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mercoledì, Marzo 12, 2025
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Giuseppe Donati isolato in Francia dai massoni: una pagina nera dell’antifascismo.

Dopo la firma dei Patti Lateranensi, accettati con distinguo dall’ex direttore del «Popolo», si risveglia l'anti-clericalismo dei socialisti e si arriva a sostenere l'incompatibilità dei cattolici con la cultura dell'antifascismo dell'esilio.

Gli anni trenta si aprono con una storia davvero spiacevole. L’avversione dei fuoriusciti a Parigi, socialisti e repubblicani, verso il cattolico Giuseppe Donati è infatti una delle pagine nere della loro vicenda emigratoria. Questi, già seguace di Romolo Murri ed esponente della Lega democratica nazionale, poi legato a Sturzo e direttore del «Popolo», ha un passato di democratico e di antifascista fuori discussione. Memorabili sono le denunce contro De Bono per il delitto Matteotti e contro Italo Balbo per l’uccisione di Don Minzoni, veri atti di coraggio contro il già avviato regime fascista. Denunce che gli fanno onore ma che lo costringono a sfuggire alle vendette.

Emigrato a Parigi, Donati si dimostra disponibile all’unità delle forze antifasciste, disponibilità per nulla scontata. Fa così parte degli ambienti del fuoriuscitismo, collabora alla «Libertà», settimanale diretto dal socialista Claudio Treves, su sollecitazione di Turati, e si dimostra attivo nelle battaglie contro la dittatura. Aderisce anche alla Concentrazione antifascista e alla Lega dei diritti dell’uomo (Lidu).

Nel 1929, però, in occasione dei Patti Lateranensi, prende una posizione anomala. Li condanna perché favoriscono un  regime dittatoriale, ma li approva perché pongono fine alla questione romana. Insomma una posizione tutt’altro che insensata e anzi storicamente fondata.

Drastica è però l’indignazione generale. Si risveglia l’anti-clericalismo dei socialisti e si arriva a sostenere l’incompatibilità dei cattolici con la cultura dell’antifascismo dell’esilio.

Donati viene espulso dalla Concentrazione antifascista, dalla Lidu, dall’Unione dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola” e così via. Insomma viene emarginato come un appestato e indicato come traditore. Questo dovrebbe essere l’antifascismo dell’esilio che si fa vanto del rigore morale!

Il 18 aprile del 1930, nel caffè “La chope de Strasbourg” (il boccale di Strasburgo), ritrovo abituale degli antifascisti, si tiene l’adunanza della sezione parigina della Lidu. Tra i presenti vi è il solito informatore che prende nota di tutti gli interventi e poi invia un telegramma all’ambasciata italiana a Parigi. Per gli storici è una grande fortuna, altrimenti non si saprebbe quasi nulla di certe riunioni.

Oltre alla spia vi sono circa una trentina di partecipanti; vi è anche Giuseppe Donati, il quale giustifica la sua partecipazione in quanto, non essendogli stata notificata alcuna decisione relativa all’espulsione, a suo dire fa ancora parte di diritto della Lidu e non intende dimettersi.

A quel punto Giuseppe Emanuele Modigliani, altra figura storica del socialismo riformista, chiede spiegazioni all’anconetano Alessandro Bocconi, nella sua qualità di presidente della sezione parigina della Lega. Chiede la ragione della mancata notifica. Aggiunge poi che prima di cominciare la discussione dell’ordine del giorno l’intruso venga espulso dalla sala.

Il nostro Bocconi, in evidente imbarazzo, risponde che probabilmente il segretario della sezione, dimissionario, aveva dimenticato di notificare a Donati le decisioni della commissione esecutiva e cioè l’espulsione senza ricorso. Contro Bocconi si scagliano Modigliani e Vittorio Picelli (fratello del più noto Guido, e già stretto collaboratore dell’espulso), definendo inetti lui e i membri del comitato e invitandoli a dimettersi. E pensare che tra loro vi è una stretta amicizia che Vera Modigliani, moglie del deputato, ha esaltato più volte nelle sue memorie. Ma, come si sa, l’amicizia è un fiore esposto alle tempeste di vento. 

