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Europa: immigrazione e pandemia. Ripartire dai padri fondatori

Rileggo spesso, con trasporto emotivo e ammirazione per l’uomo e le idee, il discorso di Alcide De Gasperi alla Conferenza di Pace di Parigi del 10 agosto 1946 di cui riporto una breve parte del famoso incipit: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerare come imputato e l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione.
……. ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universaliste del cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire”.

Rileggo e rifletto sul coraggio dell’uomo, sull’umiltà del rappresentante della Nazione sconfitta nel conflitto bellico appena concluso, sulla lungimiranza del politico che fa leva sul dovere di puntare al dialogo, alla cooperazione e alla pace per ristabilire le condizioni della crescita economica e sociale, in una parola della “ricostruzione”, termine che riassume la situazione internazionale in una prospettiva di “coesione e visione”.
E rileggendo intuisco la proposizione di alcuni temi prodromici all’idea di unire le forze nazionali del vecchio continente nella prospettiva – che la Storia ha plasmato dandole forma e sostanza – di una Comunità Europea legata da tradizioni culturali, valori, riferimenti ideali, prospettive evolutive sul piano sociale, attraverso l’avvio di trattati sul piano economico e commerciale, per favorire lo scambio delle esperienze, delle persone, dei prodotti, in una prospettiva di solidarismo istituzionale.

La contestualizzazione della situazione post-bellica e l’emergenza di figure di spicco politico, di intuizione non visionaria, di rettitudine, di vocazione popolare – intesa come sintesi tra autorità e rappresentatività, l’orientamento e la tensione verso un “bene comune” super partes, l’intuizione di una realtà istituzionale terza che rappresentasse le singole vicende e realtà nazionali, unitamente all’emergere di figure di spicco come De Gasperi stesso, di Schumann, Spinelli, Monnet, Adenauer, consentì un periodo di elaborazione storico-politica dell’idea transnazionale di Europa in cui ravviso due precipue peculiarità.

La prima è legata alle dimensioni territoriali e alle alleanze statuali che si andavano delineando: un’Europa “a sei “ poteva essere propedeutica ad ulteriori aggregazioni ma intanto- con senso pratico, concezione della realtà storicamente contestualizzata, senso della misura, consapevolezza della “governabilità” dell’unione comunitaria, messa al bando dei velleitarismi espansivi – era una entità tangibile e foriera di consolidamenti sul piano strutturale, normativo, economico, di identità e riconoscimento sociale.

La seconda riveste una valutazione di tipo metodologico: per capirla appieno, storicamente contestualizzata e poi rapportata al presente, possiamo compararla a certe recenti scelte espansive dell’Unione Europea, agli allargamenti inclusivi di altri Stati che ne’ per tradizione, ne’ per affidabilità e stabilità istituzionale ed economica avrebbero meritato un’espansione senza confini, un’inclusione ibridata e indeterminata dove le differenze di origine hanno alla fine prevalso sullo spirito comunitario, mentre non è mai decollata l’idea fondativa di una matrice culturale comune, di identità, sovrapposizioni valoriali, tradizioni compenetrabili.

Se dovessi immaginare una linea di continuità, un percorso, un filo conduttore che – partendo dalla CECA e dal MEC e giungendo all’Unione Europea odierna, oltre l’enfasi inclusiva che l’ha caratterizzata in modo spesso frettoloso ed acritico, privilegiando gli aspetti quantitativi su quelli identitari e qualitativi, rafforzerei la convinzione che sia stata l’economia il paradigma, il motore e la forza (ora trainante ora frenante) del decollo dell’Europa così come si è andata configurando dalle origini ai giorni nostri.
Si parla oggi dell’Europa dei mercati, delle banche, degli interessi economici che prevale sull’Europa dei popoli, delle persone, di una comunità solidale e coesa.
Prevale paradossalmente persino rispetto al tema del lavoro rispetto al quale manca del tutto una prospettiva di approccio e una visione che crei connessioni, interscambi, crescita comunitaria, diffusione del benessere nell’U.E. senza gerarchie di ricchezza o povertà.
Il salto di qualità è ancora molto lontano ma le emergenze del momento ci chiedono una prova di coesione e unità di intenti, in una prospettiva solidaristica, che non lasci indietro nessuno.

