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Tumore seno. Elevato rischio di mortalità cardiovascolare.

Nei dieci anni che seguono al trattamento del tumore del seno, le donne sono ad aumentato rischio di morte per il carcinoma mammario stesso o per altri tipi di tumori, nonché per malattie cardiache, ictus e infezioni.

L’indagine ha preso in considerazione più di 750mila donne con diagnosi di carcinoma mammario e seguite per una media di 15 anni. Di queste, circa 183mila pazienti, pari al 24%, sono morte entro 15 anni dalla diagnosi, a un’età media di 73 anni. Il numero più elevato di decessi, 84.500, pari al 46%, si è verificato entro uno o cinque anni dalla diagnosi, mentre le morti non dovute a cancro più comuni sono state quelle causate da infarti, ictus ed emorragie cerebrali.

Dobbiamo formare dei Comitati locali per il “no” al taglio dei parlamentari.

Il referendum sul taglio dei parlamentari si farà. Sono, infatti, prive di fondamento le opinioni circolate appena data la notizia dell’ormai raggiunto quinto dei senatori necessario per l’indizione del referendum sulla legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari. Un’eventuale crisi di governo non bloccherebbe l’iter referendario. È bene pertanto non lasciarsi condizionare dai dubbi; dobbiamo da subito iniziare a spiegare agli italiani perché sarebbe opportuno votare NO a questa riforma.

Per quanto riguarda noi di Solidarietà, è stata obbligata, dal nostro stesso statuto, la scelta di affiancare con il lobbyng sui senatori l’iniziativa di Andrea Cangini, Tommaso Nannicini e Nazario Pagano di aprire la raccolta di firme a Palazzo Madama per chiedere il referendum.
Nel nostro statuto sta scritto: Sul piano costituzionale, l’Associazione vuole uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, rispettando e promuovendo i nuclei e gli organismi naturali, come la famiglia fondata sul matrimonio, la personalità individuale e le iniziative private. E perché lo Stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domanda la riforma dell’istituto parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale.

Noi di Solidarietà siamo innamorati del meno peggiore dei sistemi di governo, cioè della democrazia; siamo contrari al sistema oligarchico e alla dittatura.
Allora ragioniamo da subito su quel che dobbiamo fare per organizzare la campagna referendaria. Noi di Solidarietà proponiamo che si formino Comitati locali a livello provinciale in tutto il Paese e all’Estero. Invitiamo a promuovere la formazione dei Comitati, in particolare, tutte le Associazioni cattoliche e tutti i gruppi politici che dicono di ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa, quelli che si richiamano direttamente alla Democrazia Cristiana, ma anche quelli che aspirano alla formazione di un soggetto politico nuovo, come lo sono i gruppi di Politica Insieme, Costruire insieme e Rete Bianca.

Pensiamo che in tutto il Paese deve essere attivato un unico grande coro per far comprendere quale grande esercizio di democrazia diretta sia questo del referendum su una legge costituzionale, che sarà promulgata solo se malauguratamente avranno vinto i SÌ. Per questo varrà la pena alzarsi dalla sedia o dalla poltrona e andare a votare.
Noi siamo per il NO e pensiamo che la vittoria dei SI recherebbe un gravissimo vulnus al sistema democratico. Basterebbe far capire che alcuni territori in Italia come all’Estero, resterebbero senza rappresentanza: nessun senatore né deputato porterà la loro voce in Parlamento. È questo il Paese che vogliamo? Noi crediamo di no e voteremo per il NO.

Verso una nuova forma di democrazia?

Diceva quasi testualmente Philip Kotler nel suo Democracy in Decline. Rebuilding its: la democrazia non è più un prodotto soddisfacente in quanto al cittadino è sottratto il potere di decidere, passato saldamente in mano a milionari e miliardari, a lobby e centrali mediatiche e finanziarie. Questa situazione, aggiungeva poi Giuseppe De Rita, ha determinato il distaccamento tra corpo sociale e potere. Con la conseguenza che il corpo sociale non accetta che il potere prescinda da esso ed invece diventi dipendente dal potere finanziario e dal mercato.

