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sabato, 7 Giugno, 2025
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Non basta l’evocazione di Sturzo

Articolo già pubblicato sulle pagine dell’www.huffingtonpost.it

Cresce, in questi giorni, l’attenzione sul centenario dell’Appello ai liberi e forti, un testo che appare ancor oggi fresco di suggestioni importanti. Bisogna far tesoro di questa novità che increspa gli umori della pubblica opinione. Qualche cosa si muove.

Non c’è solo il mondo cattolico, democratico e popolare, dietro l’attesa per la data simbolo (18-19 gennaio); in realtà, con qualche sorpresa, l’attenzione coinvolge altri mondi, più che mai desiderosi di ritrovare un’anima della politica.

Zingaretti scrive che “emoziona e fa impressione” la rilettura di questo Appello. Segno, possiamo dire, di un Novecento diverso dal secolo delle magniloquenti e spietate profezie a sfondo totalitario. Il popolarismo è la dottrina politica – forse l’unica – a non essere stata travolta dal moto anti-ideologico susseguente alla caduta del Muro di Berlino.

Ora occorre chiedersi, però, se dopo l’emozione non s’imponga l’urgenza di una meditazione adeguata alla ricorrenza del centenario; se insieme a un sussulto, derivante dalla sorpresa, non si debba coltivare la consapevolezza di nuove sfide; se infine la “formula popolare”, inventata da Sturzo, non richieda scelte coraggiose e in controtendenza.

Lo dico con franchezza, ma in spirito costruttivo: non intendo sfuggire al dilemma che nasce dall’esaurimento del Pd, partito unico del riformismo, così come lo abbiamo concepito e vissuto finora. Il popolarismo è l’antitesi del populismo, il suo più diretto e attrezzato antemurale, la sua “decostruzione” morale e politica. Ma può il popolarismo sopravvivere nei limiti angusti di una esortazione o di una memoria?

Zingaretti rassicura sulla direzione di marcia. “Nell’Appello di un secolo fa si possono cogliere grandi temi profetici e fecondi, che devono continuare a liberare energie e che, soprattutto, ci impegnano a non restare alla finestra quando tutto sembra difficile, fragile o incomprensibile”. Sono parole impegnative, anche autocritiche per molti aspetti. Ma siamo sicuri che bastino? Si potrebbe dire, meglio tardi che mai. Ma la conversione di San Paolo è un difficile modello da perseguire.

Bisogna sempre evitare di aggrapparsi astutamente alle circonlocuzioni di comodo perché non rappresentano una risposta alla crisi del Pd, né tanto meno un viatico di ritrovata energia per i Popolari impegnati in questo partito. Ci vuole una svolta vera, per ricostruire le ragioni di una cooperazione allargata tra i riformisti di varia matrice. In mancanza di tale svolta, ideale e politica, il rischio è la caduta irrimediabile di un progetto pur nelle sue origini tanto ambizioso.

Il richiamo a Sturzo esige una schietta verifica, senza infingimenti e retorica, delle condizioni di sussistenza del “fattore popolare” nella vita reale del nuovo Pd. Facciamo in modo che nell’imminente congresso ci sia un vero cambiamento.

Nasce l’assemblea parlamentare franco-tedesca

Il 22 gennaio prossimo, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Angela Merkel firmeranno ad Aquisgrana un nuovo trattato di cooperazione e integrazione tra Francia e Germania. La nuova intesa tra Parigi e Berlino, spiega il quotidiano francese “Les Echos”, sarà complementare al trattato dell’Eliseo, firmato il 22 gennaio 1963 dal presidente francese, Charles de Gaulle, e dal cancelliere tedesco, Konrad Adenauer. Con il trattato di Aquisgrana, si legge su “Les Echos”, Francia e Germania intendono dare “una nuova dimensione alla loro cooperazione”.

L’obiettivo è quello di rendere la Germania e la Francia il “laboratorio di una grande convergenza europea” nei settori dell’economia, della fiscalità e delle politiche sociali.

