La chiarezza in politica estera non appartiene ai populisti

La politica estera rende riconoscibile l’identità di un partito. È tempo di isolare dunque le ragioni (e i partiti) che sono il frutto e la conseguenza dell’attuale irrilevanza della politica stessa.

La politica estera, storicamente, è l’aspetto costitutivo e quasi discriminante per dimostrare se un partito ha una cultura di governo o meno. Senza una chiarezza di fondo sulla politica estera qualsiasi partito o movimento è destinato nell’arco di poco tempo a cadere nella confusione o, peggio ancora, a scivolare progressivamente nel trasformismo politico e nell’opportunismo parlamentare. Del resto, è appena sufficiente osservare concretamente il comportamento delle forze politiche della prima repubblica e anche di quelle dopo l’uragano di tangentopoli, per rendersi conto che la coerenza sulla politica estera resta il faro che illumina la coerenza e il progetto politico di un partito. E non soltanto sul piano geopolitico mondiale ma anche, e soprattutto, nelle scelte politiche concrete del proprio paese. Perché la chiarezza e la coerenza sulla politica estera è sinonimo anche di chiarezza, ad esempio, sulla politica economica e sociale e su quella dei diritti. Insomma, la politica estera appartiene a pieno titolo alla carta di identità politica e culturale di un partito. E per i grandi partiti popolari, democratici e di massa del passato la politica estera, appunto, rappresentava lo spartiacque per costruire il campo delle alleanze e la stessa strategia di governo.

Ora, è altrettanto noto che le forze e i movimenti populisti – da chi detiene il marchio principale e quasi esclusivo, cioè i 5 Stelle e la Lega salviniana – non hanno alcuna chiarezza sulla politica estera se non quella di cavalcare gli istinti più triviali e momentanei della pubblica opinione. Che, di norma, si tratta di modelli radicalmente estranei alla cultura democratica e liberale. Non a caso, e proprio alla luce degli ultimi accadimenti drammatici che provengono dalla Russia, noi assistiamo al semplice riproporsi di un aspetto. E cioè, i populisti sono privi di una strategia lineare di politica estera perché la mancanza di una cultura politica da un lato e l’assenza di una altrettanto necessaria ed indispensabile cultura di governo dall’altro inibisce a questi partiti di giocare un ruolo responsabile e di medio lunga durata. Se non quello di cavalcare gli umori della piazza che, come noto, sono destinati a mutare con una rapidità impressionante. E non stupisce, al riguardo, che proprio sulla politica estera si registri una sostanziale convergenza tra partiti che apparentemente stanno su sponde opposte ma che, invece, sono accomunati dalla deriva e dalla sub cultura populista. Cioè, per essere ancora più precisi, i partiti dell’indimenticabile alleanza giallo-verde.

Ecco perchè, se è vero com’è vero che sta ritornando lentamente la politica e con la politica anche le tradizionali categorie, diventa sempre più importante, nonchè decisivo, saper rideclinare una cultura di governo autentica e credibile, naturalmente accompagnata da una visione europea e mondiale

Non ci può essere confusione con il qualunquismo o, peggio ancora, con il dilettantismo opportunistico e trasformistico. Per questi semplici motivi è giunto il momento di isolare definitivamente ed irreversibilmente il populismo da qualsiasi alleanza di governo. Sempreché si voglia recuperare la credibilità della politica da un lato e l’efficacia dell’azione di governo dall’altro.

Perché non è possibile pensare di aprire una nuova stagione della politica italiana senza isolare le ragioni (e i partiti) che sono il frutto e la conseguenza della sconfitta e della irrilevanza della politica stessa. Ne va anche, e soprattutto, della credibilità del nostro sistema politico, della qualità della nostra democrazia e dell’autorevolezza delle nostre istituzioni democratiche.