Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano
Vincoli al libero esercizio dei culti che mostrano un implicito sospetto nei loro confronti e, allo stesso tempo, tradiscono lo spirito «di apertura e libertà» della legge del 1905: ha espresso «inquietudine» la Conferenza dei responsabili del culto in Francia (Crfc) riunitasi martedì scorso per riflettere sulle misure di modifica della legge sulla separazione fra le Chiese e lo Stato. Una riforma che è ancora in fase di costruzione ma di cui si conoscono i principali obiettivi: trasparenza dei finanziamenti, rispetto dell’ordine pubblico, responsabilizzazione degli amministratori delle associazioni cultuali. Se all’inizio erano stati i dirigenti musulmani a esprimere al governo contrarietà su misure che apparivano studiate esclusivamente per controllare più da vicino la comunità islamica, ora sembra che le perplessità sulle modifiche coinvolgano tutte le religioni, i cui rappresentanti sono stati ricevuti un mese fa all’Eliseo.
Intervistato dal quotidiano «La Croix», monsignor Olivier Ribadeau-Dumas, portavoce della Conferenza episcopale francese, ha spiegato che, se è vero che lo scopo dell’esecutivo è di inquadrare meglio l’islam, è altrettanto vero che «ciò che riguarda un culto riguarda, di rimbalzo, tutti i culti». Pur non prendendo una posizione ufficiale comune, la Crfc avrebbe pareri convergenti: «Si può toccare la legge del 1905 solo per dei giusti motivi e ciò che ci è stato presentato dal governo non ci sembra legittimo. Inoltre, nel contesto attuale, è proprio opportuno?», si domanda il rappresentante cattolico. Per il presidente della Federazione protestante, François Clavairoly, le modifiche «non sono nello spirito di apertura della legge» e «tendono a restringere più che a estendere la libertà di culto». Conferma i suoi dubbi anche il presidente del Consiglio francese del culto musulmano, Ahmet Ogras: «Si passerebbe da un approccio di libertà di esercizio del culto a un approccio di sicurezza, è ciò è inammissibile». Tra le misure più criticate figurano l’obbligo, da parte delle associazioni cultuali, di dichiarare i finanziamenti stranieri superiori a 10.000 euro, e la presentazione preventiva di una “certificazione di qualità” delle stesse.
All’incontro del 5 febbraio non hanno partecipato i rappresentanti della comunità ebraica.