Macron e Merkel rafforzeranno anche la collaborazione tra i rispettivi paesi in politica internazionale, “per arrivare a parlare con una sola voce al di fuori delle frontiere” di Francia e Germania. Il trattato di Aquisgrana prevede, inoltre, l’istituzione a febbraio prossimo di un’Assemblea parlamentare franco-tedesca composta da 100 rappresentanti, 50 francesi e 50 tedeschi.

 

Viaggio tra gli italiani all’estero

Articolo estratto dalla rivista “il Mulino” n. 6/18 a firma di Bruno Simili

Secondo le stime ufficiali, gli italiani residenti all’estero al primo gennaio 2018 erano più di 5 milioni (5.114.469). Emigrati o figli di emigrati che hanno raggiunto i quattro angoli del pianeta nel corso dei decenni, sulla scia della grande epopea migratoria che, dalla fine dell’Ottocento agli anni Sessanta del secolo scorso, ha visto un gran numero di persone, spesso famiglie intere, lasciare l’Italia alla ricerca di condizioni di vita migliori di quelle che il loro Paese di origine poteva offrire. La crescita economica e le nuove opportunità che si presentarono agli italiani del miracolo economico aveva poco alla volta ridotto quella che un tempo era stata un’ondata di piena. Si pensi che in soli quarant’anni, tra il 1876 e il 1915, lasciarono l’Italia quasi 10 milioni di persone, un dato che allargato a un intero secolo (1876-1975) arriva a superare i 25 milioni tra Europa e Americhe (di cui 11 milioni e mezzo solo per l’emigrazione diretta verso il continente americano).

Si tratta dunque di un fenomeno di lunga durata, accompagnato dalla nascita di vere e proprie comunità di italiani espatriati, che per il loro numero hanno via via attirato anche l’attenzione della politica di casa nostra, spesso in modo non propriamente edificante e con molte polemiche, in particolare in prossimità di un voto politico o di un referendum. In tempi recenti, l’emigrazione italiana all’estero è stata per lo più assente dal dibattito nazionale; almeno fino a quando ha ripreso a salire, a partire dal 2010, quindi un paio d’anni dopo l’esplosione della crisi finanziaria ed economica che ha segnato, e ancora segna, il tessuto socioeconomico del nostro Paese. Da quel momento l’emigrazione è ripartita. Purtroppo, e non solo in Italia, i dati disponibili sui fenomeni migratori sono assai poco uniformi e non sempre del tutto affidabili. Si può considerare il numero complessivo degli italiani residenti in un determinato Paese. Oppure osservare i flussi di coloro che rinunciano a una residenza in Italia in favore di una residenza all’estero. Ma anche in questo caso risulta difficile procedere in maniera ordinata e compiere confronti.

Anche limitandosi ai dati degli iscritti Aire (l’Associazione degli italiani residenti all’estero), l’aumento delle uscite negli ultimi dieci anni è comunque evidente. Nel 2007 si registrano circa 36 mila persone verso l’estero. Un dato che nel 2011 già sale a 50 mila, per superare nel 2017 le 128 mila unità.

A partire da qualche anno, dunque, la dimensione del fenomeno ha fatto sì che di emigrazione italiana si tornasse a parlare, nonostante il dibattito nel frattempo si sia concentrato prevalentemente sugli arrivi, dunque sugli immigrati, anziché sulle partenze. Ma se di emigrazione si è ricominciato a parlare lo si è fatto soprattutto in termini di «fuga dei cervelli». E soprattutto in relazione alla fasce più giovani della popolazione. Non a caso: da un lato infatti la disoccupazione giovanile è cresciuta enormemente (passando dal 20,3% nel 2007 al 37,3% nel 2013, per poi ridiscendere un poco verso valori che oggi si attestano intorno al 33%), e al suo interno è cresciuta la cosiddetta disoccupazione intellettuale. Dall’altro lato, tra chi lascia il Paese cresce la quota dei più istruiti: se nel 2005 gli emigrati laureati erano il 15%, tra il 2013 e il 2016 essi hanno raggiunto il 24%, un dato che tocca il 30% se si guarda alla fascia di età 25-44 (e oltre il 35% considerando solo le donne). Dunque cresce il numero di italiani che lasciano il Paese – un fenomeno il cui allarme, tuttavia, secondo alcuni andrebbe ridimensionato osservando tendenze analoghe in altri Paesi europei – e cresce in proporzione il numero di chi ha alle spalle un percorso formativo più lungo e qualificato. Tuttavia, questa visione dell’emigrazione italiana contemporanea rischia di lasciare in ombra tutti gli altri, coloro che hanno lasciato il Paese con in tasca un diploma o, in non pochi casi ancora oggi, la sola licenza media.

