articolo già pubblicato sulle pagine di http://www.treccani.it/ a firma di Giorgia Bulli

Da poche settimane l’ufficio federale per la protezione della Costituzione ‒ Bundesamt für Verfassungsschutz (BfV) ‒ ha dichiarato che il partito populista di destra della AfD (Alternative für Deutschland) è sotto esame per un suo possibile inserimento nella lista delle formazioni politiche formalmente sotto controllo delle autorità federali che vigilano sulle minacce all’ordine democratico tedesco. Le reazioni a queste dichiarazioni non si sono fatte attendere. I vertici del partito hanno minacciato di adire le vie legali contro l’ufficio federale, accusato di agire politicamente sotto l’influenza del nuovo presidente ‒ Thomas Haldenwang. Questi, che ha sostituito Hans-Georg Maaßen, costretto a lasciare per aver cercato di minimizzare la gravità delle manifestazioni xenofobe di Chemnitz occorse nel mese di agosto dello scorso anno, è accusato dalla AfD di essere il braccio politico delle forze parlamentari tradizionali che avversano il partito guidato da Alice Weidel e Alexander Gauland.

La decisione dell’agenzia federale è una novità assoluta nella storia della Repubblica federale tedesca per almeno due motivi. In primo luogo, si tratta della prima volta che un partito rappresentato in tutti parlamenti regionali della federazione e con 91 eletti nel Bundestag alle elezioni generali del 2017 finisce nel mirino – anche solo in qualità di “Prüffall” (caso da verificare) ‒ della BfV. In secondo luogo, nell’annunciare la notizia, l’agenzia ha differenziato tra il partito come istituzione unitaria e almeno due delle sue organizzazioni interne. Se la AfD è considerata come “caso da verificare”, la sua organizzazione giovanile Junge Freiheit e la corrente interna ultranazionalista Der Flügel nata nel 2015 sotto l’influenza del politico di ultradestra della Turingia Björn Höcke, sono state dichiarate come “Verdachtsfall”, ovvero formalmente sospettate di rappresentare formazioni estremiste.

Il dibattito sulle decisioni dell’agenzia avviene in un clima già fortemente marcato dai dibattiti pre-elettorali. Appena due giorni prima del ricordato annuncio della BfV, il partito celebrava nella piccola città di Riesa, in Sassonia ‒ uno dei suoi bastioni elettorali ‒ il Congresso federale dedicato ai temi europei. Nel corso dei lavori, i delegati della AfD si sono scontrati sulla prospettiva della Dexit, l’uscita della Germania dall’Unione Europea, da alcuni percepita come obiettivo naturale del partito, da altri come ultima ratio in caso di impossibilità di riforma delle istituzioni europee. Allo stesso tempo, però, il partito sta cercando di liberarsi dalle figure troppo marcatamente estremiste, che potrebbero spingere eccessivamente verso la percezione – tra gli elettori così come tra gli organi di protezione costituzionale – del partito come di una forza antisistema.

Dal 2013, anno della sua nascita ad opera di Bernd Lucke, economista e docente all’università di Amburgo, la AfD è riuscita ad esercitare una non comune influenza sulla cultura politica tedesca, immune fino a quel momento dal “contagio populista” diffuso in quasi tutti i Paesi europei. L’iniziale euroscetticismo che aveva permesso al partito di ottenere un promettente 7,1% dei voti alle elezioni europee del 2014, dopo aver mancato di poco nel 2013 la soglia del 5% necessaria per ottenere rappresentanza parlamentare al Bundestag nelle elezioni federali, era stato presto accompagnato nell’evoluzione del partito dai temi che di lì a poco avrebbero costituito la forza elettorale della AfD: anti-islamismo, rifiuto dell’immigrazione e delle società multiculturali, condanna delle politiche di genere, attacco ai media tradizionali come “traditori del popolo”.

Il punto di svolta per la piattaforma programmatica, ma anche per le prospettive di successo della AfD a livello regionale e federale, ha successivamente coinciso con la decisione della cancelliera Angela Merkel di aprire le frontiere nel settembre del 2015 per dare accoglienza a più di un milione di richiedenti asilo. È stato in quel momento che le correnti interne alla AfD presenti fin dal momento della sua creazione ‒ l’ala nazional-conservatrice e quella radicale di destra ‒ hanno apertamente sfidato il fondatore, Lucke, costretto nello stesso anno a lasciare la leadership a Frauke Petry, espressione della corrente nazionalista moderata. Sotto la direzione dell’imprenditrice cresciuta nello Stato della Sassonia, nel corso del 2016 e del 2017, il partito ha ottenuto ottimi risultati elettorali, soprattutto nei Länder dell’Est, riuscendo – oltre che nella conquista di seggi in tutte le elezioni regionali in cui il partito si presentava – a nutrire la polarizzazione tra la cosiddetta Willommenskultur – la cultura dell’accoglienza – e il netto rifiuto della natura multiculturale della società tedesca.

Alla vigilia delle elezioni del 2017, che hanno sancito l’inedito ingresso con il 12,6% dei voti nel Bundestag della AfD, il primo partito a destra della CDU/CSU ad ottenere rappresentanza parlamentare, il fragile accordo tra le fazioni del partito ha cominciato a vacillare, mostrando una realtà degli equilibri interni al partito assai più sbilanciata sulla destra estrema di quanto il partito non fosse intenzionato a svelare. Le dimissioni di Frauke Petry alla vigilia delle consultazioni federali, l’ascesa del ticket Alice Weidel-Alexander Gauland al vertice del partito, ma soprattutto l’ascesa di figure politiche come Björn Höcke, portavoce della AfD nel Land della Turingia, autore di un discorso nella città di Dresda durante il quale ha descritto il bombardamento della città un crimine di guerra, paragonandolo a quello di Hiroshima e Nagasaki, ma soprattutto noto per aver definito il Memoriale dell’Olocausto nel centro di Berlino come un «monumento della vergogna», hanno contribuito ad un’estremizzazione del posizionamento politico della AfD.

