La marcia per le strade della capitale, diretta al cimitero generale che ospita un monumento alle vittime del brutale regime di Pinochet, si è fermata brevemente davanti al palazzo presidenziale, La Moneda, dove l’11 settembre 1973 fu rovesciato l’allora presidente Salvador Allende. Il presidente di sinistra Gabriel Boric si è unito al corteo di circa 5.000 persone, diventando il primo leader del Cile dalla fine della dittatura nel 1990 a farlo.
A un certo punto, un piccolo gruppo di uomini in felpa ha lanciato pietre contro il palazzo presidenziale e la polizia che lo sorvegliava, sfondando le barriere di sicurezza e danneggiando parte dell’accesso a un centro culturale nei sotterranei dell’edificio. Ci sono stati scontri con la polizia anche in altri punti della marcia, con alcuni marciatori che hanno lanciato molotov e eretto barricate in fiamme. All’interno del cimitero sono stati danneggiati alcuni mausolei, tra cui quello di un senatore di destra ucciso nel 1991. Tre persone sono state arrestate.
Il grosso dei partecipanti, che portavano bandiere cilene e scandivano slogan come “Verità e giustizia ora!” o “Allende vive”, ha marciato pacificamente. “L’11 settembre è una data che ci riempie di ricordi, ma anche di angoscia, perché invece di progredire siamo regrediti”, ha dichiarato all’Afp Patricia Garzon, 76 anni, ex prigioniera politica, lungo il percorso. “Con questa marcia ricordiamo che nel 1973 la democrazia in Cile è stata spezzata, e ora continuiamo a lottare per mantenerla e rafforzarla”, ha aggiunto Luis Pontigo, 72 anni, insegnante in pensione.
In mattinata, Boric aveva inaugurato alla Moneda una mostra dedicata alla memoria di Allende, alla presenza dei familiari del defunto leader marxista. Più di 3.200 persone sono state uccise o “scomparse” – rapite e presumibilmente uccise – dalle forze di sicurezza di Pinochet, e circa 38.000 sono state torturate. Il generale è morto di infarto il 10 dicembre 2006, all’età di 91 anni, senza aver mai messo piede in un tribunale.
Intanto, intervistato dal quotidiano “La Tercera”, il prof. Carlos Peña González, rettore dell’Università Diego Portales (UDP), ha messo sotto le lenti dell’analisi storico culturale le dinamiche che portarono alla dittatura di Pinochet. Un eccesso di utopismo, coinvolgente la Dc oltre che la sinistra, fu alla base della rottura dell’equilibrio democratico. Da ciò deriva, secondo la sua ricostruzione, che “il ruolo della Dc è la chiave per capire cosa è successo”. Continua il rettore: “Arturo Valenzuela ha insistito molto su questo: la Dc va per la sua strada, non è un partito di centro. È un “centro eccentrico”, come dice Giovanni Sartori, che si nutre degli estremi, ma da cui gli estremi fuggono appena vedono l’opportunità. Ed è quello che è successo: tutti si sono radicalizzati. Prima alcuni a sinistra, con il Mapu e la Izquierda Cristiana, poi gli altri a destra. Troviamo che anche la Chiesa si radicalizza, ricordiamolo. E ciò priva il sistema politico di quel centro mediatore che era la chiave dello Stato del compromesso”.
Ebbene, la scissione a sinistra della Dc contribuì a deteriorare il quadro politico. Allende era contrario all’ingresso in maggioranza del Mapu e di Izquierda Cristiana, consapevole del fatto che questa novità avrebbe indotto la Dc a reagire negativamente. E così conclude: “In altre parole, Allende sapeva in anticipo che radicalizzare così tanto il sistema non avrebbe funzionato. Ma ha esitato fino alla fine. E questo lo possono fare gli intellettuali, perché non influenzano la vita di nessuno con i loro dubbi. I politici devono decidere”.