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Economia: L’Istat, conferma la stima della diminuzione del Pil nel quarto trimestre 2019

Nel quarto trimestre del 2019 il prodotto interno lordo (Pil), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2015, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente ed è aumentato dello 0,1% nei confronti del quarto trimestre del 2018.

Nei dati diffusi il 31 gennaio 2020 si era registrata la stessa diminuzione dello 0,3% del Pil, mentre la crescita tendenziale era risultata nulla.

Il quarto trimestre del 2019 ha avuto due giornate lavorative in meno del trimestre precedente e lo stesso numero di giornate lavorative rispetto al quarto trimestre del 2018.

La variazione acquisita per il 2020 è pari a -0,2%.

Rispetto al trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna registrano diminuzioni, dello 0,2% per i consumi finali nazionali e dello 0,1% per gli investimenti fissi lordi.

Le importazioni si sono ridotte dell’1,7% e le esportazioni sono cresciute dello 0,3%.

La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito negativamente per 0,2 punti percentuali alla crescita del Pil, con -0,1 punti dei consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private ISP e un contributo nullo sia degli investimenti fissi lordi, sia della spesa delle Amministrazioni Pubbliche (AP). Anche la variazione delle scorte ha contribuito negativamente alla variazione del Pil, per 0,7 punti percentuali, mentre il contributo della domanda estera netta è risultato positivo per 0,6 punti percentuali.

Si registrano andamenti congiunturali negativi sia per il valore aggiunto dell’industria sia per quello dei servizi, diminuiti rispettivamente dell’1,2% e dello 0,1%, mentre il valore aggiunto dell’agricoltura è cresciuto dell’1,4%.

Nasce la banca per gli alberi

“Stiamo costituendo, primi al mondo, una banca per gli alberi, chiedendo al sistema bancario di finanziare, insieme al Ministero, la piantumazione di alberi in Italia. L’alta finanza deve iniziare a scendere in campo al fianco dei cittadini, lo vuole fare, e abbiamo già costituito un gruppo di lavoro con loro”. Lo ha dichiarato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa nel corso della presentazione della giornata ‘M’illumino di meno’, in programma il 6 marzo prossimo.

“I mutamenti climatici ci aggrediscono, ma l’Italia è in prima linea – ha affermato il Ministro – Siamo anche tra i primi finanziatori del ‘green wall’, il muro verde nell’Africa sub sahariana: 8 mila chilometri di deserto, una muraglia verde che attraverserà venti Paesi, nel cui territorio interverremo insieme alle Nazioni Unite piantando non meno di due miliardi di alberi, per restituire un clima diverso”.

Costa ha poi spiegato che nella legge clima è prevista una norma sulla riforestazione comunale: “Oggi ogni Comune può, con i fondi delle aste verdi, che i grandi inquinatori pagano per compensare dal punto di vista ambientale territori e cittadini, piantumare alberi. La riforestazione urbana è legge dello Stato, finanziata dal Ministero dell’Ambiente”.

Il Ministro ha poi aggiunto che arriverà a breve la firma delle “nuove linee di indirizzo sul verde urbano, che daranno la possibilità ai cittadini, ove i Comuni aderiscano, di partecipare al processo decisionale per la sostituzione degli alberi che vengono rimossi per motivi strutturali o per l’esistenza di una patologia, attraverso dei mini-referendum urbani”.

Infine, un cenno all’importanza della formazione in materia di ambiente: “La Rai è informazione e formazione ambientale – ha spiegato Costa – e sono fiero di annunciare che da settembre la formazione ambientale entrerà nelle nostre scuole. Siamo il primo Paese al mondo a prevederlo, è un orgoglio italiano che voglio reclamare ad alta voce”.

L’endocardite batterica

Per endocardite si intende uno stato infiammatorio dell’endocardio, il tessuto che riveste le cavità interne e le valvole del cuore; in particolare, i tessuti endocardici maggiormente coinvolti nella malattia infettiva risultano essere le valvole cardiache.

L’endocardite batterica si verifica quando i microrganismi provenienti da altri distretti del corpo, come pelle, cavità orale, intestino o tratto urinario, diffondono attraverso il flusso sanguigno e raggiungono il cuore.

