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Senza mascherina a Salerno: prime multe da 1000 euro

Prime multe da mille euro per mancata mascherina nei luoghi chiusi a Salerno. Questa mattina, il sindaco Vincenzo Napoli, accompagnato dagli agenti della Polizia municipale, ha effettuato alcuni controlli negli esercizi commerciali della zona orientale di Salerno. Le prime tre multe da mille euro per mancato utilizzo della mascherina sono state elevate in tre esercizi commerciali. Non si esclude la chiusura degli stessi locali.

Il sindaco Vincenzo Napoli, accompagnato da pattuglie della polizia municipale di Salerno, ha effettuato svariati sopralluoghi per constatare se gestori e personale degli esercizi commerciali rispettassero le disposizioni anti Covid. “Questa ultima ordinanza del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca è giusta e va applicata senza sconti a nessuno. Non solo i gestori degli esercizi commerciali ma anche i clienti degli stessi, devono rispettare le medesime norme. Dobbiamo pensare che questa deve essere una battaglia di tutti per sconfiggere questo virus. Ognuno di noi deve fare la propria parte. Gli atti repressivi sono la soluzione estrema che verranno comunque applicati se la situazione non cambia. Il Covid non è stato sconfitto”.

Europa, il populismo e i cattolici democratici.

Si apre una nuova pagina per l’Europa ma, probabilmente, si può aprire anche una nuova fase per l’Italia. Per la sua vita politica e per gli stessi equilibri che potrebbero decollare. Certo, evitando pur sempre le ridicole santificazioni o le grottesche esaltazioni di alcuni organi di informazione specializzati nel gregariato e nella faziosità a buon mercato. Comunque sia, piaccia o non piaccia, si tratta di una svolta il compromesso raggiunto in sede europea in questi giorni. E come tale va giudicata e analizzata. 

Ora, su almeno tre fronti l’intesa siglata merita un supplemento di riflessione. 

Innanzitutto l’Europa ha ritrovato un sussulto di dignità. E, soprattutto, ha riscoperto le vere ragioni politiche della sua unità. Da anni, ormai, si andava predicando che il vecchio continente poteva continuare ad avere un vero ruolo nello scacchiere geopolitico mondiale ad una sola condizione. E cioè, se riusciva sino in fondo a ritrovare e a rideclinare le ragioni politiche e culturali originarie. Ovvero un’entità legata non solo da interessi economici e commerciali ma anche, e soprattutto, da una grande visione politica ed ideale basata sulla solidarietà, sulla sussidiarietà e sulla cooperazione costruttiva. Un progetto politico, inaugurato dai grandi statisti democratico cristiani nell’immediato secondo dopoguerra che, seppur tra alterne vicende, ha ripreso lentamente a scorrere proprio dopo questa drammatica emergenza sanitaria che ha colpito trasversalmente il vecchio continente non risparmiando quasi nessuno. Ma il salto di qualità adesso lo abbiamo potuto sperimentare e non solo per la franchezza e la trasparenza dello scontro e dell’incontro tra i vari governi europei ma anche per la concreta volontà di voltare pagina, malgrado alcune resistenze corporative e nazionalistiche. Con un ruolo politico decisivo giocato dalla Francia e dalla Germania ma con il contributo determinante del Governo italiano senza dimenticare il ruolo giocato dai leader italiani in Europa, a cominciare dal Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli. 

In secondo luogo questo accordo politico e finanziario può mettere in discussione, finalmente, i caposaldi non solo del sovranismo ma anche e soprattutto del populismo. Due degenerazioni della politica italiana che, però, in questi ultimi anni hanno mietuto consenso massicci e consistenti con i suoi due partiti di riferimento: la Lega salviniana e i 5 stelle di Grillo e Casaleggio. Due esperimenti politici che, al di là degli opposti e scontati annunci propagandistici, escono decisamente ridimensionati. Se da un lato il sovranismo ha, d’ora in poi, meno cartucce da introdurre nella dialettica politica per continuare a demolire l’Europa e tutto ciò che la circonda e la caratterizza nel panorama nazionale ed internazionale, dall’altro è lo stesso populismo ad entrare in difficoltà perchè nel momento in cui torna la politica con i suoi strumenti e le sue modalità, i dogmi del populismo demagogico e anti politico vanno inesorabilmente in crisi. Al di là di ogni giustificazione postuma o tardiva. E la crisi dei due populismi che hanno dominato, e ancora condizionano, il cammino della democrazia italiana in questi ultimi anni può aprire nuovi orizzonti per le forze democratiche, riformiste e costituzionali del nostro paese. 