A rafforzare la percezione che il partito stia operando una trasformazione all’interno dello spettro destro della cultura politica tedesca contribuiscono i legami della AfD con il movimento anti-islamico e anti-immigrazione di PEGIDA (Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes), i contatti della fazione Der Flügel di Höcke con noti esponenti della cosiddetta Nuova destra intellettuale tedesca radunati attorno a Götz Kubitschek ‒ fondatore dell’Institut für Staatspolitik, considerato come il think tank della destra radicale tedesca ‒ e, non da ultimo, il sostegno al partito da parte di nuovi prodotti editoriali come il mensile sovranista Compact, molto diffuso nell’ambiente della destra radicale partitica e movimentista. Su questi e altri aspetti si basa il documento di quasi 500 pagine con cui l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione ha dichiarato di voler monitorare l’organizzazione giovanile del partito e la corrente Der Flügel. Nel suo status di “caso in odor di verifica”, la AfD grida al complotto politico dei partiti tradizionali contro la voce del popolo. Anche questo rientra nella lunga fase della precampagna elettorale per le elezioni europee di maggio.

Addio a Marella Agnelli

Nata a Firenze da una famiglia dell’antica aristocrazia napoletana, in gioventù vive in diversi paesi d’Europa al seguito del padre diplomatico, Filippo Caracciolo di Castagneto. La madre Margaret Clarke era statunitense di Peoria (Illinois). Un suo fratello, Carlo Caracciolo, è stato fondatore insieme con Eugenio Scalfari del gruppo editoriale l’Espresso-La Repubblica. Un altro fratello, Nicola Caracciolo, è giornalista, studioso di storia contemporanea e autore televisivo.

Il 19 novembre 1953 Marella Caracciolo sposa Gianni Agnelli nel castello di Osthoffen, a Strasburgo, in Francia, dove il padre era il rappresentante diplomatico italiano presso il Consiglio d’Europa.

Nel 1973 intraprende la carriera di designer di alta moda, specializzandosi in particolare nella realizzazione di disegni per stoffe d’arredamento.

Il successo nella carriera le ha meritato negli Stati Uniti il prestigioso premio «Product Design Award of the Resources Council Inc.», conferitole nel 1977.

La sua eleganza nel vestire, invece, l’ha portata a comparire nella Hall Of Fame delle rivista Vanity Fair, insieme con il marito Gianni Agnelli e al nipote Lapo Elkann.

Appassionata di giardinaggio, è nota per aver curato la progettazione di giardini nelle sue dimore, Villa Frescot sulla collina di Torino e Villar Perosa nei pressi di Torino e quella di Marrakech in Marocco, dove viveva stabilmente dal 2005.

Presidente Onorario Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli. E’ stata membro dell’International Board of Trustees del Salk Institute di San Diego (California) e dell’International Council of the Museum of Modern Art di New York. E’ stata inoltre vicepresidente del Consiglio di Palazzo Grassi a Venezia, nonché presidente de “I 200 del FAI” di Milano e dell’Associazione degli Amici Torinesi dell’Arte Contemporanea di Torino. E’ stata vicepresidente della Commissione Nazionale dei Collegi del Mondo Unito. Nell’ottobre 2000 è stata insignita del titolo di “Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”.

Madre di Edoardo e di Margherita Agnelli, aveva otto nipoti (tutti figli di Margherita) e sei bisnipoti.

È morta nella sua casa di Torino il 23 febbraio 2019, dopo una lunga malattia.

 

I consumi delle famiglie rallentano più del previsto

I consumi delle famiglie rallentano più del previsto nel 2019. E’ quanto emerge dalle previsioni macroeconomiche elaborate da Cer per Confesercenti, che rivede al ribasso le stime iniziali del governo, mai così male negli ultimi cinque anni. La crescita della spesa si fermerà a un massimo di +0,4%, la metà dell’aumento stimato per il 2019, per un totale di 3,6 miliardi di euro di consumi in meno. Una debolezza che incide anche sul Pil (-2,1 miliardi).

Oltre ai cali di produzione industriale ed export, pesano anche l’incertezza e stallo del potere d’acquisto delle famiglie: nel 2019 si è ancora ai livelli del 2011. I dati confermano le maggiori difficoltà dell’Italia a superare la recessione rispetto agli altri Paesi europei. Tanto che, a fine 2019, i consumi italiani a prezzi correnti saranno inferiori di cinque miliardi rispetto ai livelli registrati nel 2011.

Mercato e imprese in difficoltà – La frenata dell’economia ha influito pesantemente sul mercato interno e sulle Pmi: nello stesso periodo, infatti, si registra la perdita di 360mila occupati indipendenti, tra imprenditori e collaboratori familiari, di cui quasi la metà (168mila) nel commercio. A soffrire sono stati soprattutto i negozi indipendenti, sfavoriti ulteriormente dalla deregulation del commercio. Mentre dal 2011 la grande distribuzione ha visto crescere di 5,9 miliardi il proprio fatturato, soprattutto grazie alla spinta dei discount, i negozi hanno perso oltre 10 miliardi di euro di vendite.

Verso un nuovo annus horribilis – “La spesa delle famiglie sta perdendo quota più rapidamente delle attese”, spiega il presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise. “Nonostante le misure espansive introdotte dalla Manovra, il 2019 rischia di diventare un nuovo annus horribilis per i consumi. E lo scenario potrebbe peggiorare ulteriormente nel 2020, se dovessero scattare gli aumenti Iva previsti dalle clausole di salvaguardia. Bene ha fatto il premier Giuseppe Conte ad impegnare il governo a evitarli, ma l’impegno da solo non basta”.

Addio a 3 frutti su 4

In Italia sono scomparse dalla tavola tre varietà di frutta su quattro nell’ultimo secolo anche per effetto dei moderni sistemi della distribuzione commerciale che privilegiano le grandi quantità e la standardizzazione dell’offerta. E’ quanto afferma la Coldiretti nell’evidenziare gli effetti dell’allarme lanciato dalla Fao sulla perdita di biodiversità con ‘Il rapporto sullo Stato della biodiversità mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura”. In Italia nel secolo scorso – sottolinea la Coldiretti – si contavano 8.000 varietà di frutta, mentre oggi si arriva a poco meno di 2.000 e di queste ben 1.500 sono considerate a rischio di scomparsa, ma la perdita di biodiversità riguarda l’intero sistema agricolo, dagli ortaggi ai cereali, dagli ulivi fino ai vigneti.

