Il ruolo eminente di Donat-Cattin nella vita politica del nostro Paese

Discorso pronunciato il 15 marzo in occasione della presentazione alla Camera dei Deputati del volume (“Archivio Carlo Donat-Cattin - 1930-1991”) che raccoglie documenti e testimonianze sul leader della sinistra sociale.

Sono grato alla “Fondazione Carlo Donat-Cattin” che mia ha ancora una volta offerto l’opportunità di ricordare Carlo e vorrei ringraziare Claudio e Mariapia per l’attento e prezioso impegno che profondono nella custodia e nella diffusione della sua eredità ideale.

Diversi anni fa la Camera dei deputati aveva voluto rendere a Donat-Cattin il proprio tributo con la pubblicazione dei discorsi parlamentari, a testimonianza della sua lunga presenza nella vita del Parlamento in qualità di deputato, senatore e rappresentante del Governo.

Oggi, questo nuovo e prezioso volume ci consente di approfondire ulteriormente la sua intensa esperienza umana e politica offrendoci la testimonianza viva della sua personalità e del suo impegno straordinario al servizio del Paese.

Se infatti c’è una figura che, nella seconda metà del Novecento, ha rispecchiato le sollecitazioni e l’inquietudine del mondo cattolico, politico e sindacale, questa è proprio quella di Carlo Donat-Cattin, parlamentare dal 1958, più volte ministro e leader di Forze Nuove, una delle più significative correnti della Dc per i suoi ancoraggi col mondo del lavoro. 

Mi piace ricordarne la forza carismatica, la straordinaria vitalità, la profondità del pensiero politico e del rigore morale, la passione e lo spirito battagliero profusi nella difesa delle sue idee. Doti che spiegano il fascino speciale esercitato da Donat Cattin su tanti giovani della sua parte politica, ma anche il rispetto di cui egli ha goduto tra i suoi avversari.

Tutti sappiamo quanto vivace e appassionato sia stato il rapporto suo con il partito, della cui direzione nazionale egli fece ininterrottamente parte dal 1959 alla morte. Rimangono celebri le sue battaglie all’interno della Dc per un partito di liberi e uguali, contro tutti i tentativi tesi a escludere le minoranze e a comprimere il dibattito.

Un partito votato al confronto, a garantire spazi democratici e a conservare la sua profonda identità popolare.

Come pochi altri, egli riuscì a cogliere il nucleo essenziale dei valori cui si legava l’identità e la forza della Democrazia Cristiana nel nostro Paese: il popolarismo (mai confuso con il populismo), la lezione sturziana della priorità della società rispetto allo Stato, la conquista della dimensione laica della politica rifiutando ogni subalternità acritica alle posizioni della Chiesa, il carattere di partito interclassista.

Non a caso Donat-Cattin fu il più tenace oppositore dell’esperimento Tambroni, critico della strategia antidivorzista di Fanfani, convinto solo in parte della strategia di collaborazione con il Pci che, dopo la tragica scomparsa di Aldo Moro, non esitò a considerare definitivamente chiusa, elaborando il preambolo che interrompeva la stagione della solidarietà nazionale.

Per ben diciassette anni Donat-Cattin è stato titolare di delicati incarichi di governo, legando il suo nome soprattutto ai dicasteri del lavoro e dell’industria, di cui portò la responsabilità durante stagioni di intensa conflittualità sociale e di forte ideologizzazione dei problemi.

Forte delle sue capacità di mediazione – frutto della lunga esperienza sindacale sul campo – di grande equilibrio e lucidità, riuscì a far compiere all’Italia passi importanti sulla strada dello sviluppo e della modernizzazione.

Nei lavoratori e nelle categorie sociali ed economiche più deboli e nelle loro richieste di emancipazione, di crescita e di riconoscimento di autonomia e di protagonismo, Donat-Cattin ha sempre visto l’impegno a concretizzare gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa. 

Per questo non mancò di scontrarsi spesso con il Pci, di cui rispettò sempre la caratura sociale, ma del quale temeva i riflessi sulla libertà e la dignità della persona umana, messe a repentaglio dal totalitarismo dell’ideologia marxista, e al quale contestava con convinzione il monopolio che pretendeva di esercitare sul mondo operaio. “La Democrazia Cristiana è partito di operai, di contadini, di intellettuali, di lavoratori. Insomma, è un partito di popolo“, scriveva in un articolo del 31 maggio del 1945. 

Fu questa la preoccupazione che lo spinse a una durissima battaglia – fino a minacciare la dimissione dalla DC – per impedire la candidatura del senatore Umberto Agnelli nel collegio piemontese, in quegli stessi collegi in cui la Fiat aveva i suoi insediamenti sociali. 

Uomo della Prima Repubblica, fu strenuo difensore del sistema proporzionale, contro le sirene del maggioritario che, nella seconda metà degli anni ’80, cominciavano a farsi sentire e convinto assertore del ruolo dei partiti come canali di partecipazione democratica, aperti a tutti i cittadini ma soprattutto alle classi più svantaggiate, “le sole“, diceva, “che abbiano veramente bisogno della politica“. 

Attraverso le pagine di questo volume possiamo dunque ripercorrere la sua storia nel segno di ideali e valori che la rendono ancora oggi molto preziosa, e cogliere una grande lezione: l’aver compreso che i temi della socialità, della solidarietà, della difesa dei più deboli, della rappresentanza dei lavoratori non sono patrimonio esclusivo di questa o di quella parte politica, ma debbono essere affermati e difesi con determinazione e con equilibrio nell’interesse della crescita, dello sviluppo e della coesione di tutta la comunità nazionale.

Di Donat-Cattin si possono apprezzare o meno i metodi di azione, le idee, i percorsi prefigurati per orientare il Paese sulla via della crescita, della solidarietà e della giustizia. Ma se ci si approccia alla politica con autentico spirito di servizio, non si può non condividere la sua visione di fondo: una visione coraggiosa della politica, intesa come ricerca del bene comune, come luogo in cui si compongono ideali, valori ed interessi, in cui ritroviamo il senso dello Stato, l’etica dei diritti e dei doveri, la fiducia nella libertà e nella democrazia e in cui la concretezza del lavoro quotidiano prevale sulla forza attrattiva dei proclami e degli slogan.

Per questo mi auguro che la Fondazione che porta il suo nome, possa continuare a preservarne la memoria e diffonderne il patrimonio ideale e politico, facendone alimento del progresso civile dell’Italia e di tutti gli italiani.