Meloni, prove tecniche di presidenzialismo.

È legittimo che la Presidente sostenga una sua riforma in senso semipresidenziale. Intanto non dimentichi di essere stata nominata dal Presidente della Repubblica, sicché il suo governo deve rendere conto al Parlamento.

Da tempo ho l’abitudine mattutina di leggere Repubblica, Stampa e il Corriere della Sera. Lunedì scorso ho letto su ciascuno di questi importanti quotidiani nazionali un’intervista alla Presidente Meloni. Mi ha stupito constatare che le tre interviste sono pressoché analoghe nelle domande e nelle risposte. Eppure i tre inviati erano presenti a Ceglie di Massapica dove la presidente in vacanza ha concesso ai giornalisti venti minuti del suo tempo, sicuramente troppo poco per approfondire i nodi principali dell’attualità politica. Forse per questo motivo i giornalisti avranno dovuto concordare in anticipo tra di loro le domande, facilitando così la Presidente a comunicare le sue opinioni.

Mi aspettavo che con ben tre interviste fatte alla vigilia di ferragosto, la Presidente avrebbe colto l’occasione per dire finalmente qualcosa su temi sui quali finora ha preferito tacere: sul raddoppio del numero dei migranti, sull’inflazione, sul caro benzina, sulle concessioni balneari, sulle vacanze degli italiani in Albania, sulle licenze dei taxi, sul caro voli, sulle dichiarazioni fatte dal responsabile della comunicazione della Regione Lazio, sul perché continua ad ostinarsi a non dire che la strage di Bologna è di matrice neofascista, etc.L’aspettativa è stata delusa. Qualora fossero state poste domande su questi temi la Presidente Meloni non avrebbe probabilmente risposto, magari evocando complotti nei suoi confronti.

La Presidente, nelle poche conferenze stampa concesse, ha dimostrato purtroppo un evidente fastidio nei confronti dei giornalisti che fanno domande ritenute da lei ‘scomode’ e ciò è un serio problema per la democrazia. In realtà teme che sia rilevata la distanza, ogni giorno sempre più evidente, tra promesse elettorali e reali azioni di governo. Teme che il programma elettorale con il quale la destra ha vinto, si dimostri irrealizzabile perché non ancorato alle reali risorse pubbliche note già un anno fa. Teme di doversi trovare presto nella situazione di essere costretta a scegliere dalla parte di chi stare. Teme che l’immagine tranquillizzante che sta dando di sé a livello internazionale possa essere incrinata dal passato politico del suo partito. Per questo motivo è allergica alle vere conferenze stampa e in alternativa ricorre a video autoprodotti, trasmessi diligentemente da tutte le reti televisive, utili soltanto alla propaganda e non a una corretta informazione.

Le interviste ‘analoghe’, o direi quasi uguali, a Repubblica, Stampa e il Corriere hanno avuto però a mio avviso il ‘merito’ di marcare una fase di passaggio, da non sottovalutare, nelle istituzioni: sono iniziate le prove tecniche del presidenzialismo meloniano. Sui dubbi e le perplessità espressi dal vice premier Tajani sul decreto per colpire gli extra profitti delle banche, la Presidente dichiara: “Ma su questi temi è più facile intervenire se le notizie non girano troppo. Quindi ci può essere stato un problema di metodo. Normalmente i partiti della coalizione sono coinvolti, ma questa era una materia particolare, sulla quale mi sono assunta la responsabilità di intervenire”. Alla domanda se il ministro competente Giorgetti, che aveva espresso pochi giorni prima alcune perplessità, ne fosse stato informato risponde: “Certo, è il ministro che doveva scrivere il provvedimento. Ma io non ho fatto tutte le riunioni che faccio di solito. C’era anche una questione di tempi, il decreto è stato fatto nell’ultimo Consiglio dei Ministri.”. La Presidente coglie quest’occasione anche per assumersi la paternità totale del provvedimento, accantonando l’esistenza di un patto con il vice premier Salvini: “E’ un’iniziativa che ho assunto io”.

Quindi la presidente non ha informato a sufficienza gli alleati sul provvedimento perché si fida poco o niente e se ne è assunta, con una postura autoritaria, la responsabilità  dicendo in sostanza ‘qui comando io’, e ciò in netto contrasto con l’art. 95 della Costituzione: “Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando la attività dei Ministri”. 

Per adesso la Costituzione è questa. È legittimo che la Presidente sostenga una sua riforma in senso semi presidenziale che assegnerebbe poteri forti all’uomo o alla donna sola al comando a discapito del Parlamento e del ruolo di garanzia del Capo dello Stato. Nel frattempo non dimentichi però di essere stata nominata dal Presidente della Repubblica, che il suo governo deve rendere conto al Parlamento, dove peraltro dispone di un’ampia maggioranza che le consente di agire con incisività e tempestività senza alibi. Per questo motivo eviti di sostenere che un sistema semi presidenziale potrebbe essere più tempestivo di quello attuale perché non sarebbe credibile.

Per i partiti minori della maggioranza al governo dovrebbe ormai essere chiaro che il loro sostegno al semi presidenzialismo li renderebbe ancora più ininfluenti di quanto non lo siano adesso: taglierebbero il ramo su cui sono seduti.