I drammatici avvenimenti legati all’esodo biblico di migranti dall’Africa dei Paesi in guerra, spinti dalla fame, dalla ricerca di lavoro e agiatezza dimostrano che manca una visione comunitaria condivisa, oltre i trattati di Schengen , di Lisbona e di Dublino.
Prevalgono le logiche di arroccamento e di difesa dei confini nazionali.
Manca una politica di gestione e di governo del fenomeno migratorio, nella sua realtà attuale e in quella immaginabile per gli anni a venire, basti pensare alle proiezioni demografiche – per citare un Paese ed un’etnia – che riguardano la Nigeria che si calcola diventerà entro 10/15 anni il Paese più popoloso al mondo dopo Cina ed India, con una popolazione venti volte superiore a quella italiana.
Su questo tema l’Europa, l’Unione, i singoli Stati stanno palesando un ritardo di consapevolezza, azione, programmazione, condivisione.
Ma un nuovo tsunami ha investito l’Europa e gli esiti ci toccano da vicino in modo imperscrutabile e imprevedibile: si aggiunge infatti in questo periodo storico l’emergenza senza precedenti della pandemia del Covid 19.

Il primo Paese europeo a subire l’impatto del contagio è stato, manco a dirlo, l’Italia ma l’epidemia dilaga ormai in tutta Europa e nel mondo intero.
L’OMS ha dichiarato ufficialmente le condizioni di una emergenza pandemica, cioè totale.
Il Parlamento Europeo e gli organismi di Governo dell’U.E. dopo aver riconosciuto nell’immigrazione e nel suo controllo un problema epocale ora devono fare i conti con questa peste del terzo millennio che sta mettendo in ginocchio il nostro Paese ma inevitabilmente riguarderà ogni Stato e Nazione della Comunità Europea.
Finora ogni Stato l’ha vissuta come problema interno ma presto diventerà una condizione comunitaria da condividere e da fronteggiare attraverso politiche sanitarie coordinate.
Qui si sta manifestando la ridondanza dei proclami e degli intenti rispetto alla fattibilità di azioni concordate. Qui si appalesa il prevalere degli aspetti formali su quelli sostanziali, una sorta di impotenza istituzionale che respinge ad ogni singolo Stato la soluzione dei problemi emergenti, dove la logica comparativa non cerca omogeneità di indirizzi, scelte, azioni ma tassonomie tra chi sta meglio e chi se la passa peggio.

I singoli Stati sembrano perseguire – sotto diverse formule ed alchimie politiche – l’antica trilogia del “popolo/territorio/potestà d’imperio”, che altro non è che la simulazione/dissimulazione del rigido controllo dei confini nazionali, un vero e proprio ritorno a certe visioni autarchiche verso l’interno e “devolutive” verso gli altri Paesi dell’U.E. Ne’ si dimentichi che il passaggio epocale della “Brexit” è un preoccupante segno di “distinguo e separatezza” da parte di uno dei Paesi più rappresentativi della cultura e delle potenzialità politico-istituzionali di un’Europa unita, a cominciare dalla lingua parlata e scritta più diffusa nel pianeta.
Il contagio sta toccando pesantemente il Regno Unito: andrà affrontato in una logica di separatezza? Sarà questa la prima “messa alla prova” degli esiti tangibili della Brexit?
Occorre ragionare in una logica di “Europa dei popoli e delle Nazioni”, piuttosto che in una logica sommatoria di singoli Stati.

L’Europa di oggi è una gigantesca scacchiera dove Governi e poteri forti dell’economia e della finanza stanno muovendo le pedine della propria sopravvivenza, dei propri destini, del futuro delle proprie generazioni emergenti. E in testa a tutta questa piramide di preoccupazioni oggettive e finora affrontate con circospezione, sospetto, distinguo e poco piglio decisionista sta la lenta erosione delle sovranità nazionali senza che le stesse possano essere sostituite da un solido impianto politico/istituzionale coeso, solidale, di lunga deriva.
Questo spiega l’emergenza dei sovranismi e dei populismi come reazione emotiva difficilmente controllata attraverso azioni concertate a livello unitario, poiché molto forte è la discrasia, il gap che separa le “visioni” e le idee stesse di Europa.
Le emergenze citate dovrebbero spingere verso un rafforzamento dell’Unione sul piano delle relazioni internazionali, soprattutto un’idea forte, unitaria e vincente in materia di politica estera e una semplificazione normativa e burocratica della vita dei cittadini dell’Unione.

