La diaspora dei Popolari è problema politico o di leadership?

La ricomposizione politica ed organizzativa dei Popolari è quasi un atto dovuto. Non esiste né un nodo politico e né, tantomeno, un problema legato alla leadership. Serve solo la buona volontà.

La diaspora, o meglio, la divisione tra i Popolari è un tema talmente noto che non fa neanche più notizia. Apparentemente non ci sono motivazioni vere e reali che legittimano e giustificano questa cronica divisione. Come tutti ben sanno, le motivazioni risiedono nella presunzione che ciascun gruppo o movimento o soggetto politico riconducibile ai Popolari pensa di avere una rappresentanza esclusiva e quasi totalizzante del mondo e dell’intera area Popolare italiana. Appunto, una presunzione. E di fronte a questo spaccato emerge, purtroppo, anche la difficoltà oggettiva per questa cultura politica nel riuscire a condizionare e a orientare l’evoluzione del dibattito politico. Un elemento che nel passato, recente e meno recente, è sempre stato decisivo per affrontare e cercare di risolvere i nodi politici più delicati della storia democratica italiana.

Ora, il tentativo messo in campo recentemente da Beppe Fioroni e da molti amici cattolici democratici, cattolici popolari e cattolici sociali di ricomporre questo mondo e di superare le incrostazioni che si sono sedimentate dalla fine della Democrazia Cristiana, del Ppi e della Margherita e che si sono allungate sino a poco tempo fa, sta riscuotendo un discreto consenso anche perché l’alternativa a questo progetto è prendere atto della propria irrilevanza politica, culturale ed organizzativa. Ma, per centrare un vero obiettivo, oltre ad una necessaria e persin fisiologica “ricomposizione” è altrettanto indispensabile coltivare un progetto politico credibile e soprattutto coerente. E, al riguardo, il progetto non può essere che quello di collocare questa esperienza politica e culturale in una prospettiva di Centro che sia in grado da un lato di indebolire un “bipolarismo selvaggio” e maldestro che impoverisce progressivamente la stessa cultura di governo e, dall’altro, di ricostruire un luogo politico che storicamente ha giocato un ruolo decisivo in un sistema politico ed istituzionale come quello italiano. E per la stessa specificità della società italiana.

Ed è per questi motivi che il nodo politico da sciogliere per ricomporre l’area popolare non può essere né quello riconducibile al progetto politico e né, tantomeno, quello di individuare un leader salvifico e miracolistico che sia in grado di infiammare chi si riconosce in questo filone di pensiero e in questa cultura politica. Per la semplice motivazione che è proprio la cultura Popolare che respinge, quasi statutariamente, l’idea che è sufficiente avere un “capo” riconosciuto ed assoluto per guidare il suo cammino politico nella società e nelle istituzioni. Perché sin dai suoi esordi, il movimento politico Popolare ha sempre avuto una leadership politica diffusa come si suol dire, anche se al suo interno – com’è altrettanto ovvio – ci sono sempre stati autorevoli e qualificati leader e statisti nazionali.

Ecco perché, se il problema non è riconducibile né alla collocazione politica – fuorchè qualcuno pensi, goliardicamente, che il progetto della sinistra radicale massimalista e libertaria della Schlein o il populismo anti politico e qualunquista dei 5 Stelle o il sovranismo clericale della Lega salviniana siano i luoghi più accoglienti e coerenti per il popolarismo di ispirazione cristiana – e né, tantomeno, ad una leadership assolutista e demiurgica, il nodo risiede esclusivamente nella capacità di superare ridicole ed insignificanti, nonchè sterili, rendite di posizione e accettare sino in fondo l’invito ad una seria e del tutto percorribile “ricomposizione” politica, culturale ed organizzativa. Del resto, non si può sacrificare la nobiltà e la straordinaria modernità di un pensiero politico e di una tradizione storica sull’altare di gesti infantili e di piccolo cabotaggio.