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Cattolici popolari, adesso in campo

Dopo il voto del 4 marzo e, soprattutto, dopo l’avvio della nuova maggioranza di governo, sono emerse alcune costanti politiche destinate a durare nel tempo. Almeno sino alle prossime consultazioni elettorali. E non solo quelle europee.

Innanzitutto e’ tramontato definitivamente l’esperienza dei cosiddetti “partiti plurali”. E, nello specifico, l’esperienza originaria del Partito democratico e di Forza Italia. Due storie politiche profondamente diverse tra di loro ma accomunate dal medesimo destino: e cioè, in quei contenitori politici non possono più coesistere storie, culture, filoni ideali diversi se non alternativi e sintetizzate solo dalla voce del “capo”. Gli elettori, dopo molti anni, e per motivi diversi, hanno emesso il responso. Quei due partiti continuano ad esistere e ad avere un ruolo importante nella politica italiana, com’è ovvio e scontato, ma con un consenso massicciamente inferiore rispetto alle loro stagioni migliori. Non a caso, i vecchi e tradizionali centro destra e centro sinistra sono ormai ricordi del passato perché anche in quei due ed opposti campi politici l’equilibrio e’ cambiato profondamente. Nell’ex centro sinistra il Pd ha smarrito definitivamente la tanto sbandierata “vocazione maggioritaria” e Forza Italia è diventata, di fatto, un elemento del tutto residuale nel campo conservatore alternativo alla sinistra.

In secondo luogo, dopo il 4 marzo molti esponenti politici, intellettuali e uomini di cultura invocano una sacra alleanza di tutti i cosiddetti democratici e riformisti contro i “sovranisti” e i nuovi “populisti”. Non solo con le piroette del simpatico Calenda, ma addirittura il leader storico dell’Ulivo, Romano Prodi, dopo aver appoggiato con risultati alquanto deludenti e devastanti la lista “Insieme” alle elezioni del 4 marzo, e’ arrivato alla conclusione che in vista delle prossima consultazione europea occorre creare un “raggruppamento che veda insieme, non nello stesso partito, ma alleati i socialisti, i Verdi, i liberali e i macronisti”. Peccato che proprio il capo dlel’Ulivo abbia dimenticato i cattolici democratici, cioè una delle culture politiche fondanti della nostra democrazia e della nostra attualissima carta costituzionale. Una proposta, non affatto originale, ma curiosa quando arriva da un esponente antico e autorevole come Romano Prodi che si è sempre caratterizzato come un politico cattolico democratico e che ha sempre respinto le ammucchiate politiche ed elettorali come soluzione e risposta ai nodi politici. Per fermarci all’oggi, come risposta politica all’ondata leghista, sovranista e populista.

Ora, e’ del tutto evidente che il profondo cambiamento politico innescato con il voto del 4 marzo ha messo in discussione i vecchi parametri, le vecchie alleanze e e i vecchi riti dell’azione politica. Ma, accanto alla “rivoluzione” politica intervenuta, e’ altrettanto indubbio che la risposta non può essere la riproposizione dei vecchi strumenti politici bocciati clamorosamente e ripetutamente dagli elettori, cioè Partito democratico e Forza Italia ne’, forse, riproponendo quelle ammucchiate che oltre a radicalizzare il confronto politico rischiano solo di avvantaggiare chi gode oggi di uno straordinario e massiccio consenso elettorale. E cioè la Lega di Salvini e il movimento di Grillo e Casaleggio.

Ecco perche’, respinte queste due ipotesi politiche, l’una perché impraticabile e l’altra perche’ pasticciata e confusa, non si può che ritornare ad una politica che esalti l’identità culturale e programmatica da un lato e che costruisca una alleanza politica e solida dall’altro. Questa è l’unica strada realisticamente percorribile, al di là delle fumisterie politologiche e delle dissertazioni da salotto ed elitarie per creare – forse – una alternativa al populismo sovranista. In questa cornice anche i cattolici democratici, popolari e sociali laicamente devono ritornare in campo con una proposta politica ed organizzativa. Cioè con un progetto politico ed organizzativo, senza ulteriori rinvii e senza inutili attese di qualche “messia” all’orizzonte. Altroché dimenticare la cultura e la storia dei cattolici democratici… Ed ecco perche’ in questa concreta fase politica e’ quantomai necessario rimettere in gioco quelle culture politiche e quei partiti che possono e devono, altrettanto concretamente e senza evocare scenari virtuali, innescare un processo politico capace, un domani, di invertire la rotta. Sarà un processo lungo, difficile e articolato ma adesso è arrivato il momento di ripartire. Senza demagogia, senza propaganda ma con realismo e coraggio.

Al via i test di guida automatica su strade pubbliche

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha pubblicato i moduli per la richiesta dell’autorizzazione alla sperimentazione su strade pubbliche di veicoli a guida automatica e per il preventivo nulla osta dell’ente gestore della tratta infrastrutturale sulla quale si intenda eseguire la sperimentazione.

L’autorizzazione alla sperimentazione su strade pubbliche potrà essere richiesta al Mit “singolarmente o in maniera congiunta, dal costruttore del veicolo equipaggiato con le tecnologie di guida automatica, nonché dagli istituti universitari e dagli enti pubblici e privati di ricerca che conducono sperimentazioni su veicoli equipaggiati con le tecnologie di automazione della guida”.