Un pericolo che riguarda anche – continua la Coldiretti – la fattoria in Italia dove sono scomparsi 1,7 milioni tra mucche, maiali, pecore e capre negli ultimi dieci anni. Stalle, ricoveri e ovili si sono svuotati dal 2008 con la Fattoria Italia che ha perso – sottolinea la Coldiretti – solo tra gli animali più grandi, circa un milione di pecore, agnelli e capre, oltre a 600mila maiali e più di 100mila bovini e bufale.

Un addio che – precisa la Coldiretti – ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori. A rischio – denuncia la Coldiretti –la straordinaria biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini. Un pericolo – secondo la Coldiretti – per i produttori e i consumatori per la perdita di un patrimonio alimentare, culturale ed ambientale del Made in Italy, ma anche un attacco alla sovranità alimentare del Paese.

“La biodiversità non è solo un valore ambientale ma anche economico ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “la distintività è un motore di sviluppo per le imprese del Made in Italy”. Un valore che la Coldiretti è impegnata a difendere nei mercati e nelle fattorie con i “Sigilli” di Campagna Amica che sono i prodotti della biodiversità agricola italiana che nel corso dei decenni sono stati strappati all’estinzione o indissolubilmente legati a territori specifici ai quali si aggiunge la lista delle razze animali che gli imprenditori agricoli di Campagna Amica allevano con passione. Si tratta – conclude la Coldiretti – in totale di 311 prodotti e razze animali raccolti nel corso di un censimento, curato dall’Osservatorio sulla biodiversità istituito dal comitato scientifico di Campagna Amica.

Trasporto su gomma in attesa di incentivi per il rinnovo del parco circolante

L’età media degli automezzi italiani per il trasporto merci è di quasi 14 anni e oltre il 63% dell’intero parco mezzi è di categoria inferiore all’Euro 4. Sono  questi alcuni dei dati del Mit, messi in evidenza al Salone dei trasporti e della logistica attualmente in programma a Verona.

“Con questi veicoli – ha detto il vicepresidente Confcommercio-Conftrasporto e presidente della Federazione degli autotrasportatori italiani, Paolo Uggè, intervenendo alla kermesse – è impossibile che i nostri vettori possano adeguarsi alla recenti normative comunitarie in materia ambientale (dir. 2016/2284 e nuova intesa tra Parlamento europeo e Consiglio del 18 febbraio 2019), che prevedono la riduzione del 15% delle emissioni inquinanti entro il 2025 e del 30% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2018. Oltretutto le maggiori città italiane stanno sempre più emanando provvedimenti che vietano l’ingresso nei centri urbani dei veicoli diesel inferiori alle categorie euro4, che comunque – ha aggiunnto Uggè – hanno già più di dieci anni di vita. Continuando di questo passo sarà impossibile, per molte imprese di autotrasporto, soprattutto quelle monoveicolari o con un parco disponibile ridotto, continuare a lavorare. Chiediamo quindi, ancora una volta, al Governo – ha sottolineato il presidente della Federazione degli autotrasportatori italiani  – di adottare politiche di concreto sostegno per il rinnovo del parco circolante italiano, con la rottamazione dei vecchi automezzi inquinanti, verso i nuovi modelli di autoveicoli ecologici, dotati inoltre dei più moderni sistemi di sicurezza stradale, quali ad esempio la frenata assistita (sistema di sicurezza attiva che riduce il rischio di tamponamento) e l’anti-svio (sistema di avvertimento di abbandono involontario di corsia). Il Governo preveda che anche tutte le misure di incentivo per il settore siano caratterizzate da una progressiva correlazione con le classi Euro di emissione – ha concluso -. Avremo così un rinnovo graduale e rapido del parco circolante”.

Il quadro strategico al 2030 per il clima e l’energia include l’obiettivo di ridurre di almeno il 40% le emissioni di gas a effetto serra dell’Unione rispetto ai livelli del 1990. Tutti i settori dovranno quindi impegnarsi al massimo se si vuole raggiungere questo obiettivo e se si vogliono evitare i costi e le conseguenze gravi dei cambiamenti climatici. E in questo quadro il settore dei trasporti su strada è di importanza fondamentale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra decarbonizzando l’economia europea. Il trasporto di merci su strada è essenziale per lo sviluppo degli scambi e del commercio. Gli autocarri muovono il 70% circa delle merci trasportate via terra, che assicurano quindi servizi pubblici essenziali. Il trasporto di merci e persone su strada è costituito in gran parte da piccole e medie imprese (Pmi): si tratta di oltre 600.000 imprese in tutta l’Unione che danno lavoro a quasi 3 milioni di persone. Altri 3,5 milioni di cittadini sono poi occupati nella produzione, riparazione, vendita, noleggio e assicurazione di camion. Le emissioni di CO2 dei veicoli pesanti, ossia autocarri, autobus e pullman, rappresentano il 25% degli inquinanti del trasporto stradale nell’Ue, ma a tutt’oggi non sono regolamentate a livello unionale, una lacuna che pone diversi problemi.

Secondo le stime di Bruxelles, senza un preciso intervento le emissioni di CO2 dei veicoli pesanti aumenteranno da qui al 2030, a causa della crescita delle attività di trasporto. La proposta sui livelli  di prestazione in materia di emissioni di anidride carbonica dei nuovi veicoli pesanti contiene una misura integrativa unionale sul versante dell’offerta che si propone di rimuovere gli ostacoli di mercato e perseguire gli obiettivi principali: ridurre le emissioni di CO2 del settore dei veicoli pesanti, in linea con i requisiti della politica dell’Ue in materia di clima e dell’accordo di Parigi, riducendo allo stesso tempo, l’inquinamento dell’aria nei centri urbani; promuovere la riduzione dei costi di esercizio degli operatori dei trasporti, per la maggior parte Pmi, e più in generale dei costi di trasporto dei consumatori, in funzione delle ricadute delle economie di carburante; preservare la posizione di punta dei costruttori di veicoli pesanti e dei produttori di componenti dell’Ue in ambito tecnologico e dell’innovazione.

