Una rinnovata Europa sia vero baricentro tra Occidente e Oriente

La “nuova” Dc e i Popolari di Tempi Nuovi facciano propria una visione promotrice - unitamente a Ppe e Pde, e se del caso anche Pse - che ponga l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa.

Prendiamo spunto dall’articolata discussione incardinata su “Il Domani d’Italia” sul ruolo propositivo che può svolgere una politica di centro in questa fase di avvitamento del sistema dei partiti, sempre più nella morsa di un  bipolarismo malsano, ed in particolare dall’articolo pubblicato ieri di Giuseppe Davicino, dal titolo ‘La transizione politica come crogiolo di una politica di centro”, per avanzare alcune considerazioni.

Nel condividere il quadro desolante circa lo stato attuale del nostro sistema e soprattutto della delusione che ha comportato, rispetto alle fervide aspettative, l’imbarazzante contesa tra Renzi e Calenda con cui hanno posto fine in modo scomposto alla loro sfida centrista con il cosiddetto “terzo polo”, suscita ancora particolare perplessità la condivisione del rinnovato auspicio espresso dalla nuova formazione dei popolari “Tempi Nuovi” a superare personalismi e incomprensioni, come peraltro si coglie da alcuni passaggi del loro comunicato del 19 ottobre scorso:“..Tempi Nuovi considera inevitabile che alla conflittualità permanente subentri il dialogo di lungo respiro, cercando con ciò d’individuare la strada per una soluzione da offrire al giudizio degli elettori il prossimo anno.                                           

Tempi Nuovi, pertanto, fa appello alle ragioni dell’unità, perché solo la manifestazione di un impegno concorde e solidale può attrarre il favore di una pubblica opinione desiderosa di cambiare il registro della politica nazionale.”.  Cui fa eco appunto Davicino con l’articolo citato ove testualmente possiamo leggere: “La tenacia con cui Tempi Nuovi si adopera per l’unità del Centro appare quanto mai opportuna in una fase in cui la domanda di una politica seria, affidabile ed equilibrata sembra procedere addirittura in modo spontaneo, risultando così forte, almeno tra l’elettorato del settore medio del ceto medio (perché i ceti medio-bassi e popolari si dividono ormai, purtroppo e forse anche un po’ per nostra responsabilità, tra astensione e populismi di vario genere, tra M5S, Lega e FdI), al punto da far pensare che il consenso vi sarà comunque.  E tanto vale allora tentare di superare ingiustificabili personalismi, come quello fra Renzi e Calenda, per raccoglierlo unitariamente questo consenso.”.                                                                                         

Ora è fin troppo evidente, volendo essere realisti, che quel connubio si possa ricomporre, dopo gli ultimi recenti episodi dove la litigiosità sembra essere arrivata agli estremi, complice la pretesa dell’uno e dell’altro sul finanziamento correlativo alla partecipazione elettorale dello scorso anno.                                                                                                                           

Non si capisce perché Tempi Nuovi non prenda sul serio di porsi essa come capofila di tale iniziativa coraggiosa che potrebbe portarla ad essere la testa di ponte di una sfida centrista magari aggregando altri pezzi della galassia democristiana, al momento abbagliati da una ingannevole seduzione esercitata dal centrodestra, soprattutto tenendo conto degli ambiziosi intenti che si sono dati i rappresentanti del Pde, nel cui comunicato, a conclusione di un recente incontro a Magonza, tra l’altro leggiamo:                                                       “..Rafforzeremo la cooperazione con i nostri partner che condividono idee basate sul rispetto reciproco e sui valori comuni. La nostra ambizione è quella di svolgere un ruolo di primo piano nella riforma del multilateralismo e di promuovere i nostri valori nell’ambito della cooperazione internazionale. Vogliamo consolidare la posizione e l’influenza dell’Unione Europea nel mondo, promuovendo la sua autonomia strategica e parlando all’unisono.                          Vogliamo un’autentica Politica di sicurezza e di Difesa Comune. Crediamo in un mondo in cui la pace non sia solo un ideale, ma una realtà per ogni individuo, garantendo un futuro sicuro e armonioso per tutte le generazioni a venire.                                               