In condizioni normali, il sistema immunitario riconosce e difende l’organismo dagli agenti infettivi, i quali – anche se riuscissero a raggiungere il cuore – risulterebbero innocui, attraversandolo senza causare un’infezione. Tuttavia, se le strutture cardiache sono danneggiate, come conseguenza di febbre reumatica, difetti congeniti o altre malattie, possono subire l’aggressione dei microrganismi. In queste condizioni, per i batteri penetrati nell’organismo attraverso il circolo sanguigno è più facile attecchire nel rivestimento interno del cuore, superando la normale risposta immunitaria alle infezioni.

Molti sono i sintomi e i segni clinici che si riscontrano nelle persone affette da questa patologia.

Manifestazioni maggiori
Febbre, anemia (talora piastrinopenia), sudorazione, sensazione di brivido;

Manifestazioni minori
Anoressia, astenia, artralgie (40% dei casi), splenomegalia (30% dei casi), emboli settici (30% dei casi) in cute, palato e congiuntive, con segni caratteristici come noduli periungueali di Osler, macchie cutanee a fiamma di Janeway, emorragie ungueali (detta a scheggia per la forma che assumono), lesioni retiniche di Roth, leucocitosi. Possono inoltre manifestarsi infarti embolici renali, glomerulonefrite focale o diffusa e altre patologie da immunocomplessi.

 

Usa 2020: Biden vince in dieci Stati

In 14 Stati si è votato per scegliere il candidato democratico alla Casa Bianca. L’ex vice di Obama Biden si assicura Virginia, North Carolina, Oklahoma, Alabama, Tennessee, Minnesota, Arkansas, Massachusetts North Carolina Texas.

Sanders conquista California, Utah, Colorado e il suo Vermont. Bloomberg, il grande sconfitto, vince solo nelle isole Samoa e già  domani potrebbe annunciare addirittura il ritiro dalla competizione.

La senatrice Warren, sempre più indietro nella corsa, ora si trova a un bivio: nel Massachussets, il suo Stato, è terza con circa il 21 per cento, un risultato decisamente negativo. Quattro anni fa Warren assegnò il suo endorsement a Hillary Clinton e nelle prossime ore potrebbe decidere di convergere verso Biden, tenuto conto degli aspri confronti avuti con Sanders durante i dibattiti fra i candidati democratici.

Ora i media statunitensi parlano apertamente di “tsunami Biden”, in netta contrapposizione con la dialettica del presidente in carica, Donald Trump, che si è sempre rivolto a lui con l’ironico appellativo di “Sleepy Joe”.

Analizzando i dati si può ben affermare che i democratici siano riusciti a riunirsi sotto l’egida di Joe Biden, grazie anche al lavoro sottotraccia dell’ex presidente Barack Obama e di altre figure di spicco dell’élite del partito, dall’ex consigliere alla sicurezza nazionale Susan Rice a Victoria Reggie Kennedy alla vedova dell’ex senatore Ted.

Però, prima della grande kermesse democratica, bisogna aspettare martedì 10 marzo, quando si voterà in  Idaho, Michigan, Mississippi, Missouri, Washington. E il 17 quando si voterà in Arizona, Florida, Illinois e Ohio.

 

Per una nuova politica economica ispirata dalla “Laudato Si”

Con riferimento allo sviluppo…occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi (“Laudato Si” pag. 145). E’ arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti (“Laudato Si” pag. 146). 

Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi (“Laudato Si” pag. 123). 

La produzione non è sempre razionale, e spesso è legata a variabili economiche che attribuiscono ai prodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale. Questo determina molte volte una sovrapproduzione di alcune merci, con un impatto ambientale non necessario, che al tempo stesso danneggia molte economie regionali (“Laudato Si” pag. 143). 

  1. Premessa 

La complessità delle dinamiche economiche, ritardando spesso il momento temporale degli effetti connessi alle cause originanti, fa perdere la consapevolezza delle correlazioni con il risultato che quando si verificano gli eventi (proprio perché in ritardo molto più intensi, come ampiamente dimostrato dagli estensori degli overshooting models) pochi si ricordano chi li aveva previsti e chi no e ancor meno sono quelli che si assumono la responsabilità di reinterpretare il futuro. 

