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mercoledì, Aprile 30, 2025
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Papa all’Angelus: con il diavolo non si dialoga, si risponde con la Parola di Dio

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il Vangelo di questa prima domenica di Quaresima (cfr Lc 4,1-13) narra l’esperienza delle tentazioni di Gesù nel deserto. Dopo aver digiunato per quaranta giorni, Gesù è tentato tre volte dal diavolo. Costui prima lo invita a trasformare una pietra in pane (v. 3); poi gli mostra dall’alto i regni della terra e gli prospetta di diventare un messia potente e glorioso (vv. 5-6); infine lo conduce sul punto più alto del tempio di Gerusalemme e lo invita a buttarsi giù, per manifestare in maniera spettacolare la sua potenza divina (vv. 9-11). Le tre tentazioni indicano tre strade che il mondo sempre propone promettendo grandi successi, tre strade per ingannarci: l’avidità di possesso – avere, avere, avere –, la gloria umana e la strumentalizzazione di Dio. Sono tre strade che ci porteranno alla rovina.

La prima, la strada dell’avidità di possesso. È sempre questa la logica insidiosa del diavolo. Egli parte dal naturale e legittimo bisogno di nutrirsi, di vivere, di realizzarsi, di essere felici, per spingerci a credere che tutto ciò è possibile senza Dio, anzi, persino contro di Lui. Ma Gesù si oppone dicendo: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”» (v. 4). Ricordando il lungo cammino del popolo eletto attraverso il deserto, Gesù afferma di volersi abbandonare con piena fiducia alla provvidenza del Padre, che sempre si prende cura dei suoi figli.

La seconda tentazione: la strada della gloria umana. Il diavolo dice: «Se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo» (v. 7). Si può perdere ogni dignità personale, ci si lascia corrompere dagli idoli del denaro, del successo e del potere, pur di raggiungere la propria autoaffermazione. E si gusta l’ebbrezza di una gioia vuota che ben presto svanisce. E questo ci porta anche a fare “i pavoni”, la vanità, ma questo svanisce. Per questo Gesù risponde: «Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai» (v. 8).

E poi la terza tentazione: strumentalizzare Dio a proprio vantaggio. Al diavolo che, citando le Scritture, lo invita a cercare da Dio un miracolo eclatante, Gesù oppone di nuovo la ferma decisione di rimanere umile, rimanere fiducioso di fronte al Padre: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore tuo Dio”» (v. 12). E così respinge la tentazione forse più sottile: quella di voler “tirare Dio dalla nostra parte”, chiedendogli grazie che in realtà servono e serviranno a soddisfare il nostro orgoglio.

Sono queste le strade che ci vengono messe davanti, con l’illusione di poter così ottenere il successo e la felicità. Ma, in realtà, esse sono del tutto estranee al modo di agire di Dio; anzi, di fatto ci separano da Dio, perché sono opera di Satana. Gesù, affrontando in prima persona queste prove, vince per tre volte la tentazione per aderire pienamente al progetto del Padre. E ci indica i rimedi: la vita interiore, la fede in Dio, la certezza del suo amore, la certezza che Dio ci ama, che è Padre, e con questa certezza vinceremo ogni tentazione.

Ma c’è una cosa, su cui vorrei attirare l’attenzione, una cosa interessante. Gesù nel rispondere al tentatore non entra in dialogo, ma risponde alle tre sfide soltanto con la Parola di Dio. Questo ci insegna che con il diavolo non si dialoga, non si deve dialogare, soltanto gli si risponde con la Parola di Dio.

Approfittiamo dunque della Quaresima, come di un tempo privilegiato per purificarci, per sperimentare la consolante presenza di Dio nella nostra vita.

La materna intercessione della Vergine Maria, icona di fedeltà a Dio, ci sostenga nel nostro cammino, aiutandoci a rigettare sempre il male e ad accogliere il bene.


Dopo l’Angelus

Cari fratelli e sorelle,

ieri a Oviedo, in Spagna, sono stati proclamati beati i seminaristi Angelo Cuartas e otto compagni martiri, uccisi in odio alla fede in un tempo di persecuzione religiosa. Questi giovani aspiranti al sacerdozio hanno amato così tanto il Signore, da seguirlo sulla via della Croce. La loro eroica testimonianza aiuti i seminaristi, i sacerdoti e i vescovi a mantenersi limpidi e generosi, per servire fedelmente il Signore e il popolo santo di Dio.

Rivolgo un cordiale saluto alle famiglie, ai gruppi parrocchiali, alle associazioni e a tutti i pellegrini venuti dall’Italia e da diversi Paesi. Saluto gli studenti di Castro Urdiales (Spagna) e i fedeli provenienti da Varsavia; come quelli di Castellammare di Stabia e Porcia. Saluto i Piccoli cantori di Pura (Svizzera), i ragazzi del decanato di Baggio (Milano), quelli della professione di fede di Samarate, i cresimandi di Bondone e di Paullo, i giovani di Verona e gli alunni della scuola “Emiliani” dei Padri Somaschi di Genova.

Auguro a tutti che il cammino quaresimale, da poco iniziato, sia ricco di frutti; e vi chiedo un ricordo nella preghiera per me e per i collaboratori della Curia Romana, che questa sera inizieremo la settimana di Esercizi Spirituali.

Buona domenica! Buon pranzo! E arrivederci!

World Kidney Day: la giornata di sensibilizzazione che si celebra il 14 marzo

World Kidney Day è una  campagna di sensibilizzazione globale  finalizzata a sensibilizzare sull’importanza dei nostri reni.

Il World Kidney Day ritorna ogni anno. In tutto il mondo si svolgono centinaia di eventi dalle proiezioni pubbliche in Argentina alle maratone di Zumba in Malesia. 

Consapevolezza dei comportamenti preventivi, consapevolezza dei fattori di rischio e consapevolezza su come convivere con una malattia renale. 

Gli obbiettivi sono:

  • Aumentare la consapevolezza dei nostri “reni” il diabete e l’ipertensione sono fattori chiave di rischio per la malattia renale cronica (CKD).
  • Incoraggiare lo screening sistematico di tutti i pazienti con diabete e ipertensione per CKD.
  • Incoraggiare comportamenti preventivi.
  • Educare tutti i  medici sul loro ruolo chiave nel rilevare e ridurre il rischio di insufficienza renale cronica, in particolare nelle popolazioni ad alto rischio.
  • Sottolineare il ruolo importante delle autorità sanitarie locali e nazionali nel controllo dell’epidemia di CKD. 
  • Incoraggia il trapianto come opzione ottimale per l’insufficienza renale e l’atto della donazione di organi come iniziativa salvavita.

Suor Alessandra Smerilli: «L’economia ripensi se stessa per ritrovare la sua anima»

Articolo già apparso sulle pagine del “Il sole 24 ore” a firma di Paolo Bricco

L’Occidente ha ridotto la povertà. La globalizzazione trainata dall’Europa e dagli Stati Uniti ha creato le condizioni per la crescita economica di pezzi interi del mondo. Ora, però, l’Occidente deve diminuire le disuguaglianze. Gli oligopoli economici e reddituali, tecnologici e culturali hanno aumentato la concentrazione di risorse, di potere e di influenza nelle mani di poche strutture e di poche persone».

Suor Alessandra Smerilli è una delle economiste più ascoltate dalla Cei – i vescovi italiani, radunati nella Conferenza episcopale italiana – e dal Vaticano al tempo di Bergoglio. Siamo al ristorante Sanacafé, quartiere Prati, a un quarto d’ora a piedi dalla Via Conciliazione in cui si trova il Pontificio Consiglio della Cultura (Suor Alessandra fa parte della consulta femminile) e a cinque minuti dalla Lumsa, dove dopo il nostro pranzo lei andrà a condurre un esperimento basato sulla teoria dei giochi finalizzato a comprendere se esistono diversità sostanziali nei comportamenti economici fra i religiosi e i laici.

Oggi Suor Alessandra non ha il velo, indossa un maglioncino blu e ha una camicia bianca con una costina centrale azzurra con sopra il rosario. Ha i capelli corti e il viso tondo, gli occhiali e uno Swatch verde e marrone al polso («Me lo hanno regalato degli amici svizzeri»). Ha una simpatia naturale e una naturale propensione a trasformare il sorriso in riso. Vive i normali affanni di tutti, «Chi ritiene che essere suora sia riposante pensando alla vita contemplativa, non sa quanto invece possa essere faticoso e impegnativo nella vita attiva». Su questo, nel 2013, ha scritto un libretto non privo di autoironia per le edizioni di Città Nuova intitolato appunto Suore.

«Papa Bergoglio – dice – nella sua enciclica Laudato Si’ ha espresso il messaggio profetico secondo cui tutto è connesso: l’ecologia e l’economia, il lavoro e la spiritualità. Esiste una continuità con la Caritas in Veritate di Papa Ratzinger. La questione non è avere più o meno mercato. Il nodo è la natura del mercato e anche la sua declinazione reale, nelle diverse fasi storiche. Papa Ratzinger si è soffermato sul tema cruciale della vocazione del mercato, definendolo come istituzione, se c’è fiducia generalizzata, che permette l’incontro tra le persone. I pontefici non sono economisti. I pontefici sono pastori che dichiarano la loro visione del mondo e manifestano le loro preoccupazioni. Come, di fronte ad alcune forme inaccettabili di realizzazione del mercato, ha fatto nella Evangelii Gaudium Papa Bergoglio, con il concetto molto forte del no all’economia che uccide, l’economia delle diseguaglianze, e del sì, per citare le sue parole “all’economia che fa vivere, perché condivide, include i poveri, usa i profitti per creare comunione”».

Al Sanacafé, un locale di gusto internazionale senza il timbro da osteria e senza la cifra anni Ottanta che ancora oggi perdura a Roma nei locali più pretenziosi e ben frequentati, la cucina è biologica, i tavoli sono delle tavolate in cui si consuma il pasto con i propri commensali a fianco di sconosciuti, il marketing e la comunicazione si fondono con un’idea comunitaria del desinare e con una prospettiva ultrasalutista ma non penitenziale del cibo.

Suor Alessandra, prima di scorrere il menù, si sofferma diverse volte sulle differenti declinazioni della diseguaglianza. Diseguaglianze economiche. Ma anche diseguaglianza fra uomo e donna. Pure nella Chiesa. «Nella Chiesa c’è poco spazio per le donne a livello di struttura e di gerarchia. Papa Francesco sta facendo molto per aumentare questo spazio. La diversità dello sguardo garantisce scelte più universali». Il tema delle diseguaglianze è il perno del pensiero e delle attività di questa suora dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice Salesiane di Don Bosco che è cresciuta in Abruzzo, ha un diploma di maturità al liceo scientifico Raffaele Mattioli di Vasto, è figlia di una parrucchiera (Lucia) e di un operaio della Magneti Marelli (Nicola) oggi in pensione e ha un fratello di nome Giuseppe, chef a Ningbo, a 300 chilometri da Shanghai, che è spesso ospite della televisione cinese dove insegna come si fanno il pane e la pasta.

Dal 13 al 16 marzo, Suor Alessandra sarà al seminario di Treviso della pastorale sociale della Cei su “Giovani, lavoro, sostenibilità”, dove avrà l’incarico di coordinare appunto il laboratorio su giovani e lavoro. Lo scorso ottobre, Papa Francesco l’ha nominata uditrice al sinodo dei vescovi sui giovani, dove ha tenuto un intervento. In quella occasione, Suor Alessandra aveva appena detto in sala stampa «economia ed ecologia hanno la stessa radice. Non si può ascoltare il grido dei poveri, e dei giovani fra i poveri, senza ascoltare il grido della terra, perché sono lo stesso grido», quando il suo account twitter è stato preso di mira da dei troll: «È stata una cosa pesante. Ma si è trattato di un episodio».

Suor Alessandra a fine febbraio ha svolto in Vaticano una relazione su ecologia, economia e politica in un seminario in preparazione del sinodo sull’Amazzonia, che si terrà a ottobre. L’Amazzonia, il Sud America. Uno dei cuori emotivi e culturali del pontificato di Bergoglio. Ma, anche, una delle metafore – fra propositi e azione, politica e scelte individuali – del pensiero economico del Santo Padre, «che è stato accolto molto bene dagli studiosi, per esempio Jeffrey Sachs e Paul Krugman, Joseph Stiglitz e Partha Dasgupta, ma che stenta a essere fatto proprio in maniera convinta e profonda dai cattolici: basta pensare alla poca attuazione, nei comportamenti di tutti i giorni, della ecologia integrale. È importante, per esempio, ricordare le parole di Papa Francesco nella Laudato Si’ sulla responsabilità sociale dei consumatori: “Acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico”. Per questo “il tema del degrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi”». Suor Alessandra lo dice mentre iniziamo a mangiare come antipasto lei una insalata verde con spinacini e finocchi e io delle polpettine di melanzane.

Il tema evangelico della visione dell’economia all’interno della missione della Chiesa si incrocia con il profilo culturale della ricerca economica. C’è una relazione fra il magistero ecclesiale e la critica ai metodi classici della costruzione del pensiero della e sulla economia. Suor Alessandra ha due dottorati di ricerca (il primo alla Sapienza di Roma e il secondo alla University of East Anglia di Norwich), è professore ordinario all’Auxilium (l’unica università pontificia affidata alle donne) e visiting professor alla University of Pennsylvania. «Ci sono alcuni fondamenti culturali dell’economia che non persuadono. Penso innanzitutto all’idea che l’economia sia come la fisica, regolata da leggi naturali, quasi che sia una scienza esatta. Quindi, al principio di razionalità, secondo cui gli operatori economici assumono le proprie decisioni sempre in maniera razionale. Oppure, al concetto di equilibrio ottimale dell’allocazione delle risorse che ne discende. È interessante notare che l’idea secondo cui il soggetto non è una persona, ma il soggetto è una monade che pensa a sé ed è opportunista non è soltanto alla base della teoria economica classica, ma viene anche trasmessa agli studenti, condizionando la loro cultura e plasmando la loro visione del mondo».

Il dubbio di fondo sulla costruzione del pensiero economico nasce in Suor Alessandra al terzo anno di università. Ne parla come di una vera e propria illuminazione culturale, mentre passiamo al secondo: lei dei calamari croccanti e io un rollè di branzino. «Allora ho conosciuto l’economia di comunione di Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari, e l’economia civile, studiata da Stefano Zamagni e da Luigino Bruni. Il dottorato italiano è stato sulla we rationality, la razionalità del noi. Il dottorato inglese sulla community of advantage, il vantaggio della dimensione comunitaria. Ho lavorato a Norwich con Robert Sugden, che nel solco della tradizione di Hume, Mill e Hayek ha sviluppato una nuova concezione dell’economia comportamentale, unendo esperimenti e teoria dei giochi, con la prospettiva di fare dialogare la scienza economica e la filosofia morale. La ricerca di una alternativa culturale o, meglio, di una critica nel metodo prima che nei contenuti, è oggi meno minoritaria di una volta. Anche se il mainstream, la corrente principale e dominante, è sempre il mainstream. Il grande blocco inscalfibile, nella diffusione di una concezione provvidenzialistica del mercato, è stato a lungo la Scuola di Chicago».

Sarà forse un caso, ma la prima – e l’unica – donna a vincere il Nobel per l’Economia – Elinor Ostrom – si è occupata di beni comuni. Mentre cediamo alla tentazione e dividiamo in due un tortino di cioccolata, Suor Alessandra racconta come tutto ebbe inizio: «La mia vocazione all’economia nasce all’interno del percorso di obbedienza. Io pensavo di iscrivermi a psicologia o a scienze dell’educazione, per lavorare con i ragazzi delle periferie. La mia madre superiora Vera Vorlova, una ceca molto lungimirante, mi chiese di pensare alla facoltà di economia perché, a suo avviso, l’economia sarebbe stata sempre più centrale. Non mi era mai venuto in mente. Di primo acchito mi sentii persa. Poi, però mi fidai e mi affidai. Dissi di sì, facendo notare che se si pensava a compiti gestionali non avrei garantito nulla, dato che non ho spirito pratico. E, così, eccomi qui».

Eccola qui, dunque: «Sono donna, sono suora e mi occupo di economia. Più fuori dal mainstream di così», sorride.

Il centro ha bisogno di cultura politica, non può essere un’invenzione di comodo

La sobrietà non va confusa con la negligenza. Guido Bodrato, parlamentare e ministro negli anni ‘80, figura eminente della sinistra democristiana e tenace assertore dell’autonomia del cattolicesimo democratico e popolare, interviene nel dibattito politico a cadenza regolare, ma con un giusto distacco intellettuale. Il suo ragionare conserva la severa essenzialità dei tempi lungamente spesi nelle lotte in prima linea.  Certo, il principio di sobrietà non si traduce, da parte sua, in un’analisi improvvisata. “Mi piace andare all’essenziale – dice – non mi piacciono i giri di parole. Per me il “centro” non è una categoria astratta tra la destra e la sinistra. Queste categorie debbono calarsi nella storia e nelle sue contraddizioni”.

Prodi è intervenuto, a riguardo, riconoscendo la necessità di una nuova formazione politica di centro. Ha parlato di un soggetto liberal moderato. 

Conosco Prodi, lo considero un amico. Quindi conosco il suo modo di pensare. Una volta mi interruppe affermando di non essere “un’anima bella,  essendo in politica per vincere”. Voleva andare oltre la Dc. Ora, nella vecchia Dc rimproveravamo ai dorotei l’inclinazione a stare comunque dalla parte del potere, pensando che il potere logora chi non ce l’ha. Comunque Prodi ha un’idea precisa di Europa e quindi è un interlocutore obbligato.

Secondo te non crede – o almeno non crede fino in fondo – a ciò che pure ha dichiarato?  Prodi non scommette sinceramente sul centro? 

Devo ricordare che fu la lista dell’Asinello alle europee del 1999 a dare il colpo di grazia a quel centro rappresentato dal Ppi, generosa formula di prosecuzione, dopo la caduta della Prima Repubblica, del  cattolicesimo popolare e democratico. Tuttavia non ci sono motivi per irrigidirsi sul dissenso maturato in anni ormai lontani; nei quali, tuttavia, cercavamo di rinnovare la tradizione del “partito di ispirazione cristiana”.

Beh…morì il Partito popolare ma nacque la Margherita. Non fu una risposta, in circostanze sempre più difficili, alla crisi di un partito ridotto al lumicino?

Non mi convinse l’idea di una democrazia caratterizzata dal rapporto diretto del leader con l’opinione pubblica, la polemica implicita con la forma partit. Arturo Parisi, interprete della linea post-referendaria “alla Segni”, era convinto che si trattasse di seguire un elettorato che aveva già scelto il bipolarismo. Io invece pensavo che in quella fase, di svolta storica, una nomenclatura – ovvero ciò che restava della Prima Repubblica –  stava perdendo il radicamento con il suo elettorato, al centro come a sinistra. Di fatto l’esperimento della Margherita non ha retto e dovette riproporsi, con altro indirizzo strategico, sotto il mantello del Partito democratico.

Non ti convince neppure il Partito democratico? 

“Ero assolutamente favorevole all’alleanza con la sinistra, non al “partito unico” (poco più che una scorciatoia). Oggi quell’idea riprende a circolare, ma in una situazione radicalmente cambiata. Non penso si possa semplicemente tornare indietro. Molti pensano – almeno così pare – di affiancare un centro democratico a una sinistra riformista. Da sola, infatti, dove va la sinistra? E dove andrebbe il centro? Nessuna forza politica può ambire in solitudine alla piena difesa dell’europeismo. La situazione è degenerata, basti osservare come sia stata mortificata la lezione degasperiana – sempre più valida – sull’integrazione economica e politica del Vecchio Continente. Giocare sulla semplificazione del messaggio politico, portando il Partito democratico nel campo del socialismo europeo, non ha sciolto i nodi, li ha semplicemente ignorati.

Tuttavia i Popolari europei sono collocati irrimediabilmente a destra. È un problema non da poco.