Il richiedente dovrà indicare gli ambiti stradali per cui  viene presentata la domanda  e per ciascun ambito, le tratte infrastrutturali sulle quali intenderà condurre la sperimentazione, per le quali avrà ottenuto la preventiva autorizzazione dell’ente gestore. La sperimentazione su strade pubbliche di veicoli a guida automatica sarà autorizzata dalla Direzione generale per la motorizzazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sentito il parere dell’Osservatorio.

Il problema del Pd e la debole risposta di Zingaretti

Nel dibattito sul futuro del Partito Democratico manca tuttora l’identificazione del suo problema ideale, come se il congresso fosse chiamato soltanto a correggere alcune distorsioni organizzative, per rigenerare così lo spirito incorrotto delle origini.

Invece non si tratta di rimuovere qualche grande o piccola incrostazione, ma di riorganizzare lo schema della politica democratica e riformatrice. Stare all’opposizione obbliga a compiere un esame di coscienza rigoroso. Se il punto diventa il “rinverdimento” della sinistra, la distorsione si palesa con immediatezza. Il Partito Democratico è nato per avvicinare il centro e la sinistra, immaginando di trovare nell’incontro di culture politiche diverse un principio di rinnovamento generale.

Abbiamo provato a farlo e ci siamo accorti, alla resa dei conti, di averlo fatto perlomeno con superficialità, mettendo insieme i punti di debolezza anziché di forza, e cioè i punti che nel passato hanno inciso negativamente sulle distinte tradizioni culturali.

Ora, soprattutto di fronte alla candidatura di Nicola Zingaretti, monta il sospetto che del retaggio improprio del passato – non di quello nobile – si voglia prendere comunque la linfa residua, mescolando un po’ di egemonismo di estrazione gramsciana, un po’ di volontarismo cattolico, un po’ di eclettismo liberal-liberista.

E quindi di ogni posizione un “ismo”, inteso come deformazione del vero substrato ideale e politico; un “ismo” ripetuto, che invece di essere emendato diventa, nella somma delle singole negatività stratificate, l’elemento destinato a mortificare il nuovo progetto politico. Cosa può produrre una tale operazione? Nulla, in effetti; nulla che appaia suscettibile di essere creduto come leva di rinnovamento; nulla di adeguato rispetto alla sfida del populismo postdemocratico, degradante sulla scia di molte manifestazioni ad antidemocratico. Potrebbe al più considerarsi come una elegante e pericolosa retromarcia per passare, con l’innesto di una “S”, dal Pd al PDS.

Da ciò deriva, a mio avviso, la cedevolezza al mix di arroganza e confusione della maggiorana giallo-verde. Non c’è lo sforzo di prendere congedo da formule consunte, come si evince, ad esempio, dall’amorfa collocazione nel perimetro del socialismo europeo. Si dovrebbe riaprire, a tal proposito, un dibattito più sereno e produttivo. Abbiamo sprecato l’opportunità di fare del Partito democratico ciò che oggi il macronismo, non senza contraddizioni e insufficienze, propone per l’avvenire dell’Europa

È questo l’orizzonte della nuova proposta politica? È evidente che non lo sia e non lo debba essere. Si trascura, altresì, la ricerca di un dialogo con milioni di elettori astensionisti, quasi che bastasse, viceversa, ricondursi al possibile abbraccio con i fuorusciti dai ranghi del partito, con risultati per essi non certo entusiasmanti. Come pure, infine, censurando le oneste espressioni di coscienza su temi delicati – il caso di Verona insegna – non solo si cancella il carattere plurale del partito, ma soprattutto si getta all’ortiche la ricerca di un comune sentire sulla “questione antropologica” del nostro tempo, certo non derubricabile per i cattolici.

Sono osservazioni che meriterebbero più spazio e più approfondimento. Gli slogan non servono, lo dico appunto a Zingaretti. Bisogna pensare, piuttosto, a una verifica severa e ad ampio spettro della crisi del Partito democratico, riconoscendo che l’accanimento attorno alle procedure di semplice restauro del passato, ovvero del passato che piace a qualcuno di noi, non ci consegnano oggi, né ci consegneranno domani un partito più florido e più attraente.

Cattolici in politica. Programma. Sant’Egidio. Rete Bianca.. e tanti altri

L’intervento di Alessandro Risso su www.associazionepopolari.it, ripreso da Il Domani d’Italia sotto il titolo “ Oltre la contrapposizione, prima il programma”, giunge opportuno, in occasione dello svolgimento, a Roma, di un evento organizzato da Sant’Egidio e, a Susa, dell’incontro piemontese della Rete Bianca.
Risso fa un colto lavoro di sintesi e ripropone in modo ricco ed articolato il dibattito sulla “ vera contrapposizione” interna al mondo cattolico italiano. Un confronto avviato sulla divisione individuata tra i cattolici dell’etica e quelli del sociale.
A suo avviso, essa andrebbe definita invece tra “ democratici” e ”conservatori”.
Mi chiedo se meglio non sarebbe parlare dei primi come “ progressisti” e/o “ popolari”, visto che l’essere conservatore non esclude la possibilità di compiere, al tempo stesso, una scelta davvero di democrazia. Fu forse anche questa una delle considerazioni che portarono Sturzo a convincersi a favore del termine “ popolare”. Anche se non gli fu indifferente la grave crisi precedentemente vissuta con l’esperienza della Democrazia cristiana di Murri.