Roma: La Farmacia di Santa Maria della Scala

La Farmacia di Santa Maria della Scala, originariamente chiamata “spezieria” prende il nome dalla vicina chiesa e convento di Santa Maria della Scala: al secondo piano del convento si trovava infatti la farmacia/spezieria, creata inizialmente per uso interno ed esclusivo del convento stesso. Qui l’ordine religioso del convento, i Carmelitani Scalzi, coltivavano, producevano e vendevano le spezie e i medicamenti.

Alla fine del 1600 la farmacia fu aperta anche al pubblico e divenne così famosa che ad essa facevano riferimento personaggi importanti come principi, medici e addirittura pontefici, tanto da essere chiamata la “Farmacia dei Papi”. Oggi l’antica spezieria è un luogo storico che possiamo visitare grazie ad un’apertura speciale, mentre al piano terreno si trova una moderna farmacia.

Entrando dal piano strada, dall’ingresso della moderna farmacia, saliremo al piano superiore e attraverso un’anticamera potremo accedere all’antica stanza di vendita dei medicinali: varcando l’ingresso della spezieria entreremo in un mondo antico e lontano, fatto di pareti interamente coperte da vetrine che custodiscono medicamenti antichi, soffitti decorati, antichi arredi in legno e strumenti originali per pesare i medicinali. Tra i molteplici “medicamenti”, in un angolo della stanza, racchiusa in un grande contenitore in marmo, è ancora conservata la teriaca, antichissimo medicinale e panacea di tutti i mali, usato sin dai tempi dei romani: se saremo fortunati e ci sarà qualcuno che ci solleverà il pensante coperchio … potremo anche sentirne l’odore.
Usciti dalla sala di vendita, attraverseremo altre stanze usate dagli antichi speziali, come l’erbario e i laboratori che ancora ospitano le macchine originali per la fabbricazione delle pillole.

L’antica spezieria ha continuato a funzionare fino al 1978, distribuendo medicinali a prezzi modici ed oggi, dopo la visita, è ancora possibile acquistare alcuni prodotti, realizzati con antichissime ricette.

Vaccini: YouTube rimuove i video ‘No Vax

Questo genere di contenuti non potranno più essere monetizzati all’interno della piattaforma video. Ad annunciarlo è stata la stessa azienda citando una grande diffusione dei video no-vax nel corso dell’ultimo periodo, un elemento che ha portato ad una serie di problematiche relative proprio agli annunci pubblicitari. Come riporta BuzzFeed, infatti, alcuni annunci relativi ad aziende sanitarie venivano mostrati prima di video contro i vaccini senza che queste aziende potessero sapere a che contenuti venivano associati ai loro spot.

Così già nel corso delle ultime settimane alcune di queste aziende hanno rimosso completamente i propri annunci dalla piattaforma, decisione che ha poi spinto YouTube ad eliminare la monetizzazione di questa tipologia di video. “Abbiamo policy precise sui video che è possibile monetizzare con annunci pubblicitari e i filmati che promuovono i no-vax violano queste policy – ha spiegato YouTube -. Supportiamo queste regole fortemente e se troviamo un video che le viola prendiamo subito provvedimenti e rimuoviamo gli annunci pubblicitari”.

Europee, i cattolici non possono voltarsi dall’altra parte

Se le elezioni locali – regionali o comunali cambia poco – sono disciplinate prevalentemente da dinamiche e logiche riconducibili al singolo territorio, e’ indubbio che la prossima consultazione europea merita qualche attenzione in più. Soprattutto da parte dell’area culturale cattolico democratica e popolare che in questi ultimi mesi ha saputo dare vita ad un dibattito ricco e fecondo al suo interno. E non solo. Un dibattito che è frutto e conseguenza della sostanziale irrilevanza dei cattolici nella vita pubblica italiana in questi ultimi anni. Una assenza riconducibile, prevalentemente, al fallimento dei cosiddetti “partiti plurali” – nello specifico del Partito democratico di veltroniana memoria – da un lato e alla chiusura autoreferenziale del mondo cattolico italiano. Dilaniato al suo interno tra mille protagonismi personali e dalla volontà indomita di delegittimare chi ti è più vicino. In un clima del genere, che purtroppo prosegue tuttora forse in modo meno accentuato ed irresponsabile, era del tutto evidente che non poteva maturare alcuna vocazione seria alla politica e, soprattutto, nessuna possibilità di ridare fiato e voce ad una laica ma responsabile presenza politica dei cattolici democratici e popolari.

Ma adesso una nuova pagina si è aperta e si è aperta anche una nuova fase politica e storica. Ma il rinnovo del Parlamento europeo e’ dietro l’angolo. E nessuno, credo proprio nessuno, può rispondere a questa decisiva tornata elettorale con una semplice alzata di spalle.
Ora, a tutti è noto qual’e’ la geografia politica con cui si affronta questo voto. Siamo di fronte ad alcune direttrici di fondo. Da un lato il partito della sinistra italiana, un rinnovato Pds, a guida – molto probabilmente – Zingaretti. Affiancato da una lista radicale spacciata come fronte europeista e dal potenziale listone proposto dall’ex braccio destro di Montezemolo, Calenda. Fuorche’ il Pd/ Pds decida di nascondere il suo simbolo per motivi di convenienza elettorale del tutto comprensibili e allora tutto questo campo politico, alquanto composito e contraddittorio al suo interno, si riconoscerà nel “fronte repubblicano” proposto da Calenda. Il resto è testimonianza e furbizie elettorali. Vedremo.

