IL PREAMBOLO CONTE

Il M5S è allo sfascio e l’avvocato del popolo appare un generale senza esercito, rappresentante a mala pena se stesso. Dove vuole arrivare Conte? Se Draghi dovesse capitolare per i navigator o il termovalorizzatore di Roma, ne seguirebbe un danno per l’Europa, indebolita rispetto a una Russia sempre più minacciosa.

Con il Movimento in stato confusivo e lacerato dalla scissione di Di Maio e dei transfughi di Insieme per il futuro, Conte cerca di far quadrato con le truppe rimaste e punta i piedi con il premier Draghi per ottenere un “forte segnale di discontinuità”. Due volte Primo Ministro, suo malgrado, di due Governi alternativi tra loro per programmi e alleanze, usa la lancia e lo scudo per piazzarsi al centro dell’agenda politica, sfidando il suo invocato interlocutore. Latore di nove punti condensati in alcune pagine di conditio-sine-qua-non, dimostra di non soffrire di complessi di inferiorità. Ma le pretese da penultimatum sono più simboliche che sostanziali: il movimento è allo sfascio, in ordine sparso, e l’avvocato del popolo è come un generale senza esercito, a mala pena rappresenta se stesso.

Il direttore de il Riformista Piero Sansonetti lo menziona come il nulla, qualcosa di cui si parla ma che non esiste. Sbattuti i pugni sul tavolo si affretta a rassicurare le istituzioni e la politica. Per ora restiamo, poi vedremo. Non si accorge che la strategia dell’attacco e del rinvio a lungo andare non regge: o dentro o fuori, il problema è che il contributo portato dai 5S è stato dispendioso, la trentina di miliardi impegnati per imporre e difendere all’arma bianca il reddito di cittadinanza sono uno scandalo che meriterebbe una commissione parlamentare d’inchiesta. Subentra a chiedere il rinnovo di disastri che Di Maio ha disconosciuto, convertendosi sulla via del centro ma senza cadere da cavallo. Il Memorandum della via della Seta è una spada di Damocle per l’Italia e per l’Europa ma nessuno per il quieto vivere ha mai detto che si trattava di un errore del 2019 che può diventare un cavallo di Troia nella geopolitica internazionale attuale, con Russia e Cina che non nascondono mire espansionistiche sui mercati mondiali. Eppure il tono delle rivendicazioni di Conte e il modo di presentarle al premier in carica dimostrano l’immaturità del movimento. 

È passato il tempo in cui giocando di rilancio e assemblando il voto di protesta, i Cinue Stelle (o quel che resta di loro) indossano un giorno il gilet giallo e l’altro la grisaglia. Stupisce tuttavia una certa protervia di fondo, l’arroganza di ergersi a paladini dei poveri e degli indifesi, all’opposizione su tutto ma lesti nel porre condizioni senza mediazioni al ribasso. Se in uno stato di emergenza, con un Governo composito, ciascuna forza politica imponesse veti senza mediazione cadrebbe tutto come un castello di carte. Macron è un’anatra zoppa, Boris Johnson estromesso, Scholz indeciso: se anche Draghi dovesse capitolare per i navigator o il termovalorizzatore di Roma, l’Europa mostrerebbe le terga ad una Russia sempre minacciosa.

Il preambolo Conte è un insieme di aut aut a matrice elettorale che trasuda demagogia e populismo, un lungo elenco di rivendicazioni in stile giacobino come nelle corde del grillismo deteriore. Mi viene in mente una frase storica di Rino Formica, vecchia volpe della prima repubblica: “La politica è sangue e merda”. C’è sempre qualcuno disposto a ricordarcelo.