In ultimo la riscoperta delle ragioni politiche e culturali originarie dell’Unione Europea hanno evidenziato, ancora una volta, la straordinaria attualità di quelle culture che hanno garantito e accompagnato il decollo politico dell’Europa. A cominciare dalla tradizione cattolico democratico e popolare. Del resto, sono stati 3 statisti democratici cristiani europei che individuarono, sin da subito, la valenza e la necessità di costruire attorno all’Europa un disegno politico di ampio respiro e di reale e non fittizia collaborazione tra i diversi popoli interrompendo una spirale di divisioni, di guerre, di risorgenti nazionalismi e di corporativismi economici e sociali che potevano nuovamente mettere in discussione l’impianto di una Europa capace di dar vita ad una rinnovata stagione di democrazia, di libertà e di giustizia sociale. Una tradizione, quella cattolico democratico e popolare, che continua quindi ad avere una forte attualità e che proprio con questo accordo ritrova le ragioni per avere una nuova cittadinanza culturale e politica a livello nazionale e a livello europeo. 

Ecco, quindi, tre aspetti concreti e tangibili che possono modificare in profondità l’evoluzione della politica italiana dopo l’intesa europea. E proprio l’accordo maturato nelle scorse ore, sotto questo versante, non può che essere un ottimo biglietto d’ingresso. 

Ogni lezione era una rivelazione

Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Irene Baldriga

Maurizio Calvesi, l’ultimo grande maestro della storia dell’arte italiana del Novecento, ci ha lasciato il 24 luglio all’età di 92 anni. La notizia si è diffusa nel giro di poche ore, giungendo in ogni parte d’Italia e del mondo. Calvesi era considerato un assoluto pilastro della “scuola romana”, la grande fucina di studi e di ricerche fondata agli inizi del secolo scorso da Adolfo Venturi e poi sviluppatasi in una successione di figure prestigiosissime della cultura italiana, da Lionello Venturi, a Cesare Brandi, ad Argan. Studioso raffinatissimo e poliedrico, critico militante, è stato un volitivo animatore dello storico Istituto di storia dell’arte dell’università La Sapienza di Roma, che oggi — nella sua più moderna articolazione (il Dipartimento di storia, antropologia, religioni, arte e spettacolo) — ne onora, commosso, la memoria. Una schiera foltissima di storici dell’arte ne condivide in queste ore il ricordo; un ventaglio di generazioni che Calvesi ha ispirato e formato, letteralmente, attraverso il suo sguardo rigoroso e l’applicazione di un metodo filologico che univa con assoluto equilibrio l’espressione formale alla lettura dei documenti diretti e indiretti, analizzando l’opera d’arte come prodotto di complessi intrecci storici e culturali, che egli pazientemente arrivava a scomporre e a restituire incrociando fonti e modelli di impressionante varietà e pertinenza.

Nella parola “contesto”, che gli allievi di quella scuola di studi considerano come autentica bussola della storia dell’arte, si racchiude il valore più alto del poderoso sforzo interpretativo operato e trasmesso dal professor Calvesi. Leggere il contesto significa allargare la prospettiva della lettura di un’opera d’arte, considerarne le derivazioni iconografiche, la committenza, i modelli letterari, i significati nascosti, le ragioni palesi e quelle recondite, gli effetti diretti e indiretti, le possibili connessioni sociali, economiche e religiose, la funzione dei manufatti… e potremmo proseguire per molte righe ancora.

Ai giovani studenti che affollavano l’aula Venturi, dove ancora oggi si svolgono le principali iniziative e le attività didattiche della sezione di storia dell’arte del Dipartimento, le lezioni di Calvesi apparivano quasi epifanie, momenti insostituibili di rivelazione, in cui il grande studioso illustrava con precisione le sue riflessioni, in una quantità di rimandi, analogie, sollecitazioni e percorsi di ulteriore sviluppo. Nella penombra delle sue lezioni serali (la proiezione delle diapositive richiedeva l’oscuramento della sala), il professore si immergeva tra appunti e immagini, sciorinando ipotesi, deduzioni, principi di metodo.

I testi proposti nella sua bibliografia d’esame erano e restano autentici monumenti della storia dell’arte: il saggio giovanile sulla Melanconia di Dürer, i fondamentali studi su Caravaggio, le articolate ricerche sulla Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna (un romanzo allegorico illustrato, pubblicato a Venezia nel 1499), fino alle appassionate ricerche rivolte alla contemporaneità, al Futurismo, a de Chirico, a Burri, a Duchamp, alla Pop Art. Perché da vero grande studioso, che nella sua lunga esperienza professionale aveva conosciuto anche il non facile mestiere dell’amministrazione dei beni culturali, Calvesi sapeva maneggiare una quantità di temi e di questioni, tra passato e presente, con uno sguardo attento anche ai problemi della tutela e della conservazione, in una declinazione politica della storia dell’arte che aveva d’altronde animato l’azione dei suoi illustri maestri.