Oltre ai 5 stelle, ci sarà la potente lista della Lega salviniana con il vento in poppa e in forte crescita politica ed elettorale; la presenza già annunciata di Berlusconi con la sua Forza Italia, Fratelli d’Italia e altre listarelle. Anche qui di sola testimonianza.
È evidente, credo a tutti, che in un contesto del genere l’area cattolica italiana continua ad essere politicamente orfana e priva di una vera rappresentanza politica. Fuorche’ si pensi che l’attuale Forza Italia e il suo leader sono gli eredi naturali del popolarismo sturziano di ispirazione cristiana o che l’ormai imminente Pd/Pds e’ l’interlocutore privilegiato delle istanze, delle sensibilità e delle proposte che arrivano dalla seppur composita e variegata area cattolica italiana. Per non parlare dei radicali, dell’alto borghese Calenda e via discorrendo.

Ecco perché, a partire dalle iniziative politiche, culturali e sociali che hanno attraversato l’intera area cattolica italiana in questi ultimi mesi, occorre lavorare e confrontarsi sino all’ultimo per organizzare una presenza elettorale – cioè una lista e non ancora un partito – che raccolga quella domanda di rappresentanza politica e che non sia, com’è ovvio e scontato, una sola presenza testimoniale e gregaria. Una lavoro che non può fermarsi di fronte ai personalismi e alla tentazione autoreferenziale che sta, purtroppo, caratterizzando ancora larga parte di quest’area culturale e sociale.

Non c’è alternativa a questo tentativo. Certo, le prossime consultazioni locali e nazionali ci vedranno presenti. Ma le europee sono adesso. E a questo appuntamento non si può e non si deve rispondere, lo ripeto, con una semplice alzata di spalle fingendo di impegnarsi per la formazione di coscienze, per il discernimento critico, per rafforzare il lievito cristiano nella società, per contribuire a ridare qualità alla futura classe dirigente e per alimentare cultura e coscienza civica. Tutti elementi importanti e decisivi per il futuro della nostra democrazia e anche per il futuro dei cattolici nella società italiana. Ma quello è il compito dell’Azione cattolica, dei movimenti ecclesiali e dei professionisti della testimonianza. La politica è un’altra cosa. Abita da un’altra parte e soprattutto ha altre regole. È bene rendersene conto prima che sia troppo tardi.

Raimondo Grassi: Roma, una città allo sbando

Raimondo Grassi, presidente del movimento civico Roma Sceglie Roma in una nota sostiene che: “Abbiamo una città ormai allo sbando, che vive di annunci e promesse, con l’azienda dei trasporti e quella dei rifiuti tecnicamente fallite e un’amministrazione che finge di non vedere o sentire i malumori dei romani che chiedono una sola cosa: una visione del futuro e un piano straordinario di rilancio della città”.

“Cantieri fermi, grandi opere ‘0’, metropolitane vecchie, chi più ne ha più ne metta. Gettare fango su Roma sara’ pure lo sport nazionale, ma noi siamo i primi a difendere la Capitale dagli attacchi di chi vuole solo denigrarla per spostare altrove interessi e possibilità che Roma avrebbe tutte le carte di giocarsi. Dall’altra parte – aggiunge Grassi – non possiamo più assistere a questo lassismo inconcludente, che relega sempre più la Capitale d’Italia ad un ruolo di sorella minore rispetto alle grandi metropoli europee”.

“Questa vicenda degli autobus israeliani tanto decantati dalla sindaca e’ l’ennesima brutta figura che fa il giro del mondo. A Roma serve un piano mobilita’ nuovo, che sfrutti il sistema tramviario presente, ampliandolo e integrandolo con altre ferrovie su strada che possono e debbono essere costruite. I progetti ci sono, basta solo l’umiltà di ascoltarli e la volontà politica di realizzarli. Roma Sceglie Roma li sta raccogliendo per mettere a punto un piano di opere possibili in tempi certi e celeri, perché Roma e’ una città malata che ha bisogno di cure immediate e non di sogni che poi si rivelano polpette avvelenate per i suoi cittadini. Questi progetti li presenteremo in un grande incontro del quale comunicheremo a breve data e dettagli”, conclude l’architetto Grassi.

Prepariamoci al boom economico

Il voto di maggio per il rinnovo del Parlamento europeo mette in ombra i tanti problemi che affliggono il nostro Paese, posticipando l’esame dei nodi politici che sempre più numerosi arrivano al pettine. Il comportamento del Governo e più in generale di tutti i partiti o movimenti, siano essi di maggioranza o di opposizione, sono da considerarsi irresponsabili. Ed è evidente che tali atteggiamenti contribuiscono ad aggravare la già precaria condizione economica in cui versa il nostro Paese. Oltretutto, la mancanza di qualsiasi disegno di riforme strutturali, provoca un arretramento rispetto alla modernizzazione che altri paesi europei hanno invece fatto e diventando molto competitivi e attrattivi sul versante degli investimenti nei loro territori.

Ma, purtroppo, da noi non accade nulla di tutto ciò perché se da un lato non c’è alcuna idea di modernizzazione, dall’altro vengono fatte scelte che producono l’allontanamento da una politica innovativa capace di rilanciare sviluppo economico e sociale. Infatti, l’Italia rimane osservato speciale sotto stretto monitoraggio della Ue per gli squilibri della sua economia. In questo modo vengono mandate in soffitta le tesi del Presidente Giuseppe Conte, che prevede un 2019 bellissimo e del vice Presidente Luigi Di Maio che, addirittura, prevede un boom economico come quello degli anni ’60.

A fronte di questa fotografia rappresentativa della realtà, non c’è proprio nulla di cui rallegrarsi. Anzi, la preoccupazione che la situazione possa peggiorare è reale, specialmente per le scelte fatte dal Governo che non producono sviluppo per mancanza di adeguati investimenti e per la presenza di forme assistenziali e previdenziali che non contribuiscono alla crescita ma solo all’aumento del debito pubblico.

