Sconfitto alle politiche, Martinazzoli definiva il berlusconismo come autobiografia della nazione.

Ripubblichiamo l’editoriale che, a seguito delle elezioni del 1994, il segretario del Ppi firmava per “Il Popolo”. Qui i fenomeno berlusconiano rientrava nella formula usata a suo tempo da Gobetti per il fascismo.

Il popolo ha scelto e toccherà al popolo giudicare la sua scelta alla prova dei fatti. Noi non possiamo che rispettarne il responso rimanendo coerenti sulle nostre posizioni e dunque fedeli al consenso del nostri elettori cui dobbiamo gratitudine per un voto di coraggio e di ragionevolezza.

Un ringraziamento uguale va a tutti i nostri candidati o al tanti amici che si sono prodigati in una campagna elettorale cosi impervia. Sapevano che si trattava di una battaglia senza vittorie e tuttavia l’hanno combattuta nel segno di un ideale che non vogliono spento. Si sono manifestate lì, e sono maturate, energie, intelligenze, attitudini che costituiscono un patrimonio umano consistente e resistente per il lungo cammino che attende il nuovo Partito popolare. 

Ciò che conta, adesso, é che non si disperda questa forza, che l’unità degli intenti e l’amicizia del gesti alimentino il lavoro culturale, politico, organizzativo necessario a dare regole, forma e sostanza al partito.

È un’impresa di grande respiro che esclude impazienze o improvvisazioni. C’è una nuova classe dirigente da fare crescere, ci sono esperienze insieme fresche e collaudate che potranno accompagnare e orientare un processo di cre-scita.

Tutto dipendera, però, dal modo in cui i popolari reagiranno alla condizione politica che ora li riguarda e al giudizlo che vorranno dare intorno al senso del tentativo che abbiamo messo in atto. Questi sono i tempi e le strade del partito.

Quanto alla situazione politica generale, sappiamo che – allo stato – la nostra responsabilità si contiene nell’esigua forza parlamentare che ci è toccata, inferiore alla nostra forza numerica, certo, ma questa era la regola elettorale.

C’è un vincitore di queste elezioni e si chíama Berlusconi. Si deve a lui se una destra missina, certamente in crescita ma gravata dal peso della sua origine o della sua ideologia, e un movimento leghista in crisi di assestamento sono stati trascinati al ruolo di una “grande destra”. 

Il riconoscimento di questa demiurgia illumina, peraltro, i problemi che si trascina appresso. Riguardano, questi problemi, i nodi essenziali delle democrazie moderne e, specificamente, la qualità della vocazione politica Italiana. Se il “berlusconismo” ha potuto essere definito con la formula gobettiana dell’autobiografia della nazione, occorre andare ben al di sotto della superficie iridescente del fenomeno per tornare a leggere, là dove si colloca, la consistenza storica della questione.

Questa riflessione faranno bene ad alimentarla anche i mondi cattolici, cui tocca di uscire dalla letteratura del “do-ver essere” per prendere atto di una scelta — di resistenza o di insignificanza – che li riguarda nell’attualità e nella realtà della politica.

Bisognerà pure indagare il senso che si vuole attribuire alla immagine, ormai corrente, della “seconda repubblica” spesso dichiarata come ripudio del valori storicamente fondanti della prima repubblica. Stando cosi le cose, ciò che conviene è la chiarezza: chi ha vinto ha il dovere di governare, chi ha perso ha il dovere dell’opposizione. Solo cosi, e non per una mistificazione ma nel vivo della politica, potrà illimpidirsi questa stagione democratica e tornare a formarsi l’opinione e il giudizio degli italiani su questo presente piuttosto che su un passato da rimpiangere o da maledire. 

In questa condizione, il Partito popolare è chiamato ad una prova decisiva. La sua misura, pur breve ma accentuata nella prova elettorale, non gli nega una sorte ma gli impone decisioni lucide, continuità di scelte, un lavoro accanito ed intenso. Ma poiché gli insuccessi elettorali portano, inevitabilmente, all’indugio del processi sulle responsabilità è bene che queste siano riconosclute ed accettate. Cosi è avvenuto, serenamente avvenuto. Per fedeltà.

 

L’editoriale, pubblicato su “Il Popolo” del 31 marzo 1994, aveva per titolo “La strada dei Popolari”.