Con la Democrazia cristiana di De Gasperi il primo termine assorbì anche il carattere progressista e quello popolare, come del resto confermano le importanti scelte fatte in agricoltura, con l’edilizia popolare, lo Statuto dei lavoratori , la scuola aperta a tutti, il servizio sanitario nazionale, la politica estera. Oggi, così, parliamo di cristiani democratici e sappiamo bene a cosa ci riferiamo.
Non è un caso, però, che Jaques Maritain, mi pare in Cristianesimo e democrazia, sotto il profilo istituzionale, constati come sia possibile che quest’ultima assicuri gli adeguati livelli di partecipazione popolare anche in una monarchia costituzionale, ad esempio. I regni del nord Europa, a partire da quello Unito, ce lo stanno a confermare.

E’ la prospettiva insita nella visione sociale, dunque, che fa la distinzione. Questo spiega perché un po’ dappertutto vi siano cattolici o cristiani “ conservatori” e “ progressisti”.
Recenti vicende, non solo italiane, hanno poi portato nel campo della destra molti cattolici e cristiani, quelli cosiddetti dell’etica, pur animati da forte attenzione ai problemi sociali.
Risso sostiene che, in realtà, il vero discrimine sia posto dal programma e che solo sulla base di una sua definizione si possa andare “ oltre la contrapposizione”.
Egli pone dei quesiti concreti su cui, a ben guardare, però, sono già presenti risposte adeguate.

Mi riferisco ai lavori delle Settimane sociali della Cei, a quelli di amici come Becchetti, Magatti e Zamagni, e di molti altri politici, economisti e sociologi di ispirazione cristiana i quali hanno già prefigurato un insieme generale programmatico possibile per una risposta precisa che, credo, lo possa rassicurare. Aggiungo l’impegno dell’ex ministro Giovannini sull’Agenda 2030, così sottovalutata da molti cattolici, nonostante la “ Laudato si”.
Non c’è un incontro di cattolici durante il quale si senta sostenere la flat tax, non si ricordino le crescenti disuguaglianze sociali, la precarietà del lavoro, il lavoro precario, le condizioni della famiglia, dei giovani e degli anziani.
Questo mi porta a ritenere che il problema vero sia, allora, quello dell’iniziativa politica su cui latitano i cattolici o che li vede impegnati solo su alcuni temi specifici, come quelli della famiglia.

Manca , allora, il “ soggetto” e senza di esso non si porta a sintesi e non si organizza una proposta politica, nonostante essa possa essere disponibile.
Tutto ciò è in diretta connessione con le iniziative odierne di Sant’Egidio e della Rete Bianca.
Al Seraphicum di Roma è stata vissuta una mattinata di ristoro mentale. Abbiamo visto, attraverso le riflessioni di Andrea Riccardi e di Paolo Ciani, il quadro attuale di un Paese, e di un contesto internazionale, cui mancano le “ visioni”.
Abbiamo sentito dire che c’è bisogno che la politica ritrovi l’innamoramento per la cultura, che c’è bisogno di recuperare il “ passato collettivo” e che si scopra la necessità di “ connettere, rammendare”.

Così nasce l’idea della rete Demos che gli amici di Sant’Egidio lanciano per costruire “Un’altra idea di paese per una nuova proposta politica”. Nasce adesso perché, è stato spiegato, questo è il momento.
Forte è stata la rappresentazione della preoccupazione. I toni garbati, di coloro che non credono in una politica urlata, non hanno attutito le sottolineature dei rischi che stiamo correndo di fronte a politiche deficitarie, destinate a non risolvere i problemi, anzi ad aggravarli. Questo vale per i migranti, per i rapporti con l’Europa, per la risposta alla crisi sociale ed economica.
Tra gli oratori vi è stato anche l’ex Presidente Gentiloni, accolto da una squillante voce femminile che ha gridato: “ Basta Renzi!”. Un siparietto davvero simpatico che non è stato utilizzato dall’ex Capo del Governo per raccontare della grave crisi in cui è finito il Partito democratico.

Gentiloni ha, anch’egli, parlato del “ rischio”. Quello che insiste sullo scenario mondiale e domestico, sulla possibilità che si esca da quel “ sentiero di ripresa” lungo cui pure ci si era incamminati. Quello che l’Italia si trovi isolata con l’Europa, la Germania, persino, con la Tunisia sul tema dei migranti.
Gentiloni ha colto nella manifestazione del Pd a Piazza del Popolo “un segno di risveglio” prima di sostenere che devono essere salvaguardate le articolazioni sociali, sia doveroso rasserenare, offrire competenza, cambiare linguaggio. La conclusione? E’necessario esser “ in campo”, mettersi insieme: “ facciamolo insieme”.
E’ chiara la scelta fatta dagli amici di Sant’Egidio: quello di avanzare una proposta politica dalla netta impronta cristiana, ma comunque diretta oltre. Altrettanto chiaro appare la tendenza al collegamento con il mondo della sinistra. Magari, ripenso a quel grido “ Basta Renzi!”, con quella sinistra più presentabile dopo i tanti guasti fatti, anche socialmente, negli ultimi anni.

Questa nuova proposta politica è già un partito? O vuole crearne i presupposti?
Mi auguro che si tratti della seconda ipotesi. Perché in questo caso ci sono ancora i margini perché essa si aggiunga ai tanti “ laboratori” oggi aperti in campo cattolico.
Tra di essi vi è la Rete Bianca riunita in un contemporaneo convegno nel nord Ovest. Vi è la Democrazia cristiana di Gianni Fontana che prova a rinascere. Vi è un “ Insieme” attivo da mesi, fatto da ex parlamentari, professori universitari, economisti, rappresentanti di gruppi ed associazioni che, già prima del 4 marzo, hanno cominciato a fare prove di dialogo e di “ convergenza”. A partire dalla delineazione di un programma.
Si tratta di un mondo che comincia ad articolarsi nel territorio, dove è più facile superare le distanze che a livello nazionale segnano gruppi ed organizzazioni, da decenni impossibilitati a definire un progetto politico comune fatto di proposte concrete ispirate alla solidarietà, alla sussidiarietà, alla necessità di dare nuova linfa alle articolazioni istituzionali e alla cittadinanza.
Un elemento che molti partecipi di questa realtà sentono importante è costituito dal definire una presenza nel segno dell’autonomia.

