Radiografia della città a 50 anni dai «Mali di Roma»

Pierciro Galeone, Vice Presidente della Fondazione Don Luigi Di Liegro, è intervenuto ieri al convegno promosso dal Vicariato. Di seguito riportiamo la sua relazione, con il link per le slide illustrative.

Demografia

Roma dopo 50 anni ha grosso modo lo stesso numero di abitanti del 1974 ma è molto cambiata. Nel censimento del 1971 aveva superato i 2.740.000 residenti, quello del 2021 ne registrava solo 9.000 in più. Allora, a Roma eravamo al culmine di una crescita accelerata, oggi abbiamo davanti gli esiti di mezzo secolo di crescita zero, almeno nel territorio comunale (slide 1).

L’Annuario statistico di Roma Capitale, mostra una struttura della popolazione per classi di età che definivamo una piramide, ha oggi la forma di un “rombo” (silde 2).

L’età media è di 44,7 anni, quasi 50 nelle aree centrali (slide 3). La popolazione straniera è molto cresciuta dal 1974, oggi è al 14% della popolazione residente, ma è ormai stabile da 10 anni (slide 4). La sua età media è inferiore:  39,8 anni.

Economia

Se guardiamo all’economia romana nel suo andamento negli ultimi 25 anni, ci aiuta un lavoro recente della Banca d’Italia (L’economia di Roma negli anni duemila. Cambiamenti strutturali, mercato del lavoro, diseguaglianze). 

Il PIL pro-capite si è ridotto: fatto 100 il valore del 2001, nel 2018, l’anno precedente la pandemia, il valore era 90. L’occupazione invece tiene: nel 2022 gli occupati tra i 15 e i 64 anni nell’Area metropolitana erano al 63,6%. Non è il 70% di Milano, ma è superiore alla media italiana (60,1%).

Roma è molto meno Città della Pubblica Amministrazione. Il calo complessivo del comparto pubblico ha colpito la città in modo severo. Dal 2001 il rapporto dipendenti pubblici/popolazione è sceso del 25%: Roma resto d’Italia era 77,7% contro 56,3%. Prima della pandemia era ormai 57,7 contro 48,9 (slide 5)

Il lavoro si è sviluppato nei servizi privati, ma ha perso di qualità. Nel 2001 Roma aveva con il 34,% il primato degli occupati nei servizi ad alta intensità di conoscenza. Milano era solo al 29,1%, l’Italia al 18,4%. Quella quota permane, ma sono cresciuti i servizi a bassa intensità di conoscenza passati dal 45,5% al 51,6%. È un processo causato dalla perdita di peso delle grandi imprese, soprattutto quelle partecipate dallo Stato, e dal forte incremento dei servizi connessi con il turismo (slide 6). 

E così la produttività del lavoro a Roma ha assunto dal 2001 una china discendente verso il livello mediocre della produttività media nazionale (slide 7). 

Diseguaglianze

Questa parabola, fatta di progressivo invecchiamento demografico e indebolimento economico, non ha toccato tutti allo stesso modo. L’indice di Gini, che misura la diseguaglianza di reddito, è passato dal 45,5 del 2001 al 47,2% (prima della pandemia). La media italiana è del 42% (slide 8). 

L’imponibile medio individuale nel 2019 del II municipio è più del doppio (euro 41.500) di quello del VI (euro 17,500). Se guardiamo ai quartieri vediamo il picco di 72.000 euro di reddito medio annuo dei 13.000 abitanti del quartiere Parioli  e il punto di minima nei 16.300 euro medi dei 17.000 abitanti di Ostia antica (slide 9).

In questo quadro di diseguaglianze tra le persone che si concentrano nel territorio emergono disagi più forti. Le famiglie che hanno chiesto al Comune un aiuto per pagare l’affitto sono 30.00. I senza fissa dimora “censiti” sono 25.000.

E sono disagi e diseguaglianze resi ancora più forti da un vero e proprio moltiplicatore della fragilità: la solitudine. Le Famiglie composte da una sola persona sono ormai il 46% delle famiglie romane. Nel centro storico sono quasi al 60% (slide 10). 

