Non ci possiamo rassegnare a questa involuzione del confronto politico. Mentre l’Ucraina combatte la sua guerra di resistenza e il Medio Oriente brucia per l’attacco dei terroristi di Hamas, la pubblica opinione resta suo malgrado invischiata nella farragine di polemiche incontrollate, ognuno esibendo le proprie ragioni e i propri disagi, senza una sincera prova di consapevolezza per le emergenze della nazione. La democrazia ha questi limiti fisiologici, ma serve ricordare che non andrebbero mai superati, specie quando si agita una bandiera di rinnovamento.
Non so se abbiamo fatto bene a usare la parola “centro” per sintetizzare la voglia di autonomia rispetto a uno schema di bipolarismo radicalizzato. Sta di fatto che in mancanza di un vocabolo più espicativo dell’essere “altrove”, né a destra né a sinistra, a tutti è sembrato più semplice ricorrere alla categoria meglio identificativa dello ‘stare nel mezzo’. Non siamo dunque riusciti a rendere apprezzabile ciò che esiste nel sentimento di un elettorato senza partito, e per questo deluso e smarrito come attesta da tempo l’abnorme livello di astensionismo.
Un elettorato che va comunque alla ricerca di una formula corrispondente, per qualche verso, al sano connubio riformatore che nella storia d’Italia, anche nella fase preparatoria dell’unità nazionale e poi nei passaggi cruciali del Novecento, ha sempre determinato le scelte politiche più importanti. Ecco pertanto l’elemento di frustrazione: la domanda – diciamo pure la domanda di centro – non trova soddisfazione. Non ha sbocchi politici, tanto che nella paralisi o nella confusione si apre il varco alla critica spesso severa, se non irridente. I media ne approfittano.
Ci disegnano ‘cattivi’, come accadeva alla povera Jessica Rabbit; solo che l’aggettivo assume un valore diverso, come quando parliamo di ‘moneta cattiva’. Un po’ contribuiamo noi stessi a questa fama senza gloria, dando corso ad azioni individuali e collettive non propriamente adeguate. E siamo addirittura ‘cattivi’ tra di noi, con le nostre pregiudiziali e idiosincrasie, sfidando con ciò la regola della moderazione che vorremmo applicata alla buona politica. In effetti, avremmo bisogno di curare il giardino della casa comune, invece di pensare al nostro orticello privato. Non è uno spettacolo degno.
Nostro dovere è correggere il tiro, spezzando la catena di recriminazioni e incomprensioni, andando tutti insieme al sodo delle questioni politiche. Il disegno della ‘Terza Forza’ resta valido, perché convince ed attrae un vasto settore della società civile. Noi ci crediamo, per questo lo sguardo è diretto in avanti, a un futuro prossimo che ignora i difetti dell’opera fin qui realizzata. Ce la faremo.