Il risultato oggettivo è che popolo e potere appaiono ormai dissociati: «soggetti indipendenti incapaci di comunicare». Rotti i canali di intermediazione, l’unico elemento che li accomuna resta la reciproca accusa di populismo. Che, come è stato detto, è la “malattia infantile” che colpisce la democrazia rappresentativa, che la sempre più marcata degenerazione tende a trasformare in democrazia “esecutoria”.

Insomma, la retorica populista avanza sempre di più e con la sua vision morale della politica, che tende a marcare la diversità del popolo dalle élites corrotte che devono essere spazzate via, nega ogni pluralismo all’interno del popolo

Verso una nuova forma di democrazia

I 70 anni della nato : dall’ordine geopolitico all’ordine geoeconomico

Nel 2019 che ci sta lasciando si è compiuto il 70° compleanno della NATO.
Un profondo conoscitore del mondo americano come Federico Rampini si è spinto a scrivere su Repubblica che questa ricorrenza assomiglia oggi più ad un funerale che ad un evento celebrativo dai toni rassicuranti. Questa acuta sottolineatura di un attento lettore delle dinamiche internazionali della politica fa il paio con un articolo comparso sul Financial Times nel quale un docente dell’Università di Cambridge evidenziava come, dall’osservatorio europeo, l’Alleanza Atlantica indugi a superare una visione geopolitica dell’ordine mondiale ancorata al XX secolo.

Ciò avviene mentre Russia e Cina stanno dispiegando una strategia geoeconomica nel XXI secolo alla quale quella geopolitica è di fatto subordinata.
Washington è consapevole che la sua egemonia sulla gestione della globalizzazione non è più duratura.
La transizione dal multilateralismo al bilateralismo è netta con un chiaro costo per i paesi più deboli politicamente ed economicamente.
La creazione di prodotti sotto forma di servizi tecnologici tipica di Giappone e Corea del sud, alleati americani, contribuisce a spostare gli asset strategici dell’economia globale verso l’Asia.

Ciò comporta da parte della Casa Bianca un riconoscimento della Cina quale potenza in grado di determinare nuove primazie e tassonomie in evoluzione nel nuovo ordine mondiale.
Ma implica altresì per i partner europei una diversa riconsiderazione dei fondamentali e dei corollari della NATO all’inizio del terzo millennio, superando gli schemi e i rapporti di forza derivati dalla rivoluzione industriale per adeguarsi alle dinamiche economiche e alla mondializzazione tecnologica del tempo presente.

Ciò che un tempo era considerato l’arbitro indiscusso della stabilità politica planetaria (il controllo della NATO quale agente di garanzia di tutele) ora è subordinato ad uno svincolo sulla condivisione delle strategie dell’alleanza atlantica da parte degli USA che sotto la guida di Trump hanno già lanciato messaggi all’Europa alternando trionfalismi (America first) e recriminazioni sugli investimenti in tema di sicurezza del vecchio continente. Pur chiedendo all’Europa di destinare il 2% del PIL alle spese militari e pur minacciando dazi per 11,2 miliardi di dollari per ritorsione verso la concorrenza Airbus – Boeing.
Le politiche economico-commerciali sono imprescindibili rispetto al rafforzamento dei sovranismi dei singoli concorrenti: USA, Russia e Cina hanno imboccato la strada dell’implementazione delle economie interne per ritagliarsi un ruolo egemone di superpotenze tale che le relazioni internazionali sono viste sotto l’ottica dell’espansione sui mercati mondiali.

Peraltro la priorità della politica asiatica rispetto a quella europea non è incominciata con Trump, bensì già con lo State Department ai tempi di Obama, anche se in maniera meno sfacciata.
La parte debole dell’Europa è assai vulnerabile rispetto a tali politiche espansive, ciò che l’U.E. non ha ancora metabolizzato è che passare da una fase di tutela militare ad una basata sulla conquista dei mercati la rende vulnerabile, un boccone ghiotto in particolare per la lenta avanzata della Cina nel vecchio continente.

