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Capri e Anacapri a difesa del mare

I Sindaci di Capri e Anacapri andranno a Roma al Ministero dell’Ambiente per avviare il percorso amministrativo che darà vita  ad un’area marina protetta. Lo ha annunciato il titolare dell’Ambiente, Sergio Costa, nel corso dell’evento organizzato da Marevivo per i dieci anni di Delfini Guardiani. “Ringrazio i Sindaci di Capri e Anacapri per il loro impegno – ha detto Costa – l’isola dal primo maggio sarà plastic free e non solo per l’estate ma per sempre. Questa è un’isola speciale, qui è nato 35 anni l’impegno di Marevivo per il mare. Ora vogliamo accelerare sulla costituzione dell’area marina protetta che Capri aspetta da anni”

Già con un’ordinanza (la n. 93 del 28 marzo) Capri ha aderito alla campagna di tutela ambientale che fa divieto di uso e commercializzazione di manufatti monouso in plastica non degradabile.
Un provvedimento volto a migliorare sia il servizio della raccolta differenziata, che ha già raggiunto soddisfacenti risultati, sia la tutela ambientale del territorio. Il Sindaco Gianni De Martino, nel ritenersi soddisfatto per l’adozione dell’ordinanza, ha sottolineato: “Capri, per il suo nome e per la sua immagine nel mondo, non poteva sottrarsi a partecipare a una iniziativa di sostenibilità ambientale così sentita per migliorare la vivibilità non solo dei territori ad altissima vocazione turistica, ma anche di tutte le altre realtà che stanno soffrendo in maniera più evidente il danno arrecato dalla plastica. La decisione di adottare il provvedimento è scaturita, oltre che per la difesa del nostro territorio, anche per richiamare, grazie al nome di Capri, l’attenzione delle Istituzioni e degli stessi cittadini sul problema che affligge il mondo intero”.

I giovani e la marijuana

Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’istituto “Mario Negri” nonché membro dell’Aifa in Consiglio d’amministrazione, più volte componente del Consiglio Superiore di Sanità, ha svolto la lectio magistralis di apertura del convegno specificando che i prodotti da cannabis  non possono essere definiti prodotti  leggeri in quanto producono danni molto importanti sui giovani e possono essere l’anticamera per approdare ad altri tipi di droga.

È bene non trascurare che nei giovani il cervello è in via di sviluppo e quindi i danni sono maggiori proprio perché la presenza di una sostanza chimica altera tale evoluzione. Per lo scienziato esistono nel nostro Paese oltre duemila negozi esercizi commerciali che vendono prodotti a base di cannabis. È risibile che si vendano inflorescenze di vari tipi di cannabis per i collezionisti, che, in realtà, sono pochi mentre molti di più sono quelli che ne faranno altro uso.

Garattini, inoltre ha descritto le  prove scientifiche che dimostrano i diversi effetti collaterali nell’uso continuato della cannabis, a partire dagli effetti sul sistema nervoso, dalla minor capacità di concentrazione e di ragionamento, fino ad arrivare anche a forme pesanti di psicosi e schizofrenia ed infine  a un’ulteriore estensione degli effetti indesiderati con  il cancro del testicolo, in quanto il consumo di cannabis fa crescere il rischio mediamente di oltre il doppio che negli uomini non fumatori.

La questione del centro appartiene anche al Pd

Articolo già pubblicato su https://www.huffingtonpost.it

Nonostante le tesi contrarie, che suonano spesso come una vibrante stroncatura, la riflessione sul centro attira con forza l’attenzione del dibattito politico. Non è morta, anzi sopravvive con tutto il carico della sua problematica formulazione.

Da più parti s’insiste sull’aspetto cruciale della questione. L’editoriale di Panebianco sul “Corriere” ne ha posto ieri in evidenza l’ambiguità che, a fronte del voto del 4 marzo dello scorso anno, segnerebbe il desiderio di un semplice ritorno allo status quo ante.

Tuttavia indietro non si torna, il blocco pentaleghista non si scioglierà facilmente. Per questo bisogna capire se l’alternativa, connessa all’iniziativa di un Pd che Zingaretti vuole più radicato a sinistra, possa sussistere malgrado l’assenza di una forza politica di centro.

