Senza competenze e formazione non c’è buona politica

Oggi siamo in presenza di "cattolici sonnambuli", motivo per cui, sostiene De Rita, occorre ripartire dalle parrocchie e dai corpi intermedi per formare e preparare. È nel pre-politico che si gioca la partita.

Si dice che la crisi della democrazia, su cui gli studiosi e gli editorialisti discutono ormai quotidianamente, abbia  diverse cause. La tecnologia, la finanza, il clima, l’IA con i suoi sconosciuti e allarmanti algoritmi,  il mercato globale in perfetta sintonia con una concezione liberista, o ultraliberista, della società e dello stato, ecc. Non  dimenticando il disinteresse sopraggiunto e la disistima verso la classe politica. Assieme alla non per ultima chiusura individualistica, che detta ormai le leggi ai nuovi rapporti tra persone e al nostro vivere civile. Covid o non Covid, ci stiamo  abituando al fatto che a votare ci vada solo il 50% degli aventi diritto.

Alla base di questa crisi della democrazia, se non addirittura come causa prima scatenante, troviamo un’altra crisi. Piu preoccupante e pericolosa perché riguarda il cittadino e l’essenza della democrazia partecipata: quella del partito politico. Una sorta di utilissima associazione “preistorica”, che però ha dimenticato il meglio del suo passato, anche di quello recente. E che sopravvive per forza d’inerzia solo e grazie ad un “influencer” leader. E solo e grazie al sopraggiungere della comunicazione orizzontale polverizzata e data in appalto – quella dei social e dei  media vecchi e nuovi. Una associazione ormai personalizzata e tutta nelle mani del suo segretario. Tante associazioni, tanti partiti, e altrettanti segretari-leader che si moltiplicano come i funghi, sulla base di personale protagonismo e di rivalse narcisistiche. Ma che, ahimè, distruggono il vero significato e la vera essenza del pluralismo, ai giorni nostri trasformato in pluralismo di facce e di visi, e non di idee e valori.

Tanti leader insomma, che vivono solo nella cronaca quotidiana – televisiva possibilmente. E nella costante polemica dell’oggi col supposto o creato leader avversario. Ma disinteressati completamente  sul futuro e su quello che ci attende appena domani, non dico fra 10 anni. Un atteggiamento che diventa pericoloso  quando si ripercuote sulla base dei votanti e sopratutto su quella degli iscritti. Questi ultimi ormai abbandonati a se stessi, e nelle mani di quel poco che rimane delle sezioni territoriali, e soprattutto  del web. E verso i quali – specie se si ha a che fare con  giovani –  si è perso il gusto della formazione permanente. Degli approfondimenti culturali. Dei dibattiti che volano alto su quello che passa il convento della storia e della geografia, sulle “rivoluzioni epocali” – guerre  comprese –  e sui nuovi  equlibri mondiali da tempo iniziati.

Sulla importanza della formazione, è stato il lungimirante Sergio Fabbrini a soffermarsi sulle pagine domenicali del Sole 24 Ore. Convinto europeista, accanito e colto sostenitore di una unità politica della Ue, guarda sempre al futuro del nostro Continente e mai al passato. Partito di scopo o non scopo, e insistendo sempre su una Europa più integrata, secondo me è stato anche contento, come chi scrive, della proposta di una lista – ancorché di scopo – denominata “Stati Uniti d’Europa”. Ma proprio in  attesa delle prossime elezioni, ci ha fatto però capire che “…per i candidati europei occorrono competenze”. Con ciò sottintendendo il fatto che  la classe politica in circolazione è incompetente. E che occorre  formazione. A tutti i livelli.  Che occorre prepolitica formativa, prima dell’impegno politico. Che occorre insomma cultura, ancor  prima della notizia quotidiana, e dell’attacco quotidiano al leader avversario. Figuriamoci quello che pensa sulle competenze degli iscritti ai partiti e su quelle dei pochissimi giovani attivisti rimasti. 

Ma è stato Giuseppe De Rita ad essere ancora più chiaro. A proposito di competenze, di formazione e di corpi intermedi, nel corso di una intervista di qualche mese fa ad  Avvenire, in verità incentrata sull’ipotesi di un partito cattolico, ha chiarito che: “...sarà per inclinazione professionale, ma preferisco parlare di pre-politica”. E forse se la  prende con tutte le sparpagliate e solitarie iniziative cattoliche sul tappeto, tutte personalizzate ma  tutte senza un minimo cenno all’importanza del prepolitico formativo e culturale. Oggi necessario in quanto, a suo giudizio, siamo in presenza di “..cattolici sonnambuli“, motivo per cui, aggiunge, occorre ripartire dalle parrocchie e dai corpi intermedi per formare e preparare.

Sullo stesso tema della formazione e del prepolitico, si è soffermato giorni fa su questo blog, anche Marco Follini. Spronando i partiti, tutti, sulla “…urgenza di aprire scuole di formazione politiche ancor prima dei partiti...”, dal momento che per dare una certa identità al partito politico, significa promuovre e alimentare cultura politica. Perché la politica dei giorni nostri ha perso la prudenza e l’equilibrio, ed “… è diventata un…rifugio di persone spregiudicate“.   

Insomma, come fa capire anche Giuseppe Fioroni a proposito delle prossime elezioni, occorrono incontri culturali e prepolitici con una auspicabile “Camaldoli Europea“,  tempo fa  proposta dal Cardinale Zuppi, e poi  caduta  nel dimenticatoio.  E forse – aggiungo io –  occorre ri-aprire le scuole di formazione, comprese quelle benemerite diocesane, orientate all’impegno sociale e politico  dei cristiani. Una attività, quest’ultima, pensata per fornire una base culturale e tecnica, permeata di dottrina sociale della Chiesa e di valori cristiani che nel 1987 – subito dopo l’apertura della prima esperienza presso l’Istituto palermitano di padre Arrupe e padre Sorge – contava  ben duecento scuole sparse nelle varie diocesi italiane, mentre oggi ce ne sono meno di quaranta. 

Tutto questo mi ha fatto anche ricordare l’amico Giorgio Merlo. Tenace difensore di un “qualcosa” che sa  di centro cattolico. Da creare tuttavia sul nulla culturale e sulle incompetenze, come direbbe Fabbrini. Senza storicizzarlo, ma sganciandolo dalla società concreta (Luigi Sturzo), dalla diminuita partecipazione religiosa, e dai sopraggiunti ripensamenti sul significato di destra, sinistra e centro dei nostri giorni. Un centro, insomma, secondo l’estroverso Giorgio Merlo necessario, dal momento che ci troviamo di fronte ad una sinistra marxista, atea e proletaria da una parte, e di un fascismo gentiliano, borghese e clericale dall’altra. Oltre naturalmente ad un populismo tragico,  presente solo nel M5s. 

È stato proprio lui però, che tempo fa e con molta leggerezza ha deriso il prepolitico. Considerandolo  come un’accademica e inutile perdita di tempo. Inutile soprattutto per i partiti politici. Spero tanto che di fronte alle incompetenze in circolazione denunciate da Sergio Fabbrini,  una volta preso atto delle  debolezze formative e  culturali dei nostri parlamentari (attuali), e verificata la loro selezione casuale, Merlo si sia reso conto della sua precipitosa presa di distanza dal prepolitico. Ne ha le capacità.