Sulla scorta del Viaggio in Italia pubblicato lo scorso anno, questo Viaggio tra gli italiani all’estero cerca di dare uno sguardo il più possibile d’assieme di un fenomeno che, come si è detto, è assai variegato, difficile da cogliere e molto spesso presentato per stereotipi. Entrambi i Viaggi sono uniti dal proposito di descrivere l’Italia e gli italiani cercando di rendere il senso di una realtà piena di sfaccettature, che non si lascia ridurre a semplici contrapposizioni. La nuova emigrazione tocca tutti da vicino. Sia perché, come ci ricorda Maddalena Tirabassi, «più o meno direttamente tutta la popolazione italiana ha avuto un’esperienza migratoria e più o meno chiunque di noi oggi conosce – perché parente, amico, collega, compagno – qualcuno che ha deciso di lasciare l’Italia per trasferirsi all’estero». Sia perché non si può trascurare la decisione di vivere altrove presa da un numero crescente di persone che, in ragione della loro età, dovrebbero costituire l’architrave del Paese in cui sono nati. Non è soltanto la tanto citata «fuga dei cervelli» che viene analizzata in questo volume. Ma più in generale una nuova emigrazione – o, se si preferisce, una diversa e più vivace mobilità, quella di cui ci parla qui Piero Bassetti, con uno sguardo meno pessimistico – spesso non caratterizzata da lavori altamente qualificati che coinvolgono però anche persone con un livello di istruzione medio-alto.

Quella del «Mulino» è una tradizione di analisi, che anche in questo volume – un monografico che segna il numero 500 della rivista, uscita senza interruzioni a partire dal 1951 – viene confermata grazie al lavoro di alcuni dei principali esperti di emigrazione italiana. Dopo l’introduzione affidata a Enrico Pugliese, una prima parte di contributi, aperta dalla lettura storica di Maddalena Tirabassi, analizza nelle sue diverse sfaccettature l’emigrazione italiana contemporanea. Una terza parte presenta le diverse forme di autonarrazione (nel secolo del grande esodo, quando si scrivevano lettere e memorie, spesso senza alcuna consapevolezza che un giorno qualcuno le avrebbe lette; in questi anni Duemila, ricorrendo ai social network e ai blog, consapevoli viceversa che un pubblico ci sarà comunque) e ripercorre alcune forme di racconto cinematografico dell’emigrazione italiana.

Del tutto nuova nell’impostazione è invece la seconda parte. Suddivisi per area geografica – e preceduti da un breve capitolo di inquadramento delle caratteristiche migratorie nei diversi Paesi – quaranta italiani che hanno scelto di vivere all’estero si raccontano in altrettante storie autobiografiche. Le motivazioni all’origine del trasferimento, l’arrivo, la ricerca di una casa e di un lavoro, le difficoltà con la lingua, i primi contatti con la comunità ospitante, il processo di inserimento e l’evoluzione del percorso migratorio, i rapporti con l’Italia e la famiglia di origine sono solo alcuni dei temi che ciascuno di loro tratta nel riportare la propria esperienza migratoria. Sono storie anche molto diverse, ognuna speciale a suo modo, dove abbiamo cercato di comprendere il maggior numero possibile di casi, raggruppandoli per Paese di destinazione in base alle mete preferite in Europa, ma anche considerando alcuni Paesi europei di nuova emigrazione e, naturalmente, l’emigrazione extraeuropea.

