Pubblichiamo un ampio stralcio dell’articolo di Massimo Granieri, pubblicato sull’Osservatore Romano in edicola ieri pomeriggio.
«È la medesima realtà il vivo e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli, e quelli di nuovo mutando son questi». Un passo di Eraclito di Efeso introduce un disco di Franco Battiato ascoltato dopo aver letto la notizia della sua morte. L’album è L’imboscata, nella traccia Di Passaggio la vita muta in nuove dimensioni. Nella stessa canzone c’è un’altra citazione in greco antico, un estratto degli Epigrammi di Callimaco riguardo il suicidio di Cleombroto d’Ambracia, seguace di Platone. Un tema molto caro a Battiato quello dell’immortalità dell’anima e della reincarnazione che lo spinsero nel recinto del cristianesimo. Interpretò la risurrezione dei corpi dopo la morte annunciata nei Vangeli, come in Testamento in cui impasta la verità del Risorto (confusa con la reincarnazione) con versi del ventiseiesimo canto dell’Inferno di Dante. Nella canzone la distanza dal mistero dell’Incarnazione diventa siderale: «Peccato che io non sappia volare / Ma le oscure cadute nel buio mi hanno insegnato a risalire / Noi non siamo mai morti, e non siamo mai nati».
Il maestro Battiato, morto il 18 maggio, aveva la percezione del divino e della sua eterna assenza. Il testo de L’esistenza di Dio si chiude con dei versi chiarissimi: «La teologia vi invita / Anzi vi impone d’immaginare / Una pietra infinita». Un Dio pietrificato nel suo silenzio lo affascinava, alcune canzoni ricordano la notte oscura descritta da san Giovanni della Croce. Se l’aridità spirituale, il senso dell’abbandono toccarono la vita del mistico, Battiato pensava al passaggio fugace di Dio nel nostro mondo. Fu capace di farci sperimentare quel senso di aridità e di vuoto che rimane addosso quando siamo visitati e in apparenza abbandonati dal Signore: «Sia Lode, Lode all’Inviolato / Arido è l’inferno / Sterile la sua via / Quanti miracoli, disegni e ispirazioni / E poi la sofferenza che ti rende cieco / Nelle cadute c’è il perché della Sua Assenza» (Lode all’Inviolato). Il 24 ottobre 1993 eseguì la sua Messa Arcaica nella basilica superiore di San Francesco d’Assisi, incisa su commissione in occasione della Giornata della pace indetta dalle Nazioni Unite. Musicò le parti della santa messa, l’atto penitenziale, il Gloria, la professione di fede e la liturgia eucaristica. Ne approfittò per soddisfare il bisogno di utilizzare ogni tipo di linguaggio e comunicare “le opzioni del cuore” alimentate dal desiderio e la fatica di conoscere la Verità cantato in Torneremo ancora: «Molte sono le vie / Ma una sola / Quella che conduce alla verità / Finché non saremo liberi / Torneremo ancora». In un’intervista riguardo l’uscita discografica della Messa Arcaica, dichiarò: «Al di là delle differenze formali, ciò che trovo invariabilmente presente in tutti i miei lavori, da quelli avanguardistici degli anni Settanta fino alla mia Messa Arcaica è una ricerca costante della bellezza, dell’armonia, della fluidità delle soluzioni che si muovono all’interno di ogni linguaggio prescelto».
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