Tant’è che sono stato tra i propugnatori dell’uscita dei popolari italiani dal Ppe, quando la maggioranza degli europarlamentari Popolari, guidata dai tedeschi, ha scelto di archiviare la propria radice “democratica e cristiana” per far posto ai Conservatori europei e a Forza Italia. E ciò con il solo obiettivo di conquistare la pole position nel parlamento di Strasburgo. Ma l’idea di dare vita, nel 2004, al Partito Democratico Europeo, è stata abbandonata. Poi c’è stata la Brexit e ora è arrivato Orbán, il sovranista ungherese, di cui il Ppe si vorrebbe liberare, poiché in questa nuova fase storica, lo scoglio contro cui l’Unione europea potrebbe naufragare è esattamente il sovranismo, una drammatica regressione al nazionalismo

Sì, ma nel frattempo manca in Italia il partito di radice autenticamente popolare su cui far leva ai fini di questa nuova costruzione politica europea. Da noi, appunto, manca il centro. Che fare?

“Il centro ci sarà o non ci sarà a seconda della ricchezza di contenuto ad esso attribuibile. Senza cultura politica, non prenderà forma alcun centro credibile. De Gasperi ci ha obbligato a riflettere sul “centro che guarda a sinistra”. Lo statista trentino era intransigente nel chiudere il varco a una declinazione in senso conservatore e moderato del cattolicesimo politico. Storicamente, infatti, il centro alleato della destra ha finito ben presto per essere assorbito dalla destra. Ricordo che Jaime Valdés, leader cileno della Dc, diceva: “Se vai con la destra, è la destra che vince”.

E quando il centro guarda a sinistra? Alcuni rovesciano l’accusa, perché contestano la cedevolezza alle forze di sinistra.

Fino a quando è durata l’esperienza del Ppi siamo riusciti a preservare una identità, che tuttavia doveva e deve misurarsi con vari mutamenti radicali. Ralf Dahrendorf invitava a riflettere, sin dagli ultimi anni del ‘900, sul fatto che la globalizzazione avrebbe favorito la competitività a danno della solidarietà, l’autoritarismo a danno della democrazia. Poi è venuta la rivoluzione digitale e tutto è diventato più difficile. E sembra anche riemergere, dalle ceneri del ‘900, la suggestione che sia la violenza la matrice della storia.

La sinistra vuole fare la sinistra. Soffre di solipsismo….

Eppure la sinistra, nei momenti migliori, ha tratto giovamento dal confronto con il cattolicesimo democratico. È la ragione che induce a rinverdire questa attitudine al dialogo, sale della democrazia,  provando a illuminare i molti risvolti positivi di una storia che comincia con i “liberi e forti” di Luigi Sturzo e arriva fino alla “democrazia difficile” di Aldo Moro.

E dunque, come ricominciare? A quali condizioni e per quali sentieri?

Non ci sono scorciatoie. Un polo liberal moderato, così come lo definisce Prodi, non è il nostro destino. La moderazione fa parte dello stile di governo, non segna la figura del cattolicesimo democratico. Dei liberali, infine, abbiamo l’idem sentire di un discorso sulla società, benché l’ispirazione cristiana ci sproni a cogliere sempre l’ansia di giustizia e il vincolo della solidarietà. Si può ricominciare – non lo escludo – a patto però che la fatica di “nuove sintesi” accompagni costantemente il duro lavoro di ricostruzione. Da un piccolo seme spunta e cresce una pianta: questa è la fiducia che ci deve sostenere. In seguito, per trascinamento, verrà anche il tempo dell’organizzazione.

Dalla A (Abruzzo) alla Z (Zingaretti)

Le elezioni prima in Abruzzo e poi in Sardegna, e le successive primarie del PD hanno fornito elementi concreti per un’analisi dell’evoluzione politica nel nostro Paese.

Le due consultazioni regionali hanno dato in sostanza gli stessi responsi.

L’affluenza dei votanti è calata sensibilmente in Abruzzo (53% contro 63% regionali 2014 e 75% politiche 2018) e ha tenuto meglio in Sardegna (54% contro 52% regionali 2014 e 63% politiche 2018). La disaffezione alle urne rimane preoccupante, con un astensionismo al di sopra del 40%.

Vince il centrodestra a trazione leghista. Da notare la capacità di intendersi sul piano locale tra forze sui fronti opposti in Parlamento. Il richiamo del potere nei territori rimane molto forte ed è un collante che unisce la nuova destra sovranista (Salvini-Meloni) con i vecchi “berluscones”.

Tracollo del Movimento 5 Stelle. In Sardegna da 370.000 voti a 85.000: in soli 12 mesi 285.000 sardi sono fuggiti dal M5S. Meno 77%, cioè più di tre elettori su quattro hanno abbandonato Di Maio & C. Gli elettori delle due regioni hanno dimostrato di aver ben compreso l’inconsistenza dei grillini impietosamente dimostrata nei pochi mesi di governo. Chi li aveva votati con spirito qualunquista di destra ha fatto in fretta a preferire Salvini, dimenticandone in fretta i toni antimeridionali. Chi invece li aveva eletti a paladini della giustizia sociale, della trasparenza, dell’onestà contro la corruzione delle caste, li ha pesati, oltre che sull’imbarazzante incompetenza, anche su scivoloni familiari e politici, come il salvataggio dell’alleato Salvini dal processo. E la conclamata debolezza elettorale dei pentastellati li consegna ancor più nelle mani del furbo alleato, visto che la prospettiva di elezioni anticipate in caso di rottura significherebbero il probabile dimezzamento dei voti e degli eletti. Prospettiva che fa inorridire sia i peones sia i capataz del Movimento: “E quando mai ci ricapita?”, potrebbero dire in coro da Di Maio e Toninelli in giù.

Il centrosinistra rialza la testa. Resta lontano dai vincitori, ma ottiene risultati nettamente migliori delle pessimistiche previsioni della vigilia, grazie a candidati presidenti di Regione stimati e inclusivi, con un PD a basso profilo e la proliferazione di liste civiche a varie sfumature, di orientamenti culturali diversi e capaci di dare spazio alla corsa di molti candidati stimolati a ben figurare.

La vitalità a sinistra è poi stata anche confermata dalle primarie del PD. Le basse aspettative della vigilia (tutti e tre i candidati si auguravano un milione di votanti) hanno fatto ritenere un successo l’affluenza di circa 1.600.000 persone (fonte www.partitodemocratico.it): si tratta comunque di un risultato inferiore di circa 250.000 unità rispetto alle ultime primarie del 2017 che avevano incoronato Renzi per la seconda volta (e lì si erano persi un milione di votanti rispetto al 2013).

Più che nell’affluenza, il dato significativo sta nelle proporzioni del successo di Nicola Zingaretti, con i due terzi dei consensi. Non è un mistero per nessuno che l’ultimo PD era una creatura di Renzi, il partito del capo. Da domenica 3 marzo i gruppi dirigenti cambieranno per effetto delle primarie, e il partito inizierà una nuova fase. Ma i gruppi parlamentari restano gli stessi, formati in larghissima parte dai nominati del fiorentino, prima docili esecutori e oggi orfani in cerca di riferimenti. Renzi, ulteriormente indebolito dalle vicende familiari, si sta ritagliando un ruolo extra PD – presentatore televisivo, scrittore, conferenziere – ma pare al momento avere accantonato l’idea di farsi un suo partito (“In cammino”, stile Macron) per i deludenti sondaggi commissionati. È destinato comunque a rimanere un ingombrante convitato di pietra nel PD, anche se le urne dem hanno dato una indicazione netta.

Nelle primarie si sono misurati i renziani duri e puri (con il duo Giachetti/Ascani) i renziani pentiti (sostenitori di Martina) e i non-renziani che hanno puntato su Zingaretti. Il popolo delle primarie è riuscito a compiere la necessaria svolta che la classe dirigente dem ha evitato accuratamente per un anno: la resa dei conti con il renzismo. Il governatore del Lazio si è formato negli enti locali, si è conquistato credibilità vincendo elezioni amministrative dall’esito non scontato, ha tenuto un profilo distaccato negli anni di Renzi superstar e non si è cimentato nel salto sul carro del vincitore. Tutti meriti che giustificano ampiamente l’ottimo risultato ottenuto.

Intravediamo però due debolezze nella sua leadership.

Anche lui non si potuto sottrarre dall’abbraccio dei “renziani di comodo”, quei leader che, pur lontani per indole e cultura dal rottamatore, sono saliti opportunisticamente sul suo carro permettendogli di fare tutti i danni poi evidenziati dal tempo galantuomo. Giorgio Merlo ha già fatto il nome di Piero Fassino, cui possiamo aggiungere quelli di Dario Franceschini, forse il miglior “governativo” di estrazione cattolica, e Cesare Damiano, altro esempio di “governativo” con radici a sinistra.

Con appoggi di tal sorta, la “svolta” rappresentata da Zingaretti si scolorisce in partenza.

Il secondo limite sta nella sua proposta politica mirata al ricompattamento della sinistra. Se è certamente vero ciò che scrive Ilvo Diamanti sul fatto che non si passerà dal PdR (Partito di Renzi) al PdZ (Partito di Zingaretti), con altrettanta convinzione possiamo dire che si prospetta un ritorno dal PdR non al PD ma a un nuovo PdS, il Partito della Sinistra. Il limite che ha avuto il PD prima della deriva renziana, è stato proprio quello di non riuscire a superare le tentazioni egemoniche dei post-comunisti. Come fatto emblematico, ricordo la foto sul palco di Bersani con tre giovani da lui arruolati per arginare la novità Renzi nel 2012, Speranza, Giuntella e la Moretti: nell’euforia per la vittoria era ricomparso il saluto a pugno chiuso. Un gesto caduto in disuso persino tra i militanti di rifondazione comunista ma uscito dal cuore ai giovani dirigenti PD.

Il “partito del capo” ha fatto una brutta fine, ma anche il “partito plurale” ha avuto i suoi bravi limiti. Riuscirà Zingaretti dove hanno fallito l’americano Veltroni e l’ecumenico Bersani? È lecito dubitarne. Dopo tutto, con una legge elettorale d’impianto proporzionale che porta a un ritorno delle identità per trovare successive intese e alleanze di governo, lo stesso Zingaretti si è dato il compito di ricompattare la sinistra, rinunciando a vocazioni maggioritarie.

In questo scenario, cosa possono fare i democratici popolari di ispirazione cristiana?

Ci sarà chi cercherà di conservare uno spazio nel partito del nuovo vincitore: un Delrio, tanto per fare un nome, da colonnello di Renzi, poi sponsor di Martina alle primarie, dopo neppure 48 ore si è già detto convinto sostenitore di Zingaretti…

Uscendo dalle umane miserie e parlando di politica, appare evidente che esiste lo spazio per una nuova forza di centrosinistra, per un nuovo partito dei “liberi e forti”, ancorato ad un programma concreto di riforme, laico nell’agire ed evangelicamente ispirato.

Il difficile sarà passare dalle parole ai fatti, in un’epoca caratterizzata dal leaderismo mediatico. Dato che di Sturzo e De Gasperi non se ne vedono in giro, bisogna rimboccarsi le maniche e partire dal basso.

Fonte http://www.associazionepopolari.it/

Se la sinistra guarda l’elefante sbagliato

Articolo già apparso sulle pagine di http://www.libertaeguale.it a firma di di Giorgio Armillei e Stefano Ceccanti

Trump, Brexit, le elezioni italiane del 4 marzo 2018 hanno squassato gli equilibri tra elettori e partiti della sinistra euroatlantica e messo in moto un vasto processo di ripensamento. Un ripensamento cha va delineando un mainstream fatto da alcuni leader della sinistra “della grande recessione”: Corbyn, Sanders, Ocasio-Cortez. Collocarsi nel mainstream non significa ovviamente andare d’accordo su tutto.

Il neoliberismo è la causa della marea populista?

Tuttavia, un’aria di famiglia si respira, qualcuno lo chiama il millennial socialism.

La diagnosi ridotta all’osso è semplice: il neoliberismo sponsorizzato dalla “terza via” dei Clinton, dei Blair, degli Schroeder e, in quota, dei Renzi, è la causa della crisi della sinistra, prima ancora è la causa dei danni della globalizzazione, e in conclusione è la causa della marea populista.

Anche la terapia è semplice: più stato contro il mercato e la globalizzazione, più sovranità politica contro i processi incontrollabili dell’economia, più tasse sui redditi dei ricchi, più pianificazione dirigista per proteggere l’ambiente: nel linguaggio dei socialist democrats il green new deal. Insomma, stato e slowbalisation al posto di mercato, società e globalizzazione.

Anche l’Unione europea non se la passa tanto bene dentro questo schema: troppo ordoliberale.

Il millennial socialism assomiglia troppo al populismo

Anche se i millennial socialist si pongono all’opposizione delle tendenze populiste e sovraniste, è francamente difficile distinguere le loro diagnosi e le loro ricette da quelle dei partiti populisti e sovranisti. Provate a distinguere le ricette di Corbyn da quelle di Wauquiez. Lo stesso Zingaretti ha detto no al CETA come tutti i partiti populisti e nazionalisti. Ovviamente la sovrapposizione non è totale ma il mood è il medesimo.

Non tutti vanno in questa direzione che potremmo definire di polarizzazione populista: un populismo con matrici di sinistra accanto a un populismo con matrici di destra.

Macron, l’area liberale intermedia di CDU e SPD, alcuni tra i partiti Verdi, la sparuta (ancora?) truppa di The Indipendent Group nel parlamento UK. E se vogliamo dilettarci in letture “elitarie” i pochi economisti liberali che nel Boston Review Forum smontano le tesi ortodosse di Rodrik o Alberto Mingardi che prova a spiegare come della dittatura neoliberista non si riesca a trovare traccia nel nostro paese. Gli avversari dei nazionalpopulisti sono dunque in campo ma certo non sanno cosa farsene della vecchia distinzione tra destra e sinistra. Se usano quella mappa i loro localizzatori rischiano di non vedere nulla.

Oltre l’asse destra-sinistra

Anche il dibattito teorico internazionale nella sinistra sembra un pochino più articolato e complesso delle semplificazioni del millennial socialism.

Andrew Gamble in UK, che pure non è tenero nei confronti delle politiche degli anni Novanta, fa propria l’idea per la quale il conflitto politico si è oggi ridisegnato abbandonando l’asse destra sinistra e collocandosi lungo quello che vede contrapposti populisti e progressisti, tra i quali ultimi con certezza si possono annoverare parti del cosiddetto centrodestra.

E l’australiano Rob Manwaring, in una sorta di istantanea comparativa tra anglosfera ed Europa continentale, pur richiamando la sinistra al dovere di mettere a fuoco con lucidità la minaccia che grava sul sistema delle politiche sanitarie e sociali del welfare, non manca di notare come la via corbyniana sia tutt’altro che chiaramente identificabile come il nuovo brand della sinistra.

La scintilla di Provenzano

Tra gli analisti italiani non sembra invece avere dubbi Giuseppe Provenzano con il suo “La sinistra e la scintilla” da poco uscito per Donzelli. Il libro si distende su un’ampia quantità di temi ma anche in questo caso lo schema principale è abbastanza semplice. Parte con una dichiarazione manifesto: il governo gialloverde è il più a destra della storia della Repubblica. Da questa convinzione deve ripartire la sinistra in Italia. Nessun dubbio per Provenzano, nessun sospetto “album di famiglia”: il reddito di cittadinanza è di destra, anticipare la pensione è di destra, ridurre la flessibilità in entrata del mercato del lavoro è di destra.

Provenzano sembra non cogliere le radici a sinistra di gran parte di queste politiche e finisce curiosamente con il rovesciare e confondere i piani. Il governo gialloverde è di destra, la sinistra deve tornare a fare la sinistra, i moderati debbono pensare a riorganizzarsi per puntare ad un’alleanza a sinistra.

Ma il crinale su cui colloca la sua sinistra, finalmente liberata dai complessi di inferiorità verso l’egemonia neoliberale, è esattamente quello su cui si collocano i governi e i partiti nazionalpopulisti. Con le connesse ricette: sovranità politica e democrazia economica, interesse nazionale, interventismo per combattere i monopoli e orientare l’innovazione.

Per dare gambe alla sua proposta Provenzano ha bisogno così di due antiche ricette togliattiane: annullare la distinzione tra riformisti e radicali e stringere un patto con i moderati per far fronte al comune avversario di destra. Ma al di là della implicita e complessa eredità togliattiana, quello che appare difficilmente riproducibile è l’intreccio tra stratificazione sociale e sistema politico che innervava lo schema togliattiano. Come se il tramonto della “sinistra di centro” del trio Clinton, Blair, Schroeder potesse significare il ritorno puro e semplice allo schema dei gloriosi trenta.

La vecchia moneta socialista

Provenzano è per altro coerente: il suo obiettivo, in perfetto allineamento con il mainstream internazionale, è rimettere in circolazione la moneta del socialismo. Cos’è per lui socialismo, oltre all’interventismo e alla sovranità economica? Nulla di nuovo. Eguaglianza, lavoro, valore della cosa pubblica, redistribuzione di risorse economiche e di potere politico, progressività fiscale e welfare state.

E come può il PD tornare a queste nobili radici? Non certo costruendo o peggio ancora sciogliendosi dentro indistinti fronti comuni di tutte le forze che si oppongono al nazionalpopulismo, superando quindi la distinzione tra destra e sinistra. Può farlo se diventa la casa di una sinistra plurale, superando non la sinistra ma la distinzione tra riformisti e radicali, lavorando per definire una nuova idea di socialismo.

L’elefante di Milanovic o quello di Lakoff?

A suggello della sua ricostruzione Provenzano chiama, come era facile prevedere, l’elefante di Milanovic, il mantra di ogni rifondatore della sinistra che si rispetti. Qui Provenzano fa largo uso del pregiudizio sociologico: la scomparsa del centro moderato nel sistema politico è la conseguenza della ritirata del ceto medio nella stratificazione sociale. Attenzione però a non sbagliare bersaglio, dice Provenzano: l’avversario della classe media occidentale non sono le classi povere dei paesi emergenti ma i «plutocrati globali», del mondo ricco e di quello emergente. Ancora una volta è difficile non sorprendersi di fronte a tanta obiettiva convergenza tra le posizioni di questi rifondatori della sinistra e quelle dei nazionalpopulisti.

Potremmo dire che Provenzano, come molti rifondatori, sbaglia elefante. L’elefante da osservare con attenzione non è quello dei grafici di Milanovic ma quello delle analisi linguistiche di Lakoff: don’t think of an elephant.

Milanovic ci racconta come la globalizzazione incida sulla distrribuzione dei redditi. E racconta tutta la storia della globalizzazione, i costi come i benefici. Non ne racconta solo una parte: le difficoltà del ceto medio nei paesi avanzati, difficoltà che per altro molti studi (Norris Inglehart tra gli altri) negano connessa all’emergere del populismo.

Lakoff ci racconta invece come andare sul terreno dell’avversario per negarne la plausibilità delle posizioni sia in realtà concedergli un vantaggio formidabile. Don’t think of an elephant ci invita a rimuovere l’elefante: ma negare un frame in realtà attiva il frame.

In breve, la sinistra non può pensare di rifondarsi usando lo stesso frame dei nazionalpopulisti, come finisce per fare Provenzano, immaginando ingenuamente di negarne la fondatezza e di dare risposte diverse agli stessi problemi. La sinistra deve imparare a ragionare in uno schema nuovo che rompa l’egemonia del racconto nazionalpopulista. Altrimenti il voltare pagina sarà solo e sempre un guardare indietro.

Dovere

Dopo l’Abruzzo anche in Sardegna, nonostante sia migliorata la partecipazione al voto, si segnala l’astensione come primo partito; dovrebbe preoccupare di più dei voti di protesta. Non è pigrizia, ma una scelta di elettori che non sanno nè come nè perché scegliere. Mi sembra che tutte le forze politiche da tempo si concentrino sul loro ombelico anziché sul Paese, se non per parlare alla sua ‘pancia’ con risultati effimeri di successo. L’elettorato è volubile; è finita la stagione delle appartenenze e delle fidelizzazioni. I clic non sostituiscono le persone. Il popolo è un sostantivo generico. E’ vero che gli Italiani sono 60 milioni e che le Istituzioni nazionali sono rappresentative di tutti; tuttavia non vale quando si pretende di attribuire a tutti i 60 milioni i programmi dei propri partiti, addirittura i punti del ‘contratto’ di Governo. Il voto è un diritto ma anche un impegnativo e responsabilizzante dovere. Evidentemente da qualche anno gli Italiani non sono persuasi da promesse che si capiscono inattuabili.