Nel raccogliere le varie testimonianze si è scelto di includere più livelli di formazione e professionalizzazione. Ogni contatto è stato preceduto da diversi scambi di mail e messaggi e da vari colloqui. Anche per noi, come è per loro nei rapporti con i parenti rimasti in Italia, l’aiuto di Skype e WhatsApp è stato fondamentale. Non sempre è stato facile darsi un appuntamento: chi lavora in un ufficio più spesso riusciva a trovare una mezzora di tempo lungo la giornata. Chi lavora in un cantiere o nella ristorazione, viceversa, il più delle volte preferiva un colloquio di prima mattina o a tarda sera. In qualche caso abbiamo disturbato le persone nella loro intimità familiare – e di questo ancora una volta ci scusiamo – in altri durante una pausa nel turno di lavoro.

A ogni modo, da tutti abbiamo ricevuto una grande disponibilità. All’inizio non lo davamo per scontato: mettere in pubblico la propria vita, seppure per sommi capi, soprattutto accettando di raccontare non solo i successi e le soddisfazioni ma anche le difficoltà e i fallimenti, non è facile. Ci sono infatti storie di crescita, altre di arretramento. Storie nate in base a nuovi, forti legami affettivi, altre decise in base a un promettente percorso professionale. Qualcuno, dopo un’esperienza più o meno lunga all’estero, è rientrato in Italia. Ma per quasi tutti la vita ha preso una strada che poco alla volta li ha allontanati dal Paese in cui sono nati e cresciuti. La loro scelta, il più delle volte definitiva e il più delle volte motivata da difficoltà riscontrate in Italia a trovare un’occupazione degna, a costruire un proprio percorso famigliare, è un segno da prendere molto sul serio – ci pare – di un declino italiano che, per essere arrestato, richiederebbe una visione che possa ridare fiducia nel futuro. Quel futuro che in tanti oggi scelgono di cercare altrove.

Vittorio Veneto: un progetto della Caritas per trovare lavoro e recuperare dignità

Trovare lavoro e recuperare dignità: questi gli obiettivi con cui è nato il Progetto inserimento lavorativo promosso dalla Caritas di Vittorio Veneto. Grazie a questo progetto, nel triennio 2016-2018 dodici persone disoccupate tra i 25 e i 60 anni (undici uomini e una donna) hanno trovato un lavoro e ora hanno una sicurezza economica e la ritrovata soddisfazione di mettere a frutto le loro capacità. Non solo. Altre 22 persone (14 uomini e 8 donne) hanno avuto la possibilità di ripartire grazie al tirocinio pagato di 400 ore.

In tre anni il Progetto inserimento lavorativo (Pil) ha investito 67.227 euro, serviti pagare i tirocinanti con delle “borse lavoro”. In gran parte sono risorse di Caritas Vittorio Veneto, il resto arriva dai Comuni che hanno scelto di aderire al programma a beneficio di loro residenti. Spicca, in particolare, il contributo del Comune di Ceggia, unica realtà coinvolta al di fuori della provincia di Treviso, ma sempre nel territorio della diocesi di Vittorio Veneto.

“Sappiamo – dicono da Caritas Vittorio Veneto – che i numeri del Progetto inserimento lavorativo sono piccoli, e che non sono la sola soluzione alla sofferenza di chi è povero nel territorio diocesano, e non sono pochi. Sono però piccoli risultati concreti, in un periodo economicamente non roseo, che aiutano alcune persone e le loro famiglie a ripartire con più speranza”.

Intelligenza artificiale: una piattaforma a richiesta con 20 milioni di euro di fondi europei

A Barcellona, con l’incontro dei partner del progetto, prende il via “AI4Eu”, che riunisce 79 istituti di ricerca di alto livello, Pmi e grandi imprese di 21 diversi Paesi per creare un polo di attrazione delle risorse riferite all’intelligenza artificiale, compresi i settori di dati, la potenza di calcolo, gli strumenti e gli algoritmi. L’iniziativa offrirà servizi e sostegno ai potenziali utilizzatori della tecnologia aiutandoli a testare e a integrare soluzioni di IA nei loro processi, prodotti e servizi. “AI4Eu”, una piattaforma aperta e collaborativa, offrirà anche corsi per il miglioramento delle competenze e la riqualificazione. Il gruppo del progetto lavorerà in stretta collaborazione con i poli d’innovazione digitale per la robotica e con la futura rete dei centri di eccellenza per l’intelligenza artificiale al fine di agevolare ulteriormente l’accesso tecnologico.

