La corte suprema della Polonia non riconosce la superiorità del diritto europeo sulle leggi nazionali. È il primo passo verso una “Polexit”?
Si allarga il solco tra Varsavia e l’Unione europea: la corte suprema polacca ha infatti respinto il primato del diritto comunitario sulla legislazione nazionale, affermando che alcuni articoli del trattato UE sono incompatibili con la Costituzione polacca. I giudici polacchi, ha affermato la Corte, non dovrebbero utilizzare il diritto dell’UE per “mettere in discussione l’indipendenza dei loro pari”. Un vero e proprio guanto di sfida a Bruxelles e alla Commissione europea per cui la sentenza solleva “serie preoccupazioni”. In un comunicato stampa, la presidente Ursula von der Leyen ribadisce che “tutte le sentenze della Corte di giustizia europea sono vincolanti per le autorità di tutti gli stati membri, compresi i tribunali nazionali” avvertendo che “non esiterà a fare uso dei suoi poteri ai sensi dei trattati per salvaguardare l’applicazione uniforme e l’integrità del diritto dell’Unione”. L’Unione Europea, si legge ancora nella dichiarazione, “è una comunità di valori e di diritto, che deve essere sostenuto in tutti gli stati membri. I diritti degli europei sanciti dai trattati devono essere tutelati, indipendentemente dal paese in cui vivono”. La contestazione legale era stata proposta dal primo ministro polacco Mateusz Morawiecki e non ha precedenti nella storia comunitaria. È infatti la prima volta che il leader di uno stato membro del blocco a 27 mette in discussione i trattati e la supremazia delle leggi europee su quelle nazionali, un principio fondativo dell’Unione.
La disputa tra governo di Varsavia, guidato dal partito conservatore di destra Diritto e Giustizia (PiS), e Bruxelles riguarda principalmente tre ambiti: i diritti Lgbt, la libertà di informazione e la riforma del sistema giudiziario polacco. Quest’ultimo in particolare – osservano esperti di diritto – avrebbe visto ridursi la propria autonomia, in seguito ad una serie di nomine ad hoc decise dal governo, che avrebbero compromesso l’indipendenza dei tribunali e della magistratura. Bruxelles aveva chiesto a Varsavia di conformarsi, entro il 16 agosto, a una decisione della Corte di giustizia dell’UE che dispone l’abolizione del sistema delle sanzioni disciplinari nei confronti dei giudici definendole “incompatibili” con il diritto europeo. Morawiecki aveva presentato ricorso a marzo, sostenendo che Bruxelles non ha il diritto di interferire con i sistemi giudiziari degli stati membri e che le riforme approvate da Varsavia erano “necessarie” per rimuovere le influenze dell’era comunista. La sentenza di ieri però va oltre la questione in sé, e attacca frontalmente gli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Unione, che stabilisce il principio di integrazione rafforzata dei paesi membri e la supremazia del diritto comunitario su quelli nazionali.
La portata della sentenza non è solo giuridica, ma investe in pieno le relazioni tra Varsavia e l’Unione. Nonostante il primo ministro Morawiecki assicuri che “il posto della Polonia è e sarà nella famiglia delle nazioni europee”, e che l’adesione al blocco è stata “uno dei momenti salienti degli ultimi decenni” per il paese, sono in molti a leggere nel pronunciamento un deciso passo avanti in direzione di un’uscita del paese dall’Unione. “La Polonia ha fatto un passo verso l’abisso della ‘Polexit legale – afferma Jakub Jaraczewski, coordinatore della ricerca presso Democracy Reporting International – a cui probabilmente seguirà una forte reazione da parte della Corte di Giustizia allo scopo di proteggere l’ordinamento giuridico europeo, contro uno stato membro ‘canaglia’, ad esempio dichiarando la Polonia esente da meccanismi di cooperazione giudiziaria come il mandato di arresto europeo”. La sfida di Varsavia, però, preoccupa qualcuno anche all’interno della Polonia. Fuori dalla sede del Tribunale decine di manifestanti hanno protestato contro la sentenza: secondo i sondaggi circa l′80% dei polacchi si ritiene soddisfatto dell’ingresso della Polonia nell’Unione che, dal 2004, ha erogato miliardi di euro in sussidi al paese dell’ex cortina di ferro.
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