In effetti, potrebbe essere il Pd a farsi interprete degli umori e degli interessi dell’elettorato “intermedio”, favorendo implicitamente al suo fianco sinistro la riorganizzazione di una componente più radicale. È la soluzione uscita perdente dal congresso, ma non per questo annichilata nelle sue motivazioni. Sala, sindaco di Milano, ne ripropone il carattere positivo.

Ora, in base a un approccio di sano realismo, il Pd non può trastullarsi nella solitudine delle proprie convinzioni. Anche Zingaretti ha bisogno di un centro autorevole e solido, sebbene al contrario qualcuno sogni di ripristinare tardivamente uno schema dominato dalla sinistra, con piccoli satelliti attorno (tra cui quello dei cosiddetti moderati). Se non si scioglie questo nodo, pare molto improbabile che l’elettorato muti orientamento e favorisca l’astratta esigenza di rivalsa degli sconfitti.

Un segnale, in tempi rapidi, va dato. Altrimenti le elezioni europee, per l’incombenza di questa fragilità di assetto politico, potrebbero consacrare nel sordo frastuono dell’astensionismo la resistenza di una maggioranza incongrua di populisti e sovranisti, abbarbicata al potere e tuttavia adornata di grande forza residuale.

Il centro fra Panebianco e Cacciari

Angelo Panebianco sul Corriere della Sera e Massimo Cacciari su L’Espresso, da par loro, hanno scritto di politica ed in particolare di “centro”.
Due riflessioni franche e nette, molto intriganti, che solo apparentemente divergono nella sostanza.

Panebianco riconosce la necessità di un “centro politico”, visto che il sistema elettorale – pur confusamente – è diventato e resterà prevalentemente proporzionale, anche se mette in evidenza gli ostacoli che si frappongono su tale strada e ricorda che si tratta semmai di una operazione da costruire nel medio periodo.

Cacciari afferma che lo scenario europeo ed italiano del prossimo futuro sarà strutturato sul conflitto radicale tra due prospettive antagoniste, difronte alle quali non esistono “vie di mezzo”: quella della destra sovranista e quella di un europeismo democratico, aperto e progressivo.
A mio parere hanno ragione entrambi.

Il punto di contatto tra le due analisi sta nel fatto che il “centro politico che non c’è” non deve essere inteso come una “via di mezzo” tra le due prospettive irriducibilmente antagoniste di cui parla Cacciari, ma come un pilastro culturale e politico di uno dei due campi: quello democratico ed europeista.

Le culture politiche popolari e liberal democratiche di ispirazione cattolica e laica hanno avuto sempre il ruolo di barriera invalicabile a destra (Degasperi docet) ed hanno offerto un contributo essenziale e peculiare alla costruzione di scenari orientati all’inclusione sociale e alla qualità della democrazia, sul fronte interno e su quello internazionale.
Questo contributo è stato assicurato con gli strumenti di rappresentanza del momento e attraverso gli assetti che la Politica si è via via data.

Negli ultimi tre decenni, si è faticosamente ricercato il modo di continuare questa storia, ma con una diaspora che è stata in parte un segno dei tempi (conseguente al radicale mutamento della base sociale del tradizionale centro) ed in parte frutto di errori di valutazione politica.
Il futuro non si costruisce con i “se” e i “ma” postumi.

Guardiamo piuttosto alla evidenza di fatto oggi sotto i nostri occhi: né la convergenza in un unico partito “a vocazione maggioritaria” del centrosinistra, né la proliferazione di mille rivoli spesso autoreferenziali hanno consentito alle culture politiche del centro popolare e liberal democratico di continuare a dare un contributo visibile alla politica italiana.
Men che meno questo contributo lo può assicurare l’esperienza di Forza Italia e delle formazioni cosiddette “centriste” del centrodestra, oggi di fatto politicamente succubi della strategia sovranista di Salvini, nonostante le apprezzabili posizioni espresse da Mara Carfagna e da altri esponenti di quel partito.

Prendiamo atto della realtà e mettiamoci in cammino.
Dopo le elezioni europee – nelle quali occorrerà far di necessità virtù, visto che non è stato possibile presentare una lista espressione di questa idea di “centro” – va ripreso un percorso difficile ma necessario.

Il campo democratico ed europeista si deve organizzare in modo nuovo.
E dentro questo campo le nostre culture politiche devono essere riproposte con idee, linguaggi, classe dirigente e spirito unitario all’altezza dei rischi che il Paese, purtroppo, è destinato a correre e che la maggioranza giallo-verde sta irresponsabilmente rendendo ancora più drammatici.