Le risorse per il rilancio

Roma ha bisogno di riaprire un ciclo economico e sociale positivo. Ha attese di sviluppo: di una crescita che dia qualità al lavoro delle persone. Non le mancano le risorse.

Partiamo dalla vivacità imprenditoriale. Roma ha un saldo positivo sulla vitalità delle imprese superiore non solo alla media italiana ma anche a quelle delle altre città metropolitane, nonché e a quella di Milano (slide 11).

Sono imprese che in maggioranza sono attive in servizi a basso valore aggiunto. Un maggiore aliquota dovrebbe indirizzarsi su settori innovativi.

Non manca una presenza forte delle università e dei centri di ricerca. A Roma ci sono 17 delle 98 università italiane. E c’è una presenza unica di centri di ricerca pubblici, esattamente 19 (Istat, CNR, l’Invalsi, ENEA, ASI, ecc.). È una infrastruttura di ricerca e didattica che conta su 27.300 persone, 6,4 addetti ogni 1000. Un patrimonio che può essere meglio integrato nella città.

Il livello di istruzione della popolazione si manifesta  elevato ed è pure in crescita. Fatto 100 i laureati nel 2021, nel 2021 siamo a 250 più della media italiana (slide 12).

Se guardiamo alla distribuzione territoriale, è nei quartieri centrali che troviamo la più alta concentrazione di laureati. La loro percentuale sul totale della popolazione scende spostandoci verso la periferia (slide 13).

Ma ancora più interessante, come sintomo della perdita di qualità della economia romana, è il tipo di lavoro svolto dai laureati. Il livello dei laureati occupati con bassa qualifica a Roma era nel 2011 del 6,4 per cento del totale degli occupati. Un dato in linea con la medi nazionale. Nel 2019 era salito all’8,6 per cento. In Italia era al 7,6%, a Milano al 6,4 ( slide14).

Un dato amaro, certamente, ma può essere visto anche questo come segno di un potenziale non ancora messo a valore.

Così come un punto di forza è per la città il livello di internazionalizzazione. La quota di investimenti diretti esteri su Roma rispetto al totale nazionale è del 13%. Certo inferiore al livello di Milano (49,5%), ma pressoché pari alla quota totale di tutte le altre città metropolitane. E la quota di investimenti verso l’estero è il 18%, sempre sotto Milano (30%), ma ben sopra la quota delle restanti città metropolitane (8%) (slide 15). 

Un altro elemento positivo è la ripresa degli investimenti pubblici. In particolare degli investimenti comunali che dal 2012 hanno conosciuto un vero e proprio crollo, Se guardiamo ai valori di cassa, la spesa nel 2023 ha raggiunto i 522 milioni e le prospettive di crescita, anche grazie all’attuazione dei progetti del PNRR, possono riportarla vicini ai livelli dei primi anni 2000 (slide 16).

La città ostile 

C’è attesa di sviluppo per Roma. Attesa di uno slancio che le permetta di partecipare a quello che è stato chiamato, con un po’ di ottimismo retorico, il “secolo delle città”. Ma Roma ha anche attese di giustizia. E allora occorre guardare oltre il modello di sviluppo basato sul binomio “globalizzazione/agglomerazione”, visto che ormai ha mostrato i suoi limiti.

In sintesi, il modello avrebbe dovuto funzionare così. Lo sviluppo delle relazioni economiche, ma anche sociali e culturali, doveva presentarsi appieno come una rete globale i cui nodi stanno nel tessuto delle grandi aree urbane: luoghi di concentrazione di risorse finanziarie e competenze umane. È uno sviluppo polarizzato: dentro le città le diseguaglianze aumentano; così come crescono le distanza tra grandi città e resto dei territori. Le agglomerazioni “succhiano“ risorse. Tuttavia, il salto di produttività è così forte da permettere un redistribuzione del reddito, tra gli individui e tra i territori, in modo da garantire se non partecipazione ai processi di sviluppo, almeno un potere di consumo più elevati del passato, anche grazie al calo dei prezzi dei prodotti e dei servizi. 

