I Popolari di fronte al fascismo. Un tracciato storico a 100 anni dalla Marcia su Roma. Alcune pagine del libro di Giorgi.  

 

Lo studio di Luigi Giorgi – I liberi e forti non vacillano. Il Partito popolare italiano nel Lazio (1919-1926), Atlantide editore, Latina 2021 – permette di leggere con la lente d’ingrandimento l’esperienza del Ppi in un contesto delicato e strategico, se non altro per la “consistenza” del dato riguardante la città di Roma. Di seguito, per gentile concessione dell’autore e dell’editore, riportiamo alcuni stralci che permettono di inquadrare la prima resistenza dei Popolari di fronte alla irruzione del fenomeno dittatoriale fascista.   

 

Luigi Giorgi

 

Il secondo governo Facta ebbe la fiducia il 10 agosto. Ma oramai si era incamminati verso la resa dello Stato liberale al fascismo. Mussolini fu abile nel mantenere una sostanziale ambiguità giocando su più tavoli, intrecciando oltretutto trattative con i suoi possibili alleati e rivali da Giolitti a Nitti, da Salandra allo stesso Facta.

 

La marcia fu effettuata alla fine di ottobre. Nella notte fra il 26 e 27 ottobre i dirigenti del Partito fascista dovevano consegnare il potere nelle mani dei quadrumviri, Bianchi, De Bono, Balbo e De Vecchi.

 

La concentrazione di fascisti alle porte di Roma avrebbe potuto essere sciolto con la firma dello stato d’assedio (il decreto era stato già preparato da Facta) da parte del re. Cosa che non avvenne. Vittorio Emanuele III affidò l’incarico a Mussolini di formare un nuovo governo il 30 di ottobre.

 

Interessante quanto scriveva il settimanale popolare Il Popolo nuovo sul rifiuto del sovrano di firmare lo stato d’assedio: «Capovolgimento della situazione. Situazione gravissima. Il fascismo ha il passo libero su Roma per la conquista dei poteri pubblici, dello Stato. Principio o fine della crisi? Esprimere giudizi su quanto sta avvenendo, è assurdo in questo momento; l’ansia con cui assistiamo a questo rivolgimento – e perché non dirlo? – a questa rivoluzione ci impedisce di farlo».

 

[…]

 

Mussolini presentò il suo governo, cui parteciparono i popolari (Tangorra al Tesoro, Cavazzoni al Lavoro, Vassallo sottosegretario agli Esteri, Milani sottosegretario alla Giustizia, Gronchi sottosegretario all’Industria e Commercio e Merlin alle Terre liberate), con una decisione che avrebbe creato non poche polemiche in quanto presa dal Direttorio del Gruppo parlamentare (nemmeno al completo) senza l’approvazione della segreteria politica del Partito. L’Esecutivo Mussolini venne presentato il 16 novembre con il noto intervento «dell’aula sorda e grigia»: conosciuto come il discorso del «bivacco». Un intervento dai toni decisamente aggressivi, che non lasciava presagire nulla di positivo per la fragile democrazia italiana.

 

Di particolare rilievo quanto si poteva leggere su Il Popolo nuovo in merito alla partecipazione del Partito al governo Mussolini, soprattutto nel passaggio nel quale si scriveva che:

 

Gli amici, le Sezioni, le Amministrazioni comunali e provinciali di parte nostra, che in varie parti d’Italia, nonostante gli ordini del Governo, sono fatte segno alle ire locali, e quindi sentono forte il disagio tra la loro passione e la partecipazione del Gruppo Popolare al Ministero, sappiano valutare tutto il fenomeno che in questi giorni ha interessato la Nazione al di fuori di ogni forma tradizionale e di ogni norma costituzionale per una visione sintetica dei problemi generali; e sappiano che i nostri uomini al Governo cercano con ogni attività di temperare le asprezze e gli urti locali, di attenuare gli effetti di lotte passate, di avviare le varie forze e organizzazioni in contrasto e in lotta, verso un terreno di tolleranza e di convivenza, che renda possibile e auspicata la pacificazione del Paese. Ieri come oggi e come domani il nostro Partito è al suo posto, con il suo programma, con i suoi organi, con i suoi uomini senza nulla rinunziare ai suoi ideali, senza nulla pentirsi del suo lavoro e dei suoi sacrifici per la patria comune.

 

Un breve commento che lasciava trasparire la sofferenza della decisione, le opposizioni che sorgevano rispetto a questa scelta e la necessità, comunque, di individuare un ruolo popolare all’interno dell’alleanza di governo. Allo stesso tempo, pur nella difficoltà, emergeva il senso ultimo, seppur in modo farraginoso, della decisione e cioè il pregresso di violenze, scontri, tensioni, che aveva determinato la scelta popolare nella speranza di porvi, in qualche misura, fine e di contribuire così ad un rasserenamento del clima generale.

 

Per il testo completo leggere “Per l’Azione-Democraticicristiani”.

https://ildomaniditalia.eu/wp-content/uploads/2022/02/NUMERO-3.pdf