Però, nonostante la situazione sia così visibilmente preoccupante, si continua a far finta di niente, a gettare fumo negli occhi dei cittadini assicurandogli che non ci sarà nessuna manovra correttiva ai conti dello Stato perché tutto funziona a meraviglia, che i provvedimenti della finanziaria saranno mirabolanti e che pure consentiranno crescita e sviluppo. E nonostante tutti gli osservatori economici Nazionali, Europei e Internazionali mettano in guardia sulla reale possibilità di cadere nel baratro, si continua imperterriti a dire che non è vero ciò che dicono, che non sanno valutare, che non ne azzeccano mai una di giusta.

Eh, sì, perché per loro ciò che viene prima di tutto sono le elezioni europee, strumento utile a dimostrare chi prenderà più voti pensando che poi si possa risolvere l’irrisolvibile. Purtroppo non è così perché l’economia non aspetta gli esiti elettorali ma vuole fatti concreti, tangibili. Diversamente, non ci rimane che attenderci il peggio.

Sergio Chiamparino lancia il referendum per la TAV

Il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino ha inviato una lettera al presidente del Consiglio regionale, Nino Boeti, chiedendo di poter fare martedì in aula una comunicazione sulla Tav.

Questo il testo

“Martedì in Consiglio regionale porterò la richiesta di una consultazione popolare, perché i cittadini possano liberamente pronunciarsi”, ha spiegato il governatore.”Salvini continua a mentire e a prendere in giro i piemontesi e gli italiani. Se vuole essere coerente sblocchi i bandi, tutto il resto sono balle”, ha detto Chiamparino: “Salvini dice che non c’è blocco dell’opera, quando il governo ha chiesto fin dall’autunno a Telt di non avviare i bandi, mettendo a rischio concreto i contributi europei e la realizzazione della Tav. Dice che i cantieri sono già fermi, mentre sul versante francese si continua a scavare il tunnel di base, giunto ormai a oltre 7 chilometri, e si fermerà presto proprio per il blocco dei nuovi bandi”.