Come già più volte spiegato, essa non significa autoreferenzialità o settarismo, bensì consapevolezza che oggi il Paese ha bisogno di quella iniziativa solidale che solo dei cristiani sono in grado di assicurare davvero. 25 anni non sono passati invano e dobbiamo riflettere sul perché moltissimi cattolici oggi forniscano voti al principale dei partiti: quello delle astensioni.
Il secondo elemento è costituito dalla necessità, altrettanto fortemente avvertita, che la dimensione dell’impegno politico ed istituzionale, assieme all’attenzione al sociale, sia diretto anche verso ciò che riguarda la Persona e la famiglia, visti non solo nelle loro dimensioni economiche.
Oggi, al Seraphicum, non si è parlato del caso di Verona dove la capogruppo del Pd ha votato i provvedimenti diretti a finanziare le associazioni che aiutano le donne a non fare la scelta dell’aborto.

Mi rendo conto che su certi temi vi sono i momenti giusti per individuare i luoghi e gli interlocutori.
La cosa, però, mi ha portato a riflettere sul fatto che troppo poco è messo in campo perché anche i cattolici in smottamento verso la destra trovino delle ragioni per seguire altre opzioni. Sta mancando una adeguata riflessione su questo fenomeno che rischia di assumere dimensioni preoccupanti, così come le ha assunte la deriva di altri cattolici verso i 5 Stelle.
Le questioni etiche fanno parte di una preoccupazione più ampia, più sottile, più insidiosa perché anche il nostro mondo risente delle conseguenze della globalizzazione, del sovvertimento dei tradizionali punti di riferimento economici e sociali, della liquefazione della società. In questo senso, il superamento della divisione tra cattolici dell’etica e quelli del sociale è cosa preparata dai fatti.

Anche il popolo di Dio, dunque, è smarrito perché non riceve, sul piano della vita quotidiana e sociale, valide, coerenti ed organiche risposte alle proprie ansie.
Il rivolgesi, contraddittorio ed imbarazzante quanto vogliamo, verso chi sembra assicurare, magari con la proposizione di una pulsione nazionalistica, la difesa di ciò che sembra perduto e di ciò che può essere ulteriormente perso non dobbiamo sottovalutarlo.

La risposta adeguata, allora, è solo quella di partecipare alla logica di “ fronti” contrapposti? Oppure mettersi pazientemente a lavorare a quel “ rammendo” di animi e di interessi concreti che appare oggi più che mai impellente e che non può non partire per prima cosa dal nostro accampamento?

Def (icienti)

In questi giorni non si fa altro che un gran parlare della manovra economica e finanziaria del Governo. I punti di vista sui contraccolpi o sui benefici del provvedimento sono molteplici. Ci sono i contrari,  ci sono i favorevoli, che riconoscono in essa la possibilità di una crescita economica non prima di uno due anni e ci sono i mercati che prima di qualsiasi altro soggetto fanno sentire la loro vuole scuotendo le borse e incidendo sullo spread. Quello spread che quando cresce, impaurisce il governo e i risparmiatori. Il primo perché deve mettere in conto il maggiore onere che dovrà affrontare per la crescita del conto degli interessi da pagare, i secondi perché potranno vedersi aumentata la rata di ammortamento del mutuo o, peggio, vedersi toccare gli investimenti in titoli di Stato che potrebbero essere assoggettati a ristrutturazione con la conseguenza di una pesante diminuzione dell’entità dei loro risparmi.

La situazione è quantomeno difficile e si può immaginare che i risvolti possano essere fortemente penalizzanti per il sistema Paese che, a quel punto, perderebbe credibilità nei confronti della comunità europea. E pensare che gli avvertimenti al Governo da parte della commissione europea sono stati più d’uno per ricercare l’assoluta necessità di rispettare le regole che l’Italia stessa aveva approvato. Ciò nonostante parrebbe che l’intendimento del nostro governo non sia affatto quello di presentare un Def rispettoso dei fondamenti che assicurerebbero l’abbassamento e l’aumento del Pil con il varo di strumenti per la crescita. Anzi la scelta politica dei penta stellati è stata preminentemente di natura assistenziale che non porterà sviluppo né, quindi, lavoro. Semmai sembra più essere una manovra pensata per  incassare voti alle prossime elezioni europee e, subito dopo, alle politiche. Infatti, la competizione tra la lega e i 5 stelle è così forte da manifestarsi nelle scelte politiche tra chi riesce a portare dalla sua parte maggiori finanziamenti per mantenere fede agli impegni elettorali rispettivamente assunti.

Ma il peggio di questi comportamenti è che non tengono minimamente conto delle ripercussioni negative che queste scelte finanziarie procureranno. I preoccupati sono sempre più, non solo la commissione europea, ma anche gli imprenditori, le famiglie  e i risparmiatori. Gli imprenditori perché vedono che gran parte dei finanziamenti disponibili vengono sperperati per sostenere chi non vuole lavorare, le famiglie in quanto la manovra sottrarrà fondi alle autonomie locali che si vedranno costrette ad aumentare i costi dei servizi pubblici che cadranno obbligatoriamente sui bilanci delle famiglie stesse e, infine, ai risparmiatori che vedranno a rischio i risparmi di una vita causa, appunto, l’aumento dello spread.