Non è andata così. Da un lato, all’interno delle aree urbane si sono prodotte diseguaglianze tali da segnare lo spazio della città fino a produrre fenomeni di segregazione urbana. Dall’altro lato la pretesa egemonia delle metropoli (l’interesse delle città coincidono – sic! – con gli interesse dell’intera nazione) si è scontrata con una tale polarizzazione tra territori da produrre quasi una frattura  metropoli/provincie. E questa frattura sta assumendo, anche in Europa, una dimensione politica. Emblematico è stato il voto nel referendum sulla Brexit, divenuto uno scontro tra Londra e il resto dell’Inghilterra. E nel “secolo delle città” ha vinto l’Inghilterra. Fenomeni analoghi stanno interessando i comportamenti elettorali in altre democrazie europee. 

La città giusta

Globalizzazione e agglomerazione lasciate a loro stesse producono esclusione sociale e marginalità territoriale. Sono gli “scarti” di cui parla Papa Francesco. 

Se invece vogliamo lavorare per una città dove non solo ci sia posto per tutti; ma dove tutti possano essere e sentirsi membri della civitas (il nome che nell’età classica e per tutto il medioevo si dava alla città come comunità politica distinguendola dalla dimensione fisica: l’urbs). Ecco, se vogliamo lavorare alla città di tutti, dobbiamo cambiare prospettiva. 

Il Convegno del 1974 fu la ricerca, in quel contesto storico, di un cambio di prospettiva. Don Di Liegro scriveva: “La solidarietà non è un vago sentimento di compassione, né si fonda su un sentimento di altruismo ingenuo, ma nasce dall’analisi della complessità sociale, dai guasti del sistema sociale disordinato, dal degrado morale e culturale, provocato dalla legge del più forte, dalla carenza etica collettiva”.

Nell’analisi della complessità sociale sono ormai emersi concetti come il diritto alla città e alla giustizia spaziale. Serve perciò progettare e trasformare i luoghi in modo da assicurare a tutti l’accesso ai beni e servizi che producono buona qualità della vita: la casa, gli spazi pubblici, il verde, la mobilità, la salubrità, la sicurezza.  

La città giusta è l’opposto della città ostile, la città che produce ostacoli. Come recita il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, è la città che rimuove, essa stessa, “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Di chi è Roma?

Ma per la ricerca della città giusta occorre anche guardare ai rapporti della città verso l’esterno. Una città, una grande città non vive per sé stessa e non serve solo ali suoi abitanti. Le metropoli svolgono funzioni che hanno un impatto esterno: sull’area vasta, sulla regione, sulla nazione, alcune addirittura sul mondo.

A cosa serve Roma? Quale è il suo impatto esterno. È una domanda che ne tira un’altra. Di chi è Roma? Dei residenti; dei pendolari che ogni giorno la animano; dei turisti che la visitano e l’ammirano; degli studenti; di chi è nato qui e di chi è immigrato in città. È dello Stato italiano che nella sua giovinezza l’ha fortemente voluta come sua Capitale; delle aziende che la usano come sede delle loro attività; della grandi società (a partecipazione anche pubblica) che hanno in città i centro di comando e controllo; è dell’Unione Europea la cui origine è il Trattato del 1957 firmato proprio a Roma. È della Chiesa Cattolica poiché il Vescovo di Roma, secondo il canone 331 del codice di diritto canonico, “ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa”.

La città della speranza

Chiedersi “di chi è Roma” non serve per qualificare dei diritti di proprietà, ma per identificare delle responsabilità. Per richiamare tutti alla condivisione di una comune responsabilità verso la città. Il percorso che iniziamo oggi ha questo scopo. Il Papa nei 150° anniversario della Capitale ha detto: “Roma avrà̀ un futuro, se condivideremo la visione di città fraterna, inclusiva, aperta al mondo. Nel panorama internazionale, carico di conflittualità̀, Roma potrà̀ essere una città d’incontro”. Dunque, “Roma, la città della speranza”. La città della virtù che ama le cose che ancora non sono ancora ma che saranno. La speranza in una Roma che ancora non c’è ma che ci sarà.

 

Per vedere i grafici delle diverse slide

Appendice  

Lettera ai romani di S.E. Angelo De Donatis, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma