Amava dire Guido Bodrato, uno dei leader storici della sinistra democristiana, “che la storia della Dc è la storia delle sue correnti”. Una osservazione semplice ma quanto mai calzante e pertinente. Ma accanto a questa riflessione, è indubbio che resiste una vulgata tanto squallida quanto reticente. E cioè, ogniqualvolta si parla e si approfondisce il tema delle correnti democristiane ci si limita a giudizi liquidatori. Anche volgari. Ovvero, puri strumenti di potere, gruppi di malaffare, e organizzazioni che avevano come unico ed esclusivo obiettivo la lottizzazione del potere, la distribuzione degli incarichi e l’occupazione delle istituzioni e del sottogoverno. Ed è un peccato che il profilo, la natura e la consistenza politica e culturale delle suddette correnti continuino a non voler essere compresi per il ruolo politico che hanno avuto nella storia democratica del nostro paese.
E questo per due ragioni fondamentali. Da un lato le storiche correnti della dc, salvo casi eccezionali e sempre possibili, rappresentavano pezzi della società italiana. E, al contempo, avevano la capacità – attraverso le rispettive classi dirigenti – di trasferire le domande, le attese, i bisogni e le istanze di quei segmenti sociali nel partito e di trasformarli in un progetto politico e di governo complessivo. Non è difficile fare degli esempi concreti. Fra i tanti, per citarne uno, la sinistra sociale di ispirazione cristiana, cioè la tradizionale corrente di Forze Nuove di Carlo Donat-Cattin e di Franco Marini, rappresentava nella Dc il mondo del lavoro e dei lavoratori. E non solo, come ovvio e scontato, dei lavoratori cattolici. Era il punto di riferimento di moltissimi cislini e, soprattutto, si faceva carico delle esigenze e delle domande di quell’universo all’interno del partito attraverso l’elaborazione di proposte ed iniziative che diventavano parte del progetto politico complessivo della Democrazia Cristiana. E lo stesso discorso vale per molte altre correnti e per il ruolo che giocavano i rispettivi leader: dalla Base ai fanfaniani; dalla corrente di Giulio Andreotti ai dorotei di Bisaglia, Rumor, Piccoli e Colombo; dalla destra democristiana di Scalfaro alla vasta, composita e qualificata sinistra democristiana. Insomma, un mosaico ricco di cultura, di progettualità politica e di concreta elaborazione culturale.
In secondo luogo le correnti della Dc non si fermavano al solo perimetro del partito. Erano oggetto e soggetto di confronto politico con tutti i partiti dell’arco costituzionale, come si chiamava un tempo. Anche su questo versante non mancano gli esempi. Dalle molteplici riviste d’area ai tradizionali convegni di corrente. Laboratori di politica che diventavano, di conseguenza, anche strumenti di formazione di classe dirigente.
Ecco perché anche gli storici detrattori della Dc e, in particolare, delle correnti della Dc, dovrebbero prestare maggiore attenzione quando affrontano il profilo e la natura degli attuali partiti personali, o del capo o proprietari. C’è sempre tempo per capire la differenza tra i partiti autenticamente democratici, collegiali e rispettosi del dettato costituzionale e i partiti che sono solo espressione degli umori e dei voleri del capo indiscusso e indiscutibile. È solo questione di volontà e di onestà intellettuale.