Expo 2030, la sconfitta occasione di crescita per Roma, l’Italia e l’UE.

La vittoria di Riad ci deve insegnare che se l'Europa, in un mondo in cui tutti si organizzano, continua ad agire divisa, va incontro a sicuri insuccessi.

Anche se oggi è the day after, il giorno della delusione per la sconfitta di Roma e del Paese nell’assegnazione di Expo 2030, andato a Riad, capitale dell’Arabia Saudita, occorre evitare che a prevalere siano le polemiche rispetto alla capacità di leggere cosa può dirci questa vicenda in rapporto ai cambiamenti in atto nel mondo, in modo da poter reagire per collocarsi da protagonisti nella nuova epoca della multipolarità.

Certo, sarà utile capire se si poteva fare meglio, soprattutto nella scelta dei tempi, prima di coinvolgere la Capitale in una competizione per un grande evento globale, in una fase in cui molte nazioni orma uscite dal sottosviluppo, scalpitano per ottenere traguardi che in passato erano riservati al mondo ricco.

Altrettanto opportuna appare una riflessione, stimolata dai giudizi espressi a caldo, dopo la votazione della 173ª assemblea generale del Bureau International des Expositions (Bie), dall’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente del Comitato promotore Roma Expo 2030, che ha parlato di “metodo transazionale, non transnazionale” nella scelta, chiedendosi fino a che punto possa arrivare il “principio della deriva mercantile” nelle scelte della comunità internazionale.

Ma credo che il messaggio più importante che ci arriva da questa sonora sconfitta uscita dal voto dei delegati del Bie a Issy-Les-Molineaux, consista nel fatto che se l’Europa, in un mondo in cui ormai vi sono soggetti nazionali e sovranazionali di dimensioni enormi, continua ad agire divisa, va incontro a sicuri insuccessi. Paesi membri, come la Francia ad es., che hanno dichiarato il loro voto per Riad, non hanno fatto solo un dispetto a un Paese vicino, ma anche a loro stessi perché hanno contribuito a indebolire il ruolo dell’Unione Europea nel mondo.

E per quanto la geopolitica dei grandi eventi non sia del tutto sovrapponibile a quella dei blocchi, è però un fatto che la maggioranza dei Paesi che ha votato ieri in misura schiacciante per l’Arabia Saudita, appartiene non al West bensì al Rest, ovvero al Resto del Mondo, mentre la gran parte dei Paesi che hanno votato, in ordine, per la coreana Busan e per Roma appartengono all’Occidente.

Si è trattato, insomma, di un’altra dimostrazione del fatto che, non solo per i grandi eventi ma in tutti i campi, l’Europa e l’intero campo occidentale per contare devono cambiare schema, interagire con le altre parti anziché cullare l’illusione di esser da soli sempre e comunque decisivi.

Occorre perciò saper trasformare la débâcle di Expo 2030, in una occasione di stimolo per capire dove va il mondo e reagire. Roma e l’Italia hanno potenzialità uniche per collocarsi da protagonisti nella nuova epoca che va interpretata e non pregiudizialmente osteggiata, seppur anche riservandosi il diritto di criticarla nei suoi aspetti più discutibili ma senza più assumere i toni da primi della classe nei confronti degli altri popoli, delle altre culture, addirittura di altri sistemi politici purché siano impegnati, anche con modalità molto diverse da quelle che possiamo concepire, nel rispetto della dignità umana e nello sviluppo integrale di ogni loro cittadino.

In particolare chi attinge alla cultura politica cattolico democratica e popolare, chi sente l’attualità dell’eredità politica di figure attentissime ai cambiamenti come Aldo Moro, come Enrico Mattei, chi cerca di ispirarsi all’inserimento sociale della Chiesa, che è rivolto al mondo intero, dovrebbe sentirsi ancora più attrezzato e motivato nel raccogliere la sfida di come posizionare Roma, l’Italia, l’Unione Europea e la civiltà occidentale in un mondo che sta divenendo sempre più ricco di protagonisti.