Ho partecipato alcuni giorni fa al forum organizzato a Padova da “Il Giornale del Veneto”, diretto dall’amico Dino Bertocco, sul tema: Civismo, Popolarismo, Sussidiarietà. Dopo la relazione iniziale, quanto mai coinvolgente, di Paolo Giaretta e la sintesi introduttiva di Bertocco, erano molto attesi gli interventi delle due ex ministre: Mariastella Gelmini (Azione–Calenda) e Elena Bonetti (Italia Viva-Renzi). Interpreti qualificate del pensiero cattolico, hanno entrambe esaltato l’impegno a ricomporre la più ampia unità tra le culture di ispirazione liberal democratica e riformista con quella, riconosciuta come fondamentale, della tradizione popolare.
Nel mio intervento ho evidenziato la positività di queste affermazioni, che hanno fatto seguito alle ultime svolte diCalenda, poiché superano quella che, con una certa ironia, avevo connotato come una sorta di “azionismo de noantri”, espressione di una cultura radicaleggiante anti cattolica e anti popolare, che, se fosse confermata, condannerebbe quell’esperienza a una condizione di permanente minorità.
Siamo alla vigilia di due importanti scadenze politico elettorali: le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo e di alcune realtà regionali, mentre tanto il terzo polo che la nostra frastagliata area cattolico democratica, liberale e cristiano sociale, sono accomunate dall’opposizione alla destra sovranista e nazionalista a dominanza di Fratelli d’Italia, e dalla distinzione e distanza da una sinistra oggi avviata sulla strada di una progressiva radicalizzazione, come confermato dal recente incontro di Campobasso della Schlein con Conte e Fratoianni.
Se l’obiettivo strategico è fissato sull’esigenza di un’alternativa concreta al governo della destra in Italia, i passaggi intermedi delle europee e regionali, favoriscono, col sistema proporzionale, una nostra possibile e doverosa ricomposizione, premessa indispensabile per concorrere alla formazione di un più ampio centro plurale con le culture politiche liberal democratiche e riformiste come è emerso dal forum di Padova. Un autentico spartiacque della politica per noi veneti da cui intendiamo ripartire. Positivo ciò che si è avviato con la piattaforma popolare 2024 dagli amici Tarolli e D’Ubaldo.
Nella nostra Regione del Veneto stiamo vivendo un momento molto delicato del partito che dal 2010 ha assunto la guida del governo regionale. La Lega ha appena eletto segretario il giovane Stefani, battendo nettamente il pur bravo Manzato, espressione più vicina all’impostazione tradizionale del leghismo veneto, cui è mancato l’apporto indispensabile del gruppo dell’assessore Marcato, che aveva denunciato il clima di violenza in cui si erano svolti i congressi provinciali. Il caso delle dimissioni del sindaco leghista di Castelfranco veneto si aggiunge alle denunce di Marcato, per cui sembra si stia verificando la teoria paretiana delle volpi e dei leoni: le volpi leghiste della prima ora si sono lentamente trasformate in leoni che, certo dispongono del potere derivante dal controllo assoluto regionale e di molti enti locali, ma, come ha denunciato Marcato, difettano “nella testa, nei piedi e nel cuore”. L’assessore regionale padovano intendeva rilevare la carenza strategica e tattica del partito, il venir meno dell’impegno diffuso sui territori, e una passione civile che non è più quella dei tempi eroici della prima ora della Liga Veneta.
Credo vada fatta una seria riflessione sulla Lega Veneta, considerato che i cinquant’anni della vita regionale sono contrassegnati dagli oltre venti anni di egemonia della Dc(1970-1995), con l’intervallo della giunta Pupillo (1993-94), il quindicennio infausto di Galan (1995-2010), quello de “Il Veneto sono io”, e i tredici anni ( 2010-2023) del presidente Zaia, tuttora in atto.
Guai se riducessimo la nostra analisi a una semplificazione eccessiva del fenomeno leghista. Sarebbe utile un seminario sul Veneto a oltre cinquant’anni dall’istituzione regionale: dall’egemonia Dc a quella leghista (2010-2023), che segue i quindici anni di guida di Galan (1995-2010), oggi insidiata dalla destra e con una partecipazione elettorale passata dal 94,6 % degli anni ’70 al 66,4 % degli anni’70, a poco più del 50% oggi.
Partiamo da una prima considerazione: il Veneto era bianco finché la società civile era bianca, e cioè dominata dalla cultura delle parrocchie. Quindi abbiamo conosciuto un mutamento sia nel contesto socio–culturale e religioso dei veneti che nel sistema politico elettorale. Dalla religione di senso comune all’autonomia del credere…Una commissione di studio da me coordinata, formata dai professori Nicola Berti (storico), Ulderico Bernardi(sociologo), e Ferrucio Bresolin, economista, fu voluta dalla Dc veneta a metà degli anni ’80, al verificarsi dei primi smottamenti elettorali verso la Lega, specie nell’area pedemontana del Veneto. Partiva dalla realtà artigiana, contadina e commerciale quel disimpegno dal voto alla Dc, identificata come responsabile di “Roma ladrona”.
La Lega, che assume l’egemonia-dominio dal 2010 in poi, non riesce tuttavia a imporre un proprio modello culturale,incentrato sulla primigenia idea della “veneticità”: il basso continuo, in senso metaforico, rappresentato dal cattolicesimo, nonostante i colpi subiti a causa della secolarizzazione, esercita ancora una discreta influenza, mentre invece “il venetismo” della Lega si limita a mettere il cappello (ideologico) sulla vitalità linguistica e dei costumi popolari, che la società veneta continua ad esprimere.
Il ruolo della “famiglia impresa” dagli anni antichi e sino a oggi: dai metalmezzadri degli anni ’60-70, anche nelle nuove professioni, rimane la famiglia come centro di autofinanziamento e di risparmio. Osserviamo che, dopo oltre 2000 giorni dal referendum vinto per l’autonomia, si è ancora al surplace per l’autonomia differenziata, che vede scarse possibilità di concreta realizzazione.
Persa la battaglia per l’autonomia, cosa rimane, allora, se non alcuni valori originari discendenti dalla cultura familiare di origine bianca, in larga parte ereditata da molti dei dirigenti e quadri della Lega, che abbiamo personalmente sperimentato nell’appoggio ricevuto nella battaglia vinta dal comitato dei Popolari per il NO alla riforma costituzionale renziana? Credo che esistano le condizioni per una svolta nella politica del Veneto, se, come ci auguriamo anche dopo l’incontro di Padova, riusciremo a costruire un’ampia alleanza popolare, liberale, socialista e repubblican, ossia un centro alternativo alla destra nazionalista e sovranista che, anche in questa regione, sta erodendo consensi alla Lega e a ciò che rimane di Forza Italia dopo la scomparsa di Berlusconi, capace di rappresentare gli interessi e i valori di quel 50% di elettorato che anche nel Veneto è renitente al voto.
Un centro–terzo polo che, come confermato nei lavori del forum, non può ridursi a una rappresentazione tardo azionista, anticlericale e anti popolare, considerato che nel Veneto, ancor più che nel resto del Paese, la cultura dei Popolari e dei democratici cristiani – si pensi a Tomelleri eBernini, sino a Bottin e a Frigo – rimane una di quelle ancora vitali, nonostante l’impetuoso fenomeno della secolarizzazione e del relativismo etico, anche da noi così diffusi.