Troppe cose ancora ci dividono.

E’ di questi giorni l’abissale divergenza di punti di vista espressi da Christine Lagarde, Presidente della BCE e Ursula Von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, in tema di interventi a sostegno delle emergenze nazionali – segnatamente quella italiana – rispetto al dramma della diffusione pandemica del COVID19 e degli interventi atti a fronteggiarla.

Occorre uno sforzo per superare le frammentazioni e le polarizzazioni.
Serve – è vero – una politica monetaria sulla linea di indirizzo tracciata da Mario Draghi ma ad essa si deve affiancare una comune politica fiscale e con essa sistemi sanitari capaci di interagire in sinergia a fronte di situazioni drammatiche come quella in atto.
La nostra economia continentale si trova davanti ad una drammatica crisi senza precedenti: urge una politica condivisa di sostegno alle famiglie, alle imprese, ai giovani e agli anziani, statisticamente le vittime più esposte al contagio e ai suoi esiti letali.

Solidarietà: un valore che dovrebbe ispirare le politiche comunitarie, disponibilità ad accettare le differenze come valore in un’ottica di azioni coese e condivise.
Un principio sul quale è tornato proprio in questi giorni con autorevolezza il Presidente Mattarella che ha riproposto il tema del bene comune e dell’unità di intenti.
L’Europa affronta una prova cruciale e terribile che la mette alla prova per dimostrare che oltre i trattati, i protocolli e le intese esiste davvero un afflato comunitario che restituisce senso alle intuizioni dei padri fondatori.

La storia ha fatto il suo percorso e ci sono opportunità allora impensabili per avvalorare e sostanziare una comune ispirazione identitaria, che si può realizzare con il concorso di tutti.
Non possiamo dimenticare millenni di storia, la matrice democratica degli Stati nazionali post-bellici, il fondamento di una visione cristiana della vita, popolare e di giustizia sociale degli interessi collettivi.

In ciò- per quanto riguarda il contributo ideale e valoriale che afferisce alla storia del nostro Paese – ritrovo i riferimenti ideali citati da De Gasperi nel discorso del 1946, in un’ottica oggi più che mai necessaria e prevalente di cooperazione tra i popoli.

Coronavirus Covid-19: Sant’Egidio, ogni sera alle 20 le campane di Trastevere suoneranno in solidarietà con chi soffre

La Comunità di Sant’Egidio fa sapere con una nota diffusa ieri che ogni sera alle 20, a partire da Santa Maria in Trastevere, tutte le chiese del rione faranno suonare le loro campane per dieci minuti in espressione di vicinanza, solidarietà e preghiera nei confronti di tutti coloro che in questi giorni soffrono per le conseguenze del Coronavirus, per le loro famiglie e per tutte le persone più fragili e a rischio.

Inoltre lancia un appello alle istituzioni, ma anche a tutti i cittadini, per non lasciare sole le persone più fragili in queste ore di emergenza dettate dal coronavirus. Com’è noto i soggetti più a rischio in questi giorni sono certamente gli anziani, per l’età avanzata, ma anche i senza fissa dimora, le persone malate o con disabilità. Su tutti loro incombe anche un altro grave pericolo: l’isolamento. Basta pensare che, soprattutto nelle grandi città italiane, come Roma o Milano, il tasso di persone che vivono da sole tocca il 45 per cento della popolazione. Tutti i cittadini possono fare la loro parte.

 

Coronavirus : ARERA blocca i distacchi per morosità per elettricità, gas e acqua

Tutte le eventuali procedure di sospensione delle forniture di energia elettrica, gas e acqua per morosità – di famiglie e piccole imprese – vengono rimandate dal 10 marzo scorso e fino al 3 aprile 2020.