La tecnologia ha bisogno dell’alleanza tra etica politica e diritto

Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Andrea Monda 

Non ha sessant’anni Brad Smith e sembra anche molto più giovane mentre sorride luminosamente osservando nei solenni saloni della Biblioteca Vaticana i manoscritti di Raimondo Lullo e di Galileo e soprattutto la Bibbia di Gutenberg. Il presidente di Microsoft ha appena avuto un colloquio privato con il Santo Padre su un argomento, l’importanza di un approccio etico alla tecnologia che è arrivata alla creazione di vere e proprie intelligenze artificiali, che oggi si rivela una frontiera cruciale per il destino dell’uomo. C’è bisogno di una «voce umana» che si alzi oggi, ha detto Brad Smith al Papa, «una voce umana come quella, alta e autorevole, della Chiesa» e il Papa ha aggiunto una voce che «recuperi parole umane che oggi rischiano di cadere dal dizionario come tenerezza, carezza, fraternità». Promotore dell’incontro tra il Papa e il presidente del più grande colosso nel campo della tecnologia è la Pontificia Accademia della Vita che, come ha spiegato il presidente monsignor Vincenzo Paglia, ha indetto un premio in collaborazione con Microsoft per la migliore dissertazione dottorale sul tema delle intelligenze artificiali a servizio della vita umana. In esclusiva per «L’Osservatore Romano» Brad Smith ha rilasciato un’intervista che ha preso lo spunto dal testo del Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni in cui il Papa afferma che «L’uso del social web è complementare all’incontro in carne e ossa, che vive attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo, il respiro dell’altro. Se la rete è usata come prolungamento o come attesa di tale incontro, allora non tradisce se stessa e rimane una risorsa per la comunione», da qui la sfida del passare dalle community alla comunità, una comunità oggi che soffre di una crisi innanzitutto di sfiducia.
La tecnologia è uno tra i principali attori del cambiamento che l’umanità sta attraversando. In questo momento storico, in cui c’è una grande crisi di fiducia globale (e la politica ne è solo l’esempio più evidente), da un lato la tecnologia è vista come qualcosa da temere, dall’altro viene percepita come ciò che ci rende umani, come qualcosa che può distinguere gli uomini da ogni altra specie vivente. Secondo lei, come dobbiamo guardare alla tecnologia? Come possiamo infondere sicurezza e fiducia nell’impressionante potenziale del progresso tecnologico?
La scienza e la tecnologia sono ingredienti essenziali della vita moderna. Trascendono i confini locali e toccano la vita di quasi tutti nel nostro pianeta. L’evoluzione dell’umanità può essere vista anche in termini di evoluzione tecnologica. Come il motore a vapore che ha dato inizio alla prima rivoluzione industriale, anche la nuova tecnologia, qual è l’intelligenza artificiale, sta cambiando il modo in cui lavoriamo e viviamo. E come le ferrovie alimentate da quei motori a vapore, anche queste nuove invenzioni dovranno essere gestite e infine regolamentate dalle società. Ogni nuova tecnologia dal vasto impatto sociale richiederà nuove leggi. La tecnologia è uno strumento che ha avuto un impatto profondo sulle persone, in modo sia positivo sia negativo. Anche una scopa può essere utilizzata per spazzare il pavimento o per darla in testa a qualcuno. Più lo strumento è potente, più è grande il beneficio o il danno che può recare. Le tecnologie delle comunicazioni, dal telefono al software per la videoscrittura a internet, hanno permesso alle persone di collegarsi tra di loro, informarsi sul mondo ed esprimersi in modi nuovi. Uno degli strumenti onnipresenti è il nostro Microsoft Word. Molte volte Word viene usato da scrittori impegnati per promuovere le aspirazioni più alte del mondo. Ma è indubbio che ci sono anche momenti più bui, quando attori dalla mente meno elevata lo usano per scritti molto meno nobili. Come di fatto Einstein aveva avvertito il mondo, nelle mani sbagliate ogni strumento può diventare un’arma se la forza organizzatrice dell’umanità non riesce a stare al passo con la tecnologia stessa. Per assicurare che le persone credano e abbiano fiducia nella tecnologia, dobbiamo pensare oltre la tecnologia stessa e affrontare la necessità di principi etici più forti, l’evoluzione delle leggi, l’importanza di formare le persone con le nuove competenze, e perfino le riforme del mercato del lavoro. Se vogliamo trarre il massimo dalla potente e promettente tecnologia dell’intelligenza artificiale, tutte queste cose devono confluire. L’intelligenza artificiale avrà un impatto su ogni ambito della società e non verrà creata e utilizzata solo dal settore tecnologico. Perciò il mondo deve incontrarsi per affrontare tali questioni con un senso di responsabilità comune.
Parlando della trasformazione prodotta dal cloud lei ha parlato di questa “responsabilità comune” e di fiducia e inclusività. Per rendere tale trasformazione “non-inumana”, occorre sia che coesistano questi tre requisiti sia che si sviluppi un’alleanza tra istituzioni, settore privato e società civile. Come possiamo costruire questa alleanza? Chi sta guidando questa trasformazione insieme all’immensa quantità di dati che vengono prodotti? In che modo le aziende private dovrebbero relazionarsi con la politica? Quali sono i reciproci limiti che il mondo degli affari e la politica dovranno rispettare? Qual è l’ambito d’influenza e di partecipazione della società civile?
Poiché la tecnologia si evolve in maniera così rapida, quelli tra noi che creano l’intelligenza artificiale, il cloud e altre innovazioni forse ne sanno più della maggior parte delle persone su come queste tecnologie funzionano. Ma ciò non significa necessariamente che sappiamo come affrontare al meglio il ruolo che dovrebbero svolgere nella società. Per questo è necessario che le persone del governo, del mondo accademico, degli affari, della società civile e le altre parti interessate si uniscano per aiutare a modellare questo futuro. E abbiamo sempre più bisogno di farlo non solo come singola comunità o paese, bensì a livello globale. Ognuno di noi ha la responsabilità di partecipare, e anche un ruolo importante da svolgere. Per esempio, lo sviluppo di servizi di intelligenza artificiale più efficaci esige l’uso di dati, spesso il maggior numero di dati rilevanti possibile. E tuttavia, l’accesso e l’uso dei dati coinvolge anche aspetti legislativi, che spaziano dal garantire la tutela della privacy individuale e la salvaguardia di informazioni sensibili e protette al rispondere a una serie di nuove questioni relative al diritto della concorrenza. Trovare un equilibrio attento e produttivo tra tali obiettivi esigerà dibattiti e cooperazione tra governi, rappresentanti dell’industria, ricercatori accademici e società civile. Da un lato, riteniamo che i governi dovrebbero aiutare a velocizzare i progressi nell’ambito dell’intelligenza artificiale, promuovendo approcci comuni nel rendere i dati largamente disponibili per l’apprendimento automatico. Una grande quantità di informazioni utili è contenuta nei dataset pubblici, dati che appartengono allo stesso pubblico. Dall’altro, sarà importante che i governi sviluppino e promuovano approcci efficaci alla protezione della privacy, che tengano conto del tipo di dati e del contesto in cui vengono usati. Per aiutare a ridurre il rischio di intrusioni nella privacy, i governi dovrebbero sostenere e promuovere lo sviluppo di tecniche che consentano ai sistemi di utilizzare dati personali senza accedere o conoscere le identità degli individui. In Microsoft riteniamo che promuovere il dialogo e la condivisione delle migliori pratiche tra governi, imprenditoria, rappresentanti di organizzazioni non governative e società civile sarà essenziale per massimizzare il potenziale che ha la tecnologia di produrre benefici su ampia base. Lavorando insieme, possiamo individuare le questioni che hanno evidenti conseguenze sociali o economiche e rendere prioritario lo sviluppo di soluzioni che proteggano le persone senza limitare inutilmente l’innovazione futura.
Queste trasformazioni devono tendere a realizzare un mondo più coeso, garantire stabilità democratica e una partecipazione sempre più “dal basso”, o possono invece creare le condizioni per una maggiore lacerazione sociale?
In Microsoft riconosciamo che abbiamo l’obbligo morale non solo di continuare a innovare, ma anche di costruire tecnologia per risolvere grandi problemi e essere una forza di bene nel mondo. Ci rendiamo conto che più un’azienda è grande, più è grande la sua responsabilità di pensare al mondo, ai suoi abitanti e alle loro opportunità a lungo termine. Affrontiamo questo obiettivo concentrandoci su strategie e interessi multipli; facendo leva sulle nostre attività centrali per un impatto sociale positivo; migliorando la produttività personale; assicurandoci che la nostra attività sia socialmente responsabile investendo in sostenibilità, accessibilità, privacy e sicurezza; e attraverso la filantropia, con oltre un miliardo di dollari di contributi per molte cause differenti, tra cui l’insegnamento di competenze digitali come la programmazione e le scienze informatiche. Qui in Italia, in collaborazione con la Ong locale Fondazione Mondo Digitale potremo formare 250.000 studenti delle superiori, specialmente ragazzi che vivono in aree svantaggiate, e far loro scoprire il potere dell’intelligenza artificiale. Una tecnologia in rapida evoluzione con un impatto su tutti i settori significa che i lavori del futuro richiederanno maggiori competenze digitali, dalla conoscenza informatica di base all’informatica avanzata. Qui in Microsoft riteniamo di avere la responsabilità di aiutare a fornire ai nostri giovani un accesso equo a corsi di informatica rigorosi e coinvolgenti. Se non si affronta la questione dell’equo accesso, intere popolazioni verranno escluse dalla piena partecipazione a questo nuovo mondo, creando così quella “lacerazione sociale” alla quale lei ha accennato prima. In Italia abbiamo in corso un progetto promettente, “Ambizione Italia”, per accelerare la trasformazione digitale, usare l’intelligenza digitale e assicurare che nessuno venga lasciato indietro. Al centro c’è un programma completo di formazione per fornire competenze, migliorarle e riqualificarle. Il programma — in collaborazione con il Gruppo Adecco, Fondazione Mondo Digitale e altri partner — ha l’obiettivo di raggiungere oltre due milioni di giovani, studenti, neet e professionisti in tutto il paese entro il 2020, formando più di 500.000 persone e fornendo attestati a 50.000 professionisti.
L’intelligenza artificiale è sempre legata alla responsabilità, per riprendere le sue parole, e lei ha parlato spesso della necessità di regole per fornire a ogni attore tecnologico un quadro etico. Come possiamo orientare l’intelligenza artificiale verso il bene comune?
Dal momento che i computer acquistano la capacità di apprendere dall’esperienza e prendono decisioni, che tipo di esperienza vogliamo che facciano e quali decisioni riteniamo che possano prendere? La capacità di un computer di vedere e riconoscere volti, di riconoscere i volti delle persone da una foto o attraverso una telecamera — il riconoscimento facciale — ha messo il tema in grande rilievo. Questa tecnologia può catalogare le tue foto, aiutare a riunire famiglie, oppure essere potenzialmente usata in modo improprio e inopportuno. Il riconoscimento facciale solleva questioni che vanno dritte al centro della tutela dei diritti umani fondamentali, come la privacy e la libertà di espressione. Sono questioni che fanno aumentare la responsabilità delle aziende tecnologiche che creano tali prodotti. Secondo noi, esigono anche una regolamentazione governativa ponderata e lo sviluppo di norme circa l’uso accettabile. In una repubblica democratica non c’è altra via se non l’attività decisionale dei nostri rappresentanti eletti riguardo alle questioni che esigono che si trovi un equilibrio tra la sicurezza pubblica e l’essenza delle nostre libertà democratiche. Il riconoscimento facciale esigerà che sia il settore pubblico sia quello privato si facciano avanti e agiscano. A livello globale è una questione che sta appena iniziando. Se non agiamo, rischiamo di svegliarci tra cinque anni e di scoprire che i servizi di riconoscimento facciale si sono diffusi in modi che esasperano le problematiche sociali. Allora, queste sfide diventeranno molto più difficili da controllare. In particolare, non riteniamo che si faccia il bene della società con una corsa commerciale verso il basso, con le compagnie tecnologiche costrette a scegliere tra responsabilità sociale e successo di mercato. Pensiamo che l’unico modo per proteggersi da questa corsa verso il basso sia di costruire una piattaforma di responsabilità che sorregga una sana competizione di mercato. E perché la piattaforma sia solida è necessario che noi assicuriamo che questa tecnologia, e le organizzazioni che la sviluppano e la utilizzano, siano governate dallo stato di diritto. Imprenditori, legislatori, ricercatori, accademici e rappresentanti di gruppi non governativi devono impegnarsi insieme per assicurare che le tecnologie basate sull’intelligenza artificiale siano disegnate e sviluppate in un modo che conquisti la fiducia delle persone che le usano e degli individui i cui dati vengono raccolti.
Ritorniamo al messaggio del Papa per la Giornata delle Comunicazioni Sociali: l’uso delle reti sociali è complementare agli incontri faccia a faccia. Se la rete è percepita come un’espansione delle opportunità di incontrarsi con altre persone e condividere esperienze, chiaramente rappresenta una grande risorsa per tutti. Purtroppo, però, rete sociale non significa automaticamente coesione e inclusività. Talvolta rappresenta la base per discussioni violente e perfino lacerazione sociale: quale può essere l’antidoto a tali pericoli?
Come Microsoft abbiamo la responsabilità di creare servizi online e comunità in cui le persone si sentano sicure: lo scorso 5 febbraio, Giornata della sicurezza in rete, ovvero la giornata d’azione internazionale per promuovere un uso più sicuro e responsabile della tecnologia, specialmente tra i bambini e i giovani, abbiamo sviluppato un Digital Civility Index (indice della civiltà digitale) per dimostrare che i rischi in rete hanno conseguenze nel mondo reale. Siamo profondamente impegnati per quanto riguarda la necessità di approfondire la formazione di adolescenti, giovani adulti, genitori, educatori e legislatori in merito alle conseguenze nel mondo reale delle interazioni negative in rete, che possono includere la perdita di fiducia negli altri, un maggiore stress, la privazione di sonno e perfino pensieri suicidi. Speriamo che quei risultati possano servire come prova documentale per una spinta globale verso la “civiltà digitale”. Anche la Digital Civility Challenge è un’opportunità di sensibilizzazione, per incoraggiare gli utenti a essere responsabili del loro comportamento online e a servire da modelli e/o paladini per gli altri. L’obiettivo del Challenge è di sostenere l’impegno a lungo termine di Microsoft a promuovere interazioni sicure e inclusive in rete e a sensibilizzare circa la necessità di “educazione digitale”.