Il risultato è così semplicemente disastroso, perché tutti continuano a parlare del presente senza ricordare cosa hanno detto nel passato del futuro e soprattutto continuano a sviluppare ragionamenti di breve periodo. 

In queste condizioni è difficile che emergano salti di “paradigma”, cioè di “vision”, sempre necessari nei momenti di svolte epocali, come quella che stiamo vivendo. 

1.1 All’origine della crisi: l’eterno gioco della domanda e dell’offerta 

Studiando l’irrompere dell’economia “industriale”, fondata sul principio della specializzazione, sulle realtà agrarie/artigianali in un contesto socio-economico che esprimeva bisogni fondamentali inespressi dall’origine dell’uomo, gli economisti 

classici osservarono stupiti che, grazie alla “mano invisibile”, “l’offerta crea la domanda” (legge di Say) e, per tale via, porta all’armonia dell’equilibrio economico generale di piena occupazione di Walras. 

Ed avevano ragione! Perché in quella fase nascente del Capitalismo, concorrenziale, dinamico e semplice, l’offerta si trasformava naturalmente in domanda. 

Se avessero però analizzato alcune logiche interne al mercato (l’impresa marginale viene inevitabilmente fagocitata dall’impresa più dinamica) e all’impresa ( il capitalista cerca progressivamente di assegnarsi una quota crescente del reddito prodotto rispetto agli operai e ai consumatori sfruttando le sue posizioni di forza), avrebbero potuto intuire che, al di là degli assunti ideologici, c’era un fondamento nell’analisi del “plusvalore” di Marx e nella sua “previsione” di un collasso del sistema per sovrapproduzione economica e disperazione sociale. 

E avrebbero evitato non la rivoluzione bolscevica, figlia dell’ideologia marxista, ma la grande depressione del ’29-’32. 

In altri termini che Marx, proiettando al futuro la logica capitalistica, coglieva il tallone d’Achille della legge (dell’imperio) dell’offerta che creava la propria domanda e quindi chiedeva libertà di mercato (per realizzare gli oligopoli) e d’impresa (per accrescere i profitti), di fatto sterilizzando progressivamente il flusso vitale dell’offerta verso la domanda. 

Sennonché, come a tutti noto, dalla crisi del ’32 siamo usciti non dalla porta di Say ma dal radicale ribaltamento del paradigma cognitivo che aveva guidato tutti gli economisti, compreso lo stesso Marx, fino al tracollo dell’economia moderna. Non è — nella fase in cui era evoluto il capitalismo, possiamo aggiungere noi — l’offerta che crea la domanda ma bensì è l’esatto contrario: “la domanda crea l’offerta” affermava Keynes, rivoluzionando l’analisi economica e aprendo la strada ad un ruolo attivo dello Stato come grande regolatore della domanda, come protagonista diretto dell’offerta, oltre che come tutore delle leggi del mercato e dell’impresa in funzione di una equa distribuzione del valore prodotto. 

E così la domanda sapientemente manovrata in una logica ad un tempo strutturale e congiunturale, come i grandi investimenti, ha innescato il più lungo periodo di crescita delle economie occidentali creando l’illusione della crescita illimitata della cosiddetta economia sociale di mercato fino al trionfo sul modello comunista e alla caduta del muro di Berlino. 

Quando improvvisamente il mondo occidentale, anche per la giusta consapevolezza di avere progressivamente paralizzato l’offerta con “troppi lacci e laccioli” ha pensato di ritornare ad un modello nel quale fosse la capacità dell’offerta di esprimersi il nuovo — vecchio- motore dell’economia: “più mercato e meno stato” è stata la nuova parola d’ordine che ha guidato il più impressionante processo di privatizzazioni in uno con le più grandi e veloci concentrazioni mai realizzate, a loro volta, funzionali ad una radicale redistribuzione del valore a favore, sulla carta, dei consumatori e degli azionisti in realtà di una nuova classe sociale che ha sostituito la funzione della classe media in profonda crisi: “i finanzieri”. 