Viene inoltre istituito un conto presso la Cassa per i servizi energetici e ambientali, con disponibilità fino a 1 miliardo, per garantire la sostenibilità degli attuali e futuri interventi regolatori a favore di consumatori e utenti.

Sono queste le prime disposizioni decise da ARERA (l’’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) per contrastare le criticità legate all’epidemia COVID-19.
Dovranno quindi essere interamente rialimentate le forniture di energia elettrica, gas e acqua eventualmente sospese (o limitate/disattivate) dal 10 marzo 2020. Dal 3 aprile il fornitore interessato a disalimentare/ridurre la fornitura del cliente moroso è tenuto a riavviare la relativa procedura di sospensione e procedere nuovamente alla sua costituzione in mora. Nel dettaglio, la sospensione dei distacchi per morosità per l’elettricità riguarda tutti i clienti in bassa tensione e per il gas tutti quelli con consumo non superiore a 200.000 Smc/anno. Per il settore idrico si fa riferimento a tutte le tipologie di utenze domestiche e non domestiche.

Il conto, istituito presso la Cassa per i servizi energetici e ambientali, avrà il compito di sostenere le straordinarie esigenze di immediata disponibilità di risorse finanziarie per garantire, nella fase di emergenza in corso, la sostenibilità degli interventi regolatori a favore dei clienti finali nei settori di
competenza dell’Autorità. Per il suo finanziamento la Cassa potrà trasferire – transitoriamente e compatibilmente con la regolare gestione dei pagamenti relativi alle finalità per le quali i conti di gestione ordinari sono stati costituiti un importo fino a 1 miliardo di euro, attingendo alle giacenze disponibili. Tali importi dovranno poi essere restituiti ai conti di gestione di pertinenza.

Con ulteriore delibera, l’Autorità ha anche differito una serie di termini (in particolare le scadenze più ravvicinate) per gli adempimenti di regolazione dei settori idrico, energetico e ambientale. Viene inoltre segnalata alle competenti autorità l’opportunità di riconsiderare i termini previsti dalla normativa vigente per l’approvazione (relativi all’anno 2020) delle “tariffe della TARI in conformità
al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani”, proponendo il differimento al 30 giugno 2020 del termine del 30 aprile 2020 attualmente previsto. Resta comunque salva la facoltà per l’Autorità di intervenire con ulteriori provvedimenti, anche d’urgenza, al fine di affinare o integrare le misure elencate, o di introdurne di nuove a tutela di ulteriori esigenze che dovessero emergere nel corso degli approfondimenti in corso sull’impatto nei settori di propria competenza delle misure governative di contenimento dell’epidemia da COVID-19.
Le delibere sono in via di pubblicazione sul sito www.arera.it

QUI il verbale della riunione in via d’urgenza del Collegio dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente.

I medici di famiglia: “Invieremo le ricette via mail”

La Federazione Italiana Medici di Medicina Generale Fimmg dichiara che: “Appare del tutto evidente che, nella situazione emergenziale in atto, sussistono tutte le condizioni contemplate dal quadro normativo nazionale e comunitario per consentire ai Medici di medicina generale, al precipuo fine di porre in essere misure preventive adeguate al contenimento del contagio epidemiologico sull’intero territorio nazionale, di utilizzare, come strumento di trasmissione della ricetta dematerializzata ai propri pazienti, il mezzo telematico costituito dalla posta elettronica ordinaria”.

“Ritiene, quindi, salvo espresso, tempestivo e motivato diniego da parte degli Enti in indirizzo e impregiudicata l’adozione di ogni più utile ed ulteriore misura regolamentare e prescrittiva, che, sino a quanto sussisterà lo stato di emergenza i Medici di medicina generale hanno piena e legittima facoltà di procedere all’invio della ricetta dematerializzata ai propri pazienti con lo strumento telematico della posta elettronica ordinaria, fermo rimanendo il rispetto delle ulteriori prescrizioni dettate dalla normativa di rango primario e secondario in via ordinaria”.

È online il secondo report (con cadenza bisettimanale) dell’Istituto superiore di sanità sulle caratteristiche dei pazienti affetti da Covid-19.