A ben guardare gli obiettivi non appaiono di poco conto, non meritando di essere sacrificati al seguito di iniziative così avventurose, attesa la natura palesemente disomogenea e assai multiforme negli obiettivi (tanto sono apparsi subito diversi quelli di Renzi da quelli di Calenda) di ciascuna forza aggregata, da far ritenere sin da subito un’impresa dagli esiti assai incerti.                                                                                                                         Forse una maggiore fiducia nelle proprie forze non farebbe che convincere Fioroni e gli altri amici promotori che affidarsi a chi ha già fatto strame di uno stile, quello democristiano, (alludiamo ovviamente a Renzi e Calenda) non ne farebbe i migliori interpreti.                                                                 Tuttavia la questione posta ci dà la stura per guardare verso un orizzonte che ci è più vicino e che tocca il nervo scoperto di una galassia che non riesce a ritrovarsi unita su comuni obiettivi.                                                                                                                                              

Un percorso che non ha trovato in questi anni la giusta convergenza e sintonia e non se ne trova traccia in nessuna delle dichiarazioni affidate ai media dai popolari di Tempi Nuovi.                                                                                           

Eppure sarebbe un evento prioritario da perseguire in funzione di un nuovo protagonismo politico della cultura cattolico democratica nella comunanza di ideali che potrebbe infondere linfa vitale negli ambiziosi obiettivi che riguardano il futuro dell’Europa.                                                                                                                                    

Un sentiero che vale la pena ripercorrere se si ha il coraggio di ricompattare l’area cattolico democratica nell’obiettivo di definire una nuova identità all’Europa. Mentre poco potremo sperare da questa classe politica, colta da un furore populista irreversibile nella capacità di cogliere la profondità dei temi che questo processo evolutivo comporta.                                                                                                         

E l’ampiezza è quasi incommensurabile, se è vero che non c’è campo ove non si stiano portando grandi novità tecnologiche e organizzative: dal lavoro umano, alla produzione, dal consumo alla diagnostica e alle cure in medicina e ai tanti altri settori, segno di quanto i confini del progresso siano labili, non sono irrilevanti tutta quella serie di interrogativi, talora inquietanti, (come a proposito del ricorso sempre più massiccio all’Intelligenza artificiale) che stanno attraversando trasversalmente comunità e popoli; e soprattutto su che tipo di progetto di convivenza tra i popoli ogni forza politica strutturerà il consorzio umano per assicurare a tutti i continenti le condizioni di pieno sviluppo e di benessere di ogni persona.                                             

Non meno importanza assumeranno per tanti elettori delusi da politiche strillate e dal fiato corto, le proposte che questi due filoni culturali dell’area cattolica,come succedeva entro la virtuosa dialettica con cui la Dc sapeva poi fare sintesi, sapranno avanzare per la più concreta tutela del nostro ecosistema planetario ed un futuro ecosostenibile, e l’avvio di uno sviluppo armonioso, bilanciando nel miglior modo possibile il prezzo di queste scelte tra i diversi ceti sociali.             Già da tempo Papa Francesco,così come autorevoli organismi sovranazionali e osservatori della vita politica non smettono di sottolineare la priorità dei temi comuni per la salvaguardia del pianeta, condizione ineludibile per assicurare un comune futuro vivibile alle giovani generazioni e le migliori condizioni di convivenza tra i popoli, presupposto oramai immancabile per dare credibilità al progetto politico che ciascun paese proporrà al proprio interno su un tema così cogente.                                                  Su questo passa il discrimine tra chi opera per la coesione pacifica dei popoli e chi invece nell’accentuazione di visioni sovraniste non fa che spingere verso la disaggregazione di comunità sovranazionali in antitesi a comuni visioni di salvaguardia delle condizioni essenziali per la vita del pianeta e lo sviluppo delle comunità statuali.                                         Insomma un contesto generale che ci porta a legittimare la ragionevole preoccupazione che la deriva bellicista, avviatasi con l’occupazione da parte della Russia di Putin di pezzi di territorio dell’Ucraina, e la recente brutale aggressione violenta di inermi cittadini ebrei nei territori sovrani di Israele – cui speriamo che la preannunciata risposta militare del governo di Israele risparmi la popolazione civile, e convenendo che sia urgente e giusto dare attuazione concreta e pacifica alla risoluzione dell’Onu (due popoli, due Stati) con tutti i giusti presidi di sicurezza per entrambi – non può farci ignorare la precipua importanza che assumono le prossime elezioni per il rinnovo del parlamento europeo, con riferimento a quale idea di Europa ciascuna forza politica mira e quali coalizioni si mostrano funzionali a questi obiettivi.                                  