Ma nessuno —giustamente- ha pensato di ritornare al “vecchio paradigma” dell’offerta che crea —tout court- la domanda; tutti, però, si sono posti l’obiettivo di trovare un degno sostituto allo Stato come grande regolatore della domanda e stimolatore —per questa via- dell’offerta. 

Nessuno lo ha teorizzato ma gli ultimo 25 anni non sono altro che la storia di come la Finanza si è fatta Stato, di come, cioè, la Finanza ha tentato di svolgere il ruolo che il modello keynesiano ha assegnato allo Stato. 

In altri termini si è pensato di sostituire: 

  1. alla domanda pubblica e a quella privata generata dal reddito prodotto, una domanda prevalentemente privata sostenuta dall’indebitamento illimitato delle famiglie; 2. al ruolo attivo dello Stato nella produzione di beni e servizi, il ruolo delle grandi 

imprese globali finanziate dal mercato azionario di massa. 

Perseguendo, di fatto, una nuova stratificazione sociale -“gli azionisti e gli indebitati”- che è alla base della divaricazione tra crescita e uguaglianza, atteso che tale dinamica economica esalta i primi (sempre di meno) e soffoca i secondi (sempre di più). 

Il risultato di questo “modello senza teoria” è il consumismo onnivoro fondato sull’indebitamento dei popoli e dei singoli, distruttivo degli equilibri ecologici, che affama interi continenti e distrugge le vite familiari e personali. 

Certo Keynes nel vedere che il suo modello della domanda aggregata è diventato il fondamento del consumismo e dei suoi stili di vita si rivolta nella tomba, ma così è e sarà, fin quando non si romperà l’incantesimo della domanda (marginalmente pubblica e prevalentemente privata da indebitamento) che “crea” l’offerta e con 

essa l’occupazione, fondata non sul ruolo degli stati ma del Sistema Finanziario Globale. 

1.2 Per una definizione del concetto di consumo e quindi di domanda 

Qualunque ripensamento del sistema economico passa, dunque, da una riflessione sulla “domanda” per riportare il consumo entro un profilo umano e ambientale, cioè entro un sentiero che non danneggi l’uomo concreto e il suo ambiente. Più esplicitamente bisogna ambire a distinguere tra consumo “sano” ed “ecologico” e consumo deviato e antiecologico. 

In questa prospettiva strategica il primo obiettivo è costituito dalla istituzione da parte dei Governi di un “Comitato per la definizione del PIL corretto. In altri termini pur mantenendo il monitoraggio dell’attuale aggregato andrebbero introdotti fattori correttivi sulla base di giudizi condivisi in merito agli aspetti negativi di alcune produzioni/consumi sull’uomo e l’ambiente. Per capire basterebbe sottrarre – per iniziare – dal PIL ufficiale il gioco d’azzardo, il fumo, l’alcool, la vendita di acqua, la produzione di armi, di plastica il costo dello smaltimento teorico di CO2 commesso alla produzione e al trasporto dei beni. 

Insomma per cominciare a cambiare il sistema bisogna iniziare a “spogliare il Re”! Solo demitizzando il feticcio del PIL e della sua crescita si può riportare l’insieme delle attività umane di produzione e consumo entro un sentiero di umanità e di compatibilità ecologica. 

1.3 Per una nuova economia 

A partire da questa nuova visione occorre ripensare la funzione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) per trasformarla da mera imposta indiretta a imposta di indirizzo in quanto connessa in termini radicalmente differenziati alle produzioni/servizi riduttivi del PIL o al valore del prodotto. 

In altri termini tutti i prodotti/servizi “nocivi” dovrebbero avere IVA maggiorata (si pensi per cominciare all’alcool, al fumo, alle armi) così come i prodotti di lusso (in base a quale logica l’IVA su una Ferrari o una borsa di CHANEL è uguale a quella di una utilitaria o di una comune borsa?). 

Parallelamente va ripensata la funzione redistributiva dello Stato iniziando dalla ridefinizione degli scaglioni fiscali per le imprese e le persone fisiche, superando l’attuale scandaloso dibattito sulla flax tax, che distoglie l’attenzione dell’opinione pubblica dalla vera natura del problema. Per il nostro sistema 

fiscale un individuo che guadagna fino a 15.000 euro è socio-economicamente diverso da un individuo che guadagna fino a 28.000 euro (tanto da avere due tassazioni diverse) e così quello che guadagna fino a 55.000 euro è diverso da quello che guadagna fino a 75.000 euro; da qui in poi siamo tutti uguali: detto in altri termini io e Del Vecchio per il sistema fiscale italiano siamo la stessa cosa! 