Ecco che allora è auspicabile una revisione del Def prima che sia troppo tardi, lasciando da parte le mire elettorali dei due contendenti che pur vedendosi aumentare i voti, pagherebbero un caro prezzo più avanti nel tempo quando gli elettori avranno capito a loro spese il guaio nel quale sono stati trascinati.

Da Bruxelles luce verde per la circolazione libera e sicura dei dati non personali

Il regolamento generale sulla protezione dei dati insieme a quello sulla libera circolazione dei riferimenti non personali porterà ad una crescita economica in tutta l’Unione. Se i dati circolano liberamente l’Europa potrà sfruttare al meglio le opportunità offerte dalle tecnologie e dal progresso digitale, come ad esempio l’intelligenza artificiale e i supercomputer. Dando il proprio assenso alla circolazione libera e sicura dei dati non personali, il Parlamento europeo rivolge un segnale chiaro a tutte le imprese europee sottolineando come non importi dove si archivino e trattino i dati nell’Ue, poiché gli obblighi di localizzazione all’interno degli Stati membri appartengono al passato. Ora le startup e le Pmi avranno infatti la possibilità di realizzare nuovi servizi attraverso l’innovazione transfrontaliera basata sui dati, un sistema che potrebbe portare ad un aumento del 4% (739 miliardi di euro) del Pil europeo entro il 2020.

Il regolamento appena varato vuole eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei dati non personali e nelle prossime settimane il Consiglio europeo adotterà le nuove disposizioni, che entreranno in vigore entro la fine dell’anno. Quando il regolamento sarà adottato formalmente, gli Stati membri avranno 6 mesi di tempo per applicarlo a tutti gli effetti.

Il regolamento sulla libera circolazione dei dati non personali non ha alcun effetto sull’applicazione di quello sulla protezione dei dati personali. I due ordinamenti funzioneranno tuttavia in maniera complementare per garantire a riguardo uno spazio unico europeo. In caso di dati misti, infine, le disposizioni del regolamento generale sulla privacy verranno applicate ai dati personali e il principio della libera circolazione si applicherà anche a quelli  non personali.

Oltre la contrapposizione, prima il programma

Articolo già apparso sul sito internet http://www.associazionepopolari.it a firma di Alessandro Risso

Il nostro editoriale sulla “vera contrapposizione” tra cattolici, ripreso anche da “Il Domani d’Italia”, ha avuto qualche centinaio di lettori e ha suscitato significativi interventi. Proprio partendo dalle opinioni di chi ha partecipato al dibattito – che ringrazio per il contributo – cerco di trarre qualche ulteriore considerazione.

Sostanzialmente tutti concordiamo sul fatto che la divisione tra “cattolici del sociale” e “cattolici della morale” abbia poco senso. Anche ammesso che in parte esista, va superata e non riproposta, come ci ha esortati a fare il cardinal Bassetti.

Siamo poi d’accordo con Merlo che “è ancora possibile ridare cittadinanza alla tradizione, ovviamente rinnovata e rivista, del cattolicesimo politico italiano”, e possiamo anche convenire con lui che nel mondo cattolico sta emergendo “una forte domanda di partecipazione politica e di una nuova rappresentanza”. Dice bene Infante che non si tratta di “una esigenza di parte; della nostra parte”, ma “sono le condizioni più generali del Paese a richiedere una presenza organica” dopo l’epoca del bipolarismo, “rivelatosi tanto nefasto per il nostro Paese”. E Chiapello bene si integra con loro quando si domanda: “se non si torna autonomi, liberi, non significa non credere davvero nel valore della propria cultura politica?”.

Tutti d’accordo anche nel ritenere che il pluralismo politico dei cattolici sia un dato “largamente acquisito e radicato” (Merlo), che “la diaspora da noi vissuta negli ultimi 25 anni ha contribuito all’aggravarsi della crisi, non ha aiutato a risolverla” (Infante), e che “un mondo cattolico diventato terreno di divisione, falso unanimismo, aspirazioni personali e altrui conquiste rischia di avere come immagine esplicativa quella dei capponi di Renzo” (Chiapello). Sono poi molti altri i passaggi apprezzabili nei loro interventi: Merlo, da politico navigato, esorta a evitare due rischi “letali per qualsiasi formazione politica che cerca di richiamarsi al patrimonio del cattolicesimo politico italiano. E cioè, dire immediatamente chi è il ‘capo’ di questo movimento e, soprattutto, pronunciarsi sul ‘con chi stai’ ”. Chiapello punta il dito contro “la cedevolezza all’individualismo che ha significato cedimento al turbo liberismo che tanto male ha fatto all’Italia ed all’Europa”. E dall’ampio scritto di Infante riprendo la convinzione che “solo il combinato disposto Costituzione e Dottrina sociale della Chiesa può proporre per affrontare, assieme, i problemi economici e sociali e quelli antropologici che ci stanno investendo”, e che un progetto di rinascita della nostra Italia “deve ruotare attorno al recupero della solidarietà, della giustizia sociale, della valorizzazione delle nostre donne e dei nostri uomini, colti nelle difficoltà quotidiane che, però, non sono solo di ordine materiale”.

Bisogna però riconoscere che né loro né gli altri intervenuti sono entrati nel merito della “vera contrapposizione tra cattolici”, quella tra “democratici” e “conservatori”. Nessuno ha obiettato sulla tesi centrale dell’editoriale, a dire il vero assai ardua da scalfire in quanto supportata non solo dalle chiarissime parole di Luigi Sturzo, ma dalla storia lontana, dalla storia recente e dalle divisioni che vediamo anche oggi, tanto nel laicato quanto nella gerarchia.