È online il secondo report (con cadenza bisettimanale) dell’Istituto superiore di sanità sulle caratteristiche dei pazienti affetti da Covid-19. Il focus è sulla letalità, intesa come numero dei morti sul totale dei malati. Al momento in Italia è del 5,8%. L’età media dei pazienti deceduti e positivi a Covid-19 è 80 anni, più alta di circa 15 anni rispetto ai positivi e le donne sono il 28,4%.

Sono due i pazienti deceduti Covid-19 positivi di età inferiore ai 40 anni. Si tratta di una persona di età di 39 anni, di sesso maschile, con pre-esistenti patologie psichiatriche, diabete e obesità, deceduta presso il proprio domicilio e di una persona di 39 anni, di sesso femminile, con pre-esistente patologie neoplastica deceduta in ospedale. Le donne decedute dopo aver contratto l’infezione hanno un’età più alta rispetto agli uomini (età mediane: donne 84.2 – uomini 80.3) e la letalità aumenta in maniera marcata dopo i 70 anni. “La letalità stratificata per fasce di età non è più alta di quella di altri Paesi – sottolinea Graziano Onder, direttore del dipartimento Malattie cardiovascolari, dismetaboliche e dell’invecchiamento dell’Iss -. Scontiamo un’età media molto alta e una percentuale significativa della popolazione che ha più patologie, un fattore che aumenta il rischio di morte. Non a caso il numero medio di patologie osservate nei deceduti è di 2.7 Alcuni dettagli in più sulla letalità sono presenti nel bollettino epidemiologico.

Negli uomini la letalità risulta più alta, il 7,2%, mentre nelle donne è del 4,1%. La differenza nel numero di casi segnalato per sesso aumenta progressivamente in favore di soggetti di sesso maschile fino alla fascia di età ≥70-79. Nella fascia di età ≥ 90 anni il numero di casi di sesso femminile supera quello dei casi di sesso maschile probabilmente per la struttura demografica della popolazione.

Prestito irredimibile, come dare forza ed efficacia alla proposta di Monti

Pubblichiamo questa nota del nostro amico Davicino con l’intento di aprire un dibattito sulla proposta di Mario Monti (Buoni di Salute Pubblica) e sulle prospettive, più in generale, dell’economia europea dopo l’emergenza coronavirus.

L’intervento di Mario Monti sul Corriere della Sera di oggi è di quelli in grado di smuovere le acque di un dibattito che in queste settimane non può che risultare fagocitato dall’emergenza sanitaria. Ci aiuta a vedere la nostra emergenza in relazione a come la vedono gli altri: i nostri partner europei, soprattutto quelli/o che hanno/ha maggiore voce in capitolo, e  “i mercati”, il “sistema” finanziario internazionale, con i quali volenti o nolenti si deve fare i conti. Inoltre, ci ricorda che, inesorabilmente, verrà un dopo a questa emergenza sanitaria, una fase in cui la dura legge dei numeri finirà per avere il sopravvento su quel clima di empatia al quale il coronavirus ha aperto uno spiraglio per potersi propagare in Europa. Uno spiraglio che realisticamente presto verrà richiuso dal riemergere di divergenti interessi particolari, fra gli stati, fra il Nord e il Sud dell’Europa. Dunque, l’occasione propizia, benché causata da una grave pandemia, per riprendere il un cammino di integrazione europea capace di superare gli squilibri economici, sui quali si era arenato,  non va sciupata.

In questo intento sembra senz’altro collocarsi la proposta avanzata da Monti di un prestito irredimibile per la salute. Prestito non rimborsabile, di importo assai consistente (presumibilmente nell’ordine delle centinaia di miliardi), in qualche modo atto a scongiurare il ricorso ad una patrimoniale di uguale entità.

Le osservazioni che si possono fare sul merito della proposta mi paiono essenzialmente le seguenti.

L’aver individuato nella sanità un patrimonio comune indispensabile per la ripresa oltre l’emergenza, su cui investire, costituisce un riconoscimento che il sistema sanitario pubblico, e più in generale tutto il welfare, costituisce una infrastruttura talmente indispensabile per lo sviluppo, che occorre invertire la tendenza al suo smantellamento, si potrebbe osservare, anche per mere ragioni di bilancio. 