Nell’Europa attuale non avvertiamo identità e senso di appartenenza, piuttosto cogliamo attriti, frazionamenti, distinguo, veti incrociati. Dalla Brexit ai gilet gialli a Parigi, dal declino della Merkel al compattamento dei governi nazionali dei Paesi di Visegrad, essa è un ibrido istituzionale malaticcio e diviso quasi su tutto.
Ciò determina un indebolimento nella negoziazione politica che è speculare al declino economico.

USA, Unione Sovietica, Cina e India perseguono visibilmente interessi contrapposti per essere reciprocamente prevalenti: Trump non ha certo visto di buon occhio un’OPA della Cina lanciata sull’Italia ma – attraverso il nostro Paese- tendenzialmente estensibile al vecchio continente. Né credo che Putin ne sia soddisfatto. Qual è il potere contrattuale di un’Europa frazionata, con Governi che la vogliono lasciare, forze politiche sovraniste e nazionaliste, Paesi in recessione economica?

Se L’Europa si presenta indebolita e fragile ai consessi mondiali non saranno certo i brodini e i pannicelli caldi dell’U.E. a rinforzarla.
Il MES , meglio noto come Fondo salva Stati, sembra l’ineluttabile conclusione della crisi del 2008 ma non gode della unanimità dei consensi tra le forze politiche che siedono a Strasburgo.

Il passaggio da una dimensione geopolitica ad una dimensione geoeconomica nel nuovo ordine mondiale che si va configurando deve fare i conti con lo statuto fondativo della Nato, il permanere delle ragioni dell’alleanza atlantica, i focolai di guerra e l’onda d’urto del fondamentalismo islamico, le dinamiche di cooperazione internazionale e la forza prevalente dei mercati rispetto alle matrici ideologiche.

L’espansione della Cina, la crescita economica dell’India, quella demografica della Nigeria, le pressioni migratorie verso l’Europa dalle dimensioni imponderabili (anche in assenza di una politica di gestione condivisa dei flussi e di univocità nelle relazioni con i governi africani) impongono una diversa valutazione delle relazioni internazionali: ciò non significa allentare le ragioni che legano i Paesi aderenti al sodalizio atlantico.

Su questo aspetto Il Domani d’Italia pubblicherà a breve un’intervista all’illustre demografo Giancarlo Blangiardo, che all’incarico accademico assomma la prestigiosa Presidenza dell’ISTAT.

L’equilibrio mondiale è determinato da un mix di fattori di natura politica in senso stretto, economica (ora prevalente) e di scelte di civiltà, di costumi e stili di vita dei popoli.
Occorre affrontare le sfide del presente e del futuro salvaguardando le identità storicamente costituite e consolidate negli ultimi due secoli, per garantire un ordine mondiale basato su pesi e contrappesi.

Trump è inoltre impegnato a delineare una strategia di difesa alla procedura di impeachment nella quale la vicenda Ucraina è solo causa occasionale: lo scontro politico metterà a confronto Camera (a maggioranza democratica) e Senato (a maggioranza repubblicana). Il vero obiettivo è chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca, una variabile affatto insignificante nello scacchiere della geopolitica e della geoeconomia mondiali.
Si respira a livello mondiale un clima da guerra fredda per le interconnessioni tra politica ed economia.

L’annuncio di un “funerale della NATO” non può essere giustificato dalla primazia degli USA che impone dazi doganali agli alleati o chiede di destinare il 2% dei loro PIN nazionali alla difesa militare senza condividere scelte strategiche di tipo politico o economico: per questo è fondamentale che l’Europa recuperi in fretta le ragioni fondative dell’U.E. e dispieghi una politica condivisa e veramente “comunitaria”, che la promuova dal ruolo di partner a quello di soggetto attivo con potenzialità interlocutorie tangibilmente esprimibili. Anche se l’uscita del Regno Unito la renderà inevitabilmente più debole.
La vittoria senza se e senza ma di Boris Johnson avrà ripercussioni difficilmente immaginabili anche se profonde e divisive per il vecchio continente.