Chiavario vorrebbe solo “che le contrapposizioni non fossero assolutizzate”, creando un legame ideale con quanto scrive Infante: “potremmo avere la sorpresa di scoprire che le nostre opinioni finiscono per convergere su gran parte delle soluzioni da offrire al Paese. Scopriremmo che tanto potremmo portare a favore del ‘bene comune’, pur continuando ad avere sensibilità diverse. Vogliamo essere proprio noi a non seguire l’insegnamento di Giovanni XXIII a fare, almeno, un tratto di strada con l’altro viandante che va nella stessa direzione?”

Certo che no, mi viene da rispondere. E aderendo a tale spirito ecumenico non ribadisco la validità storica di quella distinzione e accolgo anche l’osservazione di Calliano e di Zolla sull’inutilità di discutere sulle etichette,  ricomprendendovi pure l’attualizzazione della dicotomia tra destra e sinistra. Dimentichiamo quindi gli insegnamenti di Bobbio, reprimiamo i dubbi sull’attualità delle “Amicizie Cattoliche” del Lanteri (torniamo alla Restaurazione post napoleonica…) e assecondiamo la bella frase di don Mazzolari che ci ha ricordato Chiapello, cercando di andare non a destra o a sinistra ma verso l’alto. Dato che parliamo di politica, siamo nella Città dell’Uomo e non nel Regno dei Cieli. Quindi “andare in alto” significa guardare al prossimo, ai suoi problemi colti nella dimensione collettiva.

Ed eccoci arrivati al vero nocciolo delle questioni che stiamo discutendo.

Una qualsiasi iniziativa politica, sia chiami Rete Bianca, Nuova DC, Popolari o Comevipare, si qualifica con le scelte concrete, i programmi. Il PPI di Sturzo fu infatti un partito programmatico, proposto laicamente a tutti i ‘liberi e forti’ esistenti nella società italiana del primo dopoguerra. E oggi più che mai il programma deve concentrarsi sui temi dell’economia e delle crescenti disuguaglianze sociali, provocate soprattutto dalla progressiva scomparsa del lavoro manifatturiero e dalla precarizzazione dei redditi e dei progetti di vita.

La pensiamo così in diversi: “Non basta aderire a uno schieramento riformatore, per esser tali (…) occorre cambiare le politiche (…) per poter attuare nei fatti politiche di concreta riduzione delle disuguaglianze” ( Davicino). “Alla crepa geografica (l’Europa in bilico, ndr) si aggiungono le tante mancanze di equità che restano tra le generazioni, tra le categorie e i gruppi sociali e concorrenti ad aggiungere alle vecchie nuove forme di povertà. Investiti ne sono i ceti medi con i giovani e gli anziani, quasi a confermare che abbiamo creato una società immemore e ingrata verso il passato e, allo stesso tempo, indifferente rispetto al proprio futuro” (Infante).  “Salvaguardia dei lavoratori ritornando ad una economia sociale di mercato, difesa delle istituzioni (pensiamo alla pessima riforma delle Province e ai ricorrenti tentativi di manomissione della Costituzione)” sono punti di un possibile programma sottolineati da Chiapello, che si aggiungono a quelli che avevamo elencato: “ rispetto del creato, ricostruzione della coesione sociale, partecipazione ed educazione democratica, valorizzazione dei corpi intermedi, primi fra tutti la famiglia e i municipi”.

Ma soprattutto i “liberi e forti” non possono eludere il problema delle diseguaglianze, da ridurre con politiche solidali, che siano ispirate dal Vangelo o da un laico senso di giustizia sociale.

Come scrivevo, occorre operare “scelte politiche tra bene comune o interessi privati, tra solidarietà o individualismo. Scelte che, necessariamente, sono divisive”. Quindi bisogna avere il coraggio di risposte chiare (che, per inciso, nessuno si è sentito di dare): “patrimoniale sì o patrimoniale no? tassazione progressiva o Flat Tax? taglio delle tasse sul lavoro o abolizione dell’IMU? equità tra persone e generazioni o mantenimento dei privilegi acquisiti? aiuti alle giovani famiglie o spesa sociale sbilanciata sulle pensioni? intransigenza con gli evasori o condoni (palesi e occulti)? uso del contante ridotto alle piccole spese o senza limiti?”.

Dopo tutto, a noi cattolici dovrebbe venire naturale rispondere con chiarezza – “Sia il vostro parlare: ‘’, ‘nono’; il di più viene dal Maligno (Mt 5, 37) –. Non sono questi  i tempi per i don Abbondio che cercano di non dispiacere a nessuno, né per contenitori politici che vogliono tenere tutti dentro, creando ambiguità e reticenze.

Infine, anche per rispondere ai dubbi espressi da amici non credenti su proposte politiche a marcata impronta cattolica, vale sempre la pena di sottolineare, come ha fatto Zolla, che ovviamente ogni iniziativa non dovrebbe mai “acquisire natura confessionale”: clericalismo e “gentilonismo” sono estranei al cattolicesimo democratico – saldato invece alla laicità – e ne indeboliscono la presenza e la proposta politica. Dispiacerà sentirlo ripetere, ma tra “sinceramente democratici” e “sinceramente conservatori”, tra “cattolici popolari-sociali-solidali” e “clerico-conservatori” ci sono forti differenze e scelte spesso in contrapposizione.

