Il Pd non è il Pci ma un nuovo Partito radicale e massimalista.

Dopo una lunga stagione caratterizzata dal “nulla della politica” (Martinazzoli(, è arrivato anche il momento per rafforzare e consolidare il campo dei riformisti. Da qualunque area politica e culturale provengano.

Forse è giunto il momento per dirlo con chiarezza e senza equivoci. In effetti, non c’è alcun confronto o paragone possibile tra lattuale Pd e il vecchio Pci. Innanzitutto perchè, come sanno anche i sassi, la storia non si ripete mai meccanicamente. In secondo luogo perchè la segretaria nazionale Schlein è “nativa democraticacome si suol dire, ed è del tutto estranea al vecchio impianto comunista. Gramsciano, togliattiano o berlingueriano che sia. In terzo luogo, ed è laspetto politicamente più rilevante, perché il nuovo Pd ha assunto un impianto culturale radicaleggiante e libertario e, sotto il profilo politico, ha una precisa e definita identità massimalista ed estremista.

Ci sono due soli elementi che, però, continuano ad accomunare il vecchio Pci con il nuovo Pd: la plateale avversione nei confronti della cultura e della prassi riformista da un lato e la convinzione profonda di rappresentare il megliodella società italiana dallaltro. Con la naturale e persin scontata conseguenza di considerare gli avversari di turno del nuovo verbodei nemici incalliti da delegittimare prima sotto il profilo morale e poi da sconfiggere senza appello e senza alcuna remora sul terreno politico. Del resto, il filo rosso che lega questa concezione giacobina, salottiera ed altezzosa è lodio e lavversione maturati nel tempo contro lavversario più temibile e più insidioso che si presenta di volta in volta: la Dc per molti decenni, poi Berlusconi, poi Renzi, poi la Lega salviniana e infine la Meloni. Ovvero, chiunque possa lontanamente ostacolare il disegno salvifico ed avveniristico della sinistra non può che essere un nemico da abbattere. Un disegno, questo – attuale ieri come oggi – condiviso con tutto il caravanserraglio di opinionisti, conduttori televisivi, artisti, intellettuali à là carte, editori e nani e ballerine che seguono il carro dei migliori.

Ora, però, e al di là di questa persin banale considerazione, quello che va rilevato – anche allindomani di una interessante Direzione nazionale del partito – è la progressiva trasformazione del Pd a guida Schlein. Che, detto fra di noi, si sta confermando anche una leader coraggiosa e soprattutto coerente con il programma politico con cui si è presentata allesame prima degli iscritti al partito e poi dei cittadini che lhanno votata liberamente alle primarie. Ma la direzione di marcia, per mutuare una dizione antica ma sempre efficace, è quantomai chiara rispetto anche solo ad un passato recente. Il PD, cioè, – almeno così pare – non è più il partito governista per eccellenza.

Non è più solo ed esclusivamente un partito di potereperché non è più il partito del potere. Il Pd non è più ormai da tempo, e va pur detto, il partito che unisce la miglior tradizione ex comunista con quella ex democristiana perché il Pd, di fatto, è diventato un partito radicale, libertario, massimalista ed estremista. Ma, comunque sia, si tratta di un partito vivo, vitale, con una leader, appunto, coraggiosa e fortemente coerente con il suo passato e con il progetto che vuole perseguire nellattuale contesto politico italiano. Ma si tratta anche di un progetto, e quindi di una cultura politica e di un quadro valoriale, distinto e distante da quello delle origini di quel partito. E chi si attarda a rifarsi a quel passato o, peggio ancora, a rimpiangere una esperienza che ormai appartiene alla storia, anche se recente, di quel partito rischia di vivere di ricordi ormai avulsi da ciò che capita concretamente nel campo dei Democratici.

Ecco perché, anche alla luce di questa novità positiva che contribuisce, comunque sia, a riscoprire la politica e le conseguenti culture politiche dopo una lunga stagione caratterizzata dal nulla della politicaper dirla con un celebre ed efficace slogan di Mino Martinazzoli, è arrivato anche il momento per rafforzare e consolidare il campo dei riformisti. Da qualunque area politica e culturale provengano. Sarebbe curioso se, dopo il decollo di una destra democratica e di governo, dopo il ritorno di una sinistra radicale e massimalista, e con la permanenza di un populismo demagogico e qualunquista grillino, i riformisti di centro si limitassero, ancora una volta, a fare da semplici spettatori. Perché, così facendo, sarebbero i soli responsabili delleventuale crisi, o involuzione, dellattuale politica italiana.