Tra gli ambiti di ricerca che maggiormente hanno segnato la schiera dei suoi allievi, risulta decisivo quello caravaggesco. Calvesi si era laureato con Lionello Venturi discutendo una tesi sul pittore lombardo Simone Peterzano, una ricerca importante che lo condusse progressivamente ad approfondire l’opera del Merisi soprattutto alla luce delle connessioni con l’ambiente milanese borromaico e degli oratoriani.

Rileggendo oggi i suoi studi più precoci, come l’articolo del 1957 dedicato proprio a Peterzano “maestro di Caravaggio” (e salta all’occhio come in quel numero del «Bollettino d’Arte» il contributo di Calvesi sia seguito da un articolo dell’allora solerte e non abbastanza ricordata direttrice della Galleria Borghese Paola della Pergola), affiora l’approccio sistematico delle sue riflessioni: una sequenza di logiche conclusioni che si dipana, con ammirevole chiarezza, attraverso domande esplicite, elenchi di possibili soluzioni, ipotesi e conclusioni.

Pur dotato di una penna generosa e piacevole alla lettura, amava la prosa serrata: soprattutto nella rappresentazione delle sue grandi costruzioni interpretative (macchine esegetiche articolatissime nutrite di citazioni di fonti antiche e moderne, scritte e visuali), Calvesi prediligeva una stesura asciutta, capace di dimostrare senza divagazioni la purezza del suo pensiero e l’inoppugnabilità delle sue argomentazioni. Uno stile di sobrietà, un’inclinazione alla “sprezzatura”, che caratterizzava l’uomo come lo studioso. L’evidenza dei fatti doveva prevalere su ogni retorica, su ogni eccesso descrittivo, sul barocchismo letterario che aveva caratterizzato una parte della storia dell’arte del passato e che ora, attraverso la forza cristallina di un metodo analitico orientato al contesto, era opportuno smascherare. Nella sua introduzione alle Realtà del Caravaggio (Einaudi, 1990), Calvesi aggiunge una rara e davvero commovente nota autobiografica. A proposito delle sue appassionate incursioni presso archivi e biblioteche milanesi risalenti al tempo della collaborazione con il «Corriere della sera» e per le quali si sofferma a ringraziare il personale di sala «per le interminabili richieste di codici», annota: «Sbarcando di prima mattina dal vagone letto, rubavo qualche ora al giornale rifugiandomi nell’Archivio di Stato dell’Ambrosiana, ove mi aveva indirizzato l’idea che i Borromeo fossero stati il modello della fede lombarda del Caravaggio… Tra le lettere a Federico Borromeo, solo in una (ma era sufficiente) trovai il nome del Caravaggio; moltissime altre sono servite a tracciare un contesto che mi sembrava dimostrativo». Emerge il quadro solitario di uno studioso appassionato, un segugio della verità storica, convinto di una intuizione per la quale sa di dover raccogliere indizi incontrovertibili. Calvesi ha praticato (ed ha insegnato, cosa niente affatto secondaria) la grande forza di una storia dell’arte orgogliosa di una scientificità di metodo e di pensiero, selezionando con cura i terreni da scandagliare per portare alla luce evidenze che i secoli hanno oscurato.

Indossare l’abito dell’investigatore, negli anni in cui il professore sceglieva quella strada di faticoso lavoro di ricerca, implicava un certo coraggio. A tratti il professore si apre a qualche considerazione sulla necessità di superare luoghi comuni e presunte certezze ormai consolidati nella lettura di certi capolavori. Nell’argomentare la sua interpretazione delle iconografie caravaggesche in chiave cristologica, si sofferma a un certo punto sulle simbologie che egli cerca di individuare e di tradurre in termini teologici e compositivi, per esempio a proposito dei dipinti della Cappella Contarelli in San Luigi de’ Francesi («Il senso sarebbe calzante — Gesù immolatosi per amore dell’umanità, Gesù come Amore — e ambienterebbe ancor meglio l’intera produzione caravaggesca, giovanile o no, chiara o tenebrosa, nel tema dell’Amore e della Redenzione»). Spiega Calvesi che la possibile “delusione” suscitata in alcuni lettori dalla rivelazione di un Caravaggio non più maledetto, bensì attento interprete dei dettami della Controriforma, «non tocca Caravaggio, tocca la nostra pretesa di attualizzare in letture deformanti, che siano in chiave di realismo tout court o di anelito rivoluzionario contro i sistemi, una figura storica dai confini ben marcati e precisi, che solo quel disprezzato tipo di indagine dal nome un po’ goffo di iconologia, in fondamentale sussidio alla lettura stilistica, ci può restituire. Restituire per sempre alla discussione, ma ad una discussione meno infondata».

Si coglie una nota di dispiaciuta amarezza in quel richiamo autoironico all’iconologia, l’approccio che con eleganza il professore aveva scelto di abbracciare pur controcorrente, ma è difficile non rilevare il senso di responsabilità e la determinazione assunti dallo stesso Calvesi nel voler affermare l’urgenza di una nuova storia dell’arte, che adottasse l’apertura metodologica e la discussione come pratiche comuni indirizzate alla comprensione dei processi storico-culturali.

La perdita di un grande maestro addolora i colleghi, gli allievi, gli amici, i compagni di tante esperienze. È di grande conforto, tuttavia, ricordare che il lascito davvero importante del lavoro di una intera esistenza resti vivissimo nell’esercizio di una disciplina. La storia dell’arte italiana ha molto beneficiato dell’impegno e della passione di Maurizio Calvesi: ne sono testimonianza evidente la tenuta delle “realtà” che ha portato allo sguardo del tempo presente, restituendo eloquenza a capolavori di cui si era perduto ogni legame con il contesto di origine, ma ancor di più nel lavoro appassionato dei suoi allievi che continuano a popolare archivi, musei e biblioteche, alla ricerca costante di nuove verità da svelare.

Coronavirus, Mattarella agli italiani all’estero: “Rilanciare la fiducia nel futuro”

«Rivolgo un pensiero, pieno di affetto, a tutti gli italiani residenti all’estero.

So con quanta partecipazione avete seguito le sofferenze vissute, nel nostro Paese, per il coronavirus. Lo avete fatto da lontano, per la distanza fisica che ci separa; eppure del tutto vicini nella coscienza che ci unisce.

Una conferma, se ve ne fosse stato bisogno, del sentimento intenso che raccoglie le comunità italiane e di origine italiana diffuse nel mondo. Un sentimento di unità e di solidarietà per il quale vi esprimo riconoscenza.

E’ stata una prova che ha posto in evidenza valori di civismo e di dedizione alle persone in difficoltà. Valori che rappresentano base importante della nostra società, e alimentano la vita delle nostre istituzioni democratiche.

Nei tanti borghi e città d’Italia questa stagione è stata accompagnata da lutti e patimenti, cui si è aggiunto il dolore di non poter celebrare i funerali, dei defunti: emergenza ora, fortunatamente, superata.

Adesso l’impegno è rivolto alla ricostruzione di un tessuto, capace di affrontare i rischi che si manifestano e di rilanciare la fiducia nel futuro.

Il virus ha superato frontiere e distanze continentali. Ha messo in discussione percorsi e modi di vita consolidati.

Questi mesi di pandemia, per molti dei connazionali all’estero, hanno aggiunto alla preoccupazione per la salute il disagio e il rammarico di non poter raggiungere i propri cari in Italia, anche a seguito delle restrizioni nei collegamenti aerei.

La lontananza pesa, sulle nostre comunità all’estero e tutte le istituzioni della Repubblica sono impegnate ad alleviare queste difficoltà; per la sua parte la rete consolare e delle ambasciate è volta a rafforzare l’attenzione e ad ascoltare e corrispondere alle loro esigenze.

La collaborazione e il coordinamento, della comunità internazionale nel contrastare, il virus – un avversario comune e ancora largamente sconosciuto – sta riconducendo, gradualmente, alla normalità anche dei collegamenti e alle conseguenti aperture.

Del resto, soltanto la conoscenza condivisa e una efficace azione corale a difesa della salute da parte di tutti i Paesi può permettere di sconfiggere la malattia.

Prima della pausa – prodotta dal mese di agosto – desidero farvi giungere il sentimento, più forte, di vicinanza, della Repubblica, a tutti voi».

(trasmesso il 25 luglio 2020 dal programma “L’Italia con Voi” di Rai Italia)

Credito e liquidità per famiglie e imprese: 874.828 le richieste al Fondo di Garanzia

Si confermano su volumi elevati, quasi 2,7 milioni per un valore di circa 292 miliardi di euro, le domande di adesione alle moratorie sui prestiti e superano quota 874.000 le richieste di garanzia per i nuovi finanziamenti bancari per le micro, piccole e medie imprese presentati al Fondo di Garanzia per le PMI. Attraverso “Garanzia Italia” di SACE sono state concesse garanzie per 9,6 miliardi di euro, di cui 2,3 miliardi circa i volumi complessivi garantiti in procedura semplificata.

Questi i principali risultati della rilevazione settimanale effettuata dalla task force per l’attuazione delle misure a sostegno della liquidità adottate dal Governo per far fronte all’emergenza Covid-19, di cui fanno parte Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Banca d’Italia, Associazione Bancaria Italiana, Mediocredito Centrale e SACE.

La Banca d’Italia continua a rilevare presso le banche, con cadenza settimanale, dati riguardanti l’attuazione delle misure governative relative ai decreti legge ‘Cura Italia’ e ‘Liquidità’, le iniziative di categoria e quelle offerte bilateralmente dalle singole banche alla propria clientela. Sulla base di dati preliminari, al 10 luglio sono pervenute poco meno di 2,7 milioni di domande o comunicazioni di moratoria su prestiti, per 292 miliardi. Si può stimare che, in termini di importi, circa il 92% delle domande o comunicazioni relative alle moratorie sia già stato accolto dalle banche, pur con differenze tra le varie misure; il 3% circa è stato sinora rigettato; la parte restante è in corso di esame.

