Malgrado l’enfasi del titolo dei giornali, la manifestazione Pro Europa che si è tenuta a Piazza del Popolo a Roma lascia un retrogusto di amarezza che va metabolizzato per andare oltre il già fatto o l’ormai fatto.
La convocazione di massa è stata promossa da “Repubblica” e dal noto giornalista Michele Serra che al termine del raduno ha congedato i partecipanti con un “non perdiamoci di vista”, un “se vedemio” che è un monito più severo e di maggiore auspicio rispetto al più ruvido e liquidatorio “se semo visti” romano.
È stata un’iniziativa, armata di buona volontà, per dire a quella parte di mondo, eventualmente interessato, che è ora di trovare un po’ di compattezza e di amore per un Europa composta per adesso più di bandiere che di cuore e di idee. È un tempo in cui non siamo a Giochi senza Frontiere ma si deve far sul serio.
Serra ha voluto serrare le fila di partiti, intellettuali, associazioni, sindacati, esponenti della cultura e dello spettacolo e dell’universo tutto per dire che si deve avere la forza di essere umili.
Dall’alto il Monte Pincio con i suoi 61 metri di altezza ha ammirato lo spettacolo probabilmente compiacendo i 229 busti di personaggi celebri che lo presidiano e dicendo che è ora di smetterla che ciascuno smetta di coltivare il proprio horto pinciano, appartenenti nei secoli passati ai ricchi proprietari romani.
Si deve stare, piaccia o no, tutti insieme appassionatamente, per mostrare che in fondo in fondo insieme si può fare qualcosa di meglio che dividersi e litigare.
Al Pincio si arriva anche attraverso il Muro Torto, che si piega alle buone intenzioni degli uomini, e che non si torcono le budella nel darsi reciprocamente almeno per una volta la mano. Sembra, nell’assise, anche la militanza di 50 Sindaci italiani sul palco e 300 in platea, cifra non esaltante a fronte dei circa 8000 Comuni del nostro Paese.
Le cronache riportano di una piazza gremita, eppure resta qualche motivo di legittima perplessità. Gremito sta per folto, da non confondersi con saturo, indice di asfissia e di oppressione. Insomma presenze significative ma non da rendere zeppo uno spazio.
Ciò premesso, la piazza non era serrata, chiusa all’accesso di chi volesse confluirvi, ma aperta ad ogni volontà di ingresso. Almeno all’apparenza questa volta non ci sono state visibili serrate di altri poteri a sanzionare l’iniziativa.
Fossimo al gioco di calcoli e di numeri, sembra si possano contare una quarantina di noti sostenitori e promotori, ciascuno dei quali con la propria immagine e la propria presenza ha sollecitato la corrispondente adesione di un migliaio di aderenti provenienti da tutta Italia. Non molto. Ceneri sul capo, siamo in Quaresima, è bene smetterla almeno per una volta con i distingui e trovare i motivi di unità.
Considerando quanti “soggetti” si sono spesi sollecitando la partecipazione alla manifestazione, le 35.000 o le 50.000 presenze registrate, parlano di un primo passo ma non di un fatto per cui andare in giro a raccontarsela.
La realtà dice che c’è una capacità o un invito alla partecipazione che sembra essere perennemente sul crinale di una incombente smobilitazione, di uno sciogliere le fila perché al popolo poco importa della faccenda. Non si sa se esibire gli antichi ideali conservati nel mobile buono di famiglia, o se rottamarlo perché non più di moda.
L’apprensione non è più soltanto nella fatica delle sigle e delle personalità impegnate a richiamare ogni italiano a dare segno di sé e a far parte della grande ammucchiata per il vecchio Continente e la pace. Quando pure si è trovata la quadra, è ormai forse difficile svegliare dal letargo un popolo stordito dagli schiamazzi della politica e dall’enfasi di diatribe da avanspettacolo.
Si corre il rischio di scoprire che, quando anche si sia ingranata finalmente una inversione di tendenza, il popolo ormai è scappato e forse non torna più.
Piazza del Popolo può contenere 65.000 persone e chi l’ha occupata ha avuto 320 centimetri quadrati a testa per metterci i piedi e calpestarla. Si era in densità ma siamo distanti, molti distanti dai numeri delle manifestazioni a cavallo degli anni ’70 e ‘80 che furono.
Non c’è da essere compiaciuti, nella consapevolezza di quante macerie sono alle spalle a far da fardello alle migliori intenzioni. In altre piazze ci sono state, secondo rito, altre contro manifestazioni dove pure si sono spesi numeri di tutto compiacimento secondo la tifoseria di quella parte.
Per il futuro occorre essere attenti a non cadere involontariamente in una partecipazione funebre, ad un prendere parte a qualcosa che dietro le declamate apparenze suona a vuoto sia di effettiva facciata che di sostanza.
“Quattro cani per strada” canta De Gregori “Il primo è un cane di guerra, E nella bocca ossi non ha e nemmeno violenza… Il secondo è un bastardo, Che conosce la pace e la tranquillità, Ed il piede dell’uomo e la strada, E ogni volta che muore gli rinasce la coda…”.
L’adunata di Piazza del Popolo sembra abbia messo insieme sensibilità diverse, un bastardume di uomini e donne che non hanno voglia di morire e che, quando credi di averli sopraffatti, si ripropongono sulla scena armati di sacre speranze, velleitarie o no che siano. In ogni caso, commentare esultanti di bagni di folla, di sold out e di onda blu o chissà quale altro colore appare una esagerazione, il desiderio di illudersi oltre l’evidenza.
Nel dipinto di blu ci sono mille bolle blu che volano e che scoppiano come sogni che non approdano a nulla. Si deve fare attenzione a che, onda su onda, la barca dell’Europa non porti alla deriva, in balia di una sorte bizzarra e cattiva.
All’Europa non può bastare il sangue blu dei nobili natali e della storia più o meno gloriosa dei paesi che la compongono.
Bisogna avere il senso della misura. Non si tratta di spettacoli da portare in giro, da pompare o da collocare sul mercato degli eventi di stagione ma di un semplice primo passo.
In questa o quella piazza, siamo di fronte, semmai, alla posa di un iniziale mattone su cui poggiarne altri, facendo ben attenzione a non inciamparci sopra. Il ruzzolone potrebbe essere fatale. L’asciutto De Gasperi, da solo, senza fanfare, muoveva saldamente assai di più.