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sabato, Marzo 15, 2025
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Guardiamo a Moro per guardare avanti

S’è svolto ieri in Campidoglio il convegno promosso dal gruppo consiliare di Italia Viva su “Aldo Moro. Il progresso nella libertà”. Della relatrice che ha introdotto i lavori riportiamo il discorso integrale. 

La memoria di Moro è viva in mezzo a noi, anche in questo tempo di facili emozioni, presto consumate, e quindi di altrettanto facili distrazioni ed amnesie. È una memoria che segna il confine tra l’insoddisfazione per l’attuale dialettica impoverita dei partiti e la nostalgia – dunque, per i più giovani, il desiderio – di una politica vissuta all’insegna della complessità di parola e di pensiero. Moro è stato l’insuperabile maestro di una operosità riccamente motivata, per la quale le responsabilità dell’agire pubblico non possono essere assorbite nella spirale del puro pragmatismo. Più di altri ha saputo allegare all’impegno politico il rigore e la bellezza della creatività, per vincere la tendenza a trascurare le tensioni nascenti dall’esperienza democratica. Ha esercitato grandi ruoli ai vertici dello Stato, è stato in vario modo l’artefice e il difensore della centralità del suo partito, la Democrazia cristiana, ha pagato con la vita la determinazione con la quale immaginava di portare l’Italia al di là del Rubicone, rendendo compatibile e legittima nel quadro democratico l’alternanza di potere, fondamentalmente tra Dc e Pci.


Non era affatto il Kerenskji del compromesso storico, il cattolico disposto a dare le chiavi del potere a un partito – quello comunista – ancora vincolato all’ideologia marx-leninista ed esposto all’influenza dell’Unione Sovietica. Ambiva semmai a realizzare un disegno che avrebbe reso l’Italia un grande laboratorio politico, dando all’auspicato cambiamento del Pci, al riparo da qualsiasi ambiguità, il valore di una operazione finalizzata alla distensione internazionale e alla libertà nel mondo. Un disegno, insomma, di trasformazione a lungo termine, ma nel rispetto di regole e principi confacenti allo sviluppo di una società libera e solidale.

Ora, proprio nel compromesso storico Moro vedeva un rischio di svuotamento del pluralismo, prima nel tessuto civile e poi nell’ordinamento istituzionale, talché era alieno dal cedere sul punto: quella formula di compromesso, cara a Berlinguer, non entrò mai nel suo lessico politico. Il progresso esigeva la libertà ed essa, nell’orizzonte di un “umanesimo liberante” impresso nella lezione del cattolicesimo politico, costituiva la condizione imprescindibile del progresso. Moro incarnava, sotto questo aspetto, il motivo fondante della posizione democratica e cristiana: senza libertà non poteva esserci progresso.

D’altronde, la sua generazione aveva conosciuto la dittatura e la guerra, uscendo finalmente, dopo l’8 settembre, al sole della ritrovata libertà. Ecco cosa diceva ai giovani a mò di incoraggiamento dai microfoni di Radio Bari, l’emittente passata sotto il controllo degli antifascisti nei giorni successivi all’armistizio: “Oggi, nell’ora della rinascita della Patria, voi siete presenti ed attivi col vostro vero cuore in questa dolorosa primavera. Voi siete anzi, di questo tempo di riscossa, non solo gli artefici insostituibili, ma gli anticipatori […] C’è da riconquistare la nostra libertà. Il vostro sforzo […] ridarà all’Italia la sua libertà e le consentirà di sviluppare la sua vita nazionale nella linea della sua grande tradizione”.


E questo appello alla libertà, questa fiducia radicata nella coscienza dei veri democratici circa il fatto che per essa vive e si realizza la capacità degli uomini e delle donne di migliorare, avanzando verso mete di prosperità e di giustizia, resterà impresso in tutto il tempo a venire, passaggio dopo passaggio, specialmente quando le trame neofasciste e il rivoluzionarismo rosso avvieranno la stagione degli Anni di Piombo.

Bisogna riconoscere che l’antifascismo di Moro trovò espressione sempre più vigile ed allarmata dinanzi alle stragi che iniziarono a segnare la vita civile del Paese. Da quel momento, leggendo i discorsi dello statista pugliese, si nota come la libertà diventi per lui l’armatura a difesa delle istituzioni e a tutela degli interessi popolari. In occasione del suo ultimo governo, nel dicembre del 1974, non farà mancare il monito e la condanna per un fenomeno che non mostrava più il carattere del folclore nostalgico, ma s’incuneava minacciosamente nelle pieghe del tessuto democratico con l’obiettivo di arrestare o piegare il corso degli eventi, scardinando le basi costituzionali della nazione.

“È con profonda amarezza – diceva in quella circostanza – che si deve constatare come il fascismo rinasca dalle sue ceneri, dove lo avevano consumato la guerra esterna e la guerra civile, pur dopo trent’anni di normale vita democratica e di profonde innovazioni sociali e politiche”. E poi aggiungeva: “Per quanta efficacia possa esplicare il terribile gioco della violenza, per quanto ne risultino compromessa la sicurezza civile e minate le basi della convivenza, sia ben chiaro che non ci lasceremo sopraffare e che non sarà consentito ad un’infima minoranza di deviare il corso della storia e di annullare, con l’intimidazione ed addirittura l’uso della forza, il processo di riscatto civile e di elevazione sociale”. Moro, dunque, non ci parla di libertà in astratto e non ci offre un progresso senz’anima e valore.

Pur con un altro colore, “un’infima minoranza” ha comunque deviato il “corso della storia”, eliminando dalla scena, nel fatidico 1978, l’uomo più illustre dell’Italia democratica. L’eccidio di Via Fani è un tornante della storia. Un fiume lento ha cominciato a scorrere in altra direzione, con esiti a dir poco insoddisfacenti. Siamo giunti male, infatti, al superamento della democrazia bloccata; troppe ambiguità si sono riprodotte e mascherate, approfittando del naufragio dei grandi partiti popolari; tante fragilità, invece di essere sanate, hanno accompagnato il passaggio alla cosiddetta seconda repubblica. Al posto del “progresso nella libertà” abbiamo sperimentato una “libertà senza progresso”: l’Italia s’è scoperta più debole ed oggi sembra avanzare senza bussola. Populismo e sovranismo hanno mangiato la polpa della nostra democrazia.

Che fare, dunque? Siamo in un tempo che ci obbliga a riflettere sulla necessità di un nuovo riscatto. Nonostante tutto, una speranza ci deve ancora guidare e, grazie alla lezione di Moro, può in effetti guidarci oltre le nebbie di una politica depotenziata e immiserita, senza futuro. Il nostro impegno sta in questa scommessa di rigenerazione e cambiamento, per restituire forza a un disegno di progresso e di giustizia, avendo cura di una libertà che torni ad essere, in spirito di concretezza, una leva di “liberazione”. Per dare all’Italia un nuova, grande speranza di futuro.

 

Francesca Leoncini

Consigliere dell’Assemblea di Roma Capitale