Sport di tutti: il bando pubblico per attività sportive dai 5 ai 18 anni

Pubblicato l’avviso pubblico per il progetto Sport di tutti-edizione young rivolto a bambini/e e ragazzi/e dai 5 ai 18 anni e contenente tutti i dettagli e i relativi requisiti per poter partecipare, con allegata la lista delle ASD/SSD aderenti e le relative discipline sportive.
Per iscrivere i ragazzi, le famiglie interessate possono presentare la domanda di partecipazione entro e non oltre le ore 16.00 di giovedì 16 gennaio 2020, accedendo al sito http://sportditutti.it/o direttamente attraverso il seguente link http://area.sportditutti.it.

Per favorire la più ampia partecipazione e facilitare le famiglie nell’iscrizione al progetto, sono state previste due modalità di presentazione del modulo di adesione:
1. modalità online, sul sito www.sportditutti.it, o direttamente accedendo al portale area.sportditutti.it;
2. modalità cartacea, consegnando il modulo presso le società sportive prescelte, consultando l’elenco delle ASD/SSD aderenti.

Sport di tutti“ è un modello d’intervento sportivo e sociale che mira ad abbattere le barriere economiche di accesso allo sport e declina concretamente il principio del diritto allo sport per tutti, fornendo un servizio alla comunità. L’obiettivo è di promuovere, attraverso la pratica sportiva, stili di vita sani tra tutte le fasce della popolazione, al fine di migliorare le condizioni di salute e benessere degli individui e di garantire il diritto allo sport per ragazzi e famiglie in condizioni di svantaggio economico. Come già indicato, l’intervento si rivolge alla fascia di età dai 5 ai 18 anni, con l’avvio dell’edizione dedicata ai giovani che, grazie alla rete capillare di associazioni e società sportive dilettantistiche che operano sul territorio, avranno la possibilità unica di praticare gratuitamente attività sportiva pomeridiana, per 2 ore alla settimana, scegliendo tra molteplici discipline sportive.

Tutte le informazioni sono disponibili anche consultando il sito www.sportidutti.it, inoltre è possibile rivolgersi ai riferimenti delle Strutture territoriali di Sport e salute (elenco allegato all’Avviso Pubblico).

Scoperte due stelle siamesi a 800 anni luce

Un team di astrofili italiani ha individuato a circa 800 anni luce della Terra una nuova stella variabile, con un aspetto alquanto bizzarro.
Si tratta di un sistema binario, la cui luminosità varia nel corso del tempo, composto da due stelle unite tra loro come due gemelle siamesi, che ruotano l’una attorno all’altra.

La scoperta è stata approvata ufficialmente dall’American Association of Variable Star Observers (Aavso), sul quale sito ufficiale è comparsa una pagina dedicata alla nuova scoperta.

Le stelle siamesi si trovano nella costellazione dell’Auriga e sono state scoperte grazie alla collaborazione tra gli esperti Giuseppe Conzo, Paolo Giangreco Marotta, Stefano Meneguolo, Mara Moriconi e Gabriele Spaziani del Gruppo Astrofili Palidoro, il collega Giorgio Biancardi dell’Unione Astrofili Italiani, Nello Ruocco dell’Osservatorio Nastro Verde e Giorgio Mazzacurati e Paolo Zampolini del Gruppo Astrofili Galileo Galilei.

Le due stelle sono di classe spettrale G5 e ruotano una intorno all’altra in 8.6 ore. Questo sistema binario è di tipo a contatto, per cui le stelle componenti occupano per intero il proprio lobo di roche

La colica renale

La colica renale è un dolore acuto dell’uretere che è provocato dal passaggio di calcoli e che comporta prima dilatazione e in seguito spasmi.

Il dolore è dovuto allo spasmo muscolare dell’uretere conseguente alla presenza di un calcolo ed è presente anche se il calcolo non determina ostruzione al flusso urinario. In caso di ostruzione, l’aumento della pressione stimola la sintesi ed il rilascio di prostaglandine che induce lo spasmo della muscolatura liscia.

