LA PROMESSA DI DAVID, GIORNALISTA PER PROFESSIONE E POLITICO PER VOCAZIONE.

“Vissuta così, come l’ha vissuta Sassoli, la politica può apparire un cammino lento, faticoso. Ma è l’unico modo per consentire a tutti di contribuire al bene comune”.
Pubblichiamo il ricordo che ieri, 19 dicembre 2022, all’Istituto Sturzo, Ruffini ha dedicato alla figura di David Sassoli. Il titolo assegnato al testo è della redazione.

 

Da quasi un anno, sulla mia scrivania c’è una foto con David Sassoli di una quindicina di anni fa. Lui sorridente e pensoso con la sua immancabile sigaretta, mentre stava ascoltando qualcuno che si era rivolto a lui. Perché David era così. O, almeno, è così che lo ricordo io.

Lui domandava, si interessava. Ti chiamava all’improvviso per conoscere il tuo punto di vista. Per sapere a che punto eri con il tuo percorso. Per ascoltarti. Nelle sue parole, sentivi che ti stava riconoscendo un ruolo in un grande mosaico di cui tutti siamo una piccola parte, una singola tessera. E lui, quel mosaico, cercava continuamente di metterlo a fuoco. E di raccontare. In ogni suo interlocutore riconosceva un’insostituibile ricchezza, una parte di verità e, quindi, il pieno diritto di essere coinvolto in un progetto comune. Era questo il suo modo di fare politica.

Ti faceva sentire coinvolto. Anzi ti coinvolgeva, ti trascinava, spingendoti a volgere lo sguardo su quel cantiere perennemente aperto che è la nostra comunità, il nostro Paese, la casa Europa e il mondo intero dove tutti siamo chiamati a lavorare. Un cantiere dove viene realizzato un progetto che ogni giorno si arricchisce di nuovi particolari. Perché la politica è proprio questo. Un progetto che non è mai dato una volta per tutte. Un progetto che continua a regalare lo stupore della scoperta di nuovi traguardi che si fanno sempre più chiari quando – per usare un’espressione a lui cara – siamo disposti ad allargare la nostra tenda per renderla più accogliente. Un progetto capace “di disegnare il mondo che vogliamo”.

È proprio in questa prospettiva che la politica assume una dimensione profonda che la distingue da un banale accordo utilitaristico. Non è la semplicistica sommatoria di ogni – pur legittima – istanza, ma la comune scoperta del valore aggiunto che può produrre il cammino comune di un intero popolo. Non un freddo elenco di richieste o aspirazioni, ma un lento, spesso arduo, incessante progredire di un cammino che ci offre la possibilità di scoprire insieme nuovi orizzonti. Un cammino dove ogni passo è provvisorio. Dove ogni posizione indicata come traguardo è solo un’approssimazione temporanea, destinata a lasciare spazio ad altre soluzioni nel costante divenire della realtà e della vita di ciascuno.

Vissuta così, come l’ha vissuta Sassoli, la politica può apparire un cammino lento, faticoso. Ma è l’unico modo per consentire a tutti di contribuire al bene comune. Per consentire a un intero popolo di fare passi in avanti in un costante cammino dove l’ascolto rappresenta sempre e solo il primo passo. Proprio quell’ascolto che riconosce il valore dell’impegno e del contributo che anche gli altri possono offrire. E, soprattutto, non dimentica il contributo di chi ci ha preceduto nel cammino.

Ecco, David sentiva la responsabilità di raccogliere l’importante eredità di chi ci ha preceduto. Il dovere di riscoprire quei traguardi necessariamente provvisori che altri avevano raggiunto per poter consentire a tutti noi, anche oggi, di non ripartire da zero. Era la sua capacità di ricevere e valorizzare i frutti che altri, prima di noi, hanno seminato, e seminare nuovi frutti per raccolti futuri che altri ancora dopo di noi saranno chiamati a ricevere. Riusciva a far percepire a chi gli era accanto, la naturale alternanza della fatica della semina e della gioia del raccolto, seguito da una nuova e faticosa semina. Era il suo talento. Forse il più grande. Ma era anche un vero e proprio metodo di fare politica. Di farla responsabilmente.

Come ci ha ricordato Papa Francesco, “ogni generazione ha bisogno di quelle precedenti e deve essere disponibile per quelle future”, perché dobbiamo aver il coraggio di “andare incontro al nuovo, ma senza gettare alle ortiche ciò che altri (noi compresi) hanno costruito a fatica” . “È questo che significa essere una nazione: considerarsi prosecutori del compito di altri uomini e donne che hanno già dato il loro contributo e costruttori di una casa per coloro che verranno dopo di noi” .