Più in dettaglio, il 45% delle domande proviene da società non finanziarie (a fronte di prestiti per 194 miliardi). Per quanto riguarda le PMI, le richieste ai sensi dell’art. 56 del DL ‘Cura Italia’ (oltre 1,2 milioni) hanno riguardato prestiti e linee di credito per 157 miliardi, mentre le adesioni alla moratoria promossa dall’ABI (49 mila) hanno riguardato 12 miliardi di finanziamenti alle PMI.

Le domande delle famiglie riguardano prestiti per circa 92 miliardi di euro. Le banche hanno ricevuto circa 192 mila domande di sospensione delle rate del mutuo sulla prima casa (accesso al cd. Fondo Gasparrini), per un importo medio di circa 94 mila euro. Le moratorie dell’ABI e dell’Assofin rivolte alle famiglie hanno raccolto quasi 440 mila adesioni, per circa 18 miliardi di prestiti.

Sulla base della rilevazione settimanale della Banca d’Italia, si stima che le richieste di finanziamento pervenute agli intermediari per l’accesso al Fondo di Garanzia per le PMI abbiano continuato a crescere nella settimana dal 3 al 10 luglio, a 1,04 milioni, per un importo di finanziamenti di circa 76 miliardi. I prestiti erogati sono aumentati in modo ancora più rapido. In particolare, al 10 luglio sono stati erogati quasi l’85% delle domande per prestiti interamente garantiti dal Fondo. La percentuale di prestiti erogati risulta in ulteriore crescita rispetto alla fine della settimana precedente, sia in termini di numeri di richieste sia in termini di importi.

Il Ministero dello Sviluppo Economico e Mediocredito Centrale (MCC) segnalano che sono complessivamente 874.828 le richieste di garanzie pervenute al Fondo di Garanzia nel periodo dal 17 marzo al 21 luglio 2020 per richiedere le garanzie ai finanziamenti in favore di imprese, artigiani, autonomi e professionisti, per un importo complessivo di oltre 57 miliardi di euro. In particolare, le domande arrivate e relative alle misure introdotte con i decreti ‘Cura Italia’ e ‘Liquidità’ sono 870.509, pari ad un importo di circa 56,4 miliardi di euro. Di queste, oltre 752.800 sono riferite a finanziamenti fino a 30.000 euro, con percentuale di copertura al 100%, per un importo finanziato di circa 14,9 miliardi di euro che, secondo quanto previsto dalla norma, possono essere erogati senza attendere l’esito definitivo dell’istruttoria da parte del Gestore. Al 22 luglio sono state accolte 860.172 operazioni, di cui 856.140 ai sensi dei Dl ‘Cura Italia’ e ‘Liquidità’.

Salgono a circa 9,6 miliardi di euro i volumi complessivi delle garanzie nell’ambito di “Garanzia Italia”, lo strumento di SACE per sostenere le imprese italiane colpite dall’emergenza Covid-19. Di questi, circa 6,7 miliardi di euro riguardano le prime tre operazioni garantite attraverso la procedura ordinaria prevista dal Decreto Liquidità, relativa ai finanziamenti in favore di imprese di grandi dimensioni, con oltre 5000 dipendenti in Italia o con un valore del fatturato superiore agli 1,5 miliardi di euro. Crescono inoltre a 2,9 miliardi di euro circa i volumi complessivi garantiti in procedura semplificata, a fronte di 255 richieste di Garanzia gestite ed emesse entro 48 dalla ricezione attraverso la piattaforma digitale dedicata a cui sono accreditate oltre 250 banche e società di factoring e leasing.

Negli Usa il baseball riparte senza pubblico

Tifosi cartonati sugli spalti: questa la soluzione della Mlb per ripartire dopo lo stop. Negli Stati Uniti il Coronavirus è ancora in espansione ma il campionato nazionale di Baseball ha ripreso le sue attività senza pubblico: da New York a Los Angeles ma anche Chicago, Oakland e tante altre città hanno adottato questa particolare soluzione.

Idea ripresa dalla Germania. La prima in Europa a riprendere il campionato di calcio.

Il Borussia Mönchengladbach scelse di mettere in vendita oltre 12mila “cartonati” da piazzare sugli spalti, con le fattezze dei propri sostenitori. Un’iniziativa denominata “Stay home, be in the stands” tramite la quale i tifosi hanno potuto dare un segnale di vicinanza al club, pagando 19 euro per il posto occupato al Borussia-Park. Soldi che furono devoluti in beneficenza.