L’Istat ci dice che siamo più soddisfatti

Nei primi mesi del 2018, la soddisfazione dei cittadini per le condizioni di vita riprende a crescere leggermente dopo la stasi registrata nel 2017.

La stima della quota di persone di 14 anni e più che esprimono una elevata soddisfazione per la propria vita nel complesso passa dal 39,6% del 2017 al 41,4% dell’anno successivo.

In aumento anche la quota di persone soddisfatte della propria situazione economica, che raggiunge il 53,0% dal 50,5% del 2017.

La soddisfazione per la dimensione lavorativa è stabile: il 76,7% degli occupati si dichiara molto o abbastanza soddisfatto, sostanzialmente come nel 2017. Sono più soddisfatte del lavoro le donne (77,6%) rispetto agli uomini (76,1%).

Nel 2018, aumenta la quota di famiglie che giudicano la propria situazione economica stabile (dal 59,5% del 2017 al 62,5%) o migliorata (dal 7,4% all’ 8,1%).

Anche il giudizio sull’adeguatezza delle risorse economiche familiari mostra segnali di miglioramento: la quota di famiglie che le valuta adeguate sale dal 57,3% del 2017 al 59,0% del 2018.

Le relazioni familiari confermano i più alti livelli di apprezzamento: nel 2018 il 90,1% delle persone si ritiene soddisfatto. Elevata e in leggero aumento la quota di individui molto o abbastanza soddisfatti per le relazioni amicali (dall’81,7% del 2017 all’ 82,5%).

È stabile e su livelli alti anche la soddisfazione per il proprio stato di salute (80,7% delle persone di 14 anni e più) e per il tempo libero (66,2%).