È proprio questo riconoscimento del lavoro altrui che ci offre la possibilità di maturare la consapevolezza che anche quei traguardi che noi, con i nostri limiti, non avremo avuto la possibilità di raggiungere potranno essere raggiunti da altri, grazie alla strada da noi percorsa. Quello che si interrompe non è mai la strada, ma solo il cammino di ognuno di noi. Un cammino che potrà essere ripreso da chi verrà dopo. In questo cammino, David sapeva di raccogliere un testimone consegnato da altri e di doverlo, a
sua volta, consegnare ad altri ancora.

Ognuno nella sua vita può essere come Abramo , capace di fidarsi, o come Isacco, capace di essere un anello di una catena, di una tradizione, lui che era semplicemente il figlio di Abramo e il padre di Giacobbe. Oppure essere lottatori caparbi come Giacobbe o sognatori come Giuseppe . David aveva ognuna di queste caratteristiche, ognuno di questi talenti. Aveva fiducia, era un combattente e aveva mantenuto la sua capacità di sognare. Ma forse, più di tutti lo rivedo come Isacco, come un uomo operoso che ha contribuito a tessere la catena di cui siamo parte, offrendo, oggi a noi, la possibilità di essere parte di un progetto che, generazione dopo generazione, si sta manifestando sotto i nostri occhi.

In questo incessante progredire della storia in cui tutti siamo chiamati ad essere attori comprimari e non semplici spettatori, era cosciente delle trasformazioni epocali di questo momento: disoccupazione giovanile, migrazioni, cambiamento climatico, sfida tecnologica, povertà, equilibri
mondiali, con l’Europa protagonista, unita e credibile. Erano queste le domande di cui ha cercato di farsi carico per trovare insieme delle risposte. Nell’alternarsi delle stagioni di un popolo legato alle vite di ognuno, David ha ripreso un camminoche era stato iniziato da altri, invitando i suoi amici a camminare con lui. Riprendendo le orme che ha trovato, ha cercato responsabilmente di non dissipare quel patrimonio di vita democratica che i cattolici hanno contribuito a costruire nel nostro Paese, senza mai dimenticare il loro contributo nella stesura della Costituzione, nella ricostruzione del dopoguerra, nella rinascita della democrazia dopo il ventennio, nella difesa delle libertà democratiche durante gli anni del terrorismo, nella costruzione della casa comune europea.

In questa tradizione, ha cercato ogni giorno di fare politica per lasciare quel segno che un cristiano deve sentire come un dovere. Perché, come ricorda il Concilio Vaticano II, “tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione politica” . Una vocazione che, come diceva David, non ci consente di “agitare i simboli della nostra fede come amuleti, con una spudoratezza blasfema” . Ma una vocazione di un intero popolo che non vive il cattolicesimo come “un emporio dove si passa a prendere un rosario, un Vangelo, un santino, ma un popolo cristiano, legittimamente pluralista sul piano delle scelte politiche, ma che sulla fedeltà alla Costituzione e nella difesa del sistema democratico non si lascia dividere” . Mai.

Ha rinunciato a una straordinaria carriera da giornalista per non abdicare alla politica. Non si è lasciato vincere dall’indifferenza. Non ha preferito non essere scomodato. Ma ha preso sul serio il mondo, senza tirarsi indietro. Perché nessuno può sottrarre, anzi “rubare” – con l’espressione utilizzata da Papa Francesco – “il proprio contributo alla società” . Perché la scelta, ancora oggi, è sempre quella tra l’essere dei buoni samaritani o dei semplici passanti che hanno altro da fare. Se lasciarci vincere dall’indifferenza per non essere scomodati nel nostro quieto vivere, oppure prendere sul serio il mondo e farci carico della comunità dove si vive.

È questo il senso ultimo della politica. Ed è questa l’eredità che David ci ha lasciato. Un’eredità che ci impegna a ricordare a noi stessi – lo dico con parole di Giorgio La Pira, a lui così caro – che “il cristianesimo ha ancora qualcosa di fondamentale da dire” per il mondo . Per la politica. Noi tutti siamo chiamati a essere “il sale della terra” , abbiamo il dovere di non essere insipidi. È un dovere, ma è anche una promessa di un intero popolo che è chiamato ad essere sale e non un’insipida e insignificante guarnizione.

Nel confermare quella stessa promessa di David, ognuno di noi è chiamato a essere classe dirigente di questo Paese. Ognuno con le possibilità che la vita gli ha concesso. Indipendentemente dal ruolo che si è chiamati a occupare. Ma semplicemente mettendo a frutto i propri talenti per il bene della comunità in cui si vive. Perché tutti, come ci ricorda la Costituzione , abbiamo il dovere di concorrere “al progresso materiale o spirituale della società”. L’augurio che faccio a me, a noi tutti, è quello di rinnovare quella promessa per portare avanti con impegno quel sorriso aperto al mondo che David ci ha regalato ogni giorno.