 

Fino a quando non avremo un vaccino non cis arà mai il contagio zero

Pierpaolo Sileri, viceministro alla Salute, intervenuto a ‘In Vivavoce’ su Rai Radio1 ribadisce che: “Purtroppo contagio zero non potremo mai averlo finché il virus circola, finché non avremo un vaccino o l’immunità di gregge, o magari il virus muta. Io lo spero, ma al momento non mi sembra stia mutando. Quello che vedo è che il virus circola poco grazie a quello che abbiamo fatto. Noi dobbiamo combattere i focolai: individuarli, poi fare i tamponi e quarantenare i positivi e gli stretti contatti”.

“E’ vero che siamo preoccupati da Paesi come il Brasile o il Bangladesh, ma attenzione: ogni Paese europeo può avere una recrudescenza”.

“La mascherina oggi dobbiamo averla nel taschino, come gli occhiali. Deve essere un uso e costume di ognuno di noi”.

“Per quanto riguarda il problema delle isole e della movida a Roma e a Milano serve buon senso: la mascherina te la metti se c’è meno di un metro di distanza. Anche all’aperto”.

Ancora sulla riforma elettorale

Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo di Luca Tentoni, che apre l’ultimo numero di Mente Politica.

Ci sono paesi, come la Gran Bretagna, la Germania, la Spagna e la Francia che non cambiano la loro formula di trasformazione di voti in seggi ad uso e consumo di ciò che serve a chi – pro tempore – governa, ma che conoscono il valore delle regole del gioco e nei quali (come il caso di Churchill nel 1945 insegna) si sa perdere anche quando forse si meriterebbe di vincere. Detto questo, si potrebbe argomentare che il ritorno all’uninominale a doppio turno, nel 1921, avrebbe forse spazzato via i fascisti sul nascere: ma Mussolini non avrebbe comunque usato le maniere forti per arrivare al potere? E, in ogni caso, anche il capo del fascismo si farà in seguito ritagliare da Acerbo, utilitaristicamente. una legge su misura per i bisogni del nascente regime, prima di passare attraverso prove elettorali plebiscitarie e drammaticamente farsesche, abolendo infine “i ludi cartacei”. C’è infine da fare una postilla sulla legge maggioritaria del 1953: la storia insegna che fallì e che forse, ricontando alcune schede, i partiti di centro avrebbero conseguito il premio alla Camera (il meccanismo non riguardava il Senato). Ma, anche qui, c’è da chiedersi se – con un raggruppamento centrista più forte in Parlamento – non sarebbe stato più impervio il cammino di riavvicinamento del Psi al Psdi e, in definitiva, alla Dc.

Con un premio costantemente assegnato a Dc, Pli, Psdi e Pri, il centrosinistra avrebbe avuto meno incentivi per nascere: non avrebbe forse visto la luce, nel 1963. Un sistema già bloccato per ragioni internazionali e per i ritardi del Pci (e in parte del Psi, per qualche anno) sarebbe stato imbalsamato, destinato a crollare forse già negli anni Settanta. Detto ciò, non si sta dicendo che l’intento di una legge proporzionale che eviti l’avvento al potere (non solo al governo, purtroppo) di forze di destra radicale pericolose, capaci di mettere a repentaglio la nostra collocazione in Europa e forse anche la stabilità economica (senza contare i risvolti conservatori o controriformisti sul piano sociale) non giustifichi qualche machiavellismo “à la Mitterrand”.

Introdurre un sistema elettorale proporzionale puro (con soglia di sbarramento al 5% o minore) potrebbe effettivamente costringere FdI e Lega a dover governare con Forza Italia: verosimilmente Berlusconi porrebbe condizioni molto pesanti (fra le quali l’ancoraggio all’Europa, anche perché – al di là delle idealità – il ritorno alla lira comporterebbe anche il disastro delle attività economiche, comprese quelle della famiglia del Cavaliere). In questo caso, ex malo bonum: ma l’accettazione di una riforma elettorale “immorale” (perché fatta su misura contro qualcuno) è un passo che può essere compiuto solo di fronte ad un’emergenza. Nel nostro dibattito politico, invece, la legge elettorale è un pezzo di plastilina col quale si gioca volentieri senza curarsi degli effetti.

Così, ne nascono proposte al limite dell’esilarante (l’eterno ritorno del “sindaco d’Italia”) o apertamente vantaggiose per chi le avanza (il ritorno al Mattarellum così come l’approdo ad un sistema simil 1948-1992). La legge elettorale – come la Costituzione, che infatti stiamo trasformando anch’essa in plastilina, col superfluo taglio dei seggi delle Camere – è una cosa seria, una regola immutabile di un gioco nel quale i giocatori non devono passare il tempo a preoccuparsi di cambiare i meccanismi, ma spendersi per migliorare la qualità dell’offerta politica, della classe dirigente e per elevare la moralità pubblica.