Riprendiamo allora la citazione di papa Giovanni fatta da Infante, che da sempre mi è cara: “Se incontri un viandante, non chiedergli da dove viene, ma dove sta andando”. Appunto, per camminare insieme possiamo benissimo provenire da culture, esperienze o sensibilità diverse, ma dobbiamo avere una meta chiara e condivisa. Senza un programma definito non si crea una forza politica, e non si va da nessuna parte.

Divorzio all’italiana

Il futuro di questo Governo è già tutto scritto nel passato. Adesso viviamo una pagina in cui un velo più o meno spesso copre la sua origine. Come si fa a far sposare due che non si amano? Anzi che forse, in fondo in fondo, si odiano e che per lungo tempo si sono rinfacciati pubblicamente i vizzi l’un dell’altro. Quindi, il loro futuro è segnato dai passi precedenti.
Il problema è sapere quanto tempo riusciranno a coprirla e, quindi, a nasconderla questa realtà. Anche se di tanto in tanto qualche fessura lascia trasparire che cosa mai accada al di la del velo; ma sono poche le briciole che ci vengono date.

Proprio in queste ore si sta consumando un rito di forza tra i due sposi: si strattonano per strapparsi due miliardi di euro; Luigi Di Maio vuole il reddito di cittadinanza con una copertura da dieci miliardi di euro; Matteo Salvini, invece, che sempre più sente il rumore e le proteste dei cittadini del nord, pur mantenendo fede al “contratto”, sostiene che la cifra batte su otto o anche sette miliardi di euro.
Qui si capisce come sia indigesta la manovra voluta dall’uno e, appunto, insopportabile per l’altro.

Il tutto assume un volto piuttosto ridicolo quando si legge che le manovre da attuarsi potrebbero subire una battuta d’arresto nel momento in cui l’economia dovesse dare segni di insufficienza. Con questo siamo giunti al paradosso che si vareranno leggi che accenderanno appetiti e poi, non sapendo il destino futuro dell’economia, potrebbero essere improvvisamente spenti.
Se l’andamento economico del nostro Paese dovesse subire qualche rallentamento, allora la domanda che mi sono posto all’inizio potrebbe essere risolta in men che non si dica: il Governo si scioglierebbe.

A differenza dei matrimoni d’amore dove anche le avversità possono essere affrontate e tirando la cinghia si continua nonostante tutto, nei matrimoni combinati per contingenti necessità, non serve attendere un terremoto perché finisca, basta un semplice e banalissimo raffreddore.

Cambiamenti climatici: sostenere i Paesi in via di sviluppo

Giuseppe Conte sulla democrazia dei cristiani. Anche lui preferisce la “ diaspora”

“Non serve una Democrazia cristiana, serve una democrazia di cristiani”. Questi,  i riduttivi titoli dei giornali che richiamano solo uno dei punti espressi dal Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, nel corso di una importante intervista rilasciata a Famiglia Cristiana, nel numero giunto ieri in edicola.

Il Presidente Conte risponde ad una domanda che, in effetti, riguardando  la rinascita di una ipotetica Democrazia Cristiana 2.0, richiama il possibile ritorno in campo di un nuovo soggetto politico d’ispirazione cristiana. E’ chiaro, comunque, che il movimento dei cattolici democratici oggi presenta un’articolazione molto ampia e la Democrazia cristiana, quella riconosciuta legalmente sotto la guida di Gianni Fontana,  si trova in una fase di complessa rinascita e riorganizzazione.

Il Presidente del Consiglio parafrasa “ liberamente”, come riconosce del resto esplicitamente, il titolo di un libro di Pietro Scoppola, edito dai tipi di Laterza nel 2006: “ La democrazia dei cristiani”.

In esso,  lo storico cattolico ripercorse, in realtà,  il coinvolgimento pubblico dei cristiani in Italia. Lo fece in un momento particolare dell’esperienza cattolico democratica, sulla scia delle tante sue opere che, con il lavoro di Gabriele De Rosa, Ettore Passerin d’Entreves, Fausto Fonzi, ed altri, sono servite a definire i contenuti e le prospettive di quel processo  di apertura dei cattolici italiani al mondo moderno con la presenza di una voce nuova ed organizzata nello scenario politico e sociale italiano.

Una cosa più forte,  e meglio definita, rispetto a quella “ democrazia di cristiani” intesa dal Presidente Conte come uno “ spazio pubblico in cui i cristiani si cimentano e confrontano, muovendo da angoli visuali e, quindi, formazioni politiche anche differenti, con lo scopo di individuare i percorsi più efficaci per realizzare il bene comune”.

Il premier Conte  ripropone una sorta di quella idea di “ diaspora” che ha caratterizzato i cattolici in politica negli ultimi 25 anni.

Deficitaria e zoppicante  applicazione alla partecipazione pubblica di quei concetti evangelici di essere “ lievito” e “ sale” il cui fine è il perseguire  una dimensione umana destinata ad andare ben al di là di quella più riduttivamente e forzatamente legata alla dialettica dispiegata nella vita politica.

E’ fin troppo facile constatare che questa idea, la quale, per dirla alla Mao Zedong, potrebbe pure essere definita la “ politica dei cento fiori”, ci lascia oggi con la pressoché completa scomparsa dal dibattito politico e parlamentare di una voce in grado di rappresentare una componente fondamentale della storia politica ed istituzionale del Paese. Dunque, così, non si realizza pienamente l’auspicio del premier che anche i cattolici possano  concorrere efficacemente al bene comune.

L’afonia e  l’irrilevanza difficilmente possono far concorrere a costruire qualcosa.