“L’Europa può sfruttare appieno i vantaggi offerti dalle innovazioni dell’IA solo se questa tecnologia è facilmente utilizzabile da tutti – hanno dichiarato il vicepresidente della Commissione responsabile per il Mercato unico digitale, Andrus Ansip, e il commissario responsabile per l’Economia e la società digitali, Mariya Gabriel –  Il progetto ‘AI4Eu’contribuirà ad avvicinare l’intelligenza artificiale alle piccole imprese, alle imprese non tecnologiche e alle amministrazioni pubbliche di tutta Europa”.

Il progetto, che vede capofila l’impresa francese Thales, riceverà un finanziamento complessivo di 20 milioni di euro nei prossimi tre anni. La piattaforma sarà istituita nel corso del 2019. Il 25 aprile 2018 la Commissione aveva presentato la sua strategia in materia d’intelligenza artificiale annunciando lo sviluppo della piattaforma di IA a richiesta. Complessivamente la Commissione ha aumentato gli investimenti in ricerca e innovazione nell’IA portandoli a 1,5 miliardi di euro per il periodo 2018-2020 nell’ambito del programma Horizon 2020. Sulla base della sua strategia, a dicembre la Commissione ha presentato un piano coordinato per promuovere la cooperazione con gli Stati membri dell’Ue, la Norvegia e la Svizzera in quattro ambiti chiave: aumento degli investimenti; accessibilità a un maggior numero di dati; promozione del talento; salvaguardia della fiducia. Entro la fine del prossimo anno gli investimenti pubblici e privati totali nell’Ue raggiungeranno oltre 20 miliardi di euro.

I 500 di Leonardo Da Vinci e Cosimo I de’ Medici

Nel 2019 ricorrono due cinquecentenari importanti, entrambi ragguardevoli per la storia di Firenze: la morte di Leonardo da Vinci e la nascita di Cosimo I de’ Medici. I due accadimenti datano alla primavera inoltrata del 1519. Il 2 maggio moriva ad Amboise Leonardo e il 12 giugno a Firenze nasceva Cosimo.

S’è ritenuto che i due anniversari meritassero d’essere rammentati nel consueto ciclo d’incontri all’Antica Canonica di San Giovanni.

Per questo l’Opera di Santa Maria del Fiore promuove un ciclo di incontri, a cura di Antonio Natali e Sergio Givone, dal titolo UMANESIMO E ‘MANIERA MODERNA’.

Dieci le conferenzela prima delle quali il prossimo 15 gennaio (ore 17) a cura di Luca Bagnoli che parlerà di La fabbriceria di Santa Maria del Fiore tra storia, diritto e azienda.

Per Leonardo saranno i pensieri (vale a dire le trame e i contenuti illustrati) a prevalere sulla lingua figurativa; della quale, d’altra parte, comunque si ragionerà.

Di Cosimo I sarà invece commentato lo spessore intellettuale che informò il suo collezionismo archeologico.

Dal 16 gennaio scattano i dazi europei sul riso asiatico

La prossima settimana scattano i dazi nei confronti delle importazioni di riso proveniente dalla Cambogia e dalla Birmania. Lo rende noto la Coldiretti nell’esprimere soddisfazione per l’avvio da parte della Commissione Ue della procedura di approvazione che, salvo colpi di scena si concluderà mercoledì 16 gennaio 2019 a seguito dell’adozione del regolamento con procedura scritta per l’entrata in vigore il giorno successivo la pubblicazione.

Viene in particolare previsto un periodo di reintroduzione dei dazi solo sul riso indica lavorato per un periodo non superiore a tre anni, con un valore scalare dell’importo stesso da 175 euro a tonnellata nel 2019, 150 euro a tonnellata nel 2020 e 125 euro a tonnellata nel 2021; una proroga è possibile ove sia giustificata da particolari circostanze.

Si conclude cosi’ una vicenda durata troppo tempo ed avviata formalmente il 16 febbraio 2018, quando l’Italia aveva presentato su sollecitazione della Coldiretti a Bruxelles richiesta a Bruxelles per il ripristino dei dazi invocando la clausola di salvaguardia prevista dalle norme europee nel caso i regimi commerciali preferenziali Ue per i paesi poveri creino difficolta’ ai produttori europei.