Si sentono ripetere che il Governo si interessa di quello che serve a L’Aquila o a Cagliari, non di quello che dice Bruxelles. Purtroppo gli Italiani, col loro Paese, sono inseriti nell’ampio mondo delle relazioni internazionali, del mercato globale e non meritano di “essere tagliati fuori “per il neonazionalismo che chiamano sovranismo, come fosse una grande opportunità. La politica estera puntella la politica interna, perché gli scambi commerciali, e non solo, sono saldamente ancorati alle alleanze come accade con la Francia, con la quale gli scambi valgono 10 miliardi; non è il caso di offendere i ‘cugini’ di Oltralpe. La politica estera, buona, si sostanzia anche con accorgimenti di galateo istituzionale come è accaduto per l’intervista rilasciata dal Presidente Macron ad una rete TV italiana, un appello a tutti i popoli dei 28 Paesi in vista delle elezioni europee, come i messaggi sempre pacati ma precisi del Presidente Mattarella quando parla anche ai giovani studenti e non solo nelle sedi più formali.

Il Paese ha bisogno di serenità ma le difficoltà economiche che anche i dati statistici, purtroppo, confermano, non inducono i vice presidenti del Consiglio – “fratelli coltelli” – ad evitare trionfalismi e, anzi, continuano a cercare diversivi per non entrare nel merito delle situazioni urgenti da risolvere. Le infrastrutture – e non solo la TAV – sono fonte di modernizzazione del Paese e di lavoro. Ci soni i fondi accantonati, ma occorre capacità decisionale lungimirante che, oltre a modificare il codice degli appalti, attivi modalità procedurali per cui i lavori non durino decenni.

Si comprende poi la critica di chi può affermare che molte opere si completano quando oramai sono superate. Mi piace ricordare un ritornello che mi sta a cuore: l’autostrada del Sole, Milano Napoli, fu ultimata in 6 anni, 1958-1964! Magnifici cavalcavia e gallerie, che non sono crollati. Imparate! Forse erano onesti, incorruttibili e coraggiosi i decisori, i tecnici e le imprese di allora. Non si spiega perché oggi non può essere così e si rinuncia alle Olimpiadi. La lungimiranza dei politici riguarda anche come dare significato alla frase corretta, quando non è pronunciata con sufficienza, “aiutarli nei loro Paesi”. Ciò comporta una ampia azione di politica estera, conoscenza delle situazioni geopolitiche e assunzioni di gravi responsabilità. Potremmo citare solo due esempi, Nigeria e Congo. Due colossi africani ricchi di ogni materia prima, eppure sono all’origine di migrazioni vergognose. La maggior parte dell’opinione pubblica forse non conosce il Coltan ma è il materiale prezioso che dal Congo fornisce tutte le grandi imprese produttrici di strumenti informatici. Aiutarli là, significa non rapinare i loro beni ma insegnare a lavorarli là e a costruire fabbriche là!

C’è questa consapevolezza e, soprattutto, un grande lavorio internazionale per ottenere questi risultati? Una grande Europa – gli Stati Uniti d’Europa – sarebbe una grande potenza mondiale economica, ma anche di diritti di libertà e di democrazia, e potrebbe attivare Piani strategici per migliorare i rapporti del nord del mondo con l’Africa e valorizzare i Paesi a sud del Mediterraneo, annullando le migrazioni economiche e impedendo una neocolonizzazione cinese di quel continente, che è stato la culla dell’umanità. Una politica di vedute alte e lunghe appartiene anche all’elaborazione delle forze di opposizione all’attuale maggioranza di governo. Gli oltre 1.700.000 cittadini italiani che si sono presentati alle primarie, si sono sentiti chiamati a dare un segnale al Partito Democratico, impegnando, con un grande consenso, il nuovo segretario, Nicola Zingaretti, a far vivere una attiva opposizione in Parlamento e nel Paese, per offrire ai cittadini proposte alternative e il gusto della partecipazione civile. Quando si offre una vera occasione di partecipazione, la reazione arriva. A Milano il 2 marzo centinaia di migliaia di cittadini si sono espressi a favore di una visione di società solidale, coesa e fiduciosa nelle proprie capacità.

Vale forse la pena di sottolineare che è un popolo più numeroso dei 52.000 clic per decidere sì o no ad un’opera importante per 60.000.000 di Italiani, e sono molte centinaia di migliaia di più delle decine che hanno incoronato i capi dei due partiti di governo. Tuttavia il PD non si illuda che gli elettori di domenica 3 marzo siano il lavacro del drammatico 4 marzo 2018. Chi si è pentito e chi non aveva votato, ora si aspetta molto. Innanzitutto l’unità del partito; basta divisioni interne. Gli iscritti non ne possono più e gli elettori si aspettano di essere loro ad avere diritto di essere i destinatari di una politica che offra una visione, un programma di governo, una classe dirigente idonea.

Perso un anno con dibattiti tutti interni, ora si attivi una struttura riconoscibile (ottimo sarebbe un governo ombra), e si recuperi rappresentanza vera e non virtuale della società: competenza, cultura (i danni dell’ignoranza sono sotto gli occhi di tutti ), intergenerazionalita’ (siamo un paese di anziani) per non confondere attenzione e speranza per i giovani con giovanilismo. Valorizzare la presenza femminile a tutti i livelli e non solo per motivi statutari, ma perché rappresentano il nuovo, sempre rinnovantesi della società (sono ‘care giver‘ per tutto). Nelle code di domenica sembravano essere la maggioranza. Non tradire quel popolo. Gli iscritti al PD sono 400.000, tutti gli altri erano elettori che hanno riposto fiducia in un partito che sperano sia all’altezza delle sfide che la comunità italiana affronta.

Priorità esplicite: riempire le culle, definire chiaramente gli aiuti contro la povertà (favorevoli al reddito e al salario minimo, ma razionali e non bandiere), welfare che consenta l’accesso ai servizi perché nessuno rinunci alle cure; ambiente e infrastrutture (grandi e manutenzioni) che siano regolate con procedure facili, trasparenti, veloci (esistono anche le penali pesanti). Si può lavorare anche di notte e giorni festivi: avviene in altri settori, perché no quando occorre servire. con minori disagi possibili, i cittadini? Soprattutto Europa! Ogni programma sia nel quadro di un’Europa che unisce i popoli e faciliti la posizione dell’Italia tra le potenze mondiali come protagonista e non subalterna. Il risultato di domenica non è un arrivo; è il primo passo per una scalata dell’Everest, per cui se non si sta in cordata si muore.

Aspirare ad essere esemplari. Urge una classe dirigente consapevole che servire il popolo significa avere più oneri e più doveri dei singoli cittadini. Chi fa politica smetta la civetteria di ‘essere prestati alla politica’. Chi si fa eleggere, fa politica! e ha il dovere di comportarsi di conseguenza: con linguaggio consono e in buon italiano (la lingua ci fa ‘uni di patria’), lingua ricchissima che non ha bisogno di inglesismi; atteggiamenti e
vestiti adeguati, non servono griffe, basta essere “ad onor del mondo“ (per tradurre una espressione milanese, dopo quella “scappati di casa”). “A me, me ne frega” è una volgare espressione e pure sintatticamente sbagliata.

Ai politici è chiesto di guardare avanti e il PD lo dimostri senza rivangare continuamente il passato. Registrati i successi e ‘imparati’ gli i successi per non cadere negli stessi errori, serve rammendare sia il Partito che il Paese. I ministri del Governo Gentiloni siano pure orgogliosi del passato ma ora si mettano al servizio del futuro. Rimpiangere o rinfacciare non costruisce niente ed anzi rafforza la cultura rancorosa che viene distribuita a piene mani dalla maggioranza: a lei bisogna contrapporre idee e atteggiamenti opposti, da opposizione! E’ dovere di governare da parte della maggioranza ma, con diversa modalità, anche delle opposizioni. Chi governa, chi parla in pubblico, faccia lo sforzo di ricordarsi che ci sarà chi imparerà e copierà esempi non esaltanti. Gli altri sono quelli che vanno all’estero! Un grande uomo, maestro di giovani, un politico esemplare e uno statista martire non poteva lasciarci un’esortazione più forte ed incisiva: “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti si rivelerà effimera se in Italia non rinascerà il senso del dovere”.

(Aldo Moro, 28 febbraio 1978, ultimo discorso ai Gruppi Parlamentari della DC)

Pastori, ora occorre vigilare sul rispetto dell’accordo

Serve ora vigilare attentamente sul rispetto dell’accordo per fare in modo che si trasferiscano ai pastori gli effetti positivi sul mercato del pecorino determinati dall’intervento pubblico e dall’aumento delle vendite stimato pari al 30% dalla grande grande distribuzione, per effetto delle campagne promozionali. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare l’accordo sul prezzo del latte ovino raggiunto a Sassari dopo quasi un mese di negoziati iniziati al Viminale con il Vicepremier Matteo Salvini dopo la manifestazione della Coldiretti guidata dal presidente Ettore Prandini in piazza Montecitorio.

Da allora circa tre milioni di litri di latte sono stati lavorati per essere dati in beneficienza, dati in pasto agli animali o gettati in strada per colpa di una situazione insostenibile che – ricorda la Coldiretti – ha portato i pastori all’esasperazione. Abbiamo firmato per ultimi con senso di responsabilità un accordo che – sottolinea la Coldiretti – aumenta del 20% l’acconto sul prezzo del latte consegnato dai pastori rispetto all’inizio del negoziato, con l’obiettivo però di arrivare a quotazioni finali di un euro per effetto della griglia di indicizzazione che è stata impostata.

Restiamo impegnati per ottenere nuove regole che valorizzino il lavoro dei pastori nella formazione del prezzo e vigileremo affinché, dopo le evidenti disfunzioni,  si arrivi al piu’ presto una corretta gestione del Consorzio di tutela del pecorino Romano che veda protagonisti i pastori, ai quali devono essere assegnate le quote di produzione. In gioco – conclude la Coldiretti – ci sono 12mila allevamenti della Sardegna dove pascolano 2,6 milioni di pecore, il 40% di quelle allevate in Italia, che producono quasi 3 milioni di quintali di latte destinato per il 60% alla produzione di pecorino romano (Dop)”.

Protezione civile: il Consiglio europeo adotta norme per rafforzare il sostegno nelle catastrofi

L’UE rafforza le proprie capacità di protezione civile al fine di potenziare la prevenzione dei rischi e prestare un sostegno tempestivo agli Stati membri e agli altri paesi partecipanti ogni volta che si verifica una catastrofe naturale o provocata dall’uomo. Il Consiglio europeo ha adottato una decisione che modifica il meccanismo di protezione civile dell’UE. L’atto prevede l’istituzione di un pool di risorse supplementari, rescEU, per fornire assistenza nelle situazioni in cui l’insieme delle risorse esistenti non è sufficiente. rescEU includerà in particolare mezzi aerei per la lotta agli incendi boschivi nonché risorse per la risposta sanitaria d’emergenza e per la risposta a incidenti di tipo chimico, biologico, radiologico e nucleare. La decisione rafforzerà anche pool volontario di risorse nazionali esistente.

“Dal 2001 il meccanismo di protezione civile dell’UE è stato attivato più di 300 volte, fornendo sostegno supplementare ai paesi che affrontano emergenze di ogni tipo e aiutando a proteggere i cittadini da esse colpiti. Grazie a queste norme aggiornate saremo meglio attrezzati a prestare assistenza più velocemente, assicurando che l’aiuto arrivi in tempo anche quando dobbiamo rispondere contemporaneamente a catastrofi multiple” (Carmen Daniela Dan, ministra dell’interno della Romania). In base alle nuove norme gli Stati membri saranno tenuti a sviluppare ulteriormente la valutazione della capacità di gestione dei rischi e la relativa pianificazione, migliorando così la prevenzione dei rischi. Saranno potenziate anche la formazione e la condivisione di conoscenze. La Commissione sarà incaricata di istituire una rete di conoscenze in materia di protezione civile dell’UE che riunisca gli attori coinvolti nella protezione civile e nella gestione delle catastrofi.

La decisione sarà firmata ufficialmente dal Consiglio e dal Parlamento europeo la prossima settimana. Il testo firmato sarà poi pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’UE ed entrerà in vigore il giorno seguente. Il meccanismo di protezione civile dell’Unione europea è stato istituito nel 2001. Ha contribuito a migliorare la cooperazione tra gli Stati membri e facilita un maggiore coordinamento nel settore della protezione civile. Ogni paese del mondo, nonché le Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali pertinenti, può fare richiesta di assistenza mediante tale meccanismo in caso di catastrofe. Ciononostante, la recente esperienza ha dimostrato che le offerte volontarie di assistenza reciproca, coordinate e agevolate dal meccanismo, non sempre bastano a garantire che i mezzi messi a disposizione in caso di catastrofe siano sufficienti. Tale constatazione è ancor più valida quando più Stati membri sono colpiti contemporaneamente da catastrofi dello stesso tipo.

La mostra di Escher al PAN di Napoli

La grande retrospettiva dedicata al genio olandese e intitolata Escher, si terrà nelle stanze del PAN fino al 22 aprile 2019. Presenterà oltre alle opere del visionario artista anche un’ampia sezione dedicata all’influenza che il suo lavoro e le sue creazioni esercitarono sulle generazioni successive, dai dischi ai fumetti, dalla pubblicità al cinema. Il percorso espositivo è di oltre 200 opere; si parte da Escher per arrivare ai giorni nostri. La mostra è prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia.

Relatività (1953), Vincolo d’unione (1956),Metamorfosi II (1939) e Giorno e notte (1938) sono solo alcune delle opere iconiche che hanno reso celebre Maurits Cornelis Escher (1898-1972) e che, in occasione della mostra partenopea, sono affiancate da un’inedita selezione di opere prodotte dall’artista durante il suo viaggio – avvenuto nella primavera del 1923 – lungo la Costiera Amalfitana fino a Ravello. Un viaggio lungo la penisola che lo segna profondamente anche a livello personale: in Campania conoscerà infatti la giovane svizzera Jetta Umiker che, l’anno dopo, diventerà la sua moglie. A far da cornice ai due sposi in una foto storica, una veduta mozzafiato dall’alto di Atrani con la sua chiesa che troneggia su uno sperone a strapiombo sul mare. Una chiesa che è un motivo ricorrente nelle opere di Escher tanto da trovarsi anche alla fine della famosaMetamorfosi II. In questo viaggio a più riprese, nel 1931 Escher visita Vietri sul Mare, Amalfi, Ravello, Scala, Positano, Praiano e Conca dei Marini. Da qui nascono disegni che si tradurranno in ben 15 stampe tra cui Atrani, Costa di Amalfi (1931), Case in rovina ad Atrani(1931), San Cosimo, Ravello (1932) e Il Borgo di Turello (1932).

Nel Sud Italia Escher maturò buona parte di quelle idee e suggestioni che caratterizzano, nel segno della sintesi tra scienza e arte, la sua matura produzione e gli studi sulle forme che lo hanno reso unico nel suo genere.

Piemonte: meno diagnosi di tumore

Per la prima volta in Piemonte si registra un calo delle nuove diagnosi di tumore. Nel 2018 sono stati stimati 30.850 casi, 50 in meno rispetto al 2017 (erano 30.700 nel 2016 e 28.128 nel 2015). Il tumore più frequente nella nostra regione è diventato quello della mammella: nel 2018 sono stati stimati 4.350 nuovi casi (erano 4.200 nel 2017), anche grazie all’estensione dei programmi di screening mammografico.

Seguono il cancro del colon-retto (4.050, erano 4.350 nel 2017), che nel 2017 era il più diagnosticato, e del polmone (3.450, erano 3.500 nel 2017). E 280mila cittadini vivono dopo la scoperta della malattia, un dato in costante aumento. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi raggiunge il 63% fra le donne e il 53% fra gli uomini, in linea con la media nazionale.

Cerco un centro di gravità permanente… Cosa possiamo fare noi?

E’ persino banale pensare alla canzone di Franco Battiato seguendo il dibattito che riprende nuovamente sulla creazione di un “ centro” politico.
Tema annoso. La canzone risale al 1981, la questione politica è molto più antica.
La nascita del Zentrum tedesco, il Partito di Centro Tedesco, ispirato cristianamente, risale al 1870.

Fu la prima organizzazione a nascere con questo riferimento a una “ centralità” da assumere in una realtà parlamentare già allora tracciata tra le istanze socialdemocratiche progressiste e quelle feudali o liberal conservatrici.
La conferma di quanto lunga sia la ricerca di una collocazione che interessa i cristiani sensibili alla realtà politica e intenzionati a dispiegare, anche nella cosa pubblica, la forza vivificatrice del messaggio evangelico.

Come hanno dimostrato l’esperienza popolare e quella democratico cristiana italiane, non si tratta di una mera alchimia di posizione “ a metà”, di mera equidistanza geometrica tra destra e sinistra. Bensì, di metodo politico e di costruzione di una progettualità capace di aggregare sempre più larghe parti del corpo sociale.
Siamo di fronte ad una lettura specifica delle cose del mondo e delle esigenze dell’uomo, della loro complessità, con la certezza che la tavolozza dei colori conosce e rende possibile una gamma infinita di tonalità.

Non è possibile racchiudersi in una sola dimensione economicistica, così come non solo in quella sociale. La sostanza del pensiero popolare e dc va alla Persona, alla famiglia, ai nuclei naturali intermedi di una società non delineata e ridotta a solo dato statistico o a corpo indistinto, ma sommatoria di esigenze concrete legate alla dignità umana, alla crescita economica, alla dimensione etica di una vita da dispiegare e favorire nella sua integralità, tendenzialmente indirizzata verso la ricerca della felicità, per quel poco e quel tanto che può consentire la dimensione dell’uomo.

Questo credo possa voler dire veramente costruire un “ centro” politico. Altrimenti il termine, così come l’altro, altrettanto magico, altrettanto usato ed abusato di “ moderato”, non sortisce alcunché perché resta vuoto di sostanza.

La costruzione di un partito di centro richiede l’dea di un progetto capace di portare ad un livello superiore di sintesi costruttiva le istanze diffuse nella società, nella struttura economica produttiva, nella vita culturale, nella realtà delle autonomie. Attorno a una feconda e condivisa scelta sui problemi che richiamano le attese di una gran parte della popolazione, del mondo del lavoro, della produzione, dello scambio commerciale, dei servizi.
Il muoversi nella sola logica degli schieramenti rischia di rivelarsi inane e limitata se non è riempita di contenuti rigeneratori e di prospettiva.
L’esperienza di tanti gruppi e gruppuscoli, non solo cattolici, che hanno provato a guadagnare il “ centro” dello schieramento politico in termini di semplice giochetto dei quattro cantoni non è stata solo minata dalla sciagurata scelta bipolare degli ultimi venticinque anni.

Le insufficienze sono venute soprattutto dall’incapacità di elaborare progetti e presentare proposte a sostegno del ceto medio, delle categorie economiche e sociali, della piccola e media impresa.

Il mondo cattolico su questo ha mostrato tutti interi i propri limiti con un silenzio assordante in campo legislativo e nella gestione della cosa pubblica.
La rete da costruire, da ricostruire, dunque richiede un salto di qualità.
In primo luogo, deve essere diretta a far riaffiorare il “ sapere” in grado di individuare le questioni su cui richiamare l’interesse degli italiani e degli europei. Tutto ciò deve trovare, poi, una dimensione politico istituzionale grazie alla definizione di provvedimenti ed interventi da trasferire in proposte di legge, nelle necessarie trasformazioni dell’apparato istituzionale, nell’adeguamento delle autonomie alle nuove esigenze della partecipazione e del coinvolgimento nella cosa pubblica.