Mentre non va sottovalutata la presa d’atto che nel crescendo delle conflittualità tra i governi e tra nazioni, vecchi conti si stanno regolando, si profila un Europa sempre più ininfluente nel porsi come arbitro autorevole davanti a temibili conflitti sotto i nostri confini.                                                Non è allora ultroneo attendersi delle forze politiche più convintamente europeiste la proposta di un modello più aggiornato di Unione Europea fondato sull’esigenza di creare le condizioni per portare a compimento quanto vagheggiato da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel “Manifesto di Ventotene”, e da Jean Monnet, ossia gli Stati Uniti d’Europa, che sullo sfondo balenava anche nel pensiero dei promotori della Comunità europea. A tal proposito mi pare pregevole citare quanto ha affermato l’8 novembre del 2012 Viviane Reding, esponente del Partito popolare Cristiano sociale, a quell’epoca vicepresidente della Commissione europea, nella sua prolusione al Centro di diritto europeo dell’università di Passau: “Se si vuole una politica di bilancio sana e duratura, occorre un Ministro delle finanze europeo responsabile del proprio operato dinanzi al Parlamento europeo e che disponga di chiari poteri per intervenire nei confronti degli Stati membri. L’arbitrarietà dei giudizi pubblicati dalle agenzie di rating non può certo rappresentare un’alternativa! […] A Maastricht hanno voluto farci credere che era possibile introdurre un’unione monetaria stabile e una nuova valuta internazionale senza creare in parallelo gli Stati Uniti d’Europa. È stato un errore, e questo errore di Maastricht va corretto adesso se vogliamo continuare a vivere in un’Europa stabile ed economicamente prospera.”.                                           

Per questo non è di poco conto la connaturata sensibilità da parte di forze politiche come  la “nuova” Dc e i Popolari di Tempi Nuovi, ove gioca un ruolo prevalente la consustanziale capacità di saper approntare il giusto clima di ascolto e dialogo, da sempre il miglior viatico per giungere a trovare soluzioni, quanto più realistiche, ad ogni tensione e conflitto, soprattutto prima che esplodano, con l’effetto sovente di facilitare la maturazione di processi di democratizzazione autoctona. 

È perciò innegabile che nel groviglio dei rapporti tra Stati, su cui si erigono poi gli assetti futuri, grande ruolo assume la particolare attenzione alla transizione geopolitica, oggi avviata in direzione di un nuovo ordine mondiale ad evidenza multipolare, come rappresentato dai nuovi protagonisti sulla scena mondiale, quali Cina, India, e in misura minore Russia, che si aggiungono a pieno titolo agli USA, impegnati dalla fine della divisione di Yalta a fare da gendarme dell’Occidente e delle libertà dei popoli.     Mentre la nostra vecchia Europa, sotto lo scudo del patto Atlantico, sempre più immersa in una visione pacifista, ancora memore degli orrori delle due guerre mondiali, pur essendo tra le più solide potenze economiche, oggi è spiazzata nella competizione al riarmo.                     

Occorre che partiti come la “nuova” Dc, unitamente al Ppe, e i Popolari di Tempi Nuovi – che pure non facilmente troveranno terreno favorevole nell’ambito del Pde, apparendo immaginabile una sorta di resistenza da parte dei francesi di Renew Europe – nel solco di quel patrimonio di ideali che portarono a concepire con De Gasperi, unitamente ad Adenauer e Schuman, il primo abbozzo di comunità europea, con la Cee, si facciano promotori di una forma federale dell’Unione Europea affinché si avvii un processo di ridefinizione dei Trattati e delle Istituzioni, capaci di rendere più dinamico ed incisivo il ruolo dell’Europa.                                           

Un tale processo non mancherà di favorire nuovi posizionamenti nella prospettiva di future alleanze e nuovi assetti tra le grandi potenze, ma non dovrà far commettere l’errore di cadere nello scontro di civiltà, che spesso forze politiche populiste e sovraniste evocano in risposta a certo fanatismo fondamentalista, anche se non può ignorarsi che ogni regime totalitario o autocratico produce oppressione delle libertà e umilia i diritti naturali di ogni persona e spesso impedisce ogni attività di cooperazione, non solo economica, che possono contribuire a stimolare lo sviluppo di un paese.        

