Il lavoro povero è il fallimento della politica

Una questione di diritti, giustizia sociale e democrazia: la Carta costituzionale è la griglia per affrontare un fenomeno grave. Per il testo integrale dell’articolo utilizzare il link a fondo pagina.

L’11 agosto 2023 a Palazzo Chigi, sede del Potere Esecutivo, la Presidente del Consiglio dei ministri ha incontrato quasi tutti gli esponenti delle forze parlamentari di opposizione per discutere su una questione inerente alla legislazione ordinaria in materia di “lavoro”. Per la precisione, la questione riguarda proposte miranti alla definizione, per legge, del salario minimo dei lavoratori dipendenti. L’incontro si è concluso in modo interlocutorio.  La Presidente del Consiglio, dopo la fine dell’evento, ha rilasciato dichiarazioni usando più volte la locuzione “lavoro povero”.

Occuperebbe molte pagine la descrizione delle differenti opinioni dei decisori politici diffuse con grande clamore dai media. E poiché parecchi dei decisori politici presenti nell’attuale scena politica si sono avvicendati in ruoli governativi, anche più volte negli anni decorsi, ci sarebbero da fare numerose considerazioni incentrate sul perché e sul percome dell’esistenza del “lavoro povero”.

Mi limito a dire che risulta paradossale l’esistenza del fenomeno del “lavoro povero” nella Repubblica che ha scelto di essere “fondata sul lavoro”. Infatti, il primo articolo della Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, cioè più di 75 anni fa, così recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Inoltre, sono numerose e tutte coerenti col pilastro fondativo del lavoro di cui all’articolo 1 le norme di rilevanza costituzionale in materia di diritto del lavoro, di diritto al lavoro e di “rapporti economici”

Il lavoro povero, il lavoro servile e la schiavitù appartengono ad epoche storiche e a culture politiche, economiche e sociali antecedenti alla Costituzione repubblicana.

Quindi, il fenomeno del lavoro povero desta preoccupazione perché non è stato generato dal destino cinico e baro; perché in Italia le retribuzioni del lavoro dipendente sono ai livelli più bassi in Europa nel mentre l’inflazione è in paurosa crescita; perché viene reso di solare evidenza il crescente impoverimento del sistema Paese; perché è una mina piazzata ai principi e ai valori fondanti dell’ordinamento costituzionale.

Da molti anni l’Italia è finita in una lunga notte nella quale viene sistematicamente tolta la luce della Costituzione. Anche la semplice lettura della Costituzione ci svela che la nostra Carta fa luce ed ha, nelle sue parti precettive e programmatiche, il miglior programma politico, economico e sociale immaginabile per il nostro Paese.

Purtroppo, scelte di maggioranze governative sono state effettuate in difformità, se non in dispregio della Costituzione.  Non sono di poco conto le politiche che, in buona sostanza, riducono il pensiero politico alla mera occupazione dei palazzi del potere. Basta ricordare che sono state architettate normative elettorali riconosciute incostituzionali dalla Consulta grazie ai ricorsi effettuati in via giudiziaria da parte di semplici cittadini. Inoltre, sono ricorrenti “progetti governativi” rivolti a cambiare in modo radicale la Costituzione. Uso la locuzione “progetti governativi” per sottolineare la loro “anomalia” rispetto agli insegnamenti di Calamandrei, che aveva spiegato il perché, in materia di normative costituzionali, i banchi del governo in Parlamento debbano restare vuoti. I compiti dei governi e dei governanti, che nell’insediarsi giurano fedeltà alla Costituzione, non sono quelli di cambiare la Costituzione sulla quale hanno giurato, ma di attuarla. Purtroppo, sono stati molti (di sinistra e di destra) i governi impegnati a cambiare o a tentare di cambiare la Costituzione piuttosto che applicarla rigorosamente nelle parti precettive e attuarla puntualmente nelle parti programmatiche.

 

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