Solo così, un giorno, ci troveremo un “ centro” capace di dare una più realistica e sostenibile direzione di marcia a un Paese impossibilitato a trovare da anni quella stabilità di una prospettiva, altrimenti destinata a essere parcellizzata e indirizzata secondo gli interessi egoistici e parziali, ma alla fine più forti e più spregiudicati.

I difetti degli italiani

“Molti italiani aspettano tutto da Roma e maledicono la lentezza romana; i siciliani aspettano tutto da Roma e da Palermo, e maledicono Roma e Palermo. Anche provincie e comuni sono abituati a ricevere tutto dal centro. Non domandano autonomia e mezzi propri, forse perché pensano di non poterli mai ottenere. Domandano aiuti, favori, sussidi, concorsi, creando così clientele, cointeressi e soggezioni che mortificano ogni vera autonomia”.

(Politica di questi anni – pag. 125). “Noi latini, più degli altri paesi, soffriamo di astrattismo teorico per colpa di quelle generalità di idee e di quella facilità di intuizioni, che mal suppliscono alla mancanza di studi pratici e accurati dei problemi tecnici. Così è facile cadere dagli enunciati teorici alla demagogia delle promesse. I programmi concreti si perdono nel mare magno delle parole. Se a ciò aggiungiamo l’asprezza delle polemiche, che distraggono dalla visione dei problemi pratici, tanto più quanto gli stessi problemi sono di difficile soluzione, si vedrà che il corpo elettorale si troverà con una serie di promesse di felicità avvenire che i Dulcamara politici forniscono come infallibili elisir di lunga vita”. (Politica di questi anni – pag. 89-90).

“L’italiano medio, che ha fatto l’esperienza della demagogia e della dittatura pagandola assai cara, dopo la guerra non è caduto nella trappola del comunismo, anch’esso demagogo e dittatoriale. Ma si è fermato a metà strada: non gli dispiace una demagogia spicciola, che gli prospetti la soluzione rapida di tutti i problemi; non gli dispiace un paternalismo di Stato al quale appoggiarsi, con un Tesoro pronto a sborsare per tutti, creando un parassitismo che va dalla grande industria agli enti statali e parastatali, e con una finanza che moltiplica le esenzioni fiscali con ritmo accelerato. Non gli dispiace l’intervento statale in tutte le occasioni e per tutte le necessità. Per questo lo Stato comunista, che è il più povero e il più tiranno di tutti, sollecita le fantasie popolari e diviene un mito. Sulla via degli interventi statali, la scivolatura demagogica porta a un tale statalismo, che può paragonarsi ad un comunismo larvato. È questo il lato più tragico di un Paese esasperatamente individualista, ma che allo stesso tempo aspetta molto dal ‘dio Stato’”. (Politica di questi anni – pag. 347- 348).

“A me sembra che i partiti e i sindacati abbiano inoculato nelle vene degli italiani una infantile fiducia nel potere magico delle leggi. Nelle due passate legislature sono state varate migliaia di leggi. È legittimo dubitare che una tale grande mole di leggi possa essere facilmente attuata, mentre si ha l’impressione che molte leggi siano state fatte ad personam o ad categoriam con vero carattere privatistico”. (Scritti giuridici – pag. 283).
“La mia esperienza mi ha sempre provato che i cattolici che entrano in partiti strettamente politici non solo perdono il senso dell’apostolato sociale e morale che si dovrebbe trovare nei partiti di ispirazione cristiana, ma si attaccano troppo agli aspetti materiali e utilitari della politica e non riescono più a distinguere tra i mezzi onesti e quelli che chiameremo discutibili. Questi cattolici finiscono per diventare una minoranza isolata e senza influenza in mezzo a una maggioranza troppo materialista. Un partito per i cattolici non deve essere soltanto uno strumento politico, ma deve avere un programma ideale e morale”.

di Luigi Sturzo (Coscienza e politica. Note e suggerimenti di politica pratica. – pag.106).

Elezioni europee: studio della Fondazione Adenauer, Ppe cala ma resta primo partito

Alle prossime elezioni il gruppo dei Popolari al Parlamento europeo continuerebbe ad essere il più consistente, pur perdendo tra l’1,2 e il 4,6% dei seggi. Oggi appartiene al Ppe il 28,9% degli eurodeputati; dopo il 26 maggio il gruppo potrebbe occupare ancora il 24,3%-27,7% dei seggi dell’Eurocamera.

A offrire questi dati è il “partito-barometro” pubblicato dalla fondazione Konrad Adenauer che guarda alla situazione attuale del gruppo Ppe e offre qualche ipotesi sugli sviluppi elettorali. I Socialdemocratici passerebbero dal 25 al 19,4% dei seggi. L’estrema destra e l’estrema sinistra sarebbero al 20%, con l’incognita sul posizionamento dei 5 Stelle o l’eventuale creazione di un gruppo autonomo.

“Il 64-72% dei parlamentari apparterrebbero comunque a un gruppo politico moderato (Ppe, S&D, Liberali+movimento di Macron, Verdi)”. I sondaggi mostrano che il Ppe “rimane più o meno stabile”, liberali (con Macron) e l’estrema destra Enf crescono leggermente. Il documento prospetta inoltre tre scenari, in relazione al comportamento di Macron e dei 5 Stelle. I sondaggi nazionali dicono che un partito appartenente al Ppe è in testa in 10 Paesi dell’Ue, i Socialisti in 9, l’Alde in 4, l’Ecr (Conservatori) in 3, indipendenti e populisti di destra in un Paese ciascuno. La famiglia Ppe, sempre secondo i sondaggi, è oltre il 30% in Germania, Ungheria, Romania, Austria, Croazia, Bulgaria, Slovenia, Portogallo, Grecia, Irlanda, Lituania, Malta e Cipro.

Theresa May: se bocciate la mia proposta potremmo non uscire mai dallʼUe

Il premier britannico, Theresa May, avverte sui possibili rischi in caso di mancato accordo sulla Brexit. Martedì, infatti, la Camera dei Comuni è chiamata a votare la proposta di uscita dall’Ue del premier, e in caso di bocciatura “nessuno sa cosa potrà succedere”. Secondo la May, in caso di mancato accordo “potremmo non uscire dall’Ue per molti mesi, potremmo uscire senza le protezioni che il deal prevede e potremmo non uscire del tutto”.

“Tutti – ha detto tra l’altro – vogliono adesso che un accordo sia chiuso e che si possa andare oltre le polemiche e le asprezze del dibattito per uscire dall’Ue come un Paese unito e pronto a fare del suo futuro un successo”. Quindi ha ribadito che i contatti con Bruxelles proseguiranno anche nel weekend, non senza tornare a invocare ulteriori rassicurazioni sul backstop ed evidenziare come l’atteggiamento dei 27 nei prossimi giorni sia destinato ad avere “un grande impatto sull’esito del voto” di ratifica ai Comuni di martedì 12 marzo.

Il primo ministro finlandese si è dimesso

Il primo ministro Juha Sipilä ha presentato la richiesta di dimissioni al presidente Sauli Niinistö a Talludden alle 10 di ieri.

La caduta del governo arriva a circa un mese di distanza dalle elezioni politiche, che si terranno il 14 aprile. Da quattro anni la Finlandia era governata da una coalizione formata dalle tre principali forze politiche del paese: il Partito di Centro, guidato da Sipilä, i Veri Finlandese e il Partito di Coalizione Nazionale, di cui fu segretario anche Alexander Stubb, l’ex primo ministro.

Sipilä avrebbe dato le dimissioni a causa dell’incapacità di trovare un accordo per la riforma del sistema sanitario, la classica goccia che fa traboccare il vaso.

Infatti già da diverso tempo l’azione di governo ha incontrato una crescente resistenza nell’elettorato, che, dai sondaggi, si è tradotta in una progressiva erosione di consensi. Al calo di consensi del Partito di Centro si è contrapposta la crescita significativa del Partito Socialdemocratico, grande sconfitto delle elezioni 2015 e al momento favorito dai pronostici per le prossime elezioni.

Parte il Progetto pilota sulla Blockchain

Si terrà al Mise il 13 marzo l’incontro di avvio del Progetto pilota per promuovere il ricorso alla tecnologia Blockchain a tutela del made in Italy. Affidato a IBM, il progetto prevede uno studio di fattibilità che costituirà un modello base per i settori di riferimento del made in Italy, al fine di cogliere a pieno i vantaggi della tecnologia Blockchain in termini di tracciabilità dei prodotti lungo la filiera, certificazione al consumatore della loro provenienza, contrasto alla contraffazione, garanzia della sostenibilità sociale e ambientale delle produzioni nazionali italiane.

Lo studio di fattibilità parte con il workshop divulgativo sul valore aggiunto della Blockchain all’interno della filiera del tessile-abbigliamento, al quale seguiranno una fase di esplorazione e design thinking con l’individuazione, assieme alle imprese, di casi specifici per analizzare alcuni processi produttivi ai quali applicare la Blockchain, e infine la realizzazione di uno studio di riepilogo delle condizioni di fattibilità per le filiere del settore sulla base delle risultanze dell’esplorazione. Prenderanno parte all’evento, 26 imprese del settore tessile insieme alle associazioni di categoria.

SpaceX fa rientro sulla Terra

La capsula Crew Dragon costruita dalla SpaceX di Elon Musk ha fatto ritorno sulla Terra, carica di materiali frutto di oltre 200 esperimenti portati a termine sull’Iss.
Sganciata dalla Stazione Spaziale Internazionale, Crew Dragon è atterrata tuffandosi nell’Oceano Atlantico.

La capsula è stata lanciata il 2 marzo 2019 dalla piattaforma 39A di Cape Canaveral, nota per avere dato il via alle missioni di Apollo, dal 1966 al 1972 e dello Space Shuttle, dal 1981 al 2011. Crew Dragon, spinta dalla propulsione del razzo Falcon 9, dopo aver percorso ben 18 orbite si è agganciata con successo alla Stazione Spaziale Internazionale (Iss)

A bordo della capsula, senza equipaggio, c’era un capitano bizzarro divenuto simbolo della missione: un manichino ispirato a Ellen Ripley, protagonista del noto film di fantascienza Alien, dotato di appositi sensori in grado di rivelare le sollecitazioni durante il lancio e nell’intero viaggio.

Giovani insieme: nuovi contributi per gli oratori lombardi

Si chiama “Giovani insieme” il progetto che Regione Lombardia finanzierà con quasi 900mila euro per il sostegno a iniziative di aggregazione dedicate ai giovani negli oratori lombardi. La funzione sociale che questi ultimi svolgono ancora oggi, in Italia e in Lombardia, non può che trovare il supporto delle istituzioni, come nel caso specifico, dove la giunta guidata da Attilio Fontana ha individuato le finalità, i criteri e le tempistiche per scegliere le iniziative meritevoli di contributo.

Un indirizzo chiaro, che nasce dalla consapevolezza che gli oratori della nostra regione (2.307 quelli attivi) rappresentano luoghi di proposta educativa che coinvolgono oltre 400mila giovani fino ai 30 anni: una fetta consistente della nostra gioventù. Le proposte finanziabili dovranno prevedere l’inserimento di giovani capaci di animare e sollecitare la voglia dei ragazzi di stare insieme, attraverso attività legate allo sport e alla cultura, e attraverso occasioni che mettono in gioco creatività e talenti. Le attività negli oratori si svolgeranno dal 1° settembre 2019 al 31 agosto 2020.

Le donne italiane sono le prime donatrici di organi in Europa

Le donne italiane sono le prime donatrici di organi per trapianti da vivente in Europa: su una media del 58%, in Italia rappresentano il 70%. Non solo, anche nel nostro Paese risultano essere le più generose con il doppio delle donazioni rispetto agli uomini. Il dato emerge da una rilevazione del Centro nazionale trapianti sulle differenze di genere nelle donazioni. A livello europeo, l’Edqm (European Directorate for the Quality of Medicines) riporta la più alta percentuale di donatrici italiane rispetto a Spagna (65%), Gran Bretagna e Turchia (55%) e Francia (48%).

Dal 2001 al 2017 sono state 3.487 le persone che hanno scelto di donare un rene o una porzione del fegato: 2.322 donne (il 66,6%) e 1.165 uomini (33,4%). Un divario ancora più accentuato per quanto riguarda il solo trapianto di rene: in questo caso la percentuale di donatrici sale al 68,9% (2.151 donne contro 973 uomini). Il sistema informativo trapianti consente di osservare alcune differenze anche tra le tipologie di relazione tra donatore e ricevente. In quasi un caso su tre a donare l’organo sono le madri ai propri figli (1.017, il 29,2%) mentre i padri rappresentano il 12,7% del totale (442 donazioni). Allo stesso modo le mogli donatrici sono oltre il doppio dei mariti, rispettivamente il 19% e l’8,1% (662 le donne e 281 gli uomini). Maggioranza femminile anche nelle donazioni tra fratelli: nel periodo in esame l’organo è arrivato da 401 sorelle (11,5%) mentre e 240 maschi (6,9%). Nessuna differenza, invece, nelle donazioni dei figli verso i genitori: donatrici sono state 92 e i donatori 101. La prevalenza femminile è una peculiarità della donazione da vivente: nello stesso arco di tempo i donatori deceduti utilizzati sono stati in maggioranza uomini (9.912 su 17.980, il 55% del totale). Questo anche a causa di una marcata polarizzazione di genere (73% uomini, 27% donne) tra i decessi per trauma cranico, che da soli rappresentano un quarto delle cause di morte dei donatori. Anche per quanto riguarda le liste d’attesa gli uomini sono decisamente in maggioranza, rappresentando il 64% degli 8.809 pazienti bisognosi di trapianto al 31 dicembre 2018. La differenza di genere varia sensibilmente in base all’organo atteso ed è dovuta alla diversa distribuzione nella popolazione delle patologie per l’inserimento in lista d’attesa: le insufficienze renali, cardiache ed epatiche sono molto più diffuse tra gli uomini che tra le donne.

Anche Prodi auspica la nascita di un partito più al centro rispetto al PD

Ormai si fatica a conteggiare gli auspici che accompagnano le chiacchiere sulla necessità di una nuova formazione politica sul versante dell’opposizione al sovran-populismo. Tanto più s’indebolisce il governo, fino a manifestare l’incombenza della paralisi operativa, tanto più si rafforza il ragionamento sulla ricostruzione di un centro democratico, innovativo e solidale.

Oggi è la volta di Romano Prodi. In un colloquio con il direttore del Foglio, Claudio Cerasa, il Professore parla chiaro, senza mezze metafore. “Lo spazio per un altro partito – sostiene – c’è e con una legge elettorale come quella che abbiamo oggi, immaginata solo per non rendere governabile il paese, bisogna augurarsi che qualcosa di nuovo nasca e che prima o poi accanto al Pd ci sia una nuova forza per così dire liberal moderata”.

Non serve chiosare per qualche puntiglio lessicale, ma sforzarsi d’intendere, semmai, la sostanza di questa impegnativa dichiarazione del fondatore dell’Ulivo. Se fosse concepita come l’ennesima ricerca di un orpello per dare alla sinistra maggiore equilibrio e consistenza, sarebbe davvero poca cosa. Finora tutti i ricorsi alla cosmesi della tattica su sono rivelati improduttivi. Se invece mirasse a ricomporre, in modo più ordinato, il sistema politico italiano, ci sarebbe più di un motivo per sostenerne le ragioni.C’è da chiedersi, comunque, quale possa essere l’attrazione esercitata da una proposta di segno puramente liberal-moderato, come vagheggia Prodi.

Andiamo al concreto. Limitarsi a fornire accoglienza o riparo ai profughi del berlusconismo non sembra suscitare particolare entusiasmo. In realtà, sotto la “domanda di centro” preme il vasto discorso inerente la ripresa d’iniziativa dei cattolici democratici. Fino a che punto il Pd ne costituisce lo sbocco? Con Zingaretti il “ritorno a Itaca” della sinistra si fa più eloquente. Per questo c’è uno spazio fuori dal Pd, voglia o non voglia, dentro questo involucro, il nobile drappello di matrice democristiana o popolare.

Dunque quale prospettiva avanza, quella di un nuovo partito liberal-moderato? Non è così convincente. Di fatto il centro, se vuole essere vitale, non può che incrociare la ripresa del popolarismo d’ispirazione cristiana. Ogni giorno che passa, tra auspici e dilemmi, si accorcia però il tempo della decisione. L’uscita di Prodi certifica l’esistenza di questo punto all’ordine del giorno. Bisogna affrontarlo con lucidità e determinazione, senza pretendere che una parola spesa oggi esaurisca per intero la discussione. Le elezioni, europee e amministrative, sono alle porte.

Il pluralismo dei cattolici in politica non ha prodotto buoni frutti

Su Avvenire del 1° marzo Luca Diotallevi ci ha ricordato che il Concilio Vaticano II considerò naturale che “in materia politica vi sia un grado incomprimibile di legittimo pluralismo tra credenti”. Con questo egli sembra dire che non dobbiamo sorprenderci, se dopo la fine della DC si è arrivati alla diaspora dei cattolici impegnati in politica, facendo perdere al loro prezioso patrimonio culturale la forza che si poteva esprimere bene solo in presenza di una coerente e convinta unità di intenti, cioè con un forte “idem sentire”, con una chiara e doverosa identità di pensiero. Prima fra tutte la forza dei comportamenti morali posti alla base dei loro ideali di giustizia e di libertà.

Fu la mancanza di una coerente e convinta unità di intenti (apertura dell’ala destra del PPI al fascismo) che causò la prima sconfitta di don Sturzo nel 1923. E fu la stessa mancanza (apertura della DC alla sinistra e allo statalismo) che poi causò la seconda sconfitta del pensiero sturziano, espulso perché ritenuto “scaduto”, non più valido per la politica italiana. Non è quindi vero – come scrive Padre Francesco Occhetta sull’ultimo numero di La Civiltà Cattolica

– che “in questi 100 anni il pensiero di Sturzo è stato una sorta di stella polare per i cattolici impegnati in politica”. Se lo fosse stato, oggi l’Italia sarebbe ben diversa! Purtroppo quelle due aperture (la prima a destra e la seconda a sinistra) sono costate molto agli italiani, credenti e non credenti. Ed è incredibile che oggi vi siano ancora nostalgie e desideri di ritorno al passato, ossia a quelle culture di destra e di sinistra che nella storia del nostro Paese si sono sempre dimostrate fallimentari.

La vera cultura vincente sarebbe stata quella del popolarismo, che affondava le sue radici nella difesa dell’integrità della famiglia, nella libertà di scelta educativa, nel primato delle autonomie locali per evitare i danni dello Stato accentratore, corrotto e corruttore, nella stretta alleanza tra capitale e lavoro per evitare devastanti conflitti sociali, e nel promuovere riforme economiche, fiscali e della burocrazia che avrebbero dovuto incoraggiare e non ostacolare l’iniziativa privata. Era una cultura “unificante” contraria alla nascita di correnti divisive nel partito, come purtroppo è poi avvenuto all’interno del PPI e della DC.

Negli ultimi decenni i governi di centro-sinistra e di centro-destra sono “scivolati” sulla questione morale e sulla pessima gestione della politica economica. Così il M5S ha avuto gioco facile. Finché non si capirà questa semplice verità, invano edificheranno i costruttori.

(Fonte Servire l’Italia)

Carlo Donat-Cattin uomo di governo

Il nome di Carlo Donat-Cattin, protagonista della Prima Repubblica è l’espressione di quel cattolicesimo sociale che ha contribuito alla ricostruzione dopo il fascismo e allo sviluppo della società italiana, con una costante fedeltà ai valori della tutela delle classi più deboli e dei diritti dei lavoratori, è legato – tra le altre – a due vicende cruciali nella storia sociale e politica della seconda metà del Novecento del nostro Paese.

Proprio per questo , giovedì 14 marzo, presso la sala Koch del Senato della Repubblica, il Convegno “Carlo Donat-Cattin uomo di governo e leader DC (1919 – 2019)” avvierà le celebrazioni del centenario della nascita di Carlo Donat-Cattin. La relazione introduttiva, che tratteggerà il profilo storico del leader nel quadro del secondo dopoguerra italiano, sarà tenuta dal prof. Francesco Malgeri, a cui seguiranno significative testimonianze. Porterà un indirizzo di saluto il Presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, e sarà presente il Presidente della Repubblica.