Piccoli lettori, grandi visioni

Con “Nati per leggere” fino al 25 gennaio un viaggio in 6 tappe per promuovere la lettura ad alta voce rivolta a bambini da 0 a 6 anni.

Il progetto “Piccoli lettori, grandi visioni. La promozione della lettura attraverso le biblioteche del Lazio: Nati per Leggere … e oltre”, è curato dalla Sezione Lazio dell’AIB – Associazione italiana biblioteche e finanziato dalla Regione Lazio e si svolgerà in 6 biblioteche selezionate su tutto il territorio.

Incontri e corsi di formazione. In particolare, nell’ambito dell’iniziativa si terranno due corsi di formazione per volontari del programma Nati per Leggere, condotti dal Coordinamento regionale NpL, e quattro incontri con scrittori per l’infanzia ed esperti del Programma NpL. La mattina saranno coinvolti i bambini delle scuole dell’infanzia e nel pomeriggio un pubblico più ampio, per sensibilizzare gli adulti sull’importanza della lettura sin dalla primissima età.

Sarà inoltre presentato il BiblioHub, la biblioteca itinerante dell’Associazione italiana biblioteche: un veicolo mobile di diffusione di cultura, informazione e socialità, presentato alla 15° Biennale di Architettura Venezia e poi in Sicilia e a Roma nell’ambito delle iniziative del Bibliopride – Giornata nazionale delle biblioteche 2018. Nel suo itinerario attraverso le province laziali che partirà da San Lorenzo Nuovo (VT), passerà per Contigliano (RI), Ladispoli e Genzano (RM), Latina e S. Andrea del Garigliano (FR): insieme al messaggio di promozione della lettura, il BiblioHub porterà anche libri e materiali in dono per le biblioteche partecipanti al progetto.

BiblioHUB è una struttura mobile polifunzionale e multimediale di informazioni e servizi al cittadino, punto di prestito di libri, vetrina di bookcrossing, laboratorio ludico-didattico per bambini e luogo d’incontro e di socializzazione. Il truck, una biblioteca mobile su ruote, è progettato come uno “scrigno” che si apre e si espande negli spazi urbani per portare la biblioteca dentro il territorio. BiblioHUB vuole avvicinare i cittadini alla ricca offerta culturale e di servizi che la biblioteca è oggi in grado di proporre. La forte vocazione pubblica del mezzo è richiamata dall’illustrazione dell’artista Guido Scarabottolo, realizzata mediante microforature sulla facciata principale dove sono rappresentati una molteplicità di “auto-ritratti” di utenti delle biblioteche pubbliche.

Una spugna nel sangue per ripulirlo dai farmaci chemioterapici

Una minuscola spugna che assorbe dal sangue i residui della chemioterapia: è la soluzione sperimentata dai ricercatori dell’università della California di Berkeley per rendere meno tossico per il corpo la terapia contro i tumori, come spiega lo studio pubblicato sulla rivista Acs Central Science. La spugna viene posta dentro una vena, dove rimuove dal flusso sanguigno l’eccesso di farmaci chemioterapici, una volta che hanno attaccato il tumore. Viene stampata in 3D e quindi può essere adattata al paziente, ed è ricoperta da uno strato speciale che assorbe il farmaco ma lascia fluire il sangue senza problemi. La speranza è che possa evitare alcuni effetti collaterali della chemio, come la nausea e la perdita di capelli.

Finora è stata testata sui maiali, in cui è riuscita a rimuovere dal sangue il 64% di un farmaco, e non dovrebbe avere perdite una volta che viene tolta dal corpo. Andrebbe inserita durante la chemioterapia e rimossa alla fine di ogni sessione. I ricercatori guidati da Nitash Balsara vogliono sperimentarla presto sull’uomo, perché i primi risultati sono promettenti. Il che, se tutto va bene, potrebbe accadere in un paio d’anni.

Congo, Touadi: “Voto storico, nuovo presidente senza violenza”