Da qui la scandalosa divaricazione crescita/uguaglianza. 

Lo stesso dicasi per la tassazione sulle imprese, anche se non manca qualche timido segnale di inversione di tendenza. 

Le manovre “macro” sopra richiamate devono essere accompagnate da una nuova visione ambientale che porti ad una nuova categoria di “tassazione sistemica” finalizzata a far prendere consapevolezza dei costi ambientali di molti prodotti/servizi. Basterebbe per iniziare una tassa sul trasporto su ruote dei prodotti agroalimentari! 

In questo nuovo contesto vanno avviate politiche strutturali tese a ridimensionare sistematicamente la dimensione/ruolo delle banche universali e delle multinazionali, che sono il frutto non tanto del successo competitivo (secondo l’ideologia neoliberista), ma della manipolazione sistematica della politica da parte delle grandi lobby che hanno piegato progressivamente tutta la legislazione ai loro interessi. Si pensi ad esempio alla legislazione europea del settore bancario che vede le banche di credito cooperativo soggette alla stessa normativa delle banche universali come Unicredit e Intesa San Paolo, laddove anche negli USA sono previsti 4 livelli di regolamentazione legati alla dimensione, con il risultato finale di distruggere tutto ciò che non è grande per definizione, nonostante studi consolidati secondo i quali le Banche Universali creano rischi sistemici immensi senza essere più efficaci (in termini di allocazione del credito) ed efficienti (in termini di interessi-costi dei servizi) delle banche di minore dimensione. 

Considerazioni che valgono anche per tutti i grandi settori, in particolare le fonti rinnovabili e l’agroalimentare che sono “per natura” diffusivi! 

Con altrettanta determinazione va affrontato il tema dell’obsolescenza programmata che costituisce una delle forme più sofisticate di violenza capitalistica atteso che è scandaloso che per “tosare il consumatore” di fatto si taroccano i prodotti a danno anche della natura. Basterebbe per iniziare 

istituire in ogni paese un “Ente” preposto alla certificazione dei principali prodotti industriali di consumo. 

Tali misure non impattano però con il cuore dei problemi delle attuali società capitalistiche: la distruzione sistematica di lavoro, inteso come scambio, a causa degli straordinari sviluppi della tecnologia. Per tale ragione occorre prendere consapevolezza che non bastano nuove rinnovate politiche redistributive del reddito e della ricchezza ma occorre andare oltre impostando inedite politiche redistributive del lavoro inteso come prestazione a fronte di un corrispettivo. In altri termini bisogna porre velocemente all’ordine del giorno la tematica della riduzione della settimana lavorativa a 4 giorni partendo dalle grandi banche universali ed alle multinazionali. Tutto ciò istituendo una forma di servizio civile permanente nel senso che le persone beneficiarie di una tale misura dovrebbero essere impegnate in attività sociali/ ambientali/culturali a servizio delle comunità di riferimento. 

In ogni caso bisogna prendere consapevolezza che la velocità del cambiamento tecnologico accentuerà le caratteristiche distruttive/creative del sistema produttivo con enormi conseguenze strutturali/congiunturali dei livelli occupazionali. Per tale ragione partendo dall’affermazione del diritto a vivere a prescindere dalla prestazione lavorativa va affermata con forza l’utilità strategica del reddito di cittadinanza, mettendo in discussione il fondamento ideologico dello Stato moderno capitalista fondato su processi di accumulazione indiscriminati! Se noi affermiamo che gli esseri umani hanno diritto ad essere, a vivere, a prescindere dal lavoro, noi smontiamo lo stato moderno fondato sul lavoro-merce oggetto di negoziazione/acquisto da parte del Dio-Capitale ma soprattutto creiamo le condizioni di flessibilità utili a coniugare le esigenze di sviluppo con i bisogni fondamentali minimi degli essere umani. 

Dunque una nuova economia è possibile basta volerla. 