Fra i sintomi, il più comune è il dolore addominale acuto con irradiazione verso il basso, fino all’inguine, talvolta fino ai genitali. Il dolore può localizzarsi anche al fianco e posteriormente a livello lombare. L’entità del dolore non è commisurata alle dimensioni del calcolo: calcoli molto piccoli possono dare dolore molto intenso e frequentemente l’irradiazione del dolore si sposta man mano che il calcolo procede nell’uretere verso la vescica. Il dolore cessa quando il calcolo passa nella vescica (dove spesso subito dopo viene eliminato). Il cessare del dolore, tuttavia, può essere anche dovuto al fatto che il calcolo si è arrestato nell’uretere.

Tale evenienza può impedire il normale deflusso di urina attraverso l’uretere; in questo caso si assiste alla dilatazione dell’uretere e in seguito del rene che può seriamente danneggiarsi e comportare infezioni. Tale condizione è rilevabile con una ecografia renale e, a volte, è necessario intervenire per via chirurgica, endoscopica o con il bombardamento con onde d’urto.

Fra gli altri sintomi, possono riscontrarsi ematuria, cioè la presenza di urine rosse per perdite di sangue, nausea, vomito.

La partita della Democrazia, tra Imperialismo e idea di Nazione

Articolo pubblicato sulle pagine di https://www.mosaico-cem.it/ a firma di Fiona Diwan

Che accezione diamo oggi al termine Nazionalismo? Una parola dalla sfumatura opaca, sporca, un vecchio arnese da gettare alle ortiche, l’idea di una dimensione piccina e ombelicale che evoca fiumi di sangue versato per un’idea di nazione che sarebbe quanto di più lontano dall’identità plurale e globale dei nostri giorni. Un concetto da scaraventare nella discarica della Storia e in nome del quale si sarebbero compiuti i peggiori abominii. La sensibilità contemporanea maturata nell’immediato Dopoguerra aveva giubilato senza possibilità di appello l’Idea di Nazione, relegandola a vizio inemendabile di tutte le dittature, peccato originale del più sanguinoso dei secoli, il XX. Tuttavia, quando il filosofo, politologo e biblista israeliano Yoram Hazony parla di Nazionalismo non intende declinarlo né nella vecchia accezione di heimat o patria né tantomeno dell’attuale idea di sovranismo. No, scrive Hazony, il Nazionalismo è semplicemente l’antitesi del concetto di Imperialismo e lo è da sempre, dalla notte dei tempi, dall’epoca della Pax Romana e dell’Impero carolingio, dell’Impero Britannico e di quello Asburgico fino a quello cinese, ivi compresi gli ultimi Imperi, quello americano e sovietico. Persino l’idea del Lebensraum di Hitler, lo spazio vitale di cui il Terzo Reich andava alla ricerca, era un’idea imperialista e imperiale, espansiva, e solo falsamente nazionalista. Persino la Francia Repubblicana covava un modello imperialista aggressivo e protervo. Falsa anche l’idea che sotto il governo degli Imperi sovranazionali si vivesse meglio, una narrativa dei dominatori, non dei dominati.

Con un saggio audace e controcorrente, spiazzante e a dir poco scomodo, il filosofo, politologo e biblista israeliano Yoram Hazony, 55 anni, presidente del prestigioso Herzl Institute of Jerusalem, manda oggi alle stampe Le Virtù del nazionalismo (Guerini e Associati, traduzione di Vittorio Robiati Bendaud), l’ultimo di svariati ed eclettici saggi, accolto da altrettanti plausi e polemiche. L’idea centrale è che ogni ideale universalistico celi al suo interno un progetto fondamentalmente imperialista, e che il nazionalismo altro non sia che la più antica forma di difesa della libertà, sia essa individuale, collettiva, politica e democratica. Un’idea di autodeterminazione dei popoli, di nazioni libere e indipendenti che si oppongono all’Imperialismo ovvero a forme di governo che in nome di alte idealità universalistiche – esportare la pace, la democrazia e la prosperità nel mondo-, in verità intendono imporre controllo, dominio e sudditanza. Basterebbe dare un occhiata ai dissesti prodotti dalla Pax Americana che ricalca il modello imperiale della Pax Romana, per averne un’idea recente. Da un’attenta rilettura della Bibbia ebraica fino al pensiero del filosofo inglese John Locke e alla dottrina dei pensatori liberali, dall’ebraismo al protestantesimo, da Kant alla caduta del Muro di Berlino fino all’Israele di oggi, Hazony rilegge la nostra travagliata contemporaneità gettando nuova luce su antiche e intramontabili categorie.