Merton, Dorothy Day e il giovane Bruce

Articolo che appare nell’edizione odierna dell’Osservatore Romano a firma di  Lorenzo Fazzini

Metti un giorno qualunque nella sala d’ingresso di una rivista cattolica di vaglia, a New York. Metti che due contributor della suddetta rivista stiano seduti lì aspettando che i loro articoli vengano lavorati dalla redazione. Metti che un giovane rockettaro (siamo nel 1967) entri per caso in quell’ufficio. E intavoli con i due suddetti astanti una qualche conversazione (in apparenza leggera) sulla musica, la letteratura e la religione, a suon di battute e allusioni.

Beh, metti. Mettiamo allora i nomi a questi soggetti: la rivista è «America», il ben noto settimanale dei gesuiti statunitensi. Uno dei due contributor è Thomas Merton, il celebre monaco trappista autore de La montagna dalle sette balze, autentico bestseller del Novecento. L’altra persona risponde al nome di Dorothy Day, l’attivista sociale fondatrice del movimento Catholic Yorker, di cui Papa Francesco, nel suo discorso al Congresso americano, lodò «l’instancabile lavoro» in favore della giustizia e della causa degli oppressi (nella stessa occasione aveva lodato Merton come «uno straordinario americano»). Forse qualcuno avrà quindi indovinato il nome del rockettaro in questione, che non può che essere Bruce Springsteen, a quell’epoca nemmeno diciottenne.

Nell’anniversario di quel fortuito incontro — Springsteen era entrato nell’America House semplicemente per cercare una toilette, era il 1° aprile — la rivista «America» ha rispolverato un resoconto inedito di quel fatto così singolare che vide radunati nello stesso luogo il più famoso scrittore cattolico, la più celebre attivista cattolica, il più noto cantante di radici cattoliche che gli Stati Uniti possano vantare.

E che cosa si saranno mai detti quei tre? Joseph Hoover, responsabile della sezione poesia della rivista, ha rintracciato il racconto che di quel frangente fece Chad Mitchum, allora novizio gesuita, testimone oculare di quel provvidenziale incontro a tre.

Così si racconta che Springsteen chiede a Day (quest’ultima stava aspettando l’ok a un suo articolo sulla proliferazione delle armi nucleari) cosa stesse leggendo. Scoperto che la donna era immersa in Il potere e la gloria di Graham Green, lodò il romanzo dello scrittore (cattolico pure lui).

Poi quello che in futuro sarà chiamato The Boss invita la donna a leggere Flannery O’Connor: «Io penso che e la vecchia Flannery ed io abbiamo alcune cose in comune». «Siete entrambi cattolici?» chiede Day. «No, non sono cattolico. Cioè, lo sono stato…» ammette il giovane rockettaro. Di qui la profezia della più matura Day: «Lo sei stato? È una cosa che non ti abbandonerà mai! È come la polvere dell’Oklahoma che passa attraverso la cornice di una finestra fino ad arrivare a ogni canzone che tu scriverai, te lo garantisco!». Affermazione che in molti studiosi — due nomi, Antonio Spadaro e più recentemente Luca Miele, che ha dedicato a Springsteen diverse pagine del suo Il vangelo secondo il rock — hanno ampiamente dimostrato, rintracciando la continua fonte biblica dei testi spreengstiniani.

Al che, provocatoriamente, Springsteen rispose: «Me ne sono andato dalla chiesa quando ero giovane, per entrare nella chiesa del rock’n’roll». Intromettendosi nella conversazione, Merton apostrofò il giovane con un secco: «Te ne sei andato per quei quattro che predicano la libertà del rock’n’roll», riferendosi implicitamente ai Beatles, il quartetto di Liverpool che furoreggiava all’epoca tra i giovani, di qui e di là dell’Atlantico. Il giovane Bruce ha subito la risposta ironica pronta: «Chi pensi che stia cercando di fare, un Simon e Garfunkel qualunque?», riferendosi al ben noto duo musicale che in quegli anni andava forte.

La conclusione dell’episodio spetta a Day e resta fulminante. Mentre Springsteen se ne va alla toilette, l’attivista si rivolge a Merton: «Mi piace quel ragazzo. Potrei vedermi anche andare a uno dei suoi concerti un giorno. Ecco, artisti cattolici ovunque. Chi lo sa?».