La proposta di Monti, con ottima scelta dei tempi, però va oltre. Indica anche un abbozzo di modello finanziario con cui sostenere gli investimenti di cui necessita il nostro sistema sanitario. Lo strumento del prestito irredimibile offre il vantaggio di non aumentare il debito per il futuro. Nel contempo offrirebbe un investimento e clausole allettanti (guardando ai normali tassi tendenti ormai al negativo) per i clienti del private banking, per le banche, ma anche per gli investitori internazionali verso i quali semmai andrebbero posti in atto dei meccanismi di dissuasione. Essendo una bozza, quella di Monti, un sasso gettato in una direzione giusta e utile, poi, a mio avviso, toccherebbe alla politica calibrarla nel modo più rispondente alle necessità attuali, introdurre quei dettagli, anche se molto tecnici, che, come sempre fanno la differenza. Il maggiore di questi dettagli – come incentivo ad aderire a un prestito irredimibile per la gran parte dei risparmiatori che non possono contare su un patrimonio cosi vasto da potersi permettere di vedere una parte dei loro investimenti non rimborsata – consiste nell’introdurre modalità che consentano a tali titoli di poter essere  trattati non solo nel mercato secondario, come ipotizza Monti, bensì anche nelle transazioni fra contribuente e fisco, fra famiglie e negozi, fra imprese. Così gli effetti antideflattivi di tale misura non potrebbero che rivelarsi assai interessanti.  

L’altro ordine di considerazioni che suggerisce la proposta dell’ex premier attiene alla sua efficacia in relazione al quadro generale, soprattutto europeo. La situazione, fortunatamente, appare in evoluzione anche se in direzioni ancora non chiare e contrastanti. Dalla Germania giungono segnali che in qualche misura autorizzano a pensare che non è lontano il momento in cui il governo di Berlino dovrà attingere all’ingentissimo (e vietato ai sensi dei Trattati europei) suo attivo di bilancio per fronteggiare la crisi. D’altra parte i linguaggi che si usano alle latitudini del Mare del Nord appaiono ancora ben diversi di quelli delle latitudini mediterranee. Così mentre da una sponda si parla manco di sospensione del patto di stabilità, ma appena di applicazione di clausole per le grandi crisi, in esso contenute, dall’altra se ne avverte la necessità vitale di archiviazione. Per non dire del bastone scagliato nell’ingranaggio del contrasto all’emergenza dalla presidente della Bce Christine Lagarde, proprio quando l’Italia si attende, come ha rivendicato con fermezza il presidente Mattarella, solidarietà. Si è passati dal “what ever it takes” di Mario Draghi, al “not here to close” dell’improvvida dichiarazione dell’ex direttrice del Fmi.

In questo marasma di segnali non è facile orientarsi, ma con sufficiente ragionevolezza si possono intravedere alcune linee di tendenza che alla politica conviene considerare. La prima di queste tendenze, anche se ovviamente non dichiarata, è l’istinto di sopravvivenza del sistema basato sulla finanziarizzazione estrema dell’economia, a salvare se stesso. E dunque le sollecitazioni che giungono da tale ambito vanno sempre mediate e composte con il bene comune. L’altra tendenza, che pare suffragata anche dalle più recenti dichiarazioni delle istituzioni europee e dei responsabili dei più influenti stati membri, è quella di considerare la crisi da coronavirus come una parentesi, oltre la quale torneranno a valere le regole e il sistema precedente, come se non esistessero le sterminate ed incontrovertibili analisi e previsioni che davano comunque, a prescindere dal virus, per il 2020 una profonda crisi globale economica, finanziaria e commerciale, una crisi di sistema. Mai come in questa difficile ora l’esercizio della responsabilità politica appare gravoso e complesso, perché  è chiamato a discernere se quella che stiamo attraversando sia una emergenza, ricomponibile a livello globale e nell’Ue, nel quadro delle regole economiche ante-coronavirus, oppure ne richieda con urgenza di nuove. Ecco, dallo scioglimento di questo nodo cruciale, che comunque si decida finirà per avere conseguenze enormi per il nostro futuro, credo passi anche molta della efficacia che potrà avere la proposta del senatore Monti, se volta a rivitalizzare il nevralgico ambito sanitario, in un contesto di generale logoramento e decadimento economico, sociale e culturale oppure, cosa ben diversa, avere una sanità più forte in un quadro complessivo di rinascita su nuove basi da costruire insieme. Tocca alla politica decidere, perché comunque vadano le cose saremo solo noi tutti, italiani ed europei, ad essere artefici del nostro destino, del nostro benessere come delle nostre nuove disgrazie.

