Il monito di Draghi fa da bussola per il Centro

Nella visione espressa da Draghi sul futuro dell’Eu si colloca il progetto politico del Centro, che sarà tanto più credibile quanto saprà essere corale e plurale nella chiarezza della strategia.

Ogni volta che Mario Draghi interviene nel dibattito internazionale, pone questioni fondamentali per il futuro dell’Europa e dell’Occidente, con le quali ci si deve confrontare. Questo rilievo notevole che ottengono i suo interventi, è dovuto sia al fatto che spesso le sue parole sono pronunciate con autorevolezza in istituzioni e centri di potere che stanno al cuore del sistema occidentale (com’è avvenuto ieri pomeriggio a un evento, il Global Boardroom 2023, del Financial Times), sia per lo spessore del suo pensiero e della sua visione, qualità rara in un’epoca in cui tra i leader del “primo mondo” che fu, sembra scarseggiare una lucida visione del domani nonostante i processi inequivocabili di varia natura in corso nel mondo.

Le cose più importanti che Draghi ha detto ieri nell’intervista al principe degli editorialisti del Financial Times, Martin Wolf, non sembrano esser solo e tanto le previsioni che segnalano alcune criticità sulla congiuntura economica europea. Quanto quelle relative a come l’Occidente si percepisce in un mondo che sta velocemente cambiando e quelle sugli interventi indispensabili per il futuro dell’Unione Europea.

Il concetto di arretramento, delle posizioni, non dei valori, ha osservato Draghi è un dato con il quale l’Occidente deve fare i conti. Afghanistan, Siria (ma si potrebbe ricordare anche l’Iraq) Crimea (e buona parte del Donbas ormai) stanno lì a ricordarcelo. Ma non per questo deve venir meno l’impegno ad affermare i valori fondamentali che stanno alla base dell’Unione Europea: “la pace, la democrazia, la libertà, la sovranità nazionale”.

Per dare forza a questi valori occorre che l’Unione Europea affronti il tema di come porsi in un mondo che sta cambiando e nel quale emergono nuovi protagonisti, se vuole esistere politicamente.

L’ex presidente della BCE, nonostante il suo curriculum più da tecnico, lo ha detto in un modo molto più efficace di molti leaders politici: “O l’Europa agisce insieme e diventa un’unione più profonda, un’unione capace di esprimere una politica estera e di difesa, oltre tutte le politiche economiche… Oppure temo che l’Ue non sopravvivrà, se non come mercato unico”.

Questa è la grande, epocale, storica sfida a cui ci invita guardare Draghi e che inspiegabilmente appare quasi assente dal nostro dibattito politico, ricordando nuovamente che stanno venendo meno, una dopo l’altra tutte le certezze che in passato hanno garantito la solidità del sistema economico e sociale europeo, vale a dire l’approvvigionamento energetico a buon mercato dalla Russia, l’assenza di turbolenze nel commercio internazionale, lo scudo difensivo americano per la sicurezza.

Anche in Italia abbiamo bisogno di organizzare la posizione di quanti – e sono molti – avvertono che il futuro dell’Ue si gioca non sui tecnicismi che hanno caratterizzato lo scorso decennio, quello precedente a questi nuovi anni venti incandescenti più che ruggenti, ma sulla sfida di una maggiore integrazione attraverso la via della sussidiarietà, conferendo al livello comunitario competenze nelle materie in cui gli stati nazionali hanno difficoltà ad agire da soli. E fra queste competenze vi sono anche le politiche fiscali e di bilancio che stanno alla base per la gestione comunitaria degli altri dossier prioritari.

Soprattutto per il Centro, inteso sia come culture politiche che lo compongono, che anche come costituenda lista per le prossime Europee, credo sia questo più di ogni altro il messaggio da preparare per un elettorato stanco di propaganda e alla ricerca di solidi punti di riferimento. Però bisogna dare il senso di un impegno corale, di una sinfonia dove tutti contribuiscono alla causa comune, sapendo guardare oltre i piccoli interessi di bottega che danno l’idea più di una somma improvvisata e di convenienza che di un grande e attuale progetto politico.

In questa prospettiva credo che si possano porre in una nuova luce anche le questioni istituzionali, ridimensionando di molto la portata della proposta di riforma costituzionale del centrodestra dell’elezione diretta del premier. Una proposta che intanto potrà essere resa meno rischiosa dall’iter parlamentare e che, semmai andrà in porto anche senza apparire del tutto rassicurante, potrebbe avere in un’Europa che sappia e voglia intraprendere la via indicata da Mario Draghi, quella della sussidiarietà indispensabile per il proprio futuro, il più grande dei contrappesi.