Ocmin (Cisl), la fuga dei cervelli coincide anche con quella dei “pancioni”

Articolo già apparso sulle pagine di www.ildiariodellavoro.it a firma di Tommaso Nutarelli

È stata recentemente approvata la direttiva europea per il work-life balance. Una direttiva che per Liliana Ocmin, responsabile Cisl del Dipartimento Politiche Migratorie Donne Giovani e Coordinamento Nazionale Donne, ha dei punti positivi e segna un cambio di rotta significativo, per essendo ancora presente delle zone d’ombra. bisogna riconoscere il notevole sforzo politico indirizzato a rafforzare un modello sociale più vicino all’esigenza della famiglia in Europa, dove lavoratori e lavoratrici condividano, le responsabilità di cura dei bambini ed i familiari bisognosi di assistenza. Per Ocmin la vera sfida è superare quelle barriere culturali che nel nostro paese affossano ancora le politiche di conciliazione e incrementano la disparità di genere nel mercato del lavoro sia nell’accesso che nella sua permanenza anche dopo la maternità. La formula vincente è più lavoro alle donne uguale più natalità perché le donne che non lavorano non fanno figli.

Ocmin è stata approvata la nuova direttiva europea per il work-life balance. Quando è iniziato tutto l’iter e come si è svolto?

L’iter, iniziato nel 2017, è stato molto lungo e in certi passaggi anche complicato. Senza contare gli anni precedenti dove più volte è stata arenato l’iter. Alla fine si è giunti all’approvazione, e questo è senz’altro un fatto positivo. La direttiva rientra infatti all’interno del pilastro sociale europeo, ed evidenzia un cambio di rotta significato nelle politiche di conciliazione.

Per quanto riguarda i contenuti, come valuta la direttiva?

Ci sono dei buoni elementi. Il congedo parentale riservato al padre viene innalzato a 10 giorni e viene prevista la copertura totale, l’indennità come avviene per la malattia. Si riconosce, inoltre, anche un maggiore flessibilità per chi deve prendersi cura dei familiari Per quanto riguarda l’età̀ dei figli per cui si richiede il congedo, il testo prevede un approccio evolutivo, innalzando l’età̀ dagli attuali 8 a 12 anni. Non mancano, tuttavia, delle zone d’ombra.

Quali nello specifico?

Va precisato che rimarranno in vigore le disposizioni legislative nazionali, quando più̀ favorevoli ai lavoratori e alle lavoratrici. La Direttiva infatti prevede anche quattro mesi di congedo parentale, di cui due non trasferibili e remunerati, quindi in questo caso i governi dovranno prevedere un’indennità̀ “adeguata” a garantire un livello dignitoso di vita che incoraggi ambedue i genitori a usufruire dei congedi. Per averne diritto, i genitori dovranno avere un’anzianità̀ aziendale di almeno un anno. Ma in questo modo vengono esclusi i giovani, gli atipici e gli stagionali, creando così lavoratori di serie A e di serie B.

In tema di politiche di conciliazione l’Italia come è messa?

Sono stati fatti dei passanti avanti, ma c’è ancora molto da fare. Prima di tutto su aspetti strettamente pratici. Nel nostro paese abbiamo 5 mesi di astensione obbligatoria per le lavoratrici madri – di recente anche ulteriormente reso flessibile e 5 giorni di astensione obbligatoria ai lavoratori padri in seguito si può usufruire del congedo però questo viene retribuito solo del 30%. Dunque viene chiesto da chi ha solitamente lo stipendio più basso, che impatta di meno sul bilancio familiare, ossia alle lavoratrici. Bisogna fare in modo che ci sia maggiore flessibilità in alcuni momenti topici della vita dei lavoratori e delle lavoratrici superare alcune rigidità presenti per evitare che soprattutto le donne devano rinunciare al lavoro e che purtroppo come accade frequentemente le venga imposto dei part-time involontari, che di certo non aiutano la conciliazione. Serve dunque un cambio culturale nel mondo del lavoro e dell’impresa. Molto è stato fatto con la contrattazione del welfare aziendale ma rimane un’opportunità spesso solo per alcune aziende medio grandi.

La mancanza di politiche family friendly e che non aiutano a eliminare le disparità di genere che effetti stanno avendo sulla nostra società?