Qui è possibile leggere il testo integrale

L’inizio della fine : 25 luglio 1943 !

Non sempre piace la storia, ma conoscendola si può spesso evitare che il futuro non riserbi brutte sorprese, anche se i corsi e ricorsi storici, qualche volta, si manifestano in forme più sofisticate.  

Parlare e ricordare le vicende significative e dirimenti del “ secolo breve “, che si è chiuso con il passaggio al terzo millennio, citando una felice definizione dello storico britannico Enric J. Hobsbeawm, significa analizzare e conoscere meglio le svolte storiche di un secolo.

L’estensione temporale può essere racchiusa in due date : 1914 – 1991, dall’assassinio dell’Arciduca Francesco Fernando a Sarajevo e nella stessa città, dopo meno di 80 anni, la guerra dei Balcani ( parte dell’ex Jugoslavia) il dissolvimento dell’Unione Sovietica, e la fine della guerra fredda.

Perché “ l’inizio della fine : 25 luglio 1943 “ ?

In quella data si è avviata a conclusione, per l’Italia la dittatura fascista, iniziata con una prova di forza – la marcia su Roma – il 28 ottobre 1922. Per oltre venti anni Benito Mussolini, aveva governato l’Italia ed era stato il capo indiscusso del nostro paese.

Impiegò la forza contro gli avversari politici, creando un proprio corpo militare ( la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale ), modificò la legge elettorale in senso maggioritario così da favorire la costituzione di una maggioranza parlamentare fascista, l’assassinio del deputato socialista Matteotti, che aveva denunciato le irregolarità delle elezioni, la soppressione della libertà di stampa, lo scioglimento dei partiti e dei sindacati non fascisti, l’esautoramento del parlamento e l’istituzione del Tribunale speciale, fatti che determinarono la costituzione del regime.

L’Italia entro nella seconda Guerra mondiale nel giugno del 1940, a fianco della Germania nazista, e successivamente alleato del Giappone nel dicembre 1941. Il Re, Vittorio Emanuele III, aveva delegato a Mussolini – Capo del Governo – anche il Comando Supremo delle Forze Armate.

Dopo tre anni di guerra l’Italia era in ginocchio e l’interrogativo era : Guerra o Pace ? E doveva essere una guerra lampo ! 

La riunione del Gran Consiglio del Fascismo, massimo organo del regime, fu convocata per il 24 luglio 1943, tale consesso non si riuniva dal 1939, e doveva esaminare la conduzione militare del conflitto bellico.

Ci furono alcuni avvenimenti significativi prima di quella seduta, che cambiò gli eventi e i destini del nostro paese, in particolare tre hanno avuto un peso determinante nelle scelte del 25 luglio 1943.

Il primo, il 19 luglio 1943, a Feltre (Belluno) in una villa settecentesca, Mussolini e Hitler si incontrarono per esaminare la drammatica situazione che la guerra aveva determinato in Italia, nelle popolazioni e nelle Forze Armate, con il Capo del nazismo che criticava senza mezzi termini i comportamenti del nostro esercito e l’atteggiamento del Duce reticente, imbarazzato e impacciato.

L’incontro si chiuse senza nessun comunicato ufficiale, fatto significativo e inconsueto del clima dei rapporti fra i due dittatori.

Il secondo nello stesso giorno, durante i colloqui a Feltre, Roma veniva bombardata dagli Anglo – Americani in maniera violenta, causando circa tremila morti.

Dopo i bombardamenti, il Papa Pio XII, uscì dal Vaticano e visitò le zone più colpite. Al Quartiere S. Lorenzo venne accolto con rispetto e gratitudine dalla folla radunata fra le rovine.

Successivamente la visita del Re, Vittorio Emanuele III, fu caratterizzata da contestazioni e urla di dissenso verso la guerra e la dittatura, dagli abitanti duramente provati dagli attacchi aerei. Il popolo romano aveva preso coscienza dell’assurdità di una guerra che procurava : morte, distruzioni, miseria, fame e povertà.

Il terzo, dal fronte interno giungevano notizie sempre più allarmanti : il 22 luglio 1943, gli anglo – americani avevano completato la conquista della Sicilia, dove erano sbarcati appena dodici giorni prima, e si apprestavano a risalire la penisola.     

Palazzo Venezia a Roma, era la sede dove si decisero i destini della dittatura e dell’Italia.

I lavori del Gran Consiglio del Fascismo si aprirono con l’introduzione di Mussolini, che poneva la domanda : resa a discrezione o resistenza a oltranza ? L’ordine del giorno di Grandi chiedeva, rispondendo alla domanda del Duce, il ripristino “ di tutte le funzioni statali “ e invitava a restituire il Comando delle Forze Armate al Re.

Dopo un lungo, spigoloso e drammatico dibattito, Mussolini dichiarò che non aveva nessuna intenzione di rinunciare al comando militare.

