I convegni di corrente e la bellezza della politica. Del passato…

L’irrompere dei partiti personali, la presenza di correnti di mero potere e l’assenza dibattito interno hanno di fatto azzerato la possibilità di dar vita a convegni che riscuotano una forte attenzione.

Alcuni la definiscono nostalgia – “canaglia” o meno che sia ha poco importanza – altri, più realisticamente, la chiamano consapevolezza di un livello politico che non è più replicabile. Parlo dei famosi e celebri “convegni di corrente” della Democrazia Cristiana, e anche di altri partiti dell’epoca, che si preparavano a fine agosto per celebrarli durante il mese di settembre. Certo, si trattava di convegni, soprattutto quelli delle correnti Dc, che dettavano l’agenda politica per l’intero paese in vista dell’autunno. Convegni che richiamavano l’attenzione di tutti i media politici del tempo e su cui tutti i partiti, tanto di maggioranza quanto di opposizione, erano costretti a farci i conti. Per la valenza di quelle riunioni, per l’autorevolezza degli interlocutori e, soprattutto, per la profondità delle analisi e la forza delle proposte e dei progetti che emergevano puntualmente da quelle kermesse.

Su quasi tutti svettava il tradizionale convegno della sinistra sociale della Dc che si organizzava quasi sempre a Saint-Vincent, nella celebre località valdostana. Lì Carlo Donat-Cattin, con gli altri esponenti di Forze Nuove, trasformava il convegno di corrente in un momento di straordinaria progettualità politica, culturale e sociale a livello nazionale. Una corrente che contava a malapena tra il 6 e l’8% dei consensi all’interno della Dc che si trasformava in una palestra di confronto e di dibattito richiamando, appunto, l’attenzione della intera politica italiana. Per non parlare, come ovvio e scontato, della vita interna alla Democrazia Cristiana. Si trattava, insomma, di un “capolavoro” politico, organizzativo e mediatico che si rinnovava di anno in anno e che faceva della politica e della sua concreta elaborazione progettuale la sua cifra distintiva.

Dopodiché non si può non parlare di Lavarone, di Chianciano o di San Martino di Castrozza, ovvero i celebri convegni della sinistra politica della Democrazia Cristiana. Quella di De Mita, Granelli, Galloni, Bodrato, Martinazzoli, Elia, Rognoni e molti altri. Anche lì, momenti di straordinario richiamo politico nazionale, seppur con meno ambizione sul piano organizzativo. Si trattava, comunque sia, di grandi e qualificati momenti di confronto politico e culturale. Per non parlare, ancora e sempre della Democrazia Cristiana, dei convegni di Sirmione dell’area moderata del partito altrettanto importante e carica di significati politici. E, accanto ai grandi momenti nazionali, si susseguivano gli incontri regionali ed interregionali delle svariate correnti della Dc – correnti, il più delle volte, di “pensiero” e non di mero potere e di conta delle tessere come le decine e decine di correnti e gruppi dell’attuale Partito democratico – e il tutto contribuiva a creare una attesa di politica e di contenuti politici quantomai selettiva ed importante. E soprattutto dai grandi organi di informazione e dalla stessa pubblica opinione politicamente più attenta e motivata.

Certo, non mancavano altri appuntamenti politici ed organizzativi in altri partiti. Ma erano di minor interesse oppure organizzati con altre modalità. Non nel Pci, dove vigeva il centralismo democratico che, di fatto, impediva alle singole “sensibilità” culturali interne di potersi esprimere pubblicamente e con sana e pluralistica trasparenza democratica. Nei partiti laici la tradizione era meno sperimentata per la scarsa consistenza numerica di quelle formazioni politiche mentre nell’area socialista c’era più fermento e vivacità ma la robusta tradizione correntizia interna era meno sensibile ad organizzare convegni annuali e di grande richiamo mediatico.

E sin qui il passato. Ora, è di tutta evidenza che l’irrompere dei partiti personali e del capo; la presenza di correnti di mero potere e con scarsissima qualità politica accompagnata da una impercettibile ed indecifrabile rappresentanza sociale e culturale come capita nel Pd e l’assenza di un sostanziale dibattito politico interno ai vari partiti – per non mettere in difficoltà il verbo o il dogma del “capo” – hanno di fatto azzerato la possibilità di dar vita a convegni che riscuotano una forte e motivata attenzione politica.

È solo una questione di cambiamento inesorabile dei tempi e di un adeguamento al tanto sbandierato nuovismo? La risposta è persin troppo semplice e scontata: no! Si tratta, semmai e al contrario, di un progressivo, e speriamo non irreversibile, deterioramento della politica e dei suoi strumenti organizzativi. Prima ne prendiamo atto e meglio è. Non per una questione riconducibile alla tentazione nostalgica ma, come ovvio, per porre le radici per un nuovo ‘ritorno’ della politica, dei partiti e delle rispettive culture politiche. Come, semplicemente, avveniva ai tempi di Saint-Vincent, Lavarobe, Chianciano, Sirmione e via elencando…