L’alternativa è la distruzione dell’attuale civiltà o a seguito di processi rivoluzionari violenti, guerre geopolitiche o collasso ambientale. 

Come sempre all’Uomo l’ultima parola. 

Perché sono scomparsi gli statisti?

Le grandi emergenze nazionali del passato, tutte diverse le une dalle altre purtroppo, sono sempre state affrontate dalla politica anche attraverso le sue personalità. Quelle personalità che venivano comunemente definiti come statisti. O grandi e riconosciuti leader. Categorie che oggi sono semplicemente scomparse. Al massimo oggi ci sono i “capi”. In alcuni casi i “guru”. 

Ora, è del tutto evidente che una politica senza statisti o senza leader ha una grande difficoltà nel guidare i processi politici, affrontare di petto le grandi difficoltà – per non parlare delle emergenze – e, soprattutto, dare fiducia alla pubblica opinione quando si devono fare delle scelte concrete e il più delle volte impopolari. Ormai si ha l’opinione, per non dire la certezza, che il tutto è solo e soltanto finalizzato al consenso, cioè al sondaggio del giorno dopo. Ogni scelta, ogni soluzione, ogni decisione sono il frutto e la conseguenza di ottenere qualche decimale in più. E questo deriva dal fatto che proprio quella scelta e quella decisione sono facilmente smentibili il giorno dopo. Come se nulla fosse. Del resto, le stagioni politiche ispirate e dominate dal trasformismo hanno questa cifra. E cioè la non credibilità di ciò che si dice. Perché il giorno dopo si può tranquillamente smentire ciò che si è detto il giorno prima. E che riflette in modo persin scolastico ciò che avviene nell’attuale dialettica politica italiana. 

Ma, al di là e al di fuori delle vicende personali, quello che conta rilevare è che la stagione dei leader – su quella degli statisti le speranze sono sempre più esigue – potrà nuovamente ritornare solo se cessa quel clima antipolitico, antiparlamentare e anti partito che ha dominato incontrastato in questi anni in molti settori della politica italiana e in quasi tutti i settori dell’informazione. Il tutto è coinciso con la vittoria schiacciante di quei partiti e movimenti che rappresentano la sintesi più efficace e più plastica di questa cultura antipolitica, antiparlamentare e anti partito. Lo abbiamo potuto sperimentare migliaia di volte e in svariate occasioni in questi anni. A livello pubblico come a livello privato e continuiamo ad ascoltarlo tuttora. Certo, la recente e pare progressiva ed irreversibile crisi elettorale di quei partiti può contribuire ad invertire questa rotta e gettare le premesse per il ritorno di una stagione politica dove le culture politiche, i leader e forse anche gli statisti potranno nuovamente far breccia nella cittadella politica italiana. Nulla è certo però, come ovvio.

Anche perché la mala pianta dell’antipolitica è ormai fortemente radicata nel nostro tessuto culturale e sociale e sarà molto difficile cancellarla o attenuarla. Tuttavia occorre attrezzarsi e lavorare per centrare questo obiettivo perché sono proprio i momenti di maggior difficoltà – o di grande emergenza nazionale – che richiedono la presenza di uomini e donne che possono essere punti di riferimento morale, politico ed istituzionale per tutti i cittadini. A prescindere dalle loro convinzioni politiche e dalle appartenenze culturali. E questo perché la politica italiana continua ad aver bisogno di leader e soprattutto di statisti. Con la speranza di non avere solo capi e guru. 

La «battaglia di Valle Giulia» 1° marzo 1968

Articolo pubblicato sulle pagine della rivista Il Mulino a firma di Marco Adorni

Sono passati pochi mesi dalle occupazioni e dagli sgomberi alle Università di Pisa, Torino e Milano, tra il febbraio e il novembre del 1967, quando inizia l’occupazione di quasi tutti gli atenei italiani. Se gli studenti universitari utilizzano, come casus belli, il progetto di riforma universitaria apprestato dal governo, in realtà è entro un quadro ben più ampio che se ne collocano le motivazioni più profonde, ossia lo scontro, per così dire, epocale, tra gli apologeti della civiltà capitalistica e i suoi detrattori.Gli occupanti intendono sferrare un attacco teorico e pratico alla società tout court e ai suoi meccanismi repressivi, per trasformare l’alienazione e la passivizzazione in liberazione e presa di parola, spazio, tempo, esperienza vitale.