In particolare, all’interno di  uno sviluppo storico, come quello italiano ed europeo, in cui la vicenda democratica si è sempre  articolata, per problemi troppo complessi da analizzare in questa sede, soprattutto all’interno del confronto o dell’incontro tra i grandi filoni di pensiero rappresentati dai liberali, dai socialisti e dai cattolici democratici.

L’intervista rilasciata a Famiglia Cristiana offre, in ogni caso, lo spunto ad altre considerazioni.

Alcune,  riguardano le stesse affermazioni del Presidente Conte; altre,  le attese che il settimanale cattolico ripone nel Capo del Governo in quanto, scrive nella presentazione dell’intervista Luciano Regolo, condirettore del periodico dei Paolini,  “ anche i cattolici potrebbero trovare in lui un valido punto di riferimento nella sua azione politica, incognite populistiche e sovranistiche permettendo”.

Luciano Regolo, già nel  numero precedente del 30 settembre, aveva espresso lo stesso concetto approfittando della visita di Conte a San Giovanni Rotondo.

C’è, dunque, una continuità, almeno nella speranza, sulla possibilità di vedere avviato un “ dialogo” con il Presidente Conte, che pure guida il Governo giallo verde.

Un opportuno passaggio  oltre quel “ vade retro Salvini” che tante polemiche aveva provocato. Un “ vade retro” da inquadrare, in ogni caso,  in stretta aderenza alla citazione evangelica contenuta in Marco 8,33. Si è trattato, infatti, di un invito a seguire il senso delle cose di Dio  e non di un’invettiva personale scagliata contro il Vice Presidente del Consiglio, Matteo Salvini.

Resta da chiedersi quale possa essere il modo, articolato e costruttivo, per  vedere nel Presidente del Consiglio un punto di riferimento per i cattolici, mancando essi di ogni qualsiasi struttura, laicamente organizzata, in grado di interloquire su tanti temi che stanno loro a cuore: lavoro, famiglia, valori etici, giustizia, politica estera.

E’ interessante vedere l’intervista di cui parliamo nel suo complesso.  Vedere come il Presidente del Consiglio legga l’operare del suo Esecutivo. A partire dalla vicenda dei migranti e dalla più complessiva azione di lotta dichiarata “ contro le ingiustizie”, perché al centro di tale azione, egli ci dice, ci sono “ gli ultimi”.

Concetti molto belli ed espressi con una pacatezza e con una sobria enfasi che non possono lasciare indifferenti.

Così il Capo dell’Esecutivo ci rassicura nel ribadire “ che alle persone che hanno diritto allo status di rifugiato ( … ) non verrà mai negata l’accoglienza” .

In relazione alla vicenda Diciotti, però, con un carico umano fatto in gran parte di cristiani eritrei , sembra che egli dimentichi come, solamente dopo molti giorni, e grazie anche all’intervento fattivo della Cei, sia stato consentito lo sbarco di persone cui, invece,  fino ad allora si voleva negare, nonostante mancasse ogni valutazione legalmente fondata se il diritto della discesa a terra potesse loro essere riconosciuto.

In effetti, a conferma di come su questo punto non tutto così sia chiaro, giunge la lettera che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato al Governo a seguito della firma apposta sotto il decreto sulla sicurezza e l’immigrazione per ricordare come restino “ fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato”. La risposta di Matteo Salvini è stata, come al solito, molto profonda e delicata.

L’intervista del Presidente Conte ha un titolo enfatico: “ Cari Italiani fidatevi di me”.

Noi, al pari di Famiglia Cristiana, non possiamo non fidarci di un uomo come Giuseppe Conte. Egli non si vergogna di ricordare di essere un devoto di Padre Pio e di come abbia “ respirato” il mondo cattolico fin dalla fanciullezza, a San Giovanni Rotondo.

Proprio per questa familiarità, però, non gli sfuggirà il fatto che il suo governo nasce sulla base di un “ peccato originale”, sia pure dovuto ad uno stato di necessità.

Si tratta di quel connubio, tanto travagliato, e su alcuni punti persino riluttante e conflittuale, che ha visto mettere insieme due forze reciprocamente sulle barricate, l’una contro l’altra armata, fino al giorno prima. Una, la Lega, è giunta a fare il fatidico passo spaccando quella coalizione con cui si era presentata a chiedere i voti agli italiani durante la campagna elettorale. Vi sono solide basi, o dobbiamo prepararci a tornare al voto, magari dopo le prossime elezioni europee?

L’accordo, così, oggettivamente finisce per trovare un punto di equilibrio su cose che non appaiono immediatamente capaci  di andare a favore degli “ ultimi”. Cosa che dovrebbe trovare essenzialmente in una nuova politica del lavoro e del sostegno alle piccole e medie imprese una risposta, così come abbiamo abbondantemente scritto in molti su queste colonne nei giorni scorsi.

Ho nominato prima Ettore Passerin d’Entreves di cui mi piace, in conclusione, citare un passo. Lo faccio  ripensando al dibattito in corso tra i cattolici democratici intenzionati ad andare in una direzione opposta a quella espressa dal Presidente Conte e, cioè,  auspicando l’avvio di una nuova loro iniziativa politica. Altrimenti, in Italia e in Europa non si sarà in grado di rispondere alla necessità di rendere concrete quelle politiche di solidarietà e sussidiarietà che giustificano e spiegano il senso di una nostra presenza autonoma. Questo il passo:  “Chi sta in piedi su di un grande passato, chi ha qualcosa, ha più doveri di chi nasce senza nulla” .