Le candidature non s’improvvisano, ecco il tarlo dei partiti personali.

Il metodo adotato per le europee non cambia: designazione dei potenziali eletti e poi la corte dei miracoli che deve completare la lista con strabilianti ed alquanto fragili promesse future.

Quando c’erano i partiti, e lo dico senza alcuna tentazione nostalgica – cioè quei luoghi politici dove si definivano i progetti programmatici e di governo, si elaborava cultura e si contribuiva a costruire classi dirigenti – le candidature ai vari livelli istituzionali venivano pianificate con intelligenza, equilibrio, prudenza e rispetto. Insomma, con le categorie che all’interno dei partiti erano dei criteri naturali per valutare e studiare insieme le migliori candidature per le varie consultazioni elettorali.

Ma, con l’avvento dei ‘partiti personali’ e ‘del capo’ quel percorso è stato semplicemente sostituito dalla improvvisazione, dalla casualità e dall’avventurismo. Ovvero, sul versante della Camera e del Senato le candidature si risolvono facilmente, complice un sistema elettorale che prevede solo la “nomina” anzichè l’elezione. E quindi, e di conseguenza, l’unico ed esclusivo criterio è quello della “fedeltà” al capo o al proprietario del partito. Nessun altro criterio è ammesso, come conferma in modo persin plateale l’esperienza concreta delle ultime elezioni politiche nazionali.

Altro discorso, invece, riguarda le consultazioni elettorali disciplinate dal ricorso alle preferenze multiple. Penso, nello specifico, alle prossime elezioni europee. Su questo versante, con l’incognita sino all’ultimo della prospettiva politica – quindi della concreta organizzazione della lista con cui ci si presenta di fronte agli elettori – che viene decisa scientificamente dal capo del partito, il criterio che viene seguito è quello della cosiddetta “pesca a strascico”. 

O meglio, prima si definiscono a tavolino chi deve essere eletto in quelle mega circoscrizioni – frutto di un mix di risorse finanziarie stanziate, conoscenza e pubblicità del candidato ed equilibrio politico all’interno della lista – e poi si passa a riempire la medesima lista chiedendo a destra e a manca le eventuali disponibilità. Il tutto attraverso il criterio del “chi c’è c’è” senza badare a nessuna valutazione politica, culturale, territoriale o meritocratica. Non a caso, la richiesta di candidature avviene all’ultimo senza alcuna pianificazione e, purtroppo, senza tenere conto della specificità, della valenza e della qualità del singolo candidato/candidata.

Ecco perché anche nella preparazione di questa tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo abbiamo assistito a questo triste ed avvilente spettacolo. Certo, va dato atto che nei partiti non personali – o non eccessivamente personali – come il Pd, Forza Italia e gli stessi Fratelli d’Italia, la formazione delle liste è avvenuto attraverso una seppur timida consultazione della base del partito e dei rispettivi territori. 

Per quanto riguarda il resto dello scacchiere politico italiano, il tutto è avvenuto attraverso il solito metodo. Ovvero, e lo ripeto, designazione dei potenziali eletti e poi la corte dei miracoli che deve completare la lista con strabilianti ed alquanto fragili, se non ridicole e grottesche, promesse future. Perché questa, appunto, è la prassi concreta ed usuale dei partiti personali e del capo che erano, sono e restano il tarlo che corrode le fondamenta della nostra democrazia, che indebolisce la politica e incrina la stessa credibilità delle varie istituzioni democratiche.