Il nemico più prossimo e facilmente individuabile per gli studenti è proprio «il sapere»: la sua pretesa di dominio fondata su una presunta obiettività super partes, nonché la sua organizzazione – a partire, naturalmente, da «apparati ideologici di Stato» come scuola e università. Il fattore probabilmente decisivo nel portare i giovani ad adottare pratiche sempre più perturbative, fino allo «scontro di piazza» con i tutori dell’ordine, è proprio l’aver fatto esperienza di un sapere scientifico che, in un modo fino a quel momento inedito, minaccia direttamente l’esistenza stessa dell’umanità. Questo rende all’epoca impossibile non porsi, in modo radicale, il problema del «che fare» (e del «che agire») nei confronti di una situazione da cui non sembra possibile uscire se non facendo ricorso alla forza. Come scriverà Jerome Lettvin sul «New York Times Magazine» nel maggio di quel 1968, «non è rimasta neanche una maledetta cosa che uno possa fare che non possa venire trasformata in guerra».

I giovani della sinistra marxista extraparlamentare iniziano allora a leggere nel sapere tecnico-scientifico il capitale come totalità sociale cui opporre una replica studentesca (e operaia) sul suo stesso piano di realtà. Lo scenario internazionale dell’epoca sembra confermare una simile lettura. L’abissale sproporzione nel dispiego di forze del contesto bellico indocinese – da una parte la macchina bellica del Golia americano, dall’altra la disperata guerriglia del David vietnamita – non sembra che la conferma che il «sistema» non soltanto opera nel senso di una repressione implicita (attraverso le sirene del benessere e della felicità consumistica) ma anche nel segno di una violenza diretta ed esplicita nei confronti dei popoli.

È in questo contesto che il 1° marzo 1968 si svolge la vicenda che verrà in seguito ricordata come la «battaglia di Valle Giulia». A scatenarla la decisione del rettore dell’Università di Roma, Pietro Agostino D’Avack, di far sgomberare gli atenei occupati. Ma anche, con tutta probabilità, la pesantissima repressione riversata sui giovani già dal 1967 e che raggiunge il suo apice proprio in quei primi mesi del 1968. Quel giorno, con l’obiettivo di «riprendersi» la facoltà di Architettura a Villa Borghese, diverse migliaia di studenti partono da piazza di Spagna alla volta dell’ateneo, controllato dalle forze dell’ordine.

Qui l’articolo completo

Torino: “Don Primo Mazzolari, il cattolicesimo italiano e la questione sociale”.

“Cattolici al lavoro. Don Primo Mazzolari, il cattolicesimo italiano e la questione sociale nel secondo dopoguerra”: è il titolo del convegno di studi proposto da Fondazione Don Primo Mazzolari (Bozzolo) e Fondazione Vera Nocentini (Torino), che si terrà nei giorni 3 e 4 aprile nel capoluogo piemontese (Sala artistica, Seminario arcivescovile, via XX Settembre 83).

Il convegno prenderà avvio con i saluti istituzionali portati da Bruno Bignami, Fondazione Don Primo Mazzolari; Gianfranco Zabaldano, Fondazione Vera Nocentini; Flavio Luciano, Commissione regionale della pastorale sociale e del lavoro del Piemonte e della Valle d’Aosta; Roberto Repole, Facoltà teologica dell’Italia settentrione – sezione parallela di Torino; Angela Dogliotti, Centro studi Sereno Regis. Seguirà la prima sessione di lavori sul tema “I cattolici e la questione sociale” con diverse relazioni: Il lavoro in Italia dalla ricostruzione al “miracolo economico” (Stefano Musso, Università degli studi di Torino); Cattolici e questione sociale in Piemonte tra gli anni Quaranta e Cinquanta (Tommaso Panero, Fondazione Vera Nocentini); Le missioni di Mazzolari in Piemonte (Francesco Ferrari, Universidad Católica de Colombia, Bogotá); Gli amici piemontesi di don Primo (Chiara Bassis); Le collaborazioni di don Primo Mazzolari ai giornali piemontesi (Marta Margotti, Università degli studi di Torino).

