Israele, Gaza e uno sputo di terra da troppo contesa.

Uomini contro uomini reclamano una terra promessa e per fare questo usano missili aria terra e viceversa, strisciando come topi raso terra per non farsi impallinare dai colpi dell’altra parte.

Il 12 ottobre 1492 Rodrigo di Triana dopo giorni e giorni di navigazione, avvistando l’isola di San Salvador, gridò “Terra”! Era a bordo della caravella “Pinta”, la dipinta, e prese il premio per essere stato il primo all’avvistamento di una costa dopo tanto mare. Da subito si partì con il piede sbagliato.

Il marinaio in realtà si chiamava Juan Rodriguez ma ormai la storia gli aveva estorto il battesimo di origine marchiandolo con altro nome. La terra da subito crea inciampi e confusioni.

Strana parola “terra”, difficile da gestire e che si presta subito a modi di dire non sempre felici, di quelli che piuttosto ti buttano a terra. Dicono che abbia piede da una radice indoeuropea, da “tersa”, volendo dire una parte secca da contrapporre a quella acquosa.

C’è poco di terso nel futuro di Gaza; ciò almeno osservando come è adesso in aria la polvere che si alza dallo scoppio di razzi e bombe, che fanno da paravento alla morte subito dopo la coltre di fumo, impedendo pietosamente di rendere subito chiara la morte dietro di essa.

Adesso da quelle parti si sta facendo guerra per mare e per terra, si mettono a terra i destini e le vite di popoli che rantolano rabbia contro un nemico che a troppi nomi tutti occulti e sfuggenti e che così sfugge all’insulto dovuto.

Si sono messe carte a terra con la volontà di finire una volta e per tutte la partita di sopravvivenza ora in corso. Si fa terra bruciata di quelli che vogliono toglierti di mezzo e tutto questo per un pugno di terra, qualcosa comunque di minuscolo rispetto al resto del mondo.

Uomini contro uomini reclamano una terra promessa e per fare questo usano missili aria terra e viceversa, strisciando come topi raso terra per non farsi impallinare dai colpi dell’altra parte.

C’è chi svicola nei tunnel per nascondersi per poi sbucare fuori e muovere guerra e quelli che invece vogliono stanarti perché la morte ti sia ben visibile quando verrà a prenderti.

Tunnel è termine della terra di Francia, “tonneau” indica la botte dove riporre il vino o il sangue che sta inondando Gaza uscendo dalle crepe di quei tunnel e dalle strade e ovunque ci sia traccia d’uomo.

Ci si danno botte da orbi ma non come nei film, le pallottole sono vere e i morti non si rialzano dopo la fine delle riprese. Più che una terra promessa sembra una terra condannata ad essere ambita e contesa, malgrado sottoterra manchi di petrolio ma sappia solo di tragedie, una sull’altra, componendone strati massicci.

Il tunnel è anche un budello o una strettoia, dove vengono fuori budella di uomini, donne e bambini, soldati e assassini, nel migliore dei casi feriti al ventre e che cercano da sciamani di leggere se la scamperanno o se stanno per lasciarci la pelle.

Il tunnel è la strettoia conforme a quella striscia di terra che non trova pace. Ben altro che la Terra nutrice degli antichi.

Lì sotto si sta nel buio decantando che gli occhi hanno modo di riposarsi dalla luce sgradevole dei tiranni avversi.

L’area palestinese è una terra di modeste dimensioni. Sia la striscia di Gaza che Israele hanno una forma allungata, simile ad una lingua che parla troppo spesso in modo biforcuto e continuamente imbroglia le buone intenzioni di convivenza dei popoli che la abitano. Babele ha lasciato segni che sembrano tradire gli sforzi di ogni chirurgia estetica di una politica con bisturi spuntati.

Quello è uno spicchio del mondo che è condannato a vivere soltanto in tempo presente, esclusivamente concentrato alla propria sopravvivenza, ogni energia rivolta a respirare per come possibile, nulla da questo può essere distratto.

Il presente è un costante innanzi a ciò che sono. Quando si regala un dono è usanza dire di aver portato un presente. A Gaza il presente è una disgrazia, una attenzione che nessuno si augura di avere.

SI dice che alcune popolazioni sudamericane rovescino i termini di quanto si creda. Il passato, in quanto conosciuto, sta avanti. Al contrario, del futuro non ci sarebbe da fidarsi. È ignoto e arriva alle spalle senza preavvisi e nelle forme che non puoi scegliere o rifiutare e che devi necessariamente subire.

Passato è ciò che è trascorso nel tempo ma che è anche un passato di speranze andate in fumo, poltiglie di quanto ogni volta sembrava quasi a portata di mano, spremuta di attese rimaste fatalmente tali. Anche in cucina si ricorre ad un passato per rendere più digeribile e delicata una pietanza che altrimenti risulterebbe più impegnativa a mandar giù.

A Gaza e dintorni il futuro ha la certezza della ripetibilità di una morte non gentile o ancor meglio che si possa avere un futuro accettabile solo dopo la morte.

Di nuovo, ad ottobre, appena qualche giorno prima del nostro Rodrigo di Triana, sia pure un po’ di secoli dopo, gli assassini di Hamas ha avvistato una umanità da far fuori dando inizio alla operazione Al-Aqsa flood, alluvione Al-Aqsa.

Al-Aqsa è anche il nome della terza moschea dell’Islam, è il “tempio lontano” ed anche il terzo sito sacro dell’Islam posta sul Monte del Tempio di Gerusalemme. La Moschea ad aprile è stata presa d’assalto dalla polizia israeliana per varie ragioni, durante il periodo del Ramadan, portando via oltre 300 persone.

Ora è giunta per vendetta la risposta di Hamas con la sua alluvione di terrore. Lontana è diventata anche la prospettiva di una normalità in uno sputo di terra da troppo in conflitto.

Non si è trattato di acqua ma di sangue sparso per irrorare la proclamazione di una guerra. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Ora si fa a gara a chi picchia più forte.

Noè si salvò dalla tempesta delle acque, insieme alla famiglia ed alle bestie del mondo, per dare a tutti un nuovo giorno. Questa volta non si intravede un’arca in grado di ripetere l’impresa.

Tempesta perfetta in meteorologia è quello che colpisce l’area più vulnerabile di una regione. E’ questo il solo primato di cui quella terra può vantarsi.