Nel Pd i riformisti si trovano di fronte a un bivio

È indubbio che il nuovo corso politico, culturale, valoriale e programmatico del Pd di Elly Schlein è semplicemente alternativo rispetto alla cultura riformista di matrice cattolico democratica e popolare.

Ci sono dei momenti nella vita politica dei partiti dove è utile mettere in campo alcune categorie che, purtroppo, scarseggiano nella politica contemporanea rispetto a quella praticata nel passato. Mi riferisco, nello specifico, alle categorie della coerenza e del coraggio. Due elementi, appunto, che nelle fasi di crisi della politica e della sua rappresentanza stentano a trovare una vera e credibile cittadinanza. Perché, il più delle volte, prevalgono altre derive: e cioè, la subalternità al pensiero dominante, l’accomodamento passivo e la rinuncia a svolgere un ruolo politico e culturale decisivo e qualificante perchè sacrificato sull’altare della convenienza personale o di corrente.

 

È il caso dei cosiddetti “riformisti” all’interno del Partito democratico. Riformisti di diversa provenienza culturale, in particolare quelli di matrice cattolico popolare, laica e liberale. Ora, al di là dei vari gossip e retroscena che leggiamo al riguardo sui vari organi di informazione, è indubbio che il nuovo corso politico, culturale, valoriale e programmatico del Pd della Schlein è semplicemente alternativo rispetto a quella cultura riformista. E questo per la ragione che il nuovo Pd, come non si stanca di ripetere la segretaria nazionale del partito, ha una impronta politica sufficientemente chiara per non essere immediatamente percepita: e cioè, si tratta di un partito di sinistra – il che è del tutto naturale nonché scontato – radicale, estremista, massimalista e libertario. Profilo ovviamente legittimo ma che segna dei confini politici ben precisi e che, al contempo, delimita rigorosamente chi può riconoscersi in quella comunità. O, meglio ancora, chi può riconoscersi in quel progetto politico. Dopodiché, saranno sempre e solo i cittadini elettori a decidere la bontà e l’efficacia, o meno, di quel progetto politico, culturale e di governo elaborato dalla Schlein e dal suo staff.

 

Comunque sia, quello che certamente emerge, al di là della propaganda e delle chiacchiere, è molto semplice. Ovvero, tutti coloro che formalmente e sostanzialmente non si riconoscono in un partito che declina una linea politica ispirata ad una sinistra radicale, massimalista e libertaria hanno di fronte tre sole strade da percorrere: abbandonare per coerenza personale quel partito e intraprendere un percorso politico più credibile per rispetto della propria cultura; continuare a restare opportunisticamente in un partito estraneo alle proprie radici per motivi di mero potere personale e di gruppo o, in ultimo, fingere che non sta capitando nulla e rinunciare così organicamente e oggettivamente a giocare qualsiasi ruolo politico all’interno di quel partito.

 

Ecco perché è giunto il momento per fare chiarezza anche all’interno del principale partito della sinistra italiana. Una chiarezza che non deve affatto fare Elly Schlein che, coerentemente, ha vinto le primarie del Pd attorno ad un progetto politico chiaro, definito ed inequivoco e adesso lo declina concretamente con il suo profilo, la sua personalità e il suo metodo. Detto questo, la sfida riguarda tutti coloro che manifestano ed ostentano un piagnisteo quotidiano e poi, silenziosamente ed opportunisticamente, si nascondono dietro il dito della sola convenienza di potere. Perchè, se questo dovesse continuare ad essere il comportamento concreto dei vari Delrio e Guerini, si arriverebbe alla semplice conclusione che persiste una dissociazione radicale tra i propri convincimenti politici, culturali e valoriali e la concreta appartenenza ad un partito.

Per questi semplici motivi anche nel Pd è arrivato il momento della chiarezza. Politica e non personale. Per il bene e la qualità del riformismo, come ovvio, e non per il destino personale e di potere di singoli esponenti del Pd.