Qui l’articolo completo 

Il regionalismo differenziato deve coinvolgere pienamente gli Enti Locali

Nel momento in cui il processo di attuazione del regionalismo differenziato -richiesto in particolare dalle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto- sembra faccia registrare una ulteriore pausa di riflessione, all’Università di Messina, per una fortunata coincidenza temporale, ad iniziativa dei Dipartimenti di Giurisprudenza e di Scienze politiche ed organizzato dai professori Franco Astone e Giovanni Moschella, si è svolto un interessantissimo convegno di studi su “Specialità e differenziazione.

Le nuove frontiere del regionalismo italiano” nel corso del quale, accanto ad innumerevoli profili, prepotente è balzata all’attenzione del dibattito la quistione del rapporto tra autonomia differenziata e principio di sussidiarietà. Tema, fino all’avvento dell’attuale Governo ‘giallorosso’, ampiamente trascurato, se non del tutto ignorato. Basti pensare che le varie edizioni di ‘bozze d’intesa’ tra Regioni e Stato, che si sono succedute a seguito della ripresa dell’iter per l’attuazione dell’art. 116/3 Cost. iniziata con la celebrazione il 22 ottobre 2017 dei famosi referendum popolari di Lombardia e Veneto, non ne fanno cenno alcuno. Come, del resto, la stessa dottrina giuspubblicistica, che fin qui non si è mostrata particolarmente interessata. Non che, ad esempio, non abbia ricordato al Governo che la nostra è una Repubblica delle Autonomie e non un sistema duale Stato-Regioni. Anzi è stato chiaramente detto che l’ordinamento repubblicano per fare un salto di qualità verso il federalismo comunitario non può prescindere dal protagonismo dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Province (nella loro dimensione di sistemi urbani diffusi). Ciò nonostante, però, fino ad ora, anche il dibattito scientifico-istituzionale non ha dato grande rilievo al ruolo ed alle funzioni degli Enti Locali nel prospettato nuovo ordinamento regionale ad autonomia differenziata.

La bozza di disegno di legge generale predisposta per rimettere nei giusti binari l’iter delle intese con le Regioni dal ministro per gli Affari regionali e delle Autonomie, Francesco Boccia, ha, invece, previsto alla lettera c) del primo comma dell’art. 1 che “nelle materie oggetto di attribuzione differenziata” bisogna rispettare i “principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, previsti dall’art. 118 Costituzione”, oltre il principio solidaristico che connota il sistema degli Enti locali.

Introducendo così un positivo rivoluzionamento di tutta la questione del regionalismo asimmetrico, almeno per il modo come era stato prospettato fin qui, sia sul piano procedurale che sostanziale.

Ma se questo è vero, per quanto attiene al profilo procedurale, allora, non può essere il parere che Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto -per rispettare il dettato dell’art. 116/3 Cost.: “sentiti gli enti locali”- si sono affrettate a procurarsi attraverso i rispettivi Consigli delle Autonomie Locali, le prime due Regioni, ed un’apposita Assemblea costituita con provvedimento della Giunta, la terza Regione, ad ottemperare al principio di sussidiarietà. Al di là del burocratico adempimento ad una formalità, il parere obbligatorio ma non vincolante non mi pare che sia in grado di coinvolgere pienamente gli Enti locali. Lo conferma il fatto che nelle Regioni interessate non si sia svolto alcun dibattito di merito con le istituzioni locali e, soprattutto, che nessun indirizzo dei Comuni, delle Città o delle Province sia stato preso in considerazione dalle Regioni per rivolgere le loro richieste di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” allo Stato.

