«La conoscenza del passato — ha scritto Marc Bloch — è una cosa in evoluzione, che senza posa si trasforma e si perfeziona». Sulla scia di questa affermazione, contenuta nell’Apologie pour l’histoire, si pone Antonio Musarra, docente di Storia medievale all’Università di Roma La Sapienza, nel suo recente Urbano II e l’Italia delle città. Riforma, crociata e spazi politici alla fine dell’XI secolo (Bologna, Il Mulino, 2023, pagine 320, euro 28). Mettendo in dialogo gli studi sulla riforma della Chiesa con le ricerche sul fenomeno crociato e con le indagini sull’avvio dell’esperienza comunale, il libro riesce a gettare nuova luce sul pontificato di Urbano II (1088-1099), chiarendo così una fase cruciale sia per la storia della Chiesa, sia più in generale per il futuro dell’Europa e dei suoi rapporti con l’Oriente.
Una delle tesi del libro di Musarra è che l’interesse da parte dell’Occidente latino per la conquista della costa siro-palestinese non sia riconducibile unicamente a moventi economici, ossia alla volontà di acquisire nuovi mercati e nuovi monopoli in Terrasanta, ma debba essere compreso nel quadro della sperimentazione di forme di autogoverno che si andava compiendo nelle città dell’Italia centro-settentrionale alla fine dell’XI secolo. Con questo Musarra non intende affatto sostenere che la crociata innescò la nascita dei comuni. In modo più raffinato, lo studioso vorrebbe dimostrare che la crociata — anche grazie alla canalizzazione della violenza dei milites verso l’esterno — svolse un ruolo non trascurabile nel favorire un clima di concordia interno alle realtà urbane e che, viceversa, il tentativo di pacificazione fu un elemento importante per incoraggiare la partenza dei “cittadini-pellegrini” verso Gerusalemme.
In tal senso, il programma di Urbano II — basato sulla difesa della libertas ecclesiae rispetto alle istanze imperiali, sulla riforma del clero e del laicato, così come su una visione universalistica del papato — si rivelò decisivo.
Nato tra il 1035 e il 1040 a Châtillon, Eudes aveva frequentato la scuola della cattedrale di Reims retta da Bruno di Colonia, divenendo arcidiacono. Non è chiaro quando entrò a Cluny, ma è documentato che, intorno al 1070, riuscì a raggiungere il grado di priore maggiore, vicario dell’abate Ugo di Semur. L’apprendistato cluniacense fu fondamentale nella sua successiva opera di riforma, anche amministrativa, della Chiesa. Il suo trasferimento a Roma si deve far risalire al 1078 o al 1079, quando fu nominato cardinale vescovo di Ostia da Gregorio VII; nel 1085, poi, in un periodo caratterizzato dal conflitto tra papato e impero, divenne legato in Germania. A Quedlinburg, in Sassonia, partecipò a un concilio in cui si condannò Guiberto, arcivescovo di Ravenna, che nel 1080, per volontà di Enrico IV, era stato scelto come papa in funzione anti-gregoriana con il nome di Clemente III. Nel marzo 1088 — dopo il breve pontificato di Vittore III, già abate di Montecassino — egli stesso fu eletto Papa, assumendo appunto il nome di Urbano. La scelta non fu causale: forse fu compiuta proprio in onore di Gregorio VII, che era morto nel giorno della festa di sant’Urbano (il 25 maggio 1085) e che l’aveva indicato come uno dei suoi possibili successori; o forse in ricordo di Urbano I, a cui era in quel tempo attribuita una falsa decretale sulla vita comune del clero.
Dedicandosi con meticolosità alla lettura delle fonti, Musarra ricostruisce i cinque viaggi compiuti da Urbano II nel Meridione tra il 1089 e il 1097, prende in esame il concilio da lui convocato a Piacenza (marzo 1095), quindi quello di Clermont (novembre 1095), noto soprattutto per l’invito che il Papa avrebbe rivolto in conclusione dell’assise a partecipare a un iter armato ad liberandam ecclesiam Dei Ierusalem. Del discorso papale non rimangono resoconti ufficiali, ma soltanto testimonianze posteriori, che devono essere opportunamente ponderate perché molto orientate in senso ideologico. Ed è soprattutto sull’interpretazione di questo discorso che Musarra si sofferma lungamente, sostenendo che, nell’ottica urbaniana, in gioco non vi era soltanto la liberazione di Gerusalemme o quella della Chiesa d’Oriente, ma anche un progetto di restaurazione della cattolicità in Sicilia e nella penisola iberica e di opposizione a Guiberto, e dunque all’impero. Si tratta di un aspetto centrale: la crociata fu usata da Urbano II come occasione per deporre i vescovi fedeli al suo rivale e per sostituirli con figure a lui vicine, che potessero fungere da raccordo tra il centro e le turbolente periferie. La questione della lotta contro il “dominio islamico” si intrecciava così al problema dell’affrancamento dalle ingerenze laiche negli affari ecclesiastici.
In breve, l’indizione delle crociate, la necessità del rinnovamento della Chiesa e l’origine dei comuni sarebbero processi più legati tra loro di quanto si possa pensare. Solo il dialogo tra indirizzi storiografici diversi consente di cogliere questo nesso e di garantire così quell’avanzamento nella conoscenza del passato di cui parlava Marc Bloch.
Fonte: L’Osservatore Romano – 12 aprile 2023
(Il testo è qui riproposto per gentile concessione del direttore del quotidiano pubblicato nella Città del Vaticano. Titolo originale: «Urbano II e l’Italia delle città» di Antonio Musarra. Strenua difesa della «libertas ecclesiae»).