Michela Murgia, voce del futuro, lascia un vuoto nella cultura italiana.

È stata in effetti una voce controcorrente. Donna coraggiosa e determinata, ha affrontato la vita e la morte con piena consapevolezza. Ha fatto il portiere di notte alle nostre debolezze e contraddizioni.

Michela Murgia ci ha lasciato. Ne riportano l’accaduto tutti i giornali e non solo per dare sapore alle notizie di questi giorni che rischiano di essere terribilmente banali man mano che si entra nella pienezza dell’estate con le consuete cronache dei Ferragosto da commentare. Della Murgia stanno in queste ore sottolineando le virtù anche coloro che non erano in accordo con le sue idee. Il sottoscritto ne ha criticato la proposta di una famiglia queer dove si privilegiano i sentimenti piuttosto che i ruoli, così ponendo una alternativa alla quale non si dovrebbe essere costretti, potendo essere la famiglia, nei suoi ruoli, un luogo ideale di affettività

In queste ore se ne stanno evidenziando il coraggio in ordine alla chiarezza di posizioni e all’impegno politico. Una donna che non si è di certo tirata indietro e non è mai caduta nel gioco delle convenienze e dell’opportunismo. Una donna che non si è mai celata nel modo italiota del detto e del non detto o che ha badato ad un suo tornaconto. Ancor di più è stata capace di smuovere le acque nel vuoto del pensiero e delle coscienze impigrite da un mondo che non vuole essere infastidito da ragionamenti in grado di mettere in discussione il suo andazzo corrente di finte proposte e finte contestazioni.

Era nata a Cabras in Sardegna, ma era tutt’altro ottusa, come Sgarbi pensa possa essere una capra. Non deve essere un caso che proprio in quella Regione c’è un formaggio che ha per nome “Testadura”. Così è stata la determinazione della Murgia che ha fatto nella vita sempre un passo avanti mai arretrando, sparigliando piuttosto che accomodando. La morte con lei ancora non si capacita. È stata donna dalle mille vite, impossibile sopprimerle tutte. Insegnante di religione, venditrice di multiproprietà, operatrice fiscale, dirigente amministrativa in una centrale termoelettrica e portiera notturna.

Anche qui è arduo voler trovare un filo che leghi queste esperienze se non la capacità di stare nel concreto, una con i piedi per terra, non smarrita nel mondo delle favole e dell’arte. Parliamo di una intellettuale che ha saputo tessere giorni diversi tra loro ricavandone il filo conduttore di un impegno da non sprecare. L’ultima sua lezione nei mesi ultimamente vissuti richiama nel titolo al lavoro di Garcia Màrquez “Cronaca di una morte annunciata”. Ciò che sfugge agli uomini d’oggi, infatti, non è soltanto la prospettiva della morte, ormai loro in grado di arrampicarsi solo nel presente. È piuttosto l’occasione unica ed irripetibile di saper vivere la propria fine, intuendone da principio la dimensione, poi sempre più nitida man mano che si avvicina e si rende ancor più riconoscibile.

All’opposto Michela Murgia ha avuto la forza, la sensibilità, il carattere e l’intelligenza di andarle incontro senza l’alterigia di una sfida ma facendola compagna di viaggio nel mentre il respiro ancora andava, trovando con essa una confidenza che i più desiderano unicamente sfuggire, conquistandone la ricchezza. Come non bastasse, da buona insegnante, ha educato o corrotto la morte portandola oltre il suo confine, facendole abitare un campo del tutto sconosciuto, quello degli uomini e donne ancora in piedi intenti a fare. Non ha sprecato un fiato nel suo tempo terminale che non fosse rivolto a vivere pienamente la sua morte come possibilità di un nuovo apprendimento da portare a mente anche in Paradiso.

Nel testo di Màrquez i due fratelli Vicario meditano di vendicare la sorella Angela, violata ad opera di Santiago Nasar, che per una serie di circostanze non viene a conoscenza del progetto ai suoi danni e quindi non appronta nessuna strategia a sua difesa, non scampando così al progetto dei Vicario. Il motivo di onore negato è presente anche ne “Il portiere di notte” della Cavani. La storia ci dice del protagonista Max, un militare nazista, che sotto mentite spoglie fa il custode nelle ore del buio in un albergo di Vienna. Accade che per casualità passì di là Lucia, una ebrea violata proprio da Max quando si era in campo di concentramento e tra i due nasca una relazione che mostra i sintomi di una perdizione e di una riparazione all’un tempo.

Michela Murgia ha fatto materialmente e pedagogicamente il portiere di notte alle nostre debolezze e contraddizioni. In più ci ha resi desti di giorno con le sue proposte e le sue provocazioni con la dignità e l’onore di chi ha finalmente un pensiero per il quale più volte ci ha chiamato al confronto. “Apparecchio alla morte” è il testo di S. Alfonso Maria de’ Liguori che insegna a disporci in vista della vita futura. Michela Murgia ha saputo come pochi apparecchiarsi alla morte centellinando i passaggi progressivi al suo approccio, misurandone la consistenza e l’incalzante procedere, tenendola sottobraccio fin quasi a destituirne la fisionomia. Ha marcato lei la morte non con lo spirito distaccato dell’asceta ma con la consapevolezza totale dell’evento.

La Morte forse avrebbe desiderato ritardare il suo compito così condotta da una “vate” per un cammino, d’improvviso forse irrinunciabile, che le ha insegnato come possa essere intenso il passaggio tra un prima e un dopo, tanto da volerne ritardare il più possibile il traguardo. A Michela Murgia va questo pieno riconoscimento e il nostro incondizionato grazie.