Intelligenza artificiale e pace, riflessioni sul messaggio del S. Padre.

Serve richiamare l’attenzione sul risvolto sociale e politico che l’avvento dell’intelligenza artificiale ci offre; ma occorre vincere la tentazione di sentirsi detentori di una libertà infinita rispetto ai limiti della natura umana.

Il messaggio del S. Padre relativo alla pace quest’anno ci coinvolge particolarmente perché riguarda una nuova frontiera che forse con la pace potrebbe non avere apparentemente legami e che invece ne ha moltissimi: l’intelligenza artificiale. Sarà il leitmotiv non dei prossimi decenni bensì dei prossimi anni e forse mesi. È bene perciò richiamare l’attenzione sul risvolto sociale e miratamente politico che l’avvento dell’intelligenza artificiale ci offre. Siamo in un epoca in cui la politica, molto debole verso le sfide della contemporaneità, ha prodotto uno iato tra progresso e sviluppo a detrimento di quest ultimo. 

Vale la pena allora riflettere sui presupposti di una vita ormai universalmente sociale e globalizzata, che le nuove frontiere della scienza interrogano. E la politica ne è il soggetto principale perché senza di essa ogni progetto o prospettiva resta vana, se al centro della sua azione non emerge il valore ontologico della persona come frontiera ma anche limite della ricerca scientifica. Sin dai tempi del metodo sperimentale inaugurato da Galilei, il problema che si è posto e si pone è di natura etica, perché la scienza deve essere al servizio dell’uomo e non viceversa; ma, poiché il divario tra sviluppo e progresso ha portato a divisioni ed incongruenze, col problema della scienza si pone quello dei suoi fruitori e con ciò anche il “problema della democrazia”.

Può la democrazia classica fondata su isonomia, isotimia e isegoria, che ha portato certo alla cultura dei diritti, favorire la recezione del progresso scientifico, e di un progresso scientifico dominato dall’intelligenza artificiale, così da operare nel segno di una promozione integrale dell’uomo, come direbbe Maritain?

La democrazia personalista si fonda su una relazionalità sociale sia verticale che orizzontale, perché essa è sia ricerca di vicinanza solidale che strutturale interdipendenza tra gli uomini. Essa è costruzione della personalità sociale attraverso linguaggio, costume, cultura, ethos…Una costruzione che conferisce identità e personalità non racchiusa nell’origine dell’individuo, ma nelle sua relazionalità.

In tal senso la comunità è convivenza articolata e strutturata che trasmette per osmosi ad ogni uomo categorie di pensiero e criteri di giudizio di cui il soggetto si nutre. L’ethos  come sistema di sedimentazione di regole e valori che una comunità ha sperimentato nella sua esistenza, risulta il fondamento essenziale di una democrazia fondata sulla consapevole partecipazione dei cittadini.

Perciò i valori, anche quelli scientifici, non sono “astrazioni razionali”, ma patrimonio di relazioni ed esperienze costruite sull’essenza della persona e suol essere “situata”, aperta all’alterità e non proprietà esclusiva. La persona è l’antidoto al populismo imperante, perché supera ogni ideologia della dominanza, del denaro e della carriera. La realizzazione della natura umana è il fine di una vera democrazia nei suoi livelli ed articolazioni, promuovendo l’ontologia essenziale della dignità umana, rimuovendo ogni differenza sociale, etnica, economica, sessuale…come recita l’art.3 della Costituzione della Repubblica Italiana, per realizzare una vera società  partecipativa in vista di uno stato non censitario.

La seconda guerra mondiale aveva dimostrato quanto il nazionalismo minacciasse la sicurezza e la sopravvivenza dei popoli e degli stati: per questo l’art.10 della Costituzione Italiana riconosce l’importanza del diritto internazionale e la sua superiorità rispetto all’ordine giuridico interno di ciascuno stato,le cui norme devono adeguarsi a quelle internazionali.

Tale articolo inoltre garantisce il diritto d’asilo agli stranieri cui sia stato impedito nel loro paese l’esercizio delle libertà democratiche, escludendo l’estradizione per motivi politici e riconoscendo pieno diritto di cittadinanza a tutti perché “persone”.

Tuttavia non è sufficiente ripudiare la guerra, ma è indispensabile costruire le condizioni grazie alle quali le guerre non possano più iniziare. E tale obiettivo risulta raggiungibile attraverso due azioni: da un lato gli stati, da sempre protagonisti attivi o passivi di tutte le guerre, dovrebbero acconsentire a limitazioni delle loro sovranità; dall’altro le organizzazioni internazionali dovrebbero crescere di ruolo ed importanza.

 

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