Che stiamo perdendo professionalità, perché mediamente sono proprio le donne le più qualificate, e quelle che hanno i titoli di studio più spendibili. Accanto alla ormai nota fuga dei cervelli, assistiamo anche alla fuga dei “pancioni”, perché molte giovani donne vanno a lavorare all’estero dove ci sono condizioni più favorevoli, e la maternità e la famiglia non sono viste come un ostacolo.

Al Congresso della famiglia di Verona si è molti discusso anche sul ruolo della donna nel mercato del lavoro. Quali sono le valutazioni in merito?

Le argomentazioni presentate a Verona sono del tutto infondate. L’incremento della natalità non si ottiene facendo rimanere a casa le lavoratrici, ma semmai è vero il contrario. Inoltre un’elevata presenza femminile nel mercato del lavoro crea, a sua volta, nuova occupazione, perché incrementa ad esempio la domanda di servizi.

Secondo lei, i vari interventi messi in campo dal governo potranno avere un effetto positivo sulla natalità e rafforzare le politiche di conciliazione?

Per il momento no. Nella legge di bilancio, ad esempio, è stato tagliato il fondo per il baby-sitting. Inoltre ci viene offerta un’immagine della famiglia del tutto disarticolata dalla realtà odierna. Non si può pensare di incentivare la natalità dando in cambio ettari di terra. Anche Quota 100, che nelle previsioni del governo dovrebbe garantire l’accesso nel mercato del lavoro ai giovani, non è detto che funzioni. Prima di tutto perché non c’è mai il ricambio 1 a 1. Inoltre Quota 100 è tarata per un lavoratore maschio dipendente con una carriera continua. Non bisogna solo valutare quando si va in pensione ma anche con quanto. E le lavoratrici in questo sono penalizzate, perché hanno avuto carriere più brevi e discontinue.

Libia: Questo è un colpo di Stato

Gli Stati Uniti chiedono l’immediato arresto dell’offensiva militare dell’Esercito nazionale libico (Lna), comandato dal generale Khalifa Haftar, contro la capitale libica Tripoli.

Nella nota Washington sostiene che le parti coinvolte che hanno la responsabilità di allentare urgentemente la situazione, come sottolineato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dai ministri dei paesi del G7 lo scorso 5 aprile.

E mentre il generale Ahmed Omar Maitig, vicepresidente del Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale libico (Gna) dichiara che: “Noi siamo il governo legittimo della Libia. Questo è un colpo di Stato non c’è altro modo per definirlo. Lui vuole prendere il controllo della Libia e vuole essere a capo di un suo governo militare, vuole instaurare una giunta, una vera e propria dittatura”.

In Libia gli scontri hanno già convinto diverse società internazionali e governi stranieri a ritirare il proprio personale in Libia. Tra gli altri, hanno annunciato l’evacuazione del proprio personale la compagnia petrolifera italiana ENI e l’esercito statunitense.

Anche la Francia ha commentato l’offensiva di Haftar: una fonte diplomatica ha spiegato a Le Figaro che la Francia non è a conoscenza delle intenzioni del generale e che non esiste alcun “programma nascosto sulla Libia” ribadendo il sostegno ufficiale al governo di Al Sarraj.

Elezioni europee: anche le Acli a Colonia per flash mob

Le Acli nazionali, in collaborazione con la Kab Bundesverband (il più importante sindacato cattolico tedesco), l’Ecwm (il movimento europeo dei lavoratori cristiani) e le Acli Germania, si sono date appuntamento ieri, a Colonia, per l’Incontro europeo della società civile.

Quattro Movimenti dei lavoratori cristiani per il futuro dell’Europa”.
Un’azione congiunta sotto forma di “flash mob”.

Per l’occasione, è stato letto e presentato un documento condiviso dalle quattro associazioni che richiama i valori dell’Europa insieme ad un appello alla partecipazione alle prossime elezioni europee, che in Italia si svolgeranno il 26 maggio.

“Dobbiamo costruire una posizione politica chiara per dare forza a questa grande intuizione che è stata l’Ue”, ha dichiarato Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli. “Ancor prima di capire quale sarà il futuro del lavoro – ha aggiunto –, noi vogliamo ribadire che un’Europa unita è una forma di tutela delle fasce sociali più disagiate”.