Dobbiamo rifondare la democrazia

In questo tempo che sembra impazzito, l’unico vero leader globale è Papa Francesco.
Durante la Messa in Santa Marta, ha detto due cose dal sapore di una profezia che guarda lontano. E che ha molto a che vedere con il futuro della nostra democrazia.
Ci ha richiamati, in primo luogo, a non pensare solo a noi, alle nostre oggettive difficoltà di queste settimane, ma anche a chi sta peggio di noi. A chi deve affrontare questa questa emergenza sanitaria senza il riparo di una casa, di una rete protettiva, di uno Stato del quale si possa sentire cittadino.

In secondo luogo, ci ha esortato a pregare per i “governanti” che devono essere sorretti “dalla preghiera del popolo” mentre sono chiamati ad assumere decisioni dure e difficili.
Nella disarmante essenzialità del linguaggio, Francesco indica così le due vere sfide per il futuro, che il Coronavirus rende ancora più stringenti e micidiali, ma che da tempo ormai sono poste sul sentiero della nostra democrazia.

La prima è quella della nostra capacità di coltivare i valori di umanità e solidarietà.
La storia ci insegna che non sono acquisiti una volta per sempre. Richiedono una costante educazione personale e collettiva ed una attitudine a coniugarli nelle mutevoli condizioni del tempo che ci è dato di vivere.

Non è facile nei momenti di crisi. Ciò non di meno, è la vera scommessa che abbiamo tutti di fronte, se non vogliamo che la giusta misura del confino nelle nostre case sia emblema di un confino interiore nelle nostre paure e nelle nostre pretese egoistiche.
La seconda profezia è racchiusa nella esortazione a pregare per i “governanti”.
C’è qualcosa di molto profondo in questa esortazione. C’è, in realtà, la premessa per una rifondazione della nostra democrazia, oggi in evidente crisi di senso e di carisma.
Nelle parole del Papa si legge una concezione oggi piuttosto desueta del rapporto tra “popolo” e “governanti”.

Una concezione che va ben oltre le due tendenze che si stanno consolidando: quella della indifferenza ostile verso la “casta” e quella di un rapporto puramente fideistico con il “proprio leader”, oppure contrattuale e conformista con il Potere di turno.
Traspaiono una radice “morale” ed un “respiro religioso” (nel senso più autentico, non confessionale) della funzione del “governante”, che richiama alla memoria la figura biblica di Re Salomone.

Il Coronavirus è una sorta di stress test per le nostre società. Non è il primo e non sarà l’ultimo.
Per superarlo servono tante cose. Certo servono poteri pubblici sovranazionali e massicci (e costanti) investimenti in conoscenza e sistemi di welfare.
Ma è uno stress test anche per le nostre democrazie, già indebolite dai fenomeni antropologici, economici, tecnologici e sociali che hanno cambiato radicalmente i paradigmi consolidati del Novecento.

Papa Francesco ci indica una duplice via. Ricostruire i legami di solidarietà comunitaria e riscoprire la natura morale (e non solo funzionale) del rapporto tra il popolo e i governanti.
C’è di che riflettere, sia da parte del popolo, che da parte dei governanti.

Orgogliosi di essere italiani

Un abbraccio è l’antidoto alla rabbia, alla paura e addirittura alla depressione. Un abbraccio produce l’ossitocina, un ormone che Aumenta l’autostima e il buonumore, rafforza il senso di unione nei rapporti e favorisce comportamenti prosociali.

E l’Italia lo sa.

Ieri, affacciati ai balconi di ogni città dello Stivale, gli Italiani si sono stretti in un unico “abbraccio”. Tra le note dell’inno nazionale e tra canzoni che rappresentano la nostra cultura si è verificato quello che nessuno poteva mai immaginare: l’Italia si è unita.

Dal nord al sud, nei vicoli deserti di ogni città, rimbombava un’eco di spontaneità e fratellanza.