Milano, un servizio di consegne a domicilio con mezzi 100% green

Tra Porta Romana e Vettabbia parte a Milano la sperimentazione del primo servizio di trasporto merci fatto esclusivamente con mezzi elettrici. Il test durerà fino a dicembre 2020 e prevede l’utilizzo di furgoni totalmente elettrici, oltre a due bici cargo a pedalata assistita, che si occuperanno della logistica dell’ultimo miglio per i clienti degli undici punti vendita della grande distribuzione presenti nell’area, che comprende zone già inserite nel progetto europeo “Sharing Cities”.

I mezzi copriranno una superficie di circa venti chilometri quadrati e serviranno circa 2.000 clienti, per un totale di circa 50.000 consegne annue, di ordini effettuati online o presso i punti vendita, con una particolare attenzione alle esigenze delle persone anziane e di quelle con disabilità. E’ prevista una autonomia di circa 70 ore di viaggio oltre a un risparmio di circa 22 tonnellate di Co2 annue immesse nell’atmosfera.

Il servizio di logistica “green” è sviluppato da For-Services, che si è aggiudicata il bando indetto dal Consorzio Poliedra – Politecnico di Milano, responsabile della misura nell’ambito del progetto Sharing Cities di cui il Comune di Milano è partner.

“Diamo avvio ad una piccola rivoluzione – ha commentato l’assessore alle Politiche per il lavoro, Attività produttive con delega alle Smart City Cristina Tajani – diamo avvio ad una piccola rivoluzione nel complesso mondo della logistica e nel contempo ampliamo le azioni dell’Amministrazione per migliorare la qualità dell’aria in città”. “Si tratta – ha proseguito Tajani – di un progetto che rientra nella più ampia strategia del Comune per fare di questa zona il primo quartiere cittadino a basso consumo energetico rispondendo ad una delle più importanti sfide del nostro tempo: quella del clima. Un sfida resa possibile grazie ai contributi messi a disposizione dall’Europa che siamo stati capaci di intercettare e impiegare”.

Sicurezza: come e quando usare lo spray al peperoncino

“Lo spray al peperoncino ha già dato prova di rappresentare un importante strumento di difesa per chi si trova in condizione di pericolo principalmente per le donne esposte a tentativi di aggressione e violenza”. Così il sottosegretario all’Interno, Luigi Gaetti, ha risposto il 5 marzo in aula alla Camera ad un’interrogazione sulle iniziative per disciplinare le modalità di vendita degli spray per l’autodifesa personale. Gaetti ha quindi ribadito che non è in discussione l’utilizzo del dispositivo, quanto piuttosto l’uso distorto che può essere fatto, soprattutto in particolari contesti, che sarà però perseguito dalle Forze dell’ordine.

Sulle limitazioni a questo strumento di autodifesa, già oggetto di disciplina nel nostro ordinamento, il sottosegretario ha ricordato che sono state individuate alcune caratteristiche tecniche come il quantitativo massimo di miscela, le percentuali di principio attivo contenuto nella gittata utile, che non deve essere superiore ai tre metri, per non arrecare danno alla persona. E’ inoltre previsto il divieto di vendita ai minori di 16 anni.

Federico Fellini visto attraverso lo sguardo del fotografo Vittoriano Rastelli

Alla Casa del Cinema al via la mostra Fellini. Uno sguardo personale di Vittoriano Rastelli curata da Alessandra Zucconi e Andrea Mazzini. Attraverso una selezione di circa trenta fotografie in bianco e nero e a colori, l’esposizione, in programma fino al 14 marzo, racconta il maestro riminese con uno sguardo più personale, ritratto in vari momenti della sua carriera. Le fotografie di Rastelli parlano non solo del Fellini regista ma anche dell’uomo, della sua ironia e della sua versatilità.

Vittoriano Rastelli, giornalista professionista, specializzato in foto-reportage, ha pubblicato la sua prima immagine nel 1951 a meno di 15 anni come documentazione dell’arrivo della corsa ciclistica Milano – SanRemo. Ha iniziato il lavoro di fotografo pubblicando su “il Lavoro” quotidiano di Genova diretto da Sandro Pertini futuro Presidente della Repubblica; a Milano per “Sport Illustrato” e dal 1959 a Roma per i settimanali della Rizzoli.

A Roma negli anni sessanta si occupa di cinema italiano, in quegli anni ai suoi massimi splendori. Nel 1964 pubblica il suo primo servizio su “LIFE”, il viaggio del Papa in Terra Santa, seguiranno l’Alluvione di Firenze (1966), la Guerra dei 6 Giorni Arabo – Israeliana (1967), l’invasione Sovietica della Cecoslovacchia (1968), fino al penultimo numero della rivista (dicembre 1972) con Federico Fellini.

Collabora con “EPOCA” dal 1974 al 1992, impegnandosi in Libano, in Iran per la rivoluzione di Komeini, la morte di Franco e la fine della dittatura in Spagna.

Segue la moda in Italia per il “NEW YORK TIMES”, dalla fondazione collabora con “AD” e “il Venerdì di Repubblica”.

Ha fotografato tutti i viaggi internazionali di Papa Paolo VI e gli oltre trenta viaggi nel mondo di Papa Giovanni Paolo II. Uno dei suoi ultimi lavori, in Afghanistan per una serie di servizi sulle vittime delle mine.

Nel corso della propria carriera Rastelli ha ottenuto prestigiosi premi giornalistici, tra cui: Premio Campione 1976 per il lavoro “Guerra Civile in Libano” – EPOCA, Page One Award 1983 per Designer at Ease”, Premio Giornalistico Saint Vincent 1999 per “Soldati di Pace” – Il Venerdì.

Che cos’è il Papilloma virus?

Il Papilloma Virus Umano o HPV (acronimo di “Human Papilloma Virus” ) è un genere di virus a dsDNA appartenente alla famiglia dei Papillomaviridae che risulta essere patogeno solo per l’essere umano. Le infezioni da HPV sono estremamente diffuse nella popolazione e sono trasmesse prevalentemente per via sessuale.

Solitamente l’infezione provocata da questo virus non causa nessuna alterazione e si risolve da sola.

Se l’infezione si prolunga nel tempo allora possono insorgere malattie della cute e delle mucose. Un esempio è la lesione mucosa a livello del collo dell’utero. La maggior parte di queste lesioni cervicali guarisce spontaneamente, ma alcune, se non trattate, progrediscono lentamente verso forme tumorali. Anche se il virus si contrae generalmente attraverso rapporti sessuali, non si possono escludere vie indirette dell’infezione come la bocca. Studi pubblicati nel 2017 hanno evidenziato la presenza del Dna dell’Hpv in campioni di sangue di donne senza tumore, ma con una recente diagnosi di Pap-test positivo.

La diagnosi della presenza del virus HPV si fa direttamente tramite l’esame molecolare (HPV Test) ormai diffuso e di semplice esecuzione o indirettamente, esaminando gli organi colpiti, mediante l’esame clinico che permette di visualizzare le lesioni negli organi colpiti o mediante strumenti diagnostici già citati come il Pap Test o la colposcopia.

Come in molte infezioni virali, la terapia dell’infezione da HPV è spesso problematica. Poiché tuttavia la maggior parte delle infezioni da HPV regredisce spontaneamente, solo una minoranza dei casi richiederà un trattamento. Nei casi di infezione persistente del collo uterino, non esistono attualmente trattamenti non invasivi di elevata efficacia. Nel caso l’infezione sia associata a modificazioni precancerose dell’epitelio, possono essere prese in considerazione la laserterapia o la conizzazione, ossia la resezione di una piccola parte della cervice uterina per asportare una lesione che potrebbe essere maligna o che già lo è, ma di dimensioni ridotte.

Per la rimozione dei condilomi acuminati della vulva, pene o perineo si può ricorrere al laser, all’elettrocoagulazione, alla crioterapia o ad applicazioni di podofillina.

Primarie PD: The day after

Articolo già apparso sulle pagine di http://www.larivistaintelligente.it a firma di Giorgio Cavagnaro

Come era prevedibile, le primarie per l’elezione del nuovo segretario Pd sono state l’evento politico più significativo degli ultimi mesi, forse addirittura il più importante da quando è in carica l’attuale governo.
La necessità che fosse presente, a garanzia del corretto funzionamento democratico della Repubblica, un’opposizione dalle caratteristiche più definite e strutturate era urgente. La partecipazione alla consultazione è stata imponente, intorno al 1.800.000 voti, e questo conferisce il necessario peso al risultato, favorevole al candidato Nicola Zingaretti con larghissima percentuale.

Dunque, un fatto in se stesso certamente molto positivo.
Analizzando però in prospettiva l’esito del voto, è facile rendersi conto che, smaltiti gli entusiasmi della sinistra per una ritrovata identità, restano in buona parte in piedi i problemi di una geografia politica ancora molto nebulosa, soprattutto nell’ottica della legge elettorale in vigore.

Il Pd a guida Zingaretti si presenta con vocazione oppositiva o ha ambizioni di governo? In questo secondo caso, prima o poi dovrà scegliersi un alleato in grado di garantirgli la necessaria maggioranza. Impresa tutt’altro che facile, almeno a prima vista, perché tra questo “nuovo” Pd e le molte individualità (che unite insieme diventano una robusta corrente di pensiero) di tendenza riformista ci sono differenze politiche sostanziali e al momento del voto il sostegno dell’elettorato che guarda a Matteo Renzi, Roberto Giachetti o Carlo Calenda non è affatto scontato. Non si tratta (solo) di guerra fredda, ma di orientamenti di base molto diversi.

Penso, in conclusione, che la situazione dopo-primarie Pd sia il brodo di coltura ideale per la nascita, in Italia, di un qualcosa che sia finalmente affrancato dalla morsa fascismo-comunismo, in senso liberaldemocratico e progressista. E che questo movimento vada incoraggiato in ogni modo, senza urgenze né forzature, da parte di chi crede che la chiarezza sia un valore molto importante, in politica. Per avviare in tempi non eccessivamente lunghi il Paese a superare le turbolenze populiste che mostrano già crepe piuttosto vistose.

Giulio Pastore, cultura politica e riforme sociali

Il Corso di Laurea in Scienze politiche internazionali e dell’amministrazione del Dipartimento GEPLI organizza, nel pomeriggio di martedì 12 marzo, il seminario di studio Giulio Pastore, cultura politica e riforme sociali.

L’incontro di studio viene proposto in occasione della pubblicazione del volume Giulio Pastore e il Nuovo Osservatore, di Francesco Marcorelli.

Nell’anno in cui si celebra il cinquantesimo anniversario della morte di Giulio Pastore, esponente dell’Azione Cattolica, militante antifascista, sindacalista e fondatore della Cisl, Ministro e politico democristiano, il seminario di martedì 12 marzo intende avviare una riflessione a tutto tondo sull’ evoluzione della cultura politica e sul riformismo sociale del cattolicesimo italiano, coinvolgendo personalità di rilievo della politica, della comunicazione e del sindacato.

Lo spunto per l’iniziativa seminariale è offerto dalla pubblicazione di un volume sul significato della rivista “Nuovo Osservatore” che negli anni Sessanta ha rappresentato non solo l’espressione della visione culturale di un’area sociale della Democrazia cristiana, ma anche un luogo di incontro e di confronto tra politici e mondo intellettuale italiano, in grado di offrire profili innovativi all’impegno civile del cattolicesimo italiano.

A moderare e introdurre l’incontro sarà il prof. Andrea Ciampani, Università LUMSA di Roma. I successivi interventi saranno a cura di:

  • Franco Marini, Presidente emerito del Senato della Repubblica e autore della prefazione al libro
  • Gianfranco Astori, Consigliere del Presidente della Repubblica per l’informazione
  • Carmine Pinto, Università degli Studi di Salerno
  • Paolo Terrinoni, Segretario generale Cisl Lazio

All’incontro prenderà parte Alberto Pastore, in rappresentanza della famiglia Pastore.

 

Macron per una rinascita Europea

Cittadini d’Europa,

Se prendo la libertà di rivolgermi direttamente a voi, non è solo in nome della storia e dei valori che ci riuniscono. È perché è urgente. Tra qualche settimana, le elezioni europee saranno decisive per il futuro del nostro continente.Mai dalla Seconda Guerra mondiale, l’Europa è stata così necessaria. Eppure, mai l’Europa è stata tanto in pericolo.

La Brexit ne è l’emblema. Emblema della crisi dell’Europa, che non ha saputo rispondere alle esigenze di protezione dei popoli di fronte alle grandi crisi del mondo contemporaneo. Emblema, anche, dell’insidia europea. L’insidia non è l’appartenenza all’Unione europea ma sono la menzogna e l’irresponsabilità che possono distruggerla. Chi ha detto ai Britannici la verità sul loro futuro dopo la Brexit? Chi ha parlato loro di perdere l’accesso al mercato europeo? Chi ha evocato i rischi per la pace in Irlanda tornando alla frontiera del passato? Il ripiego nazionalista non propone nulla; è un rifiuto senza progetto. E questa insidia minaccia tutta l’Europa: coloro che sfruttano la collera, sostenuti dalle false informazioni, promettono tutto e il contrario di tutto.

Di fronte a queste manipolazioni, dobbiamo resistere. Fieri e lucidi. Dire innanzitutto cos’è l’Europa. È un successo storico: la riconciliazione di un continente devastato, in un inedito progetto di pace, di prosperità e di libertà. Non dimentichiamolo mai. E questo progetto continua a proteggerci oggi: quale paese può agire da solo di fronte alle aggressive strategie delle grandi potenze? Chi può pretendere di essere sovrano, da solo, di fronte ai giganti del digitale? Come resisteremmo alle crisi del capitalismo finanziario senza l’euro, che è una forza per tutta l’Unione? L’Europa, sono anche quelle migliaia di progetti quotidiani che hanno cambiato il volto dei nostri territori, quel liceo ristrutturato, quella strada costruita, l’accesso rapido a Internet che arriva, finalmente. Questa lotta è un impegno di ogni giorno perché l’Europa come la pace non sono mai acquisite. In nome della Francia, la porto avanti instancabilmente per far progredire l’Europa e difendere il suo modello. Abbiamo dimostrato che quanto ci dicevano inaccessibile, la creazione di una difesa europea o la tutela dei diritti sociali, era possibile.

Ma occorre fare di più, più rapidamente. Perché c’è l’altra insidia, quella dello status quo e della rassegnazione. Di fronte alle grandi crisi del mondo, i cittadini molto spesso ci dicono: “Dov’è l’Europa? Che fa l’Europa?”. È diventata ai loro occhi un mercato senz’anima. L’Europa invece non è solo un mercato, è un progetto. Un mercato è utile, ma non deve far dimenticare la necessità di frontiere che proteggono e di valori che uniscono. I nazionalisti sbagliano quando pretendono di difendere la nostra identità con il ritiro dall’Europa, perché è la civiltà europea che ci riunisce, ci libera e ci protegge. Ma anche coloro che non vorrebbero cambiare nulla sbagliano, perché negano le paure che attanagliano i nostri popoli, i dubbi che minano le nostre democrazie. Siamo in un momento decisivo per il nostro continente; un momento in cui, collettivamente, dobbiamo reinventare politicamente, culturalmente, le forme della nostra civiltà in un mondo che si trasforma. È il momento del Rinascimento europeo. Pertanto, resistendo alle tentazioni del ripiego e delle divisioni, vi propongo di costruire insieme questo Rinascimento su tre ambizioni: la libertà, la protezione e il progresso.
Il modello europeo si fonda sulla libertà dell’uomo, sulla diversità delle opinioni, della creazione. La nostra prima libertà è la libertà democratica, quella di scegliere i nostri governanti laddove, ad ogni scrutinio, alcune potenze straniere cercano di influenzare i nostri voti. Propongo che venga creata un’Agenzia europea di protezione delle democrazie che fornirà esperti europei ad ogni Stato membro per proteggere il proprio iter elettorale contro i cyberattacchi e le manipolazioni. In questo spirito di indipendenza, dobbiamo anche vietare il finanziamento dei partiti politici europei da parte delle potenze straniere. Dovremo bandire da Internet, con regole europee, tutti i discorsi di odio e di violenza, in quanto il rispetto dell’individuo è il fondamento della nostra civiltà di dignità.
Fondata sulla riconciliazione interna, l’Unione europea ha dimenticato di guardare le realtà del mondo, ma nessuna comunità crea un senso di appartenenza se non ha limiti che protegge. La frontiera, significa la libertà in sicurezza. Dobbiamo pertanto rivedere lo spazio Schengen: tutti coloro che vogliono parteciparvi devono rispettare obblighi di responsabilità (rigoroso controllo delle frontiere) e di solidarietà (una stessa politica di asilo, con le stesse regole di accoglienza e di rifiuto). Una polizia comune delle frontiere e un ufficio europeo dell’asilo, obblighi stringenti di controllo, una solidarietà europea a cui ogni paese contribuisce, sotto l’autorità di un Consiglio europeo di sicurezza interna: credo, di fronte alle migrazioni, in un’Europa che protegge al contempo i suoi valori e le sue frontiere.

Le stesse esigenze devono applicarsi alla difesa. Da due anni sono stati realizzati importanti progressi, ma dobbiamo indicare una rotta chiara: un trattato di difesa e di sicurezza dovrà definire i nostri obblighi indispensabili, in collegamento con la NATO ed i nostri alleati europei: aumento delle spese militari, clausola di difesa reciproca resa operativa, Consiglio di sicurezza europeo che associa il Regno Unito per preparare le nostre decisioni collettive.

Le nostre frontiere devono anche garantire una giusta concorrenza. Quale potenza al mondo accetta di proseguire i propri scambi con coloro che non rispettano nessuna regola? Non possiamo subire senza proferir parola. Dobbiamo riformare la nostra politica della concorrenza, rifondare la nostra politica commerciale: punire o proibire in Europa le aziende che ledono i nostri interessi strategici ed i nostri valori essenziali, come le norme ambientali, la protezione dei dati ed il giusto pagamento delle tasse; e assumere, nelle industrie strategiche e nei nostri appalti pubblici, una preferenza europea come fanno i nostri concorrenti americani o cinesi.
L’Europa non è una potenza di secondo rango. L’Europa intera è un’avanguardia: ha sempre saputo definire le norme del progresso. Per questo, deve portare avanti un progetto di convergenza più che di concorrenza: l’Europa, in cui è stata creata la previdenza sociale, deve instaurare per ogni lavoratore, da Est a Ovest e dal Nord al Sud, uno scudo sociale che gli garantisca la stessa retribuzione sullo stesso luogo di lavoro, e un salario minimo europeo, adatto ad ogni paese e discusso ogni anno collettivamente.

Riannodare il filo del progresso significa anche prendere la guida della lotta ecologica. Guarderemo in faccia i nostri figli se non riassorbiamo anche il nostro debito climatico? L’Unione europea deve fissare la sua ambizione – 0 carbonio nel 2050, dimezzamento dei pesticidi nel 2025 – e adattare le sue politiche a questa esigenza: Banca europea per il clima per finanziare la transizione ecologica; forza sanitaria europea per rafforzare i controlli dei nostri alimenti; contro la minaccia delle lobby, valutazione scientifica indipendente delle sostanze pericolose per l’ambiente e la salute… Questo imperativo deve guidare tutta la nostra azione: dalla Banca centrale alla Commissione europea, dal budget europeo al piano di investimento per l’Europa, tutte le nostre istituzioni devono avere il clima per mandato.

Il progresso e la libertà significano poter vivere del proprio lavoro: per creare posti di lavoro, l’Europa deve anticipare.  È per questo che non solo deve regolamentare i giganti del digitale, creando una supervisione europea delle grandi piattaforme (sanzioni accelerate per le violazioni della concorrenza, trasparenza dei loro algoritmi…), ma deve anche finanziare l’innovazionedotando il nuovo Consiglio europeo dell’innovazione di un budget comparabile a quello degli Stati Uniti, per prendere la guida dei nuovi grandi cambiamenti tecnologici, come l’intelligenza artificiale.