A quel punto proprio Donati si alza chiedendo di parlare, dato che vuole chiarire pubblicamente la sua posizione riguardo al Concordato, evitando così che si diffondano malintesi. Per dei democratici il diritto di parola è sacro, ma non è per tutti così. Tanto più che un cattolico è stato sopportato per fin troppo tempo!

Turati e Treves (due giganti rispetto agli altri), presenti nella sala, intervengono affermando che Donati ha pieno diritto di parlare, mentre Bocconi (che proprio non ci fa una bella figura) e Modigliani, così come la maggioranza dei presenti, sostengono che tale diritto non gli debba essere concesso, dato che è stato espulso.

A quel punto gli animi si accendono e si leva un tale clamore da far accorrere lo stesso proprietario del locale, il quale fatica a riportare la calma; tanto più che nel frattempo si è accalcata una folla di curiosi fuori della sala, attirata dalle grida dei litiganti.

Turati e quelli che sono d’accordo con lui si alzano per uscire sostenendo l’impossibilità di continuare la discussione in tale atmosfera. Per questo la seduta viene sciolta e rinviata a data da destinarsi. I cantori dell’antifascismo dell’esilio non ripescheranno mai questo episodio, non certo esaltante.

L’anno successivo Donati, sempre più isolato per aver difeso le sue idee, per la sua onestà intellettuale, costretto alla fame (nonostante qualche aiuto economico fattogli arrivare da Sturzo e da Salvemini, che gli permette una breve parentesi di insegnante a Malta), distrutto nel morale, anche per il distacco dalla sua famiglia rimasta in Italia, muore a Parigi nel 1931 [precisamente il 16 agosto, ndr].

Resta la percezione piuttosto fondata di una egemonia massonica all’interno della Lidu. Se tali sono i dirigenti, come Luigi Campolonghi, Alceste De Ambris, Mario Angeloni, ne sono influenzati molti esponenti. Per di più i finanziamenti provengono dagli ambienti democratico-radicali francesi. Per questo un antifascista come Donati, in quanto cattolico, costituisce un’anomalia in tale organizzazione. Resta la delusione per la contraddizione di un’associazione che si vuole battere per la libertà e la dignità di ogni uomo e non rispetta questo principio per uno dei suoi adepti.

Per quel che riguarda Bocconi, ha già avuto e avrà modo di riscattarsi. Anche lui paga con più di quindici anni di esilio la sua fermezza antifascista, arrivando a respingere l’offerta di Mussolini in persona a tornare in Italia e ad abbandonare la militanza politica. Non a caso emula un caso affine, quello del suo amico Sandro Pertini.

Sarà poi Bocconi, bruciando le tappe ed entrando in polemica con Nenni, che a metà anni trenta, nell’esilio parigino, aprirà ai comunisti in vista della nascita del Fronte Unico, diventando così un tramite nei rapporti dei socialisti sia con Giustizia e Libertà sia con il Pci.

Ritornato in auge dopo la guerra, chissà se avrà parlato di Mussolini con Angelica Balabanoff, quando lei tornerà ad Ancona il 3 aprile 1947 e terrà un discorso dal balcone della Provincia. Era stata infatti una delle amanti del duce quando questi era socialista e Bocconi era stato testimone della loro separazione turbolenta proprio ad Ancona, in occasione del congresso nazionale del 1914. Si era alla vigilia della Settimana rossa e il rivoluzionario Mussolini aveva vinto la battaglia per l’incompatibilità tra socialismo e massoneria!

 

[Il testo qui proposto è il capitolo – intitolato “Donati a Parigi vittima della massoneria” facente parte del libro Il fattore umano. Storie nella storia, pp. 61-66, Affinità Elettive Edizioni, 2023. Si ringrazia l’autore e l’editore per l’autorizzazione accordata alla pubblicazione su questo blog.]