Il Covid-19 ci impedisce di baciarci, toccarci, avvicinarci, ma nonostante tutto non ha la forza di allontanarci.

Ognuno di noi ieri ha dato prova – oggi sarà lo stesso – di essere vivo e di avere le forze di lottare. Le persone si tenevano per mano con gli sguardi, i bambini (e gli adulti) esultavo per un momento di condivisione sociale che pensavamo oramai ridotto a un ricordo lontano.

Questa è la parte del bicchiere mezzo pieno, la parte che ci fa sperare, la parte che ci rende forti davanti alle emergenze.

Quella parte che ci rende ancora una volta orgogliosi di essere Italiani.

Piccoli e medi comuni, la vera risorsa democratica.

Sì, forse ha ragione il Domani d’Italia. Nella ricostruzione politica, culturale, istituzionale ed umana che ci attende appena la bufera si attenuerà – e tutti gli italiani si stanno comportando affinchè sia il prima possibile – un ruolo indubbiamente importante avranno le autonomie locali. Nello specifico i Comuni.

Soprattutto la rete dei piccoli e medi comuni italiani, che erano e restano il nerbo democratico per eccellenza, e che dovranno giocare un ruolo essenziale nel processo di ricostruzione. Ed è proprio da questa rete che può e deve ripartire quella qualità della democrazia che in questi giorni drammatici sta dando grande prova di tenuta e di solidità. E parlo nello specifico proprio di quei piccoli e grandi comuni senza far coincidere sempre e solo il sistema delle autonomie locali con i grandi centri, ovvero con i cosiddetti “grandi sindaci”. Perchè la rete di solidarietà, di altruismo e di governo della comunità che sprigionano i piccoli e grandi comuni sono un esempio di democrazia e di cultura istituzionale di cui l’Italia può disporre.

E non solo durante l’emergenza o le grandi crisi che ci hanno coinvolti. Perchè, di norma, i comuni piccoli e medi fanno notizia solo e soltanto con le periodiche “disgrazie” che li attraversa, per poi appaltare il tutto – nella normalità – ai sindaci mediatici. Forse è giunto il momento, e alla viglia di una ripartenza – che speriamo, lo ripeto ancora una volta, sia la più rapida possibile – dell’intero sistema democratico, di sottolineare con forza che anche la futura classe dirigente politica ed istituzionale sia il frutto di questo lavoro capillare, quotidiano, sotterraneo e al di fuori dalle luci della ribalta.

Mediatiche e giornalistiche. Una riflessione che i grandi e medi partiti non potranno non fare. Anche perchè, è inutile negarlo, la stagione politica che seguirà alla tragedia che ci ha colpiti, non potrà che essere radicalmente diversa da quella che abbiamo conosciuto sino ad oggi. E ripartire dal basso, forse, senza arroganza e senza presunzione, ma solo e soltanto ricchi di un giacimento di valori, può essere la risorsa decisiva da mettere a disposizione di tutti e per tutti.

Ciao Bruno

Un uomo battagliero, presente, sempre disposto a stare dentro le cose, tra gli uomini e a metterci tutta l’anima per comporre al meglio le vicende che ci riguardano.

Il suo sorriso, la sua capacità di alleggerire le tensioni, di archiviare gli aspetti grigi del comportamento umano. Uomo politico, che ha saputo offrire ai suoi amici un’espressione gagliarda, rigorosa e puntuale.

Lo ricordo ancora in mille e mille occasioni consumate assieme agli altri amici di partito. Non ha mai trascurato il suo dovere ed è riuscito sempre ad offrire il suo punto di vista, perché il confronto fosse portato ai livelli di competenza che la politica giustamente pretendeva.

Democristiano, passato attraverso tutte le pagine brillanti e ingiallite di questi ultimi quarant’anni. Fino all’ultimo non si è sottratto al compito che si era sempre dato: affiancare, con il proprio pensiero ogni proposta sorgesse, per necessità, nella sfera dell’azione politica, perché trionfasse la migliore.

Alla moglie e ai figli il profondo e sentito cordoglio per la perdita del loro simpatico, intenso, grand’uomo, quale era l’amico Bruno.