Per adeguarsi a questa svolta ed attuare un coinvolgimento reale delle Istituzioni locali, invece, io credo che il rapporto tra Regione ed Enti locali debba superare il semplice parere, anche se obbligatorio, e trasformarsi in una vera e propria intesa vincolante per entrambe le parti. Non solo. Ma ritengo anche che le intese così raggiunte presso le singole Regioni non possano essere negoziate e definite con il Governo nazionale senza un passaggio anche dalla nazionale Conferenza unificata per coinvolgere gli Enti locali del resto del Paese non direttamente interessati ai singoli accordi regionali.

E qui entriamo nel merito del rapporto tra regionalismo differenziato e principio di sussidiarietà che finora è stato escluso per via di una interpretazione del primo (il regionalismo differenziato) come capace di trasferire alle Regioni, in ordine alle materie del terzo e del secondo comma (limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, alle norme generali sull’istruzione ed alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali) dell’art. 117 Cost., non solo la potestà legislativa ma anche quella inerente le funzioni amministrative che, in virtù dell’art. 118 Cost., è invece di competenza generale dei Comuni e solo sussidiariamente, “per assicurarne l’esercizio unitario”, può essere attribuita ad altre istituzioni come le Regioni sulla base dei principi di differenziazione ed adeguatezza. Giammai in termini generali. E soprattutto partendo dal vecchio criterio del “parallelismo delle funzioni” secondo il quale la funzione amministrativa segue quella legislativa e quindi in origine è competenza di chi è titolare di quest’ultima. E’ stata proprio il capovolgimento di questo principio una delle ‘rivoluzioni’ introdotte dal nuovo Titolo V della Costituzione e non può essere certo una norma di attuazione di esso (come le costruende intese Stato-Regioni) a determinarne un vulnus così clamoroso.

Tanto che l’annunciato disegno di legge del ministro Boccia, sempre alla lettera c) del primo comma dell’art. 1, si preoccupa di affermare che “al conferimento delle funzioni (alle Regioni) si procede tenuto conto delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane definite dalla legislazione statale, ai sensi dell’art. 117, 2° comma, lettera p) della Costituzione”. Ora, è vero che qui non si tratta delle funzioni amministrative inerenti le ulteriori materie legislative attribuite alle Regioni in virtù dell’art. 116/3 Cost., ma avere evocato l’intangibilità delle competenze amministrative fondamentali delle Istituzioni locali fa immediatamente capire che la regola richiamata è insopprimibile e quindi che non si può giustificare che le Regioni nel chiedere “le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” ritengano di potere diventare attributarie di tutte le funzioni amministrative inerenti le materie loro devolute dallo Stato.

Al proposito, però, è da sottolineare che il ddl. predisposto da Boccia, per quanto costituisca un passo importante nella giusta direzione, non è ancora soddisfacente. Perché il vero obbiettivo di una amministrazione sussidiaria non si realizza con il solo rispetto da parte delle Regioni delle materie attribuite agli Enti locali come funzioni fondamentali ma con il riconoscimento in capo a questi ultimi di tutte le funzioni amministrative ivi comprese quelle che sono connesse con le funzioni legislative che saranno ulteriormente devolute alle Regioni. Il che significa che le funzioni amministrative che dovessero essere trasferite in base all’assegnazione alle Regioni delle competenze legislative non si allocano automaticamente in capo a queste ultime ma soltanto nella misura in cui, in base al principio di sussidiarietà, le Regioni si rivelino le istituzioni più adeguate ad esercitarle.
Di tutto ciò, però, come cennato, nella bozza Boccia non c’è molto.