Un’Europa che si proietta nel mondo deve essere volta verso l’Africa, con cui dobbiamo stringere un patto per il futuro. Assumendo un destino comune, sostenendo il suo sviluppo in modo ambizioso e non difensivo: investimenti, partenariati universitari, istruzione delle ragazze…
Libertà, protezione, progresso. Dobbiamo costruire su questi pilastri un Rinascimento europeo. Non possiamo lasciare i nazionalisti, senza soluzioni, sfruttare l’ira dei popoli. Non possiamo essere i sonnambuli di un’Europa rammollita. Non possiamo rimanere nella routine e nell’incantesimo. L’umanesimo europeo è un’esigenza di azione. Ed ovunque i cittadini chiedono di partecipare al cambiamento. Allora entro la fine dell’anno, con i rappresentanti delle istituzioni europee e degli Stati, instauriamo una Conferenza per l’Europa al fine di proporre tutti i cambiamenti necessari al nostro progetto politico, senza tabù, neanche quello della revisione dei trattati. Questa conferenza dovrà associare gruppi di cittadini, dare audizione a universitari, parti sociali, rappresentanti religiosi e spirituali. Definirà una roadmap per l’Unione europea trasformando in azioni concrete queste grandi priorità. Avremo dei disaccordi, ma è meglio un’Europa fossilizzata o un’Europa che progredisce, talvolta a ritmi diversi, rimanendo aperta a tutti?

In questa Europa, i popoli avranno veramente ripreso il controllo del loro destino; in questa Europa, il Regno Unito, ne sono certo, troverà pienamente il suo posto.

Cittadini d’Europa, l’impasse della Brexit è una lezione per tutti. Usciamo da questa insidia; diamo un senso alle prossime elezioni e al nostro progetto. Sta a voi decidere se l’Europa, i valori di progresso che porta avanti, debbano essere più di una parentesi nella storia. È la scelta che vi propongo, per tracciare insieme il cammino di un Rinascimento europeo.

Emmanuel Macron

Colpo di scure dell’Ocse sul Pil Italiano

In un aggiornamento di interim delle sue previsioni, l’ente parigino ha pesantemente rivisto in peggio le stime sul Pil della penisola, spingendosi a pronosticare una recessione dello 0,2 per cento sull’insieme del 2019.

Si tratta di 1,1 punti di crescita in meno rispetto alle stime contenute nel World Economic Outlook dello scorso novembre, il taglio più pesante tra tutti i Paesi elencati in questo aggiornamento.Sul 2020 ha ridotto la previsione di crescita della Penisola di 0,4 punti e ora indica un più 0,5 per cento del Pil.

Anche la Germania non sfugge alla sforbiciata, vedendo peggiorare la stima per la sua crescita di 0,9 punti rispetto all’ultimo documento Ocse risalente soltanto allo scorso novembre

Unione Europea: una tavola rotonda sull’uguaglianza di genere nelle città

In vista della Giornata internazionale della donna, oggi il commissario per la politica regionale Corina Cretu ospiterà una tavola rotonda sull’uguaglianza di genere nelle città. “Le donne rappresentano solo il 15% di tutti i sindaci dell’Ue”, spiega una nota dell’esecutivo.

“Consentire alle donne di ricoprire cariche pubbliche può mettere in discussione le dinamiche di potere che perpetuano la disuguaglianza di genere e può infine migliorare la vita quotidiana dei cittadini”. La tavola rotonda si concentrerà quindi “sui modi per garantire l’uguaglianza di genere a livello locale”.

Fra gli interlocutori figurano Yordanka Asenova Fandakova, sindaco di Sofia (Bulgaria), Marie-Louise Rönnmark, sindaco di Umea (Svezia), Marta Mazurek, consigliere comunale di Poznań (Polonia), Maria Stratigaki, vicesindaco di Atene (Grecia), Geneviève Letourneux, vicepresidente della metropoli di Rennes (Francia), Barbara Hackenschmidt, membro del parlamento regionale del Brandeburgo (Germania), Ibon Uribe, sindaco di Galdakao (Spagna), Sirpa Hertell, consigliere comunale di Espoo (Finlandia).

Le discussioni si concentreranno in particolare sulle “pratiche innovative di equità urbana e governance e su come le città possono prendere l’iniziativa per sostenere l’uguaglianza di genere”.

Onu: per l’inquinamento una vittima ogni 5 secondi, oltre 700 morti ogni ora

Ogni 5 secondi una persona muore nel mondo a causa dell’esposizione all’inquinamento atmosferico. Ogni ora i decessi sono oltre 700. Sono i dati resi noti dall’esperto Onu per i diritti umani e l’ambiente, David Boyd, che sottolinea inoltre come la situazione sia così grave da ritenere che “l’umanità stia per causare la sesta estinzione di massa nel mondo”.

I tassi di estinzione sono centinaia di volte superiori al normale e stanno ad indicare, secondo il rappresentante Onu “che gli esseri umani sono all’origine della sesta estinzione di massa su 3,8 miliardi anni di vita di questo pianeta.

“Le conseguenze di queste condizioni climatiche sono senza appello – ha aggiunto – visto che il 90% della popolazione mondiale è esposta all’inquinamento atmosferico. L’aria inquinata causa sette milioni di morti premature ogni anno nel mondo di cui 600mila bambini di cinque anni o meno. Più vittime di quante ne possano fare le guerre, le uccisioni, la tubercolosi, l’Aids e la malaria messe insieme.

La Ferrari annuncia la prima ibrida

Per la prima volta, in casa Ferrari, assisteremo al lancio di un modello ibrido, che sul mercato arriverà il prossimo anno

Particolarmente significativo è stato il lavoro sul motopropulsore ibrido, che ha permesso agli ingegneri di Maranello, utilizzando anche il know-how della Scuderia sul KERS, di realizzare un motore ibrido che esalta i valori fondamentali di una Ferrari: performance e divertimento di guida.

La tecnologia ibrida utilizzata, denominata HY-KERS costituisce infatti il perfetto equilibrio tra massimizzazione della performance e riduzione dei consumi (solo 330 gr/km di CO2).

Il motore elettrico principale è accoppiato in coda al cambio a doppia frizione ed è inoltre presente un motore elettrico ausiliario che sostituisce l’alternatore tradizionale, risparmiando in questo modo peso e contenendo i volumi. La soluzione HY-KERS è stata poi concepita per essere flessibile e modulare, in modo da consentirne l’evoluzione e l’applicazione ad altri modelli della gamma.

Il motore elettrico principale è stato realizzato con la tecnologia “High Specific Power Density” che consente di contenere drasticamente i valori di peso e volume, in rapporto alla coppia disponibile. Il risultato sono prestazioni paragonabili alla F1, con la stessa densità di coppia e la medesima efficienza (94%), cioè limitatissima dissipazione di potenza. La capacità della batteria è stato un fattore essenziale per ottimizzare il rapporto peso-potenza del sistema HY-KERS con l’obiettivo di massimizzare le prestazioni riducendo al contempo il consumo di carburante.

La soluzione raggiunta è costituita da 120 celle unite in 8 moduli, con una potenza equivalente a 40 batterie tradizionali in soli 60 kg di peso. Le batterie ad alto voltaggio vengono assemblate nelle aree produttive della Scuderia Ferrari. Le batterie vengono ricaricate in diversi modi: durante le frenate, perfino con quelle particolarmente intense in cui interviene l’ABS, condizione tipica della pista, e ogni volta che il motore termico produce coppia in eccesso, come ad esempio durante la percorrenza di una curva, che invece di disperdersi viene recuperata. Il cervello del sistema HY-KERS è l’Hybrid Power Unit che gestisce la potenza erogata dal V12 e dal motore elettrico attraverso due inverter e due convertitori DC-DC. Il controllo dei motori elettrici a frequenza variabile consente di erogare la coppia in modo rapido e preciso.

Per la prima volta una vettura stradale della Casa di Maranello avrà anche i controlli di dinamica integrati con l’aerodinamica attiva e con il sistema HY-KERS. Proiettata nel futuro è anche l’impostazione degli interni, con un’interfaccia uomo-macchina fortemente ispirata a quella di una Formula 1.

Liguria: approvato il bando da 700 mila euro per servizi turistici innovativi

La Regione Liguria ha approvato il bando che mette a disposizione un plafond di 700mila euro per l’attivazione e lo sviluppo di servizi turistici innovativi per il miglioramento della destinazione “Liguria”. Ne dà conto una nota della giunta regionale. Il bando prevede finanziamenti a tasso agevolato con rientri in cinque anni senza richieste di garanzie (fatte salve le erogazioni di anticipi) da un minimo di 10mila euro a un massimo di 50mila euro.

I beneficiari ammissibili sono le singole imprese o altri soggetti economici che condividano il progetto con almeno altri due partner, oppure le reti di imprese-soggetto e i consorzi già costituiti. Non possono essere beneficiarie dirette le aziende agricole, ma possono rientrare comunque nella partnership di progetto.

“Rispetto alla precedente edizione del 2017, sono state semplificate le procedure per l’ottenimento dei finanziamenti con alleggerimento degli oneri a carico delle imprese per agevolarne significativamente l’accesso al credito – ha dichiarato l’assessore regionale al Turismo, Gianni Berrino – Vogliamo promuovere iniziative finalizzate alla creazione o al miglioramento di servizi turistici anche innovativi e collegati al prodotto che risultino inseribili in specifici segmenti di mercato rafforzando l’offerta esistente e proponendo esperienze diversificate in un sistema integrato che agevoli il turista nella fruizione della vacanza sul territorio regionale”.

Obiettivo del bando è offrire maggiore qualità attraverso l’innovazione dell’offerta dei servizi turistici che possono rientrare nelle linee dei prodotti previsti dal ‘Piano del Turismo 2020’ e favorire l’aggregazione tra diversi operatori attivi nel settore del turismo.

Sindrome del ‘cuore spezzato’, individuata l’origine nel cervello

La sindrome tako-tsubo chiamata anche cardiomiopatia da stress, oppure nota come sindrome del cuore infranto è una entità clinica caratterizzata da una disfunzione del ventricolo sinistro, di solito transitoria, che si manifesta con sintomi che possono simulare una sindrome coronarica acuta: dolore toracico, dispnea, alterazioni elettrocardiografiche e alterazioni degli enzimi di necrosi.

La sindrome fu descritta per la prima volta in Giappone nel 1991.
Questa deformazione, visibile con le tecniche di imaging come l’ecocardiografia o la risonanza magnetica, fa assumere al ventricolo sinistro la forma di un cestello (tsubo) usato dai pescatori giapponesi per la pesca del polpo (tako), di qui il nome.

Ora il team di ricerca guidato da Christian Templin ha confrontatoil cervello dei pazienti con la sindrome del ‘cuore spezzato’ con quello degli individui sani. Una semplice risonanza magnetica ha permesso, così, agli studiosi di osservare dei problemi di comunicazione tra l’ippocampo, l’amigdala, il giro dentato e altre regioni dell’encefalo coinvolte nella gestione delle emozioni e delle funzioni autonome dell’organismo.

I risultati dello studio indicano che l’eccessiva stimolazione del sistema nervoso in seguito a uno stress fisico o emotivo potrebbe causare la sindrome del ‘cuore spezzato’.

Apertura degli Archivi vaticani su Pio XII. Riccardi (storico): “La completezza renderà giustizia all’azione della Santa Sede”

Articolo già apparso sulle pagine di Agensir a firma di Riccardo Benotti

“Pio XII è una figura importante che esprime l’antico ma proietta la Chiesa verso il nuovo, un riferimento nodale per capire il ‘900. Ma non tutti i Papi devono necessariamente diventare santi, altrimenti si rischia di creare una identificazione che va a discapito di quei pochi che non saranno canonizzati”. Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, parla all’indomani dell’annuncio di Papa Francesco di aprire gli Archivi Vaticani per il pontificato di Pio XII il 2 marzo 2020.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Come ha accolto la decisione del Santo Padre?
Me l’aspettavo da anni. La circospezione con cui si aprono certi archivi vaticani non è produttiva per la storia e per la Santa Sede. La chiusura, infatti, ha favorito il senso di segretezza e rifiuto della storia che si è diffuso nell’opinione pubblica e in certi studiosi. Sappiamo che questo ritardo è dovuto alla faticosa e complessa preparazione di un materiale ingente, ma la storia contemporanea ha i suoi ritmi.

Abbiamo lavorato su Pio XII senza avere accesso agli archivi vaticani, operando su quelli personali, degli Stati e dei prelati. Tutto ciò ha portato a considerazioni storiche ormai consolidate che ora andrebbero ridiscusse.

Ma quando si sono aperti gli archivi di Pio XI, ad esempio, non c’è stata questa volontà di ridiscutere le questioni. Di fronte alla mole degli archivi, gli studiosi non sono andati a fondo. Con Pio XII forse è diverso, perché la materia è ancora calda.

Pio XII è considerato una figura controversa. Dipende forse dal fatto che non lo si conosce davvero bene?
Ogni grande figura è controversa. Pio XII è vissuto in tempi impossibili per una internazionale come la Chiesa cattolica, che era lacerata dal conflitto mondiale. Era un periodo terribile: il nazismo era arrivato a dominare Roma per nove mesi, fin sotto le finestre del Papa; il comunismo aveva distrutto come un nuovo conquistatore la Chiesa cattolica in tutto l’oriente europeo.

Ci furono alternative impossibili per la chiesa di Pio XII: con il comunismo, negoziare o condannare? Con il nazismo, denunciare o salvare quante più vite possibili?

Papa Pacelli, però, non gioca solo sulla difensiva.
Partecipa a grandi iniziative: il processo di creazione europeo a cui aderisce in maniera convinta, la fondazione della Democrazia cristiana in Italia, l’avvio di una Chiesa decolonizzata. C’è poi la questione riguardante la Cina, e sarà interessante vedere dagli archivi vaticani cosa successe con l’avvento di Mao e l’inizio della crisi dei rapporti tra il Vaticano e il governo comunista di Pechino.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Nulla da temere dalle carte contenute negli archivi?
Quello che doveva venire fuori è già venuto dagli archivi diocesani e privati. Non c’è niente da temere. Bisogna considerare, invece, che la completezza delle informazioni rende giustizia alla complessità dell’azione del Vaticano. Ne sono convinto.

Quando non si ha tutta la documentazione, siamo prigionieri della logica degli scoop.

Un documento, invece, va inquadrato in un contesto. La completezza renderà giustizia all’azione della Santa Sede e dei Papi. E alle figure di importantissimi collaboratori dei pontefici, che hanno fatto la storia della Chiesa. Penso a Montini, Roncalli, Cardini: hanno lavorato all’ombra dell’istituzione ma hanno lasciato tracce importanti. L’apertura sarà estremamente positiva e il mio auspicio è che si vada in fretta per il pontificato successivo.

Questa decisione avrà conseguenze anche per il processo di canonizzazione?
Non conosco bene lo stato del processo di Pio XII, ma ho presente la sensibilità ebraica nei confronti della sua figura. Per tanti ebrei l’atteggiamento di Pio XII risulta incomprensibile di fronte alla Shoah. Non ritengo che tutti i Papi debbano diventare santi. Come storico, mi sento di dire che Pio XII è una figura importante e inevitabile per chi vuole studiare la storia politica e religiosa tra guerra e dopoguerra. È una figura che esprime l’antico, ma che cerca di proiettare la Chiesa verso il nuovo.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Con l’apertura degli archivi potrà cambiare l’approccio del mondo ebraico?
Dagli ebrei è venuta spesso la richiesta di conoscere meglio i documenti, e quindi credo che questo porterà a una considerazione più positiva o quantomeno più storica della figura di Pio XII. Del resto, voglio ricordare il grande contributo che abbiamo avuto con la coraggiosa pubblicazione degli “Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale” su decisione di Paolo VI. Quelle carte fanno vedere un atteggiamento sfaccettato della Santa Sede. Ci sono anche delle cose che non erano proprio a favore. Penso ad alcune battute di monsignor Dell’Acqua su un padre cappuccino che si dava da fare per gli ebrei a Roma. Dopo il coraggio di Paolo VI del 1965, abbiamo aspettato tanto. E spero che questo tempo non lenisca la passione storiografica di chi vuole conoscere quel periodo e quelle figure.

Tav, il braccio di ferro continua

Archiviato il primo round, entra nel vivo la trattativa tra Lega e M5s sull’Alta velocità Torino-Lione.
Nel breve vertice poche ore fa con Giuseppe Conte, gli interlocutori di maggioranza – Matteo Salvini, da una parte; e Luigi Di Maio, insieme a Danilo Toninelli, dall’altra – si sono limitati a ‘scoprire’ le proprie carte (peraltro ben note) sul tavolo. E a prendere atto delle profonde differenze di posizione.

I tre si sono, quindi, ulteriormente aggiornati, quando si terrà un secondo round della discussione politica, probabilmente anche questo non risolutivo.

Il nuovo vertice
Il prossimo vertice – appuntamento alle 20,30 – sarà diviso in due momenti: la discussione, tutta politica, a tre sarà preceduta da una riunione con i tecnici della commissione che ha redatto l’analisi costi-benefici e il supplemento di indagine richiesto dal ministro delle Infrastrutture.

È il ‘metodo Conte’: cercare di liberare il dossier Tav da tutte le incrostazioni ideologiche che dividono i due azionisti della maggioranza e riportare il tema nell’ambito del ‘razionale’.

Il problema è che la sintesi politica, ad horas, è ancora molto lontana. Da una parte il pressing di Salvini per autorizzare l’opera, per la quale da sempre la Lega si dice a favore, che, però, si scontra con la posizione storica ‘no Tav’ del M5s.

“Io non posso dire ‘no’ alla Tav, non blocco il Paese”, ha ribadito anche oggi il vice premier leghista.

Salvini – viene riferito – si è detto disponibile a sedersi a un tavolo per discutere di altri progetti alternativi. Ma a patto che “sia sempre Tav e che l’alternativa non sia l’allargamento di una galleria”, viene precisato con riferimento al progetto sul Frejus che il M5s sostiene.

La Lega – si spiega, inoltre – non è disposta a sostenere alcun progetto che non sia basato su dati oggettivi.

Salvini è pronto ad andare allo scontro dopodichè dalle parti del partito di via Bellerio non si crede che il governo rischi veramente sulla Tav e si confida nella capacità di mediazione del premier Conte.

Frutto dell’analisi dettagliata del dossier, che blindi da future critiche una eventuale sintesi “politica nell’interesse generale”, come l’ha definita il presidente del Consiglio. Anche per rassicurare su questo, da fonti leghiste si fa trapelare che il partito voterà compatto contro la sfiducia a Toninelli chiesta dalle opposizioni.

Sul fronte 5 stelle, invece, si insiste nel sostenere la proposta di allargamento del Frejus. Ipotesi – viene sottolineato – subito cantierabile e dal costo inferiore rispetto a un’opera come la Tav che viene definita troppo onerosa.

Allo stato, l’unica comunità di intenti che si registrerebbe tra Lega ed M5s è il ‘no’ a ogni rinvio.

I bandi scadono lunedì. Urge una decisione
Conte ha anticipato che una decisione sarà presa venerdì, o quantomeno entro lunedì, giorno di scadenza dei bandi che dovrebbe assegnare la società Telt: sarebbe quindi tramontata l’ipotesi che si rimandi ogni decisione, lasciando che il cda di Telt prendere posizione (a favore di una autorizzazione o meno).

La Lega è contraria a ogni rinvio – viene riferito – così come i pentastellati. In particolare, questi ultimi soffrirebbero lo storytelling che la campagna leghista è riuscita a imporre nel Paese secondo la quale chi è contro la Tav è contro le opere.

Proseguire con il dibattito sull’Alta velocità Torino-Lione significherebbe continuare questa narrazione che non giova al Movimento, è la convinzione.

(Fonte AGI)

Brexit: le famiglie tagliano le spese superflue

I consumatori britannici si preparano alla Brexit tagliando le spese non essenziali. Lo scrive il quotidiano britannico “The Times” riportando i dati delle vendite del commercio al dettaglio nel mese di febbraio.

