L’ Autonomia differenziata può danneggiare anche il sistema produttivo del Nord

Con il ddl Calderoli le diseguaglianze tra Nord e Sud si perpetueranno. In sostanza sta emergendo la rottura dei principi fondamentali di eguaglianza e solidarietà su cui si fonda lo Stato italiano.

Ora si chiama ‘autonomia differenziata’ delle Regioni. Una volta si chiamava ‘federalismo’ e poi ‘devolution’. Definizioni diverse legate esclusivamente alle tattiche adottate dalla Lega in funzione dei cambiamenti nei rapporti di forza tra le forze politiche degli ultimi 30 anni. Pensando a questo lungo periodo riaffiorano immagini ingiallite e parole d’ordine superate: secessione, repubblica del Nord, rivolta fiscale, folklore dei raduni del Monviso con l’acqua del Po nell’ampolla e quelli di Pontida con partecipanti agghindati da celti, dichiarazione d’indipendenza della Padania, ricorso alle armi, autodeterminazione di un popolo, giudizi negativi sui meridionali, ecc. Dal punto di vista esclusivamente statutario, la ‘Lega per Salvini premier’ (nata nel 2018), è un movimento politico che “vuole la trasformazione dello Stato italiano in un moderno Stato federale”, a differenza della ‘Lega Nord’ (che continua ad esistere) che vuole come in passato “il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”. Chi ritiene che la Repubblica debba essere una e indivisibile (articolo 8 della Costituzione) può ritenere sincera questa conversione leghista dal secessionismo al sovranismo? La risposta è nel ddl sull’autonomia differenziata a trazione leghista approvato recentemente nel Consiglio dei Ministri. Risponde positivamente alle richieste di maggiore autonomia già presentate da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna e consente a tutte le altre Regioni di mettersi in coda per avere ancora altre competenze. Le materie oggetto di potenziale trasferimento dallo Stato sono: istruzione, sanità, strade, autostrade, porti, aeroporti, ferrovie, ambiente, beni culturali, governo del territorio, lavoro, previdenza integrativa e demanio statale. Di fatto lo Stato sarebbe svuotato. Secondo Calderoli “l’autonomia differenziata è una riforma necessaria per rinnovare e modernizzare l’Italia, nel segno dell’efficienza, dello sviluppo e della responsabilità. L’Italia è un treno che può correre se ci sono Regioni che fanno da traino e altre che aumentano la propria velocità, in una prospettiva di coesione…”. Dichiarazione generica e un po’ equivoca, coerente con le richieste del Veneto e della Lombardia che durante la campagna referendaria per avere più autonomia, hanno chiesto di trattenere sul proprio territorio quello che resta dei tributi versati allo Stato ma non utilizzati per finanziare servizi e investimenti forniti nella singola regione. “Lavoriamo insieme – ha aggiunto il Ministro – a Regioni ed Enti locali con l’obiettivo di far crescere tutto il Paese e ridurre i divari territoriali”. Obiettivo condivisibile, ma in che modo? La risposta è contenuta nell’art. 8 (clausole finanziarie) del ddl Calderoli: “Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Equivale a dire che le diseguaglianze tra Nord e Sud si perpetueranno, che lo Stato sta decidendo di abbandonare l’obiettivo di un paese unito in cui il divario strutturale va combattuto e sanato. In sostanza sta emergendo la rottura dei principi fondamentali di eguaglianza e solidarietà su cui si fonda lo Stato italiano. I danni che l’autonomia differenziata alle Regioni provocherà al Sud sono evidenti. Non può essere ignorata la diffusa preoccupazione per la disgregazione del sistema scolastico e del servizio sanitario nazionale in netto contrasto con la Costituzione che richiede “la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali” (articolo 120). Inoltre, siamo sicuri che questo progetto non desti preoccupazione anche al sistema produttivo delle regioni più ricche? I timori non sono pochi. Un sistema di regioni con competenze differenziate, e quindi con un ulteriore potere autonomo di decidere procedure amministrative, aumenterà sicuramente la burocrazia pubblica, fonte del giusto lamento degli imprenditori che già oggi sono costretti a seguire, ad esempio, procedure autorizzative diverse se operano in una Regione o in un’altra. L’Italia ha giustamente l’ambizione di essere la piattaforma logistica dell’Europa verso il Mediterraneo e l’Africa. Se le competenze dello Stato in materia di logistica e porti passeranno alle regioni è probabile che nasca una competizione tra di loro che creerà veti, prevalenza di visioni localistiche e non lungimiranti e tempi più lunghi per assumere decisioni. Alcuni presidenti delle Regioni del Nord sono spesso convinti che ottenendo nuove competenze statali in materia di infrastrutture e di politiche industriali, ambientali ed energetiche diventeranno interlocutori con l’Europa, riuscendo ad ottenere più risultati del governo nazionale. E’ evidente che questa è un’illusione. Queste preoccupazioni sono confermate dalle osservazioni della Confindustria. Come sostiene il presidente Carlo Bonomi “Serve attenzione sui settori strategici del Paese, come le reti di trasporto. Si può pensare di ridurli a micro gestioni o bisogna, ed è la linea della Confindustria, tenere la gestione a livello nazionale”. Concordo con il prof. Viesti (Università di Bari) quando, chiedendosi se la Città di Milano con l’autonomia differenziata della Lombardia sarà più forte in Europa, risponde che sarà più debole perché farebbe parte di uno stato con poche competenze e quindi ‘ridicolo’ quando dovrà confrontarsi con gli altri stati europei. D’altronde con quale autorevolezza la Presidente Meloni potrà discutere con gli altri capi di governo europei ad esempio del ‘Piano Mattei’ se le competenze in materia energetica non saranno più dello Stato ma frammentate tra le diverse regioni?

Antonio Saitta è stato Presidente della Provincia di Torino e Assessore alla Sanità della Regione Piemonte.