Al contempo obbligherà noi europei a modellare un nuovo concetto di Atlantismo, sempre ancorato ai principi dello stato di diritto, ma più volto ad un maggior coinvolgimento, in un ruolo attivo che l’Europa potrebbe svolgere in una nuova forma federata con propri organismi unitari di bilancio, di sicurezza e difesa comune e l’equiparazione degli Ordinamenti fondamentali, sulle materie affidate agli organismi federali, così da rendersi più credibile e meno gregaria nel concerto Atlantico.                                                  

Del resto non è un mistero che gli Stati Uniti, nostri maggiori alleati, da tempo presi da obiettivi di più ampio raggio, concentrati soprattutto nel quadrante indo-cinese, hanno inteso avviare un graduale disimpegno in confronto al vecchio continente.                                 

Mentre è un dato, come ieri affermava Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, che l’Europa appare, in presenza di scenari di guerra (l’Ucraina prima, e in queste settimane Israele e la Palestina) così minacciosi, disorientata e confusa, alla ricerca di un ruolo che non è in grado di esercitare a fronte di conflitti sempre più cruenti che richiedono arsenali traboccanti di armi; mentre appare sempre meno efficace la dissuasione anche nella forma della minaccia di far ricorso alla bomba atomica, tanto più tenendo conto delle nuove tecnologie militari oggi dominate da una tendenza verso atomiche a corto raggio (per fortuna ancora non sperimentate sui terreni di guerra).                                                        È indubitabile che l’accentuarsi delle aggressioni riveli un crescendo sempre meno contenibile di mire espansionistiche da parte di quei paesi che hanno in questi decenni riempito gli arsenali di armi.                                  Un salto di qualità che sposta su livelli più preoccupanti quel sotteso che talvolta affiorava scopertamente nelle competizioni commerciali nel tentativo di accaparrarsi giacimenti di materie rare o quando non si riesce a mettere le mani attraverso le nuove forme di colonialismo surrettizio, come sta avvenendo nel continente africano, ove non è infrequente agire favorendo “colpi di stato” funzionali al paese committente.                                         

Così è sempre più a rischio lo sviluppo delle condizioni per la convivenza pacifica tra i popoli.                                    Tanto basta per interrogarci se davvero l’attuale assetto ordinamentale ed istituzionale dell’Ue sia ancora compatibile con un ruolo e un protagonismo più autonomo e più dinamico che una nuova Ue può svolgere in direzione di una visione volta in primo luogo alla diretta assunzione della difesa dei confini europei, a fronte del graduale disimpegno degli Usa, e a promuovere e consolidare la convivenza pacifica tra i popoli e il rispetto delle sovranità, a cominciare dal versante est del continente europeo e dal lato sud-est del mediterraneo.                              

Ecco perché non è più tempo per ignorare i tanti nodi che stanno venendo al pettine a causa di politiche energetiche. e quindi di accaparramento delle materie prime, poco rispettosi dei diritti essenziali dei popoli e dell’ambiente, oltre al consumo indiscriminato dei territori: il tutto poco lungimirante. Così è disarmante constatare che dopo ottant’anni di pace diffusa (anche se non sono mancati conflitti endemici regionali in diverse aree del mondo) non siamo riusciti a creare le condizioni di un mondo senza conflitti. Servono pertanto nuove risposte capaci di dare credibili prospettive di pace e di futuro a ciascun paese del mondo. In questa prospettiva appare urgente avviare anche un processo di ridefinizione dell’Onu per dare poteri di intervento più incisivi. Non sarebbe un fuor d’opera perciò un’iniziativa congiunta tra nuova Dc e Tempi Nuovi, che ridia lungimiranza e nuovo vigore agli ideali dei padri fondatori portando a compimento l’idea di un’Europa federale per affrontare le nuove sfide planetarie.                                   

Auspico pertanto che, nella comune matrice democristiana, la “nuova” Dc e i Popolari di Tempi Nuovi facciano propria una visione promotrice – unitamente alle forze politiche europee di riferimento, Ppe e Pde, e se del caso anche con il Pse – che ponga come prossimo cruciale obiettivo gli Stati Uniti d’Europa. In previsione di questo scenario si adoperino al contempo affinché l’Europa, e con essa l’Italia, sia testa di ponte nel mediterraneo al sud come ad est, uscendo dal dualismo Occidente-Oriente in un quadro di rispettosa coesistenza e cooperazione pacifica con ciascuna area del mondo.