La Margherita non era un orpello della sinistra, come oggi si vorrebbe.

Rutelli e di Marini, per citare i due esponenti più significativi di quell’importante progetto politico, operarono perché non fosse un accessorio delle sinistre riunite, ma un elemento costitutivo dell’alleanza di centro sinistra.

Il recente voto ligure ci ha consegnato alcuni verdetti politici di rara chiarezza. Tra tutti spicca il fatto che il tradizionale elettorato centrista, civico e moderato – poco o tanto che sia non fa differenza alcuna – ha scelto seccamente la coalizione di centro destra. Alcuni si chiedono ancora ingenuamente il perché. Ora, senza menzionare che nel nostro paese, e storicamente, si “vince al centro” e soprattutto “si governa dal centro”, è appena il caso di ricordare che proprio quell’elettorato difficilmente si riconosce in una coalizione o in una alleanza molto caratterizzate sotto il profilo ideologico e culturale. E la coalizione progressista che vede saldamente unite – così è stato in Liguria ma così sarà anche in altre regioni e, soprattutto, a livello nazionale – la sinistra radicale della Schlein, la sinistra populista di Conte e la sinistra estremista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis, difficilmente può intercettare e rappresentare un mondo culturale, politico e valoriale radicalmente alternativo a quelle sensibilità. E, non a caso, il Pd ha avuto uno straordinario successo come del resto anche Avs ma, al contempo, ha dovuto prendere atto che un pezzo di elettorato, cioè quello centrista, guarda e vota altrove.

Ora, alla luce di questo risultato concreto e persin scontato per chi conosce seppur solo genericamente le dinamiche storiche del nostro sistema politico sin dall’inizio del secondo dopoguerra, è singolare che ci sia qualcuno all’interno della coalizione delle tre sinistre che continui a parlare della “necessità di riavere una nuova e rinnovata Margherita” per cercare di rappresentare anche un pezzo dell’elettorato centrista. E, al riguardo, alcuni maggiorenti del Pd – e lo stratega per eccellenza è sempre l’arguto Bettini – pensano che un’operazione del genere si possa tranquillamente pianificare a tavolino come avveniva con i tradizionali “partiti contadini” di antica memoria. Ma, per restare seri, credo sia evidente a quasi tutti che un potenziale elettorato centrista, e al di là e al di fuori degli organigrammi che qualcuno pensa di tracciare sulla sabbia, storicamente non si riconosce in una coalizione che, del tutto legittimamente, è fortemente caratterizzata sotto il profilo politico, culturale, valoriale e programmatico. È la storia concreta del nostro paese che lo ricorda e non c’è alcun bisogno di scomodare chicchessia per evidenziarne le ragioni politiche. E un progetto come quello di una rinnovata Margherita, diversa come ovvio da quella del passato, non potrà mai decollare se il profilo politico di una coalizione è massicciamente sbilanciata a sinistra. Come il voto ligure, del resto, ha platealmente e plasticamente confermato.

Ecco perché il difetto sta nel manico, come si suol dire. E cioè, se la coalizione ‘progressista’ o del ‘campo largo’ o del Fronte popolare’ resta quella di oggi, il voto centrista, civico e moderato semplicemente non ci sarà. Non per una polemica pretestuosa o per pregiudizio ideologico ma per ragioni di coerenza politica e culturale. Ed è anche perfettamente inutile, nonchè anche un po’ ridicolo, che qualcuno si agiti per dare vita a micro esperimenti che ricordano la vecchia Margherita. Perché proprio la vecchia Margherita di Rutelli e di Marini, per citare i due esponenti più significativi di quell’importante progetto politico, non era un accessorio delle sinistre riunite ma un elemento costitutivo dell’alleanza di centro sinistra. Ovvero, l’esatto contrario di quello che oggi pensano e teorizzano i sostenitori della Margherita bonsai.