Sanità e scuola, umiliati due grandi servizi istituzionali.

I professionisti che lavorano in questi comparti dedicano anni di studio e si cimentano in concorsi pubblici selettivi: purtroppo, giunti alla meta, viene da chiedersi se ne valeva la pena.

Mettiamoci per un attimo nei panni di medici, infermieri e insegnanti che svolgono la loro professione nel servizio pubblico: da tempo molti di loro, malcapitati per la legge dei grandi numeri – oggi a te domani a me, nessuno ne è potenzialmente escluso – sono fatti oggetto di aggressioni da parte dell’utenza di cui si occupano. Alunni o genitori che mettono le mani addosso ai docenti per un rimprovero, un cellulare ritirato, una nota sul registro, un voto, per non parlare di sospensioni o bocciature. Addirittura casi di armi portate in aula, coltelli e pistole a pallini: si aggredisce o si spara direttamente in classe o si avvertono i familiari a casa o sul lavoro dell’ingiustizia subita e li si aizzano affinchè si precipitino a scuola e la lezione la impartiscano loro agli insegnanti, pelo e contropelo senza ritegno e senza riguardo.

Gli episodi di bullismo tra alunni ormai non si contano più, sono stati da tempo derubricati ad intemperanze verso le quali si deve chiudere un occhio. Il recente provvedimento voluto dal Ministro Valditara vuole mettere dei paletti e introdurre norme severe nei comportamenti degli alunni e nella loro valutazione, a cominciare dal 5 in condotta che apre le porte alla bocciatura, oltre alle sanzioni pecuniarie. Insomma la scuola – senza diventare un’istituzione para-militare – deve recuperare l’autorevolezza perduta e applicare concretamente l’educazione civica alla prassi di normalità da ripristinare. Con un sospiro di sollievo delle vittime di violenza e della maggior parte degli studenti che fanno il loro dovere e un briciolo di rispetto verso i professori l’hanno conservato.

Negli ospedali, nei reparti ma specialmente nei Pronto Soccorso, da parte dei parenti degli assistiti o dai pazienti stessi che non sopportano attese o interferiscono nelle terapie o non accettano responsi nefasti o il decesso del congiunto, anche se gravemente malato, in fase terminale o sottoposto ad intervento chirurgico ad alto rischio, volano calci, pugni, sedie, si rovesciano lettini e scrivanie: giù botte da orbi, uno ci lascia un timpano, l’altro è pestato a sangue, il resto deve rinchiudersi e barricarsi in uno stanzino in attesa dell’intervento delle forze dell’ordine. Non so se siano vicende solo italiane o se il vezzo della ribellione e del passare direttamente alle vie di fatto sia invece un segno dei tempi, che si registra un po’ ovunque.

Si tratta di situazioni ed episodi – peraltro in crescita esponenziale – che mai e poi mai avremmo immaginato potessero accadere. Sono forme di ribellione e aggressività verso professioni un tempo rispettate e persino temute: ora non so se il mondo è proprio alla rovescia ma un tantino inclinato verso il peggio mi pare che lo sia davvero. Per chi si interrogasse su questi fenomeni ci sono poche domande, anzi una sola: “Perché?”, e molte risposte. I professionisti della sanità e della scuola dedicano anni di studio e si cimentano in concorsi pubblici selettivi: giunti alla meta viene da chiedersi se ne valeva la pena.

A parte l’umiliazione, i pericoli per certi comportamenti dissennati e impulsivi, senza ritegno a cui sono esposti, va certamente considerato che si tratta di mestieri un tempo ambiti, sinonimo di uno status rispettato e socialmente utile, che non tutti riuscivano a raggiungere. Ora – in particolare nella sanità pubblica – fioccano le dimissioni o il passaggio a strutture private. Di vero c’è che politica e sindacati, (me lo si lasci dire) non sono riusciti finora a metter mano a misure di controllo, a provvedimenti autoritativi sollecitati dalla gravità del fenomeno. A cominciare dalle retribuzioni del personale sanitario e scolastico, le più basse d’Europa, fino ai presìdi di prevenzione, in particolare negli ospedali: c’è molto malcontento e molta sfiducia tra gli addetti ai lavori.

I camici bianchi erano un segno di distinzione e prestigio, ci potevano essere episodi negativi ma – ricordiamo il periodo della pandemia da Covid 19 – questa è sempre stata gente che si rimboccava le maniche, facevano della professione una missione a costo di mettere a repentaglio la propria, di salute. Quanto alle cattedre dei docenti erano approdi per chi aveva a sua volta sudato sette camicie per arrivarci. Indubbiamente la politica deve por mano a questo degrado e alle violenze che ne derivano. Ma è la società civile che siede sul banco degli imputati: si è diffusa infatti una ipertrofia del diritto, tutto è dovuto, anche i miracoli che promuovono i somari o salvano i moribondi. Anche la burocrazia fa la sua parte nel copione del dissesto istituzionale e nella denigrazione dell’immagine dei professionisti della sanità e della scuola.

Tutto contribuisce a complicare le cose: modulistica, registri elettronici, digitalizzazione, rendicontazioni. Trasparenza e privacy sono due forche caudine dove bisogna far passare di tutto, per spiegare anche a chi non sa capire, perché la demagogia e la mistificazione della verità indulgono ad inchinarsi sempre, tutto è dovuto, si arriva al punto in cui arroganza, ignoranza e prepotenza la fanno da padrone perché la violenza che sta impadronendosi di tutti i contesti sociali come forma prevalente di comunicazione e interlocuzione diventa il modus operandi che va diffondendosi a macchia d’olio, che rende istituzioni e società marcescenti e incancrenite dall’odio e dalla cattiveria. Qualcuno deve fare qualcosa, occorre ristabilire le regole che facciano funzionare i pubblici servizi e restituiscano il rispetto dovuto a chi ci lavora. Altrimenti qui si torna all’età della clava e del farsi giustizia sommaria da sé. È proprio il caso di dirlo: “mala tempora currunt, sed peiora parantur”.