Anzi al 3° comma dell’art. 2 si dice che “i beni nonché le risorse finanziarie, umane e strumentali correlate alle funzioni attribuite ai sensi delle intese” sono assegnate alle Regioni, lasciando quindi intendere che saranno queste ultime a decidere se e come devolverle ai Comuni ed alle altre istituzioni locali. Circostanza che, evidentemente, contrasta con il modello delineato dall’art. 118 Cost. ma che rileva soprattutto perché annienterebbe i presupposti che devono motivare la richiesta del riconoscimento dell’autonomia differenziata. Infatti, se non sono l’efficienza e l’efficacia degli apparati amministrativi che presiedono allo sviluppo culturale, sociale ed economico, quali sono le ragioni che possono giustificare il riconoscimento dell’autonomia differenziata ad una Regione?

Non certo lo sviluppo del suo apparato amministrativo che mortificherebbe non solo le esigenze di crescita dei territori concreti che ne formano lo spazio geografico ma anche quelle dell’intero Paese che soltanto da una cooperazione generale di tutte le Autonomie può trarre la spinta necessaria ad una sua ripresa.

Del resto, come è noto, oggi tutti i processi di sviluppo partono ed hanno come soggetti propulsori le Istituzioni locali ed, in particolare, le grandi Città. Senza un loro protagonismo difficile è immaginare percorsi virtuosi di sviluppo e di progresso economico, sociale, culturale. Le Regioni (soprattutto, queste Regioni derivanti dai Dipartimenti statistici di Piero Maestri e Cesare Correnti) non possono quindi farcela da sole. Sarebbero travolte dal ritorno di una logica da microstaterelli. Per evitarlo, l’apporto degli Enti locali diventa allora irrinunciabile ed il ddl. Boccia deve sancirlo pienamente.

Natale, in vacanza 12,9 mln di italiani (+19%)

Ben 12,9 milioni di italiani hanno deciso di trascorrere almeno un giorno fuori casa durante le festività natalizie e di fine anno con un forte aumento del 19% rispetto allo scorso. E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe’ per le partenze nelle festività di Natale dalla quale si evidenzia un deciso orientamento a rimanere in Italia, scelta quest’anno come meta dall’81% dei vacanzieri.
La spesa media sarà di 434 euro per persona con un aumento del 7% rispetto allo scorso anno e si allunga ad una media di sei giorni la durata della vacanza natalizia con – sottolinea la Coldiretti – il 26% che starà fuori tre giorni al massimo, il 51% dai quattro ai sette giorni, il 17% da otto a quindici giorni ed il restante 6% ancora di più.
Il 67% ha scelto di alloggiare in case proprie, di parenti e amici o in affitto mentre il 24% preferisce l’albergo ma tengono le formule alternative come bed and breakfast e agriturismi.
La stragrande maggioranza dei vacanzieri (74%) prenota le ferie da solo, soprattutto attraverso internet, – continua Coldiretti – mentre un 19% si affida a tour operator e agenzie viaggi e un 7% si affida ad altri o preferisce improvvisare.
Sul podio delle destinazioni – continua la Coldiretti – salgono le città e le località d’arte con il 48% seguite dalla montagna con il 38% mentre il resto si divide tra terme, mare e campagna. Sono quasi un milione – stima la Coldiretti – i vacanzieri che per Natale e/o Capodanno hanno scelto l’agriturismo alla ricerca di riposo e di tranquillità lontano dalle preoccupazioni. La capacità di mantenere inalterate le tradizioni enogastronomiche nel tempo resta – continua Coldiretti – la qualità più apprezzata degli agriturismi italiani che si confermano infatti come la più valida alternativa ai pranzi e ai cenoni casalinghi delle feste.
Nel tempo gli oltre 23mila agriturismi italiani – conclude la Coldiretti – hanno però qualificato notevolmente la propria tradizionale offerta di alloggio e ristorazione con servizi innovativi per sportivi, nostalgici, curiosi e ambientalisti, come l’equitazione, il tiro con l’arco, il trekking o attività culturali come la visita di percorsi archeologici o naturalistici, ma anche corsi di cucina e wellness.