La seconda sessione del convegno si svolgerà sabato 4 aprile (ore 9-13) sul tema “Mazzolari e il lavoro”. Queste le relazioni previste: “Cattolici, lavoro e sindacalismo nell’Italia della guerra fredda” (Aldo Carera, Università Cattolica, Milano); “Don Primo Mazzolari tra lavoratori, lavoro e disoccupazione. ‘Adesso’ e i problemi dell’occupazione negli anni Cinquanta” (Paolo Trionfini, Università degli studi di Parma). A seguire una tavola rotonda cui prenderanno parte: Marco Bentivogli (segretario generale Fim-Cisl); Bruno Bignami (direttore Ufficio nazionale per i problemi sociali e lavoro della Conferenza episcopale italiana – presidente Fondazione Mazzolari); Irene Bongiovanni (presidente ConfCooperative – Cultura turismo sport); Gianfranco Bordone (esperto di politiche del lavoro – Regione Piemonte); Nicola Scarlatelli (vicepresidente regionale Piemonte – Confederazione nazionale dell’artigianato – Cna).

Protezione civile: fino al 31 marzo le manifestazioni d’interesse per ‘Io Non Rischio 2020’

È possibile presentare la manifestazione d’interesse per la realizzazione della piazza “Io Non Rischio“, la Campagna di buone pratiche di protezione civile che giunge quest’anno alla sua decima edizione

Per presentare la manifestazione d’interesse è stato messo a disposizione delle Organizzazioni di Volontariato un modulo online, disponibile all’indirizzo http://www.inr2020.it/, che dovrà essere compilato entro e non oltre le ore 23.59 del 31 marzo 2020.

Potranno partecipare tutte le Organizzazioni di Volontariato già iscritte nell’Elenco Territoriale della propria Regione/Provincia Autonoma o con iscrizione già richiesta e in fase di perfezionamento. Eventuali eccezioni saranno gestite dalla Regione/Provincia Autonoma di riferimento.

Una volta effettuata la registrazione all’indirizzo web indicato, le associazioni potranno accedere alla sezione dedicata e compilare i campi disponibili nel modulo con tutte le informazioni necessarie. Al termine della compilazione, sarà possibile effettuare il download della versione stampabile che dovrà essere firmata dal Presidente/Legale rappresentante e successivamente caricata sul sito secondo le istruzioni fornite.

Le candidature ricevute non saranno accettate automaticamente ma seguiranno un processo di validazione, effettuato dai referenti delle OdV nazionali e delle Regioni/Province Autonome.

Insieme al modulo di manifestazione di interesse, sul sito è disponibile un elenco di Frequently Asked Questions (FAQ) per fornire tutte le informazioni necessarie ai compilatori.

 

Trovati 17 nuovi pianeti uno è abitabile

Il risultato della particolare scoperta, pubblicato anche sulla rivista scientifica “The Astronomical Journal”, è stato possibile, come detto, grazie al lavoro del telescopio spaziale Kepler che negli ultimi quattro anni ha cercato pianeti, in particolare quelli che giacciono nelle cosiddette “zone abitabili” delle loro stelle, dove potrebbe esistere acqua liquida sulla loro superficie.

Tra i 17 pianeti scovati, il più interessante è quello chiamato KIC-7340288 b, un pianeta roccioso il cui diametro è circa 1,5 volte quello della Terra.

Il pianeta ha un anno lungo 142 giorni e mezzo e orbita attorno alla sua stella a una distanza poco più grande dell’orbita di Mercurio rispetto al nostro Sistema Solare. Inoltre, questo pianeta non ha temperature alte come Mercurio perché riceve dalla sua stella circa un terzo della luce che la Terra riceve dal Sole e di conseguenza si trova in una zona dalle temperature piuttosto miti.

Per quanto riguarda, invece, gli altri 16 nuovi pianeti scoperti, il più piccolo ha solo due terzi delle dimensioni della Terra ed è uno dei pianeti più piccoli che il telescopio della Nasa abbia mai individuato. I restanti variano, in quanto a dimensioni, fino a otto volte le dimensioni del nostro pianeta.