Le letture sono state redatte dal Consorzio britannico del commercio al dettaglio e da Barclaycard, la società della banca Barclays che gestisce una delle carte di debito/credito più diffuse nel Regno Unito. I dati mostrano che le famiglie britanniche sono sempre più prudenti nelle loro abitudini di spesa.

A febbraio scorso le vendite sono calate dello 0,1 per cento rispetto a gennaio e circa dell’1,8 per cento rispetto all’anno precedente. Secondo Barclaycard metà degli adulti sono convinti che con la Brexit peggioreranno sia l’economia del Regno Unito sia la loro personale situazione. I segni di un rallentamento della spesa delle famiglie, commenta il “Times”, sollevano preoccupazione perché i consumi sono il motore della crescita e nel 2018 hanno sostenuto l’economia britannica nonostante un calo degli investimenti e degli scambi commerciali internazionali.

La Regione Lazio aderisce ai #fridaysforfuture e allo sciopero globale del 15 marzo “global strike for future”

La Regione Lazio aderisce ai #fridaysforfuture e allo sciopero globale del 15 marzo “global strike for future”. La sfida del clima -dai mutamenti climatici alle loro drammatiche conseguenze- è una tra le più ampie, globali ed importanti del nostro tempo.

L’impegno per un nuovo modello energetico basato su efficienza e rinnovabili che riduca fortemente le emissioni di gas serra, aiutando così il clima, l’ambiente e l’innovazione tecnologica. I fridaysforfuture, nati dalla protesta/sciopero della quindicenne Greta a Stoccolma in occasione della COP24, e la manifestazione del 15 marzo rappresentano una grande occasione per contribuire, insieme, alla nascita di un movimento più ampio e trasversale in difesa del clima.

“La politica deve essere capace, ed io sto mettendo tutto il mio impegno perché ciò accada, per raccogliere questa spinta farla propria e coinvolgere tutti a partire da questi giovani, in azioni efficaci ed incisive – così il presidente, Nicola Zingaretti, che ha aggiunto: per questo il 15 marzo sarà fondamentale essere in tanti ed anche la Regione Lazio ci sarà, con l’orgoglio di essere stata la prima Regione d’Italia ad aderire al movimento #Fridaysforfuture e allo sciopero globale del 15 marzo ‘Global Strike For Future’”.

L’Istat conferma la recessione tecnica per il IV trimestre 2018

Nel quarto trimestre del 2018 il prodotto interno lordo (Pil), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2010, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e ha segnato una variazione nulla nei confronti del quarto trimestre del 2017.

La variazione congiunturale del Pil diffusa il 31 gennaio 2019 era risultata negativa dello 0,2% mentre quella tendenziale era pari a +0,1%.

Il quarto trimestre del 2018 ha avuto una giornata lavorativa in meno del trimestre precedente e due giornate lavorative in più rispetto al quarto trimestre del 2017.

La variazione acquisita per il 2019 è pari a -0,1%.

Rispetto al trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna registrano aumenti, con una crescita dello 0,1% dei consumi finali nazionali e dello 0,3% degli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni sono cresciute, rispettivamente, dello 0,7% e dell’1,3%.

La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito per +0,1 punti percentuali alla crescita del Pil: +0,1 punti sia i consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private ISP, sia gli investimenti fissi lordi e contributo nullo della spesa delle Amministrazioni Pubbliche (AP). Per contro. la variazione delle scorte ha contribuito negativamente sottraendo 0,4 punti percentuali alla variazione del Pil. L’apporto della domanda estera netta è risultato pari a +0,2 punti percentuali.

Si registrano andamenti congiunturali negativi per il valore aggiunto dell’agricoltura e dell’industria, diminuiti rispettivamente dell’1,1% e dello 0,5%, mentre il valore aggiunto dei servizi è cresciuto dello 0,1%.

Aci: contro le truffe arriva l’attestazione sulla certificazione chilometrica

Ogni veicolo potrà avere un fascicolo digitale per non incorrere nell’alterazione dei contachilometri. Una soluzione che consentirà di certificare la reale percorrenza delle auto, dimostrando altresì gli interventi di manutenzione effettuati. L’iniziativa è stata realizzata dall’Automobil Club Italia in collaborazione con EY e si basa sulla tecnologia “blockchain” che, attraverso la crittografia e la concatenazione dei dati, permette “di certificare il ciclo di vita del veicolo attraverso la loro ‘notarizzazione’ virtuale, all’interno di un’infrastruttura distribuita che consentirà di creare un ecosistema di interoperabilità”.

Nel Belpaese il mercato dei ricambi falsi negli ultimi anni ha fatto segnare un trend in crescita di circa il 10% e, secondo alcune stime, lo scorso anno il contachilometri è stato manomesso su 2,5 milioni di i veicoli usati, con un danno economico che gli esperti dell’Automobil Club valutano tra i 5,6 miliardi e i 9,6 miliardi di euro. Il fascicolo digitale, consultabile innanzitutto dal proprietario del veicolo tramite il proprio smartphone e visionabile su sua autorizzazione da terzi, mette al riparo i possibili acquirenti del suo veicolo da raggiri su percorrenze e sostituzione dei pezzi di ricambio. “Si tratta della prima applicazione smartphone al mondo – sottolinea l’Aci – che consente all’automobilista di disporre di dati certificati del proprio veicolo indipendentemente dal tipo di marca e modello. L’applicazione permette di interconnettere l’intero ecosistema automotive, offrendo ai singoli operatori la possibilità di scambiarsi informazioni in un ambiente trust”.

La tecnologia ‘blockchain’ permetterà, inoltre, di sviluppare nuovi servizi a valore aggiunto come la trasparenza nel mercato secondario e dell’usato, l’auto-certificazione chilometrica, lo sviluppo di nuovi prodotti con le compagnie assicurative e l’abilitazione del nuovo certificato di revisione.
In merito a questa novità, il direttore centrale di Aci Sistemi informativi e innovazione, Vincenzo Pensa ha precisato che: “il nuovo paradigma dei servizi al cittadino impone di identificare una tecnologia in grado di distribuire i dati raccolti in modo interoperabile tra tutti gli attori dell’ecosistema, garantendo tuttavia l’immutabilità e la trasparenza degli stessi. Aci ha deciso di implementare la ‘blockchain’ nella sua applicazione smartphone per offrire un servizio innovativo, rivoluzionario e di sistema”.

Il rilievo funerario di Marco Virgilio Eurisace alla Centrale Montemartini

Il rilievo funerario, attentamente restaurato a cura della Sovrintendenza Capitolina ai beni culturali, rappresenta un’importante testimonianza storica e artistica di questo periodo, in quanto parte fondamentale dell’imponente sepolcro di Eurisace costruito poco dopo la metà del I secolo a.C. (40/30 a.C.), e riportato alla luce nel 1838 nell’area chiamata anticamente ad Spem Veterem, oggi Porta Maggiore, dove ne sono ancora visibili i resti.

Il gruppo scultoreo sorgeva originariamente sulla facciata orientale del sepolcro e mostra i due coniugi in posizione frontale ma con il capo rivolto l’un l’altra, come per evidenziare il legame che li univa in vita. Le figure emergono dal fondo scolpite quasi a tutto tondo; l’uomo indossa la toga drappeggiata secondo la maniera tipica degli anni centrali del I secolo a.C.; coerentemente il volto segue le tendenze della ritrattistica tardo repubblicana, mostrando con crudo realismo i segni del tempo. La donna, invece, è avvolta nell’ampio mantello portato sulla tunica e il ritratto lascia riconoscere l’acconciatura in voga in quegli anni: i capelli divisi da una riga centrale in bande laterali e raccolti in un’alta crocchia composta probabilmente di trecce.

In occasione del restauro si è voluto offrire una più completa lettura dell’opera, restituendo alla figura femminile la testa, rubata nel 1934. È stato così realizzato un volto in gesso utilizzando, per l’aspetto e l’inclinazione, le foto scattate prima del furto, quando il rilievo era esposto all’aperto lungo le mura presso Porta Maggiore, nel luogo dove nel 1856 sarebbe sorta la stazione ferroviaria RomaFrascati.

Il rilievo restaurato è esposto nella Sala Colonne del museo della Centrale Montemartini, nell’ambito di un nuovo allestimento progettato per restituire l’idea del contesto architettonico del sepolcro in cui il gruppo scultoreo si inseriva originariamente. E’ stata realizzata una struttura in calcestruzzo e tubolari d’acciaio per ricreare una nicchia incassata in cui inserire l’opera, a rievocare la collocazione originaria sulla facciata della tomba.

Per l’occasione è giunta in prestito dal Museo Nazionale Romano l’epigrafe di Atistia, in cui Eurisace ricorda, con parole di lode. la sposa defunta, dicendo che le sue spoglie sono raccolte in un “panario”, un’urna a forma di cesta per il pane. A completare l’esposizione il plastico del monumento in gesso patinato, proveniente dal Museo della Civiltà Romana.

Il sepolcro di Marco Virgilio Eurisace fu risparmiato dalla realizzazione delle arcate monumentali dell’acquedotto Claudio, nella metà del I secolo d.C., ma fu coinvolto dalla costruzione delle Mura Aureliane nel III secolo e definitivamente inglobato agli inizi del V secolo nel bastione costruito dall’imperatore Onorio per potenziare la cinta muraria presso la Porta Labicana – Prenestina (oggi Porta Maggiore). Molti secoli dopo, nel 1838, le strutture attribuibili al rifacimento di Onorio furono demolite per volontà di Papa Gregorio XVI e nel corso dei lavori venne portato completamente alla luce il sepolcro di Eurisace, che in quella occasione fu disegnato dall’archeologo Luigi Canina, al quale si deve una delle più complete documentazioni.

Nella decorazione scultorea del sepolcro si possono ritrovare ancora oggi i riferimenti alla professione di fornaio del committente, rappresentati dai rilievi che lungo la sommità del piano superiore illustrano le diverse fasi della panificazione mentre nell’iscrizione, ripetuta quasi identica sui tre lati superstiti del monumento, sulla fascia che divide il corpo inferiore da quello superiore, si ricorda il proprietario del sepolcro, Marco Virgilio Eurisace, panettiere e appaltatore dello stato.

Il rilievo funerario, attentamente restaurato a cura della Sovrintendenza Capitolina ai beni culturali, rappresenta un’importante testimonianza storica e artistica di questo periodo, in quanto parte fondamentale dell’imponente sepolcro di Eurisace costruito poco dopo la metà del I secolo a.C. (40/30 a.C.), e riportato alla luce nel 1838 nell’area chiamata anticamente ad Spem Veterem, oggi Porta Maggiore, dove ne sono ancora visibili i resti.

Hiv: secondo caso al mondo di uomo guarito con il trapianto di cellule staminali

Un uomo sieropositivo in Gran Bretagna è diventato il secondo adulto conosciuto in tutto il mondo a essere liberato dal virus dell’Aids dopo aver ricevuto un trapianto di midollo osseo da un donatore resistente all’Hiv.

Quasi tre anni dopo aver ricevuto cellule staminali di midollo osseo da un donatore con una rara mutazione genetica che resiste all’infezione da Hiv – e più di 18 mesi dopo aver eliminato i farmaci antiretrovirali – i test non mostrano ancora alcuna traccia della precedente infezione da Hiv.

Al Centro

Inchinarsi di fronte a una bella manifestazione di democrazia, come le primarie del Pd sono apparse domenica, non significa nascondere al dibattito pubblico il tema di un “nuovo centro democratico”. Sotto questo aspetto l’investitura del popolo dei gazebo fa di Zingaretti un leader che trova la sua forza e la sua debolezza nel confronto attorno a una questione più ampia di quanto il Pd, oggi e domani, possa rappresentare. Il giornale dei Vescovi, l’Avvenire, ha commentato sobriamente l’evento, senza pregiudizi e riserve, ma ponendo l’accento sulla necessità di un “quarto polo” (dopo i tre della “sinistra sinistra” della “destra destra” e del M5S) capace di accogliere e valorizzare la partecipazione di molti cattolici.

Zingaretti è chiamato a riordinare la sinistra. Di questo compito sente del resto il peso e la responsabilità, pur conservando quell’attenzione ai moderati – categoria comunque sempre angusta – di cui anche il Pd, al proprio interno, dovrebbe avvalersi. Nell’intervista concessa al “Corriere della Sera”, proprio alla vigilia delle primarie, esprimeva disponibilità e interesse verso una futura alleanza con quella parte di elettorato che, senza preconcetta ostilità, resta fuori dal perimetro corrispondente all’attuale esperienza del Pd. In sostanza, la vocazione maggioritaria finisce mestamente in archivio, per un esplicito rilancio della politica delle alleanze.

Ora, alla luce del nuovo corso del Nazareno, si tratta di focalizzare l’oggetto di tale riordino del sistema politico, precisamente sul lato dell’opposizione al sovran-populismo. Quanto più il centro si fa piccolo nella mente degli sherpa neo-togliattiani, quasi perciò a ridurne la configurazione a protesi della sinistra, tanto più diventa un esercizio di generale frustrazione. La modestia di cognizione corrisponde alla sua fatale inutilità.

Il centro per esistere ha bisogno invece di grandezza, quanto a motivazioni sensibilità e slancio. Di fatto non vive all’ombra di un geroglifico di astuzia elettoralistica, per agguantare cioè un aliquota di elettorato indeciso. Il centro è una sfida, anche a sinistra, perché si nutre (o deve nutrirsi) di un ideale democratico superiore. Non nel senso di una presunzione fantastica, rigonfia di gloria passata e visioni autoreferenziali, bensì nel segno della fatica che nasce dal “fare sintesi” oltre la denuncia e la rabbia, oltre la dialettica negativa dell’antagonismo a sfondo settario, oltre il riduzionismo dell’uomo e della società a una dimensione.

Il centro può nascere ora, con ricchezza di idee e generosità di propositi, se solo s’intenda la domanda inevasa di rappresentanza, che avvolge un sistema di “mondi vitali” disancorato dalla politica e ciò nondimeno desideroso di nuova politica. Ci sono segni di attesa ai quali occorre rivolgere l’occhio. Nulla è scontato. Un’aspirazione, ancorché diffusa e robusta, fa presto a scemare nel vuoto dell’insipienza e del piagnisteo. Eppure, nemmeno è scontato che resti in sospeso, secondo il pessimismo degli attori più consumati, la voglia di rigenerare una buona proposta politica. Tutto dipende, alle volte, da uno scatto di orgoglio e dal fortuito incrocio di ”virtù e fortuna”(Macchiavelli). Anche i cristiani debbono leggere o rileggere il Fiorentino, più profeta che cinico manipolatore, in tempi di irrazionale e colpevole debilitazione della politica.

È necessaria una nuova presenza dei cattolici in politica

Cari amici,

Ringrazio il Cardinale Ouellet per le parole. Ho iniziato questo intervento chiamandovi “cari amici”, e non per un mero artificio retorico, ma perché, pensando all’iniziativa che avete intrapreso, credo possa essere opportuno ricordare un versetto del capitolo 15 del vangelo di san Giovanni, in cui Gesù dice a tutti: «Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio» (Gv 15, 15).

E Gesù fonda la Chiesa con l’aspetto di un’amicizia, come un atto di amore, come un gesto di compassione per la nostra condizione fragile e limitata. E incarnandosi, Gesù Cristo abbraccia la nostra umanità, abbraccia il nostro “io”, a volte egoista, tante volte timoroso, per donarci la sua forza e mostrarci che non siamo soli nel cammino della vita, che abbiamo un amico che ci accompagna. Grazie a ciò, ogni volta che diciamo “io” possiamo dire “noi”, siamo cioè comunità con Lui. Abbiamo un “amico” che ci sostiene e c’invita a proporre missionariamente quella stessa amicizia a tutti gli altri e ad allargare così l’esperienza di “Chiesa”.

E questa verità ha molte implicazioni in diversi ambiti, ma è importante soprattutto per quelli che si scoprono chiamati a essere responsabili della promozione del bene comune.

Essere cattolico nella politica non significa essere una recluta di qualche gruppo, organizzazione o partito, bensì vivere dentro un’amicizia, dentro una comunità. Se tu, nel formarti nella Dottrina sociale della Chiesa, non scopri nel tuo cuore il bisogno di appartenere a una comunità di discepolato missionario veramente ecclesiale, in cui puoi vivere l’esperienza di essere amato da Dio, puoi correre il rischio di lanciarti un po’ da solo nelle sfide del potere, delle strategie, dell’azione, e finire nel migliore dei casi con un buon posto politico, ma solo, triste e con il rischio di essere manipolato.

Gesù ci invita a essere suoi amici. Se ci apriremo a questa opportunità, la nostra fragilità non diminuirà. Le circostanze in cui viviamo non cambieranno immediatamente. Tuttavia potremo guardare la realtà in modo nuovo, potremo vivere con rinnovata passione le sfide nella costruzione del bene comune. Non dimentichiamo che entrare in politica significa puntare sull’amicizia sociale.

In America Latina abbiamo un santo che conosceva bene queste cose. Lui ha saputo vivere la fede come amicizia, e l’impegno con il suo popolo fino a dare la vita per lui. Vedeva tanti laici desiderosi di cambiare le cose ma che molte volte si perdevano con false risposte di tipo ideologico. Con la mente e il cuore posti in Gesù, e guidato dalla dottrina sociale della Chiesa, san Óscar Arnulfo Romero diceva, e lo cito: «La Chiesa non si può identificare con nessuna organizzazione, neppure con quelle che si definiscono e si sentono cristiane. La Chiesa non è l’organizzazione, né l’organizzazione è la Chiesa. Se in un cristiano sono cresciute le dimensioni della fede e della vocazione politica, non si possono identificare soltanto i compiti della fede e un determinato compito politico, né tanto meno si possono identificare Chiesa e organizzazione. Non si può affermare che solo all’interno di una determinata organizzazione si può sviluppare l’esigenza della fede. Non ogni cristiano ha vocazione politica, né il canale politico è l’unico a portare a un compito di giustizia. Ci sono anche altri modi di tradurre la fede in un lavoro di giustizia e di bene comune. Non si può esigere dalla Chiesa o dai suoi simboli ecclesiali che si convertano in meccanismi di attività politica. Per essere un buon politico non c’è bisogno di essere cristiano, ma il cristiano che si mette in politica ha l’obbligo di professare la propria fede. E se così facendo nascesse in questo campo un conflitto tra la lealtà alla sua fede e la lealtà all’organizzazione, il cristiano vero deve preferire la sua fede e dimostrare che la sua lotta per la giustizia è per la giustizia del Regno di Dio, e non per un’altra giustizia».1 Fino a qui Romero.

Queste parole le pronunciò il 6 agosto del ’78 perché i fedeli laici fossero liberi e non schiavi, e perché ritrovassero i motivi per cui vale la pena fare politica, ma a partire dal vangelo, superando le ideologie. La politica non è la mera arte di amministrare il potere, le risorse o le crisi. La politica non è mera ricerca di efficacia, strategia e azione organizzata. La politica è vocazione di servizio, diaconia laicale che promuove l’amicizia sociale per generare il bene comune. Solo in questo modo la politica contribuisce a far sì che il popolo diventi protagonista della sua storia e così si evita che le cosiddette “classi dirigenti” credano di essere loro a poter risolvere tutto. È il famoso concetto liberale esasperato: tutto per il popolo ma niente con il popolo. Fare politica non si può ridurre a tecniche e risorse umane e capacità di dialogo e persuasione; tutto ciò da solo non serve. Il politico sta in mezzo al suo popolo e collabora con questo mezzo o altri affinché il popolo che è sovrano sia il protagonista della sua storia.

