“Prima che il gallo canti” è uno scritto di Cesare Pavese dove si dice della solitudine di un uomo di fronte alla violenza e della libertà, temi ora cari anche agli animali. All’asilo di Origo di Calco, dalle parti di Lecco, è accaduto un fatto in apparenza non così tanto significativo. Un semplice gallo, adottato fin da pulcino da insegnanti e bambini della scuola di infanzia, è stato trovato impiccato alla rete di recinzione del suo pollaio.
Origo par che venga da origine, dove tutto comincia. Lì si è dato inizio ad un gesto di male che resterà nella memoria dei suoi piccoli frequentatori ed anche negli adulti che li accudiscono. Chi ha fatto questo ci è andato con la mano pesante, si potrebbe dire che ha calcato la mano in modo eccessivo.
Possibile credere che un gallo sia pericoloso, che possa con la sua voce chiamare alle sedizioni o che vanitosamente tenga troppo a far sentire la propria ugola, sopraffacendo ogni altro che tenti di mettersi in mostra.
Gallo è colui che canta o secondo una etimologia indoeuropea è colui che grida e può pertanto essere molesto ed allora va taciuto. Possibile che, con espressione antica, abbia preso gallo, cioè sia stato assalito da smodata allegrezza e che questo abbia irritato qualcuno del vicinato. Così qualche restauratore dell’ordine pubblico ha agito per sopprimerlo non con acido gallico ma con una corda.
È giusto che si sia fatta abbassare la cresta a quel pennuto smanioso di far sentire la forza e la capacità delle sue corde vocali. La povera bestia, la mascotte dei bimbi, si chiamava Pepe. In latino il nome di questa spezia viene da “Piper”, più esattamente da piper nigrum, qualcosa che rinvia ad una condizione di chi è abituato al razzismo o ad essere razziato. Al nostro tenore piumato gli hanno fatto la festa, ma diversa rispetto a quando si andava al Piper a ballare. Si è trattato di una baldoria di diverso tipo. Lo avranno probabilmente trovato d’aspetto “livido e nero come un gran di pepe” appeso ad una rete metallica, in maniera che non potesse più dire la sua.
Forse c’era il timore che in zona ci fossero troppi galli a cantare o che si esibisse tre volte e qualcuno, subito dopo averlo ascoltato, avrebbe dovuto ammettere la sua idiozia e la sua cattiveria. È un mondo che va così e che ti allena contemporaneamente alla rassegnazione ed alla rabbia, un melting pot nel quale necessariamente convivere.
In un film dei fratelli Taviani il protagonista propone una canzoncina che può tornare utile con parole buone a chi voglia cimentarsi ad addomesticare certi animali: “San Michele aveva un gallo e per addomesticarlo lui gli dava latte e miele…”. Poteva essere un esempio riprovevole per gli alunni della scuola che potrebbero essere indotti a viziare chi invece deve saper stare al posto suo senza troppe moine.
Ora in quel circondario si leccheranno le ferite, i bambini porteranno finalmente nel cuore il dolore che serve a crescere sani e forti ed avvezzi alla vita. Intanto un gallo ringrazierà per non essere almeno finito allo spiedo. Questa non è la storia di “uomini contro”, ma di uomini contro galli e la vicenda è assai più spigolosa perché non c’è abitudine a fronteggiarli. Semmai si trovasse il responsabile dell’impresa, andrebbe condannato a cantare per un certo tempo un “chicchirichi” all’alba e al tramonto nel pollaio improvvisamente ripopolato dalla sua presenza. Sarebbe la prova che l’uomo non ha necessariamente bisogno di animali e che può fare egregiamente da solo.