L’Ufficio studi della Cgia di Mestre segnala come rispetto all’anno che ha preceduto la contrazione economico finanziaria, le famiglie italiane spendano oggi indubbiamente meno. Se nel 2007, infatti, le uscite mensili medie erano pari a 2.649 euro, due lustri dopo, benchè dal 2013 sia in corso una lenta ripresa, la soglia si è attestata a 2.564 euro (-3 per cento, pari in valore assoluto a -85 euro). E se al Nord (- 47 euro) e al Centro (-75 euro) le contrazioni registrate sono al di sotto della media nazionale, desta invece preoccupazione, la situazione del Mezzogiorno. Negli ultimi dieci anni, infatti, al Sud la spesa delle famiglie è crollata di 170 euro (-7,7 per cento): era pari a 2.212 euro nel 2007 ed è scesa a 2.042 euro un decennio successivo. Il calo dei consumi ha interessato negativamente anche sui fatturati delle piccole attività commerciali e artigianali. In questi ultimi anni, lo stock complessivo delle imprese attive nell’artigianato è costantemente sceso da 1.463.318 a 1.322.640, le attività del commercio al dettaglio, invece, sono diminuite in misura più contenuta, ma occorre recuperare la svalutazione culturale che hanno subito in questi ultimi anni le botteghe di prossimità e il lavoro artigiano.
“I piccoli negozi – ha sottolineato il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo – vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie e sebbene negli ultimi anni i consumi siano tornati lentamente a salire, i benefici di questa ripresa hanno interessato quasi esclusivamente la grande distribuzione organizzata. Dal 2007 al 2018, ad esempio, il valore delle vendite al dettaglio nell’artigianato e i nei piccoli negozi di vicinato è crollato del 14,5 per cento; nella grande distribuzione, invece, è aumentato del 6,5 per cento. Nonostante la diffusione sempre più massiccia dell’ e-commerce, questo trend è proseguito anche nel 2018: mentre nei supermercati, nei discount e nei grandi magazzini le vendite sono aumentate dello 0,9 per cento, nei piccoli negozi la diminuzione è stata dell’ 1,3 per cento”.
Se nell’ultimo decennio (2007-2018) i consumi delle famiglie per funzione principale hanno visto i beni crollare del 10,4 per cento, le spese per i servizi, invece, sono aumentate del 6,9 per cento. Tra i beni, quelli più penalizzati dalle scelte d’acquisto sono stati i non durevoli che sono scesi del 12,8 per cento. I beni durevoli hanno registrato una diminuzione del 5,5 per cento, mentre i beni semidurevoli sono scesi del 5,1 per cento. Analizzando le singole voci, le più penalizzate sono state i trasporti (- 15 per cento), le bevande alcoliche (-13,4 per cento) e l’arredamento (-10,5 per cento). Segno positivo, in particolare, per alberghi/ristoranti (+8,2 per cento) e le comunicazioni (+17,9 per cento). Lo scorso anno invece, sia la vendita di beni sia quella di servizi è aumentata, rispetto al 2017, dello 0,7 per cento. Le uniche voci precedute da segno negativo sono state gli alimentari (-0,1 per cento), la sanità (-0,6 per cento) e le bevande alcoliche (-1,4 per cento).
“Con le tasse in aumento e con una platea di servizi erogati dal pubblico che negli ultimi anni è diminuita sia in qualità sia in quantità – ha detto il segretario della Cgia Renato Mason – si sono sacrificati i consumi e gli investimenti. Inoltre, è diventato sempre più difficile fare impresa e redistribuire la ricchezza. Alle piccole e piccolissime imprese, in particolar modo, il calo dei consumi delle famiglie ha creato non pochi problemi finanziari, costringendo molte partite Iva a chiudere i battenti”.