Vinitaly, addio a una vigna su 10 nell’ultimo decennio

Addio ad una vigna su dieci nell’ultimo decennio con la scomparsa di quasi 80mila ettari di vecchie vigne, pari all’11% della superficie totale coltivate a vite. E’ quanto emerge da un’analisi Coldiretti diffusa in occasione della presentazione delle innovazioni 2019 nel mondo del vino, protagoniste di una maxiesposizione a Casa Coldiretti, dalle ultime rivoluzionarie tecniche di invecchiamento alle innovative soluzioni tecnologiche per promuovere i consumi, fino alle più incredibili esperienze di economia circolare in vigna.

In un decennio la superficie complessiva coltivata a vite è passata da 731mila ettari a 651 mila ettari del 2018, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat, con la scomparsa soprattutto di vigneti vecchi e non più produttivi. Il risultato è stato una contrazione del Vigneto Italia dalla quale si è ora ripartiti per una profonda operazione di rigenerazione che ha puntato soprattutto su varietà autoctone e “green”.

Lo testimonia il boom di domande presentate alle Regioni per l’autorizzazione all’impianto di nuove vigne nel 2019. Una mole di richieste che – sottolinea Coldiretti – ha superato il “tetto” delle superfici disponibili pari a 6600 ettari, secondo quanto previsto dal regolamento dell’Ocm Vino, l’organizzazione comune di mercato che regola a livello europeo il settore.

Le scelte delle aziende, molte delle quali giovani, per i nuovi impianti riflettono – spiega Coldiretti – il profondo cambiamento nei consumi, con il ritorno dei vini autoctoni che nel giro di quale anno hanno scalzato quelli internazionali nelle preferenze di consumo degli italiani. Un trend testimoniato anche dal fatto che nella top ten dei vini che hanno fatto registrare la maggiore crescita di vendite nel 2018 figurano solo bottiglie “sovraniste”.

Ma un altro indirizzo dei viticoltori italiani – continua Coldiretti – è quello dei vitigni resistenti. Si tratta di varietà anche chiamati super-bio da cui nascono i vini “piwi”, che eliminano del tutto o quasi l’uso di trattamenti. Una scelta che va nella direzione della sostenibilità e della tutela dell’ambiente, incontrando un favore crescente da parte dei consumatori, anche grazie a una nuova sensibilità verso questo tipo di tematiche. Non a caso i criteri di priorità indicati dalle Regioni per la presentazione delle domande di nuovi impianti premiano, tra le altre cose, – prosegue Coldiretti – chi segue le regole della produzione biologica, chi coltiva la vite nelle zone montane e in piccole isole dove il vigneto contribuisce alla conservazione dell’ambiente.

“Il profondo rinnovamento in atto sul Vigneto Italia conferma la vitalità di un’agricoltura che ha fatto dell’innovazione una delle armi per affermarsi sul mercato, della quale il vino rappresenta peraltro uno dei settori di punta” ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “non a caso le scelte dei viticoltori Made in Italy incontrano sempre di più i gusti dei consumatori sul terreno della qualità e della sostenibilità”.

Viaggi nell’antica Roma, torna il progetto multimediale per rivivere la storia del Foro di Cesare

Dal 17 aprile al 3 novembre 2019, lo straordinario progetto Viaggi nell’antica Roma che, attraverso due appassionanti ed innovativi spettacoli multimediali, racconta e fa rivivere la storia del Foro di Cesare e del Foro di Augusto.

I due spettacoli, che utilizzano tecnologie all’avanguardia, vedono l’ideazione e la cura di Piero Angela e Paco Lanciano con la storica collaborazione di Gaetano Capasso e con la Direzione Scientifica della Sovrintendenza Capitolina. Sono promossi da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e prodotti da Zètema Progetto Cultura.

Grazie ad appositi sistemi audio con cuffie e accompagnati dalla voce di Piero Angela e dalla visione di magnifici filmati e proiezioni che ricostruiscono i due luoghi così come si presentavano nell’antica Roma, gli spettatori potranno godere di una rappresentazione emozionante e allo stesso tempo ricca di informazioni dal grande rigore storico e scientifico.

I due spettacoli possono essere ascoltati in 8 lingue (italiano, inglese, francese, russo, spagnolo, tedesco, cinese e giapponese).

Le modalità di fruizione dei due spettacoli sono differenti. Per il “Foro di Augusto” sono previste tre repliche ogni sera (durata 40 minuti) mentre per il “Foro di Cesare” è possibile accedervi ogni 20 minuti secondo il calendario pubblicato (percorso itinerante in quattro tappe, per la durata complessiva di circa 50 minuti, inclusi i tempi di spostamento).