Alle 2 di notte, era ormai il 25 luglio, la votazione sulla mozione Grandi, si concluse con 19 voti a favore, 8 voti contrari, e un astenuto.

Il pomeriggio Mussolini si recò a Villa Savoia per informare il Re, e questi gli comunicò che veniva destituito e sostituito dal Maresciallo Badoglio a Capo del Governo.

Solo alle 22,45 fu data la notizia agli italiani, attraverso la radio, di quanto era accaduto, i giornali del 26 luglio, con caratteri cubitali pubblicarono gli avvenimenti che avevano determinato “la  sfiducia democratica “ a Mussolini, che all’uscita di Villa Savoia, per ordine del Re, venne arrestato.

Si può affermare, a 77 anni da quelle vicende storiche del “secolo breve”, che con quella votazione  segnò “l’inizio della fine” del regime fascista. Anche se la guerra e altre gravi vicissitudini colpirono il popolo romano fino al 4 giugno 1944, giorno della Liberazione di Roma, e al 25 aprile 1945, fine della guerra nel nostro paese. 

Lo strappo e il rattoppo

Flickr: Collection Name: Missouri Division of Tourism Collection Photographer/Studio: PC Description: Man driving Amish wagon through downtown Jamesport Coverage: Missouri - Jamesport Date: 1989

Non so se finirò i miei giorni in una comunità Amish, uno di quei sodalizi umani dove tutte le usanze, i marchingegni e le diavolerie del post-moderno vengono messe al bando, dove i tempi e i modi di vita sono improntati al rispetto delle più rigorose e persino ataviche tradizioni.

Sarebbe una scelta esagerata, lo ammetto, quasi una negazione di tutto ciò di comodo che la civiltà globale ci sa dare.

Alzi però la mano chi può dirsi soddisfatto e felice – ma cosa dico – “sereno” per le consuetudini di questa nostra complicata esistenza.

E poi non è detto che le nostalgie del passato ci concedano solo inconcludenti emozioni: non viviamo forse un’epoca di ripensamenti e di riscoperte di tutto quello che abbiamo troppo frettolosamente lasciato?

Trovo nei comportamenti prevalenti del nostro tempo il segno di alcuni cambiamenti: il più rapido accesso alle informazioni, la più acuta percezione dei diritti e il più intenso controllo sociale.

Mi chiedo anche se queste “conquiste” riescono ad essere metabolizzate nei nostri stili di vita in modo del tutto indolore ed esclusivamente positivo o se invece – a volte – non ci rendono più insicuri e più inquieti.

Difficilmente ci accontentiamo di un risultato, spesso viviamo con ansia le prove grandi e piccole della nostra esperienza umana, sovente protesi in una dimensione di superamento, di competizione e di ricerca.

Ci viene chiesto di essere più produttivi, concreti, pratici, di concludere, di realizzare: quasi come forzati della vita.

I miti della modernità sono quelli dell’efficienza e dell’efficacia: tutto oliato, funzionante, incanalato, organizzato, perfetto.

Guai a mostrare segni di debolezza e di rallentamento, si può finire con l’essere emarginati.

Eccoci allora impegnati in un sistematico lavorìo di emendamento sulla nostra vita, che ci corregge   e genera sensi di colpa: servono sempre toppe e rammendi, urgono revisioni e ripensamenti.

Ma spesso la pezza è più visibile dello strappo, il rimedio peggiore del male. 

Rattoppiamo tutto: l’economia che non decolla e produce nuove povertà, le istituzioni che vacillano e rinnovano antichi mali, gli affetti labili, consumati e stanchi, la quotidianità che si trascina e si ripropone senza risolvere i problemi di fondo, persino l’anima, cioè i nostri sentimenti, tra attenuanti e giustificazioni per la fatica di vivere. 

Quali nuovi slanci ci permetteranno di aprire le ali per spiccare il volo?

Non vedo in giro segnali confortanti.

Questa è l’epoca delle contraddizioni, dove anche le speranze si bruciano prima del decollo.

Cosa vuole da noi il mondo? 

Rimediare, ricucire, rammendare: ritornare sui nostri passi per raddrizzare errori, comportamenti sbagliati, superare ostacoli, gareggiare nelle contese importanti e in quelle tutto sommato inutili.

Assomigliare agli altri, ai tanti modelli di ostentazione e di successo che circolano nei programmi glamour, nelle storie dei rampanti e sulle copertine patinate delle riviste alla moda.

Oppure accettare i nostri limiti, essere sé stessi, archiviare gli errori e utilizzarli per migliorare, senza drammi, senza metter toppe alle debolezze della nostra variegata e poliedrica umanità.

Accontentarsi, ridersi addosso, rovesciare la medaglia per cercare il lato positivo delle cose, andare oltre.

Cogliere l’attimo fuggente e apprezzare ogni momento l’irripetibile dono della vita.