In America Latina, e in tutto il mondo, stiamo attualmente vivendo un vero «cambiamento di epoca»2 — lo diceva Aparecida — che ci chiede di rinnovare i nostri linguaggi, simboli e metodi. Se continueremo a fare lo stesso che si faceva qualche decennio fa, ricadremo negli stessi problemi che dobbiamo superare in campo sociale e politico. Non mi riferisco qui semplicemente a migliorare qualche strategia di “marketing”, ma a seguire il metodo che Dio stesso ha scelto per avvicinarsi a noi: l’Incarnazione. Assumendo tutto l’umano — tranne il peccato — Gesù Cristo ci annuncia la liberazione a cui il nostro cuore e i nostri popoli anelano. E allora voi come giovani cattolici dediti a diverse attività politiche sarete in prima linea nel modo di accogliere i linguaggi e i segni, le preoccupazioni e le speranze, dei settori più emblematici del cambiamento di epoca latinoamericano. E starà a voi trovare i cammini del processo politico più adeguato per andare avanti.

Quali sono i settori più emblematici o significativi nel cambiamento di epoca latinoamericano? A mio parere sono tre, tra l’altro lo dovete già aver sentito perché Carriquiri è qui, e io infatti l’ho copiato da lui. A mio parere sono tre, attraverso i quali è possibile riattivare le energie sociali della nostra regione affinché sia fedele alla sua identità e, al tempo stesso, affinché costruisca un progetto di futuro: le donne, i giovani e i più poveri.

In primo luogo, le donne. La Pontificia Commissione per l’America Latina lo scorso anno ha dedicato una riunione plenaria proprio alla donna come pilastro nell’edificazione della Chiesa e della società.3 Inoltre, ai vescovi del Celam a Bogotá nel 2017 ho rivolto un messaggio in cui ricordavo loro che «la speranza in America Latina ha un volto femminile».4 In secondo luogo, i giovani, perché in loro dimorano l’anticonformismo e la ribellione che sono necessari per promuovere cambiamenti veri e non meramente cosmetici. Gesù Cristo, eternamente giovane, è presente nella loro sensibilità, nel loro volto e nelle loro inquietudini. E in terzo luogo, i più poveri ed emarginati. Perché nell’opzione preferenziale per loro la Chiesa manifesta la sua fedeltà come sposa di Cristo non meno che sul versante dell’ortodossia.5

Le donne, i giovani e i poveri sono, per diverse ragioni, luoghi d’incontro privilegiato con la nuova sensibilità culturale emergente e con Gesù Cristo. Sono protagonisti del cambiamento di epoca e soggetti di speranza vera. La loro presenza, le loro gioie e, in particolare, le loro sofferenze sono un forte campanello d’allarme per quanti sono responsabili della vita pubblica. È nella risposta ai loro bisogni e alle loro richieste che si gioca in gran parte la vera costruzione del bene comune. Costituiscono un luogo di verifica dell’autenticità dell’impegno cattolico nella politica. Se non vogliamo perderci in un mare di parole vuote, guardiamo sempre il volto delle donne, dei giovani e dei poveri. Guardiamoli come soggetti di cambiamento e non come meri oggetti di assistenza. I loro sguardi che c’interpellano ci aiuteranno a correggere l’intenzione e a riscoprire il metodo per agire “inculturadamente”, nei nostri diversi contesti. Assumere, e assumere concretamente, tutta questa problematica significa essere concreti e in politica quando uno devia dall’essere concreto devia anche dalla guida politica.

È necessaria una nuova presenza di cattolici in politica in America Latina. Una “nuova presenza” che implichi non solo nuovi volti nelle campagne elettorali, ma anche e soprattutto nuovi metodi che permettano di forgiare alternative che siano al tempo stesso critiche e costruttive. Alternative che ricerchino sempre il bene possibile, anche se modesto. Alternative flessibili, ma con una chiara identità sociale cristiana. A tal fine è necessario valorizzare in modo nuovo il nostro popolo e i movimenti popolari che esprimono la sua vitalità, la sua storia e le sue lotte più autentiche. Fare politica ispirata al vangelo a partire dal popolo in movimento può diventare un modo potente per risanare le nostre fragili democrazie e aprire lo spazio per reinventare nuove istanze rappresentative di origine popolare.

Noi cattolici sappiamo bene che «nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi».6 Vi invito pertanto a vivere la vostra fede con grande libertà. Senza credere mai che esista un’unica forma d’impegno politico per i cattolici. Un partito cattolico. Forse è stata questa una prima intuizione nel risvegliare della Dottrina sociale della Chiesa che con il passare degli anni si è adeguata a quella che deve realmente essere la vocazione del politico oggigiorno nella società, dico cristiano. Non va più il partito cattolico. In politica è meglio avere una polifonia ispirata a una stessa fede e costruita con molteplici suoni e strumenti, che una noiosa melodia monocorde, apparentemente corretta ma omogenizzante e neutralizzante — gratuita — tranquilla. No, non va più.

Sono contento che sia nata l’Accademia di Leader Cattolici e che si stia diffondendo in diversi paesi dell’America Latina. Sono contento che cerchiate di essere allo stesso tempo fedeli al vangelo, plurali in termini partitici e sempre in comunione con i vostri Pastori.

Fra qualche anno, nel 2031, celebreremo il v centenario dell’Evento Guadalupano, e, nel 2033, il secondo millennio della Redenzione. Voglia Dio che d’ora in avanti tutti voi possiate lavorare alla diffusione della Dottrina sociale della Chiesa, per giungere così alla celebrazione di queste date con veri frutti laicali di discepolato missionario. A me piace ripetere che dobbiamo sempre guardarci dalle colonizzazioni culturali, no, le colonizzazioni ideologiche, ci sono quelle economiche perché le società hanno una dimensione di “coloneidad”; ossia, di essere aperte a una colonizzazione. Allora dobbiamo difenderci da tutto. E al riguardo mi permetto un’intuizione. Spetterà a voi regolare e correggere, o non farlo, ma è un’intuizione che lascio nelle nostre mani, se non volete sbagliarvi nel cammino per l’America Latina: la parola è “meticciato”. L’America Latina è nata meticcia, si conserverà meticcia, crescerà solo meticcia e questo sarà il suo destino.

Fu proprio san Juan Diego, indigeno povero ed escluso, lo strumento piccolo e umile che Santa Maria di Guadalupe scelse per una grande missione che avrebbe dato origine al volto pluriforme della grande nazione latinoamericana. Ci affidiamo alla sua intercessione perché, quando ci mancheranno le forze nella lotta per il nostro popolo, ricorderemo che è proprio nella debolezza che la forza di Dio può manifestarsi pienamente (cfr. 2 Cor 12, 9). E che la Morenita del Tepeyac non si dimentichi mai della nostra amata “Patria Grande”, questo è l’America Latina, una Patria Grande in gestazione, che non si dimentichi mai delle nostre famiglie e di coloro che più soffrono. E voi non vi dimenticate di pregare per me. Grazie.

1 S. Óscar Arnulfo Romero, Omelia, 6 agosto 1978

2 Cfr. v Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, Aparecida, 44.

3 Cfr. Pontificia Commissione per l’America Latina, La mujer pilar de la
edificación de la Iglesia e de la sociedad en América Latina,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2018.

4 Francesco, Discorso al Comitato Direttivo del Celam, 7 settembre 2017.

5 Cfr. San Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, n. 49.

6 San Paolo VI, Octagesima adveniens, n. 50.

Vi racconto la giornata dell’orgoglio Pd nei gazebo. Parla Fioroni

Articolo già apparso sulle pagine di formiche.net a firma di Gianfranco D’Anna

“Una giornata dell’orgoglio Pd, che ci dà una notizia: finalmente abbiamo l’alternativa a Salvini e Di Maio. Ma la vera novità è che nei gazebo abbiamo scelto qualcosa, prima di qualcuno”. Così l’ex ministro dell’istruzione Giuseppe Fioroni, anima cattolica del dem, affida a Formiche.net la sua lettura delle primarie piddine. E lo fa partendo da un elemento valoriale piuttosto che semplicisticamente legato al nuovo volto (Nicola Zingaretti), mettendo l’accento su una serie di punti ideali del nuovo costrutto riformista come il civismo, il recupero del terzo settore e il ruolo dei cattolici.

Come si inseriscono i gazebo del Pd nella discontinuità dal recente passato?

In primis voglio ringraziare il popolo dei gazebo. La prima discontinuità è rispetto a tutti coloro che avevano dato per morto il Pd, salvo rendersi conto oggi che è salva la sua capacità di costruire un’alternativa. L’affluenza dimostra che esiste un’Italia che non vuole Salvini e Di Maio e ha individuato un perno attorno al quale ricominciare: credo sia questa la principale fonte di novità rispetto alla narrazione del Pd fatta negli ultimi anni.

La scontata vittoria di Nicola Zingaretti cosa cambia nelle politiche del Pd?

L’alta percentuale ottenuta gli consentirà di poter guidare con indiscussa autorevolezza il partito: da domani inizierà già la sfida di saper costruire una unità interna che non deve essere un dogma ma prevedere anche una vivace dialettica, costruttiva, tra maggioranza e minoranza. Altra discontinuità rappresentata dalle primarie è che per vincere le secondarie non si dovrà solo sperare nel segretario, ma nemmeno immaginare che ci sia un uomo solo al comando.

Quindi porte aperte a sinistra?

Il Pd ha necessità di cercare consensi nella sinistra riformista, creando una grande alleanza, ma ritrovando la capacità di conquistare quei voti moderati che non si riconoscono in Salvini né in Di Maio. Questi hanno la necessità di trovarsi “a casa propria” in un altro schieramento.

Come procedere adesso?Aprendo allo “schema Legnini”, ovvero il civismo a trainare il partito, oppure preparando il terreno nel perimetro dem?

Lo schema Legnini dimostra che esiste un mondo desideroso di aggregarsi attorno a un perno, in questo caso incarnato dal Pd. Dobbiamo capire cosa significa civismo: quello spontaneo, esistente, che rigenera lo spirito che nasce dal basso e che fa tesoro delle esperienze del cattolicesimo sociale ed impegnato in politica. Tutto ciò è una ricchezza oggettiva. Spetterà al Pd la capacità di catalizzare e di aggregare.

Come coinvolgere energie esterne, ma di area, come Calenda oppure come l’universo del terzo settore?

Credo che intanto ci saranno dei passaggi fondamentali da attuare. Calenda è una risorsa ed è un’intuizione per le europee grazie ad un fronte pro Ue, alternativo al populismo-sovranista. Si tratta di trovare il modo di declinarlo mettendo insieme, dopo questa giornata dell’orgoglio Pd, sia l’appartenenza dem che l’idea dell’allargamento. In seguito avverto la necessità di coinvolgere i corpi intermedi, non solo nel governo delle amministrazioni locali, ma riaffermando il loro valore assoluto e farli sentire co-protagonisti di un percorso di sviluppo comune. Credo che il modo migliore di iniziare sia per Zingaretti saper passare dalla formula “voto qualcuno” alla formula “voto qualcosa”. Ovvero da credo in un singolo, a credo in un quadro progettuale. Ecco la vera discontinuità in un sistema tripolare, dove serve toccare anima e sentimento degli italiani. Basta con la stagione dove si sceglie qualcuno senza credere in niente.

Il partito dei cattolici sussurrerà a Zingaretti oppure gli si affiancherà apertamente?

Da parte del mondo cattolico c’è una grande necessità, che rappresenta anche la sua nuova frontiera: agire sul piano sì politico ma pre-partitico. Percepisco il bisogno di ritrovare la forza per entrare nella progettualità comune e nella elaborazione di un pensiero attualizzato, come osservato da Papa Francesco. Ovvero partendo dalla base della nostra Chiesa e progressivamente facendolo risalire: questa l’idea di un Sinodo della Chiesa italiana che muova i primi passi dal basso, per poi far riflettere valori e progettualità. Si tratta di una mossa che peso come un grande sforzo politico che è anche pre-partitico, anticamera a quelle scelte individuali che, come si può facilmente immaginare, sono sempre figlie della corrispondenza tra i valori e i progetti.

“Giorgio La Pira, il sindaco della pace”

Di Giorgio La Pira, non è facile tracciarne un ritratto. Sfogliando un album ideale incontriamo il giovane La Pira, dopo la crisi religiosa della prima giovinezza, mentre scrive a padre Agostino Gemelli delle sue certezze nella fede. Si sovrappongono presto le immagini del giovane professore pronto a palesare la sua distanza da ogni totalitarismo e da ogni pratica di discriminazioni, quella del “professorino” all’Assemblea Costituente e del Deputato alla Camera (legato particolarmente a Lazzati, Dossetti, Fanfani), del sindaco nel capoluogo toscano. Strano protagonista della politica, considerata un impegno di umanità e santità. Strano democristiano che confidava di avere solo una tessera, “quella del battesimo”.

Da sindaco di Firenze, di fronte ai licenziamenti alla fabbrica Pignone, disse candidamente: “cambiate la legge, perché io non posso cambiare il Vangelo”. La Pira è anche l’uomo vissuto da povero pensando ai poveri e che ai più bisognosi volle dare sempre dignità. La Pira è il profeta di pace e il pioniere dell’incontro dei popoli: a partire dai «Colloqui» organizzati a Firenze tra i principali sindaci del mondo, a favore del dialogo interculturale e dei negoziati per superare i conflitti. Figura di un mondo e di un tempo che non c’è più, uomo dalla fama di visionario utopista, che agli occhi di molti sembrò scambiare spesso la realtà del presente con il futuro desiderato.

Non mancano i rapporti tra La Pira e i Papi del suo tempo (Pio XII, Giovanni XXIII, soprattutto Paolo VI), destinatari di molte lettere; e con tanti leader incontrati per individuare nuovi modelli di società e di sviluppo, ai quali chiese di condividere il suo sguardo sull’Europa, o su quel Mediterraneo oggi cimitero di migranti invece che – come nel suo sogno – il “grande lago di Tiberiade” punto di attrazione delle nazioni che si affacciano sul Mare nostrum. A questo proposito non devono essere dimenticate le speranze (purtroppo irrealizzate) sulla necessità di una soluzione federale per la pace nel Medio Oriente.

Quando si ha a che fare con una figura complessa come quella di Giorgio La Pira, c’è spesso la difficoltà di separare il politico dalla persona spirituale, di scomporne visione storica e teologica, di accomunare la “civiltà cristiana” con la “comune figliolanza abramitica”. La Pira è l’uomo capace di parlare con Krusciov al Cremlino, di abbracciare Ho Chi Minh ad Hanoi e John Kennedy a Washington. «La geografia della grazia condiziona la storia dei popoli», scrisse al teologo francese Jean Daniélou il 5 aprile 1960. Alla storia del mondo La Pira ha sempre guardato con lucidità. Viaggiando ripetutamente, mediando, tessendo relazioni senza confini, sempre pronto a condividere rapporti umani e pezzi di strada. Il cammino di un grande profeta del Novecento. A ben guardare sta qui quell’umanesimo cristiano di La Pira, tra profezia e storia, e quel suo ottimismo che lo portava a sostenere con certezza – come sintetizzava il poeta Mario Luzi – «Dio c’è, la Provvidenza esiste, noi abbiamo la fortuna di essere vivi e di essere qui».

Le religioni e il coraggio dell’alterità: la Dichiarazione congiunta di Abu Dhabi

Esattamente un mese fa, il 4 febbraio 2019, ad Abu Dhabi papa Francesco e Ahamad al-Tayyib, Grande Imam di Al-Azhar (Egitto) firmavano congiuntamente il Documento sulla fratellanza umana. Un fatto – scrive Giacomo Costa nell’editoriale del numero di marzo di Aggiornamenti Sociali – di cui «è impossibile non riconoscere la valenza profondamente innovativa: si tratta di qualcosa che va al di là delle aspettative, che suscita domande e interrogativi, che mette in discussione stereotipi e pregiudizi tanto diffusi quanto radicati dal punto di vista religioso e ancor di più culturale».

L’importanza storica dell’evento risiede anzitutto nel percorso che ha portato il Pontefice e l’Imam alla sottoscrizione del documento e al modo in cui questa è avvenuta: «Non è infatti soltanto la testimonianza di un incontro, anche se questa cornice relazionale ha una importanza che non può essere sottovalutata; non è nemmeno una parola scambiata, cioè rivolta dall’uno all’altro, anche se entrambi al momento della firma hanno pronunciato parole di grande intensità. Si tratta invece di un testo condiviso, cioè di una medesima parola che i due leader sentono di rivolgere insieme ai loro fedeli e al mondo intero per dare risposta ad alcuni interrogativi di fondo». In altre parole, scrive Costa, «firmando questa dichiarazione congiunta, i due leader offrono ai loro fedeli una narrazione condivisa. Questa consente di sentirsi parte della stessa storia, di percepirsi confrontati dalle stesse domande, dalle stesse inquietudini e preoccupazioni. (…) Offrire una narrazione condivisa ai credenti di religioni che si sono a lungo combattute, che per secoli hanno affermato la propria identità attraverso la reciproca opposizione, o addirittura il dominio dell’una sull’altra, invita i fedeli di entrambe a entrare in un diverso orizzonte mentale».

L’editoriale entra poi in un’analisi dei contenuti del documento. Colpisce, in particolare, «l’atteggiamento nei confronti del pluralismo religioso, che non è subìto come dato di fatto ineliminabile o come resa a un processo di secolarizzazione, ma valorizzato come dono di Dio e come base per fondare la libertà religiosa. (…) Ne consegue la necessità di superare la logica della contrapposizione amico-nemico nei rapporti tra le religioni».

Un passo, questo, che è invocato anche a livello culturale e politico, in particolare in riferimento alla costruzione di un diverso rapporto tra Oriente e Occidente. «Questo vale con una forza e una concretezza ancora maggiori – scrive ancora il direttore di Aggiornamenti Sociali – in tutti quei contesti in cui i fedeli delle diverse religioni si trovano a vivere gomito a gomito. Non basta la garanzia formale della libertà di culto, per quanto fondamentale, se questa non si traduce in possibilità reali di partecipazione a tutte le dinamiche sociali su un piano di effettiva parità e con la possibilità di recare il proprio contributo e di esercitare la propria responsabilità di cittadini».

Dopo avere evidenziato l’importanza cruciale che ora assume «l’articolazione tra la prospettiva globale espressa dall’Imam e dal Papa e le pratiche degli attori locali» per dare credibilità e attuazione al Documento, l’editoriale conclude con una sottolineatura sul linguaggio utilizzato: «Alla prima lettura il Documento suona inevitabilmente poco familiare: capiamo che ci possiamo riconoscere nella sua formulazione, anche se non è probabilmente quella che più naturalmente ci sarebbe venuta in mente. È questo il portato del fatto che si tratta di una narrazione condivisa. (…) Il Documento ci mostra che non esistono solo il linguaggio tendenzialmente minimalista del politically correct, che annacqua le identità per piallare le differenze, o quello identitario più o meno militante, che invece le esalta fino alla chiusura e all’incomunicabilità. Nessuno dei due è in grado di fornire la base per un autentico dialogo; serve invece un linguaggio che stimoli ogni tradizione ad andare in profondità di se stessa, senza rinunce o potature, e che al tempo stesso le aiuti a procedere in una direzione condivisa. Grazie al Documento, Francesco e Ahamad al-Tayyib aprono una pista e ci invitano a compiere lo sforzo di camminare in questa direzione».

Leggi il testi integrale dell’editoriale

Accordo commerciale Usa-Cina entro fine marzo

Donald Trump e Xi Jimping potrebbero raggiungere un accordo commerciale formale in un summit intorno al 27 marzo, dopo un viaggio del presidente cinese in Italia e Francia. Lo scrive il Wall Street Journal. In base all’accordo, Pechino abbasserebbe i suoi dazi ed altre restrizioni su alcune merci americane, tra cui prodotti agricoli, chimici e auto, mentre Washington rimuoverebbe gran parte delle sanzioni applicate finora.

Come parte dell’intesa, la Cina acquisterebbe gas naturale per 18 miliardi di dollari dalla texana Cheniere Energy e si impegnerebbe a creare parità di condizioni, compreso un’accelerazione del programma per rimuovere le limitazioni alla proprietà straniera sulle imprese automobilistiche e la riduzione delle tariffe sulle auto importare sotto l’attuale livello del 15%.

Le fonti del quotidiano ammoniscono comunque che restano alcuni ostacoli e che ciascuna delle parti potrebbe trovarsi di fronte a possibili obiezioni in casa perché le condizioni sarebbero considerate troppo favorevoli per l’avversario.