Diciamolo con franchezza senza equivoci e fraintendimenti. Il cosiddetto ‘campo largo’ della Schlein è un progetto politico che non può che trovare centristi, moderati e riformisti con una spiccata cultura di governo dall’altra parte della sponda. O meglio, distinti, distanti se non addirittura alternativi rispetto a quel miscuglio. E questo per una ragione persin troppo facile da spiegare. Ovvero, il radicalismo massimalista del gruppo dirigente del Pd unito al populismo anti politico e demagogico del partito di Conte e di Grillo più qualche rimasuglio vetero comunista e tardo ambientalista, ripropone un caravanserraglio che non può contemplare al proprio interno tutti coloro che hanno un’altra cultura politica, che praticano un altro stile politico e che, soprattutto, non hanno nulla da condividere con la cifra estremista e radicale della politica. E, di conseguenza, è del tutto naturale nonchè scontato che attorno a quello zoccolo duro di Schlein e di Conte si formi un’alleanza che culturalmente e storicamente è semplicemente alternativa, perchè agli antipodi, rispetto a tutto ciò che ha caratterizzato per molti decenni l’esperienza della Dc prima, del PPI, della Margherita e del primo Pd dopo. Al di là delle piccole ed insignificanti schermaglie tra i due per motivazioni del tutto contingenti e tattiche.
Una esperienza, quella del ‘campo largo’ attuale, che ripropone del resto la versione, ben nota alla politica italiana, fatta di radicalismo, di estremismo, di ricorso sistematico alla piazza, di demolizione dell’avversario/nemico e, dulcis in fondo, di cronica delegittimazione morale verso chiunque vada al governo e che non fa parte della propria corte. Un impasto politico e culturale, sociale e valoriale che era e resta alternativo non solo a tutti coloro che sono riconducibili alla cosiddetta ‘politica o cultura di centro’, ma anche e soprattutto a tutto quel mondo che fa del riformismo la stella polare della sua azione politica e di governo. Del resto, è appena sufficiente registrare i grandi sponsor di questo progetto politica per rendersi conto della lontananza che coltiva nei confronti di culture politiche, mondi vitali, gruppi sociali e aggregazioni civiche che non sono accomunate dall’estremismo radicale, massimalista e populista. E cioè, dal supporto della grande borghesia salottiera ed aristocratica attraverso i suoi organi di informazione ai talk e all’informazione televisiva schierata massicciamente a sinistra; dal ritorno organico e quasi perfetto della “cinghia di trasmissione” del sindacato della Cgil al principale partito della sinistra al protagonismo dei soliti settori politicizzati della magistratura; dalla sacralità della piazza ad un linguaggio perennemente e strutturalmente protestatario. Il tutto condito dalla sub cultura populista, demagogica, gruppettara, movimentista e vagamente anti politica.
Insomma, una fotografia persin troppo facile da fare e dove la cifra politica e culturale emerge in modo nitido ed inequivocabile. Certo, e per chi lo vuol cogliere, un campo politico dove la cultura libertaria è uno degli elementi centrali e costitutivi dell’intero progetto. Almeno sotto il profilo valoriale e dei principi culturali ed etici.
Ora, è di tutta evidenza che in un progetto del genere l’area popolare e cattolico sociale è del tutto estranea, se non addirittura alternativa. Sotto il profilo culturale ed ideale innanzitutto; sotto il profilo politico e progettuale e, in ultimo, anche sotto il versante del metodo e dello stile. Tre tasselli decisivi e qualificanti che, da un lato hanno l’indubbio merito di delimitare con sufficiente chiarezza un campo politico e, dall’altro, offrono anche la possibilità concreta di far capire che per il nostro mondo, cioè quello riconducibile alla storia del cattolicesimo popolare e sociale, la prospettiva politica è diametralmente opposta ed alternativa rispetto all’aggregato massimalista, radicale, populista